2008

Genetica umana e diritto: problemi e prospettive

Marco Croce

Sommario: - 1. Impostazione del lavoro. - 2. Qualche considerazione introduttiva. - 3. Orientamenti filosofici e politico-costituzionali sulle problematiche attinenti alla genetica. - 4. Problemi e prospettive dal punto di vista del diritto costituzionale: sistema delle fonti e giustizia costituzionale. - 5. La problematica delle informazioni genetiche: pericoli di discriminazione su base genetica e tecniche di tutela. - 6. La normativa vigente. - 7. Qualche osservazione conclusiva: è possibile parlare di libertà di disposizione delle proprie informazioni genetiche?

1. Impostazione del lavoro

Il tema oggetto di questo studio, la genetica, si presta a essere trattato da tantissimi angoli visuali: quello della biologia e della medicina, quello della filosofia, quello dell'economia e quello del diritto, per rimanere ai principali. È un tema ricco di implicazioni pur se esaminato con riguardo a una sola delle prospettive sopra richiamate, per cui è necessario da subito chiarire i termini dell'indagine, quanto meno per cercare di approfondire un minimo qualche aspetto e provare a scongiurare quello che sembra essere il destino dei costituzionalisti, cioè di essere "quelli che sanno quasi niente su quasi tutto" (1).

Anche dal solo punto di vista giuridico le suggestioni sono molteplici, visto che la problematica delle novità biotecnologiche interessa sia il diritto pubblico, anche nelle sue dimensioni sovranazionali, sia il diritto privato, sia il diritto penale; si pensi, a solo titolo esemplificativo, alla rilevanza che alla genetica è stata attribuita in documenti internazionali di vario genere (tra cui la Carta dei diritti dell'U.E.) per cercare di prevenire eventuali nuove forme di discriminazione che si basassero su di essa; alle possibili utilizzazioni per svolgere le indagini nel procedimento penale o nei procedimenti civili in tema di riconoscimento o disconoscimento di figli (2); alle tematiche inerenti la fecondazione assistita (3); alle speranze in tema di ricerca scientifica e terapie geniche; al diritto dei brevetti (4); alle biotecnologie in campo alimentare e alle polemiche in materia di O.G.M. (5).

Si è cercato quindi di condurre un discorso il più possibile chiaro e lineare, cercando di segnalare quelle che sono le problematiche specifiche che il diritto costituzionale incontra nel rapportarsi alle innovazioni nel campo della genetica: dopo una breve descrizione delle caratteristiche dell'oggetto dell'indagine, seguirà un breve esame degli approcci filosofici e politico-costituzionali al tema della genetica umana. Si metteranno in evidenza i parametri costituzionali che paiono essere rilevanti in materia e si segnaleranno gli aspetti problematici sia sul versante delle fonti del diritto che su quello della giustizia costituzionale.

L'indagine sarà poi limitata alle informazioni genetiche, cercando di ricostruire la normativa applicabile, che sembra essere tesa quasi esclusivamente all'eliminazione o comunque al contenimento dei pericoli di discriminazione che sono stati messi in evidenza da una parte cospicua della dottrina; si svolgeranno poi alcune considerazioni conclusive sulla difficoltà che si incontra nel configurare l'esistenza di una libertà di disposizione delle stesse, in ragione delle particolari caratteristiche che esse sembrano possedere.

2. Qualche considerazione introduttiva

Attraverso le nuove tecnologie della biologia molecolare è oggi possibile scrutare in maniera sempre più perfezionata la massa di informazioni genetiche contenute nel nostro organismo: tramite i test genetici predittivi (6) è possibile effettuare una vera e propria previsione dell'insorgenza della malattia, nel caso in cui questa sia determinata dalla mutazione di un gene specifico, oppure identificare numerosi geni responsabili, nella loro forma alterata, di un'aumentata suscettibilità del soggetto a sviluppare nel corso della vita determinate patologie. È bene sottolineare che in questo secondo caso si ha esclusivamente un rischio relativo più alto di ammalarsi (7).

Anche se il dibattito è del tutto aperto, visto che al momento lo scarto esistente fra capacità diagnostiche e capacità terapeutiche è molto grande, queste informazioni potrebbero essere di grande utilità per prevenire le malattie o prepararsi a una diagnosi precoce e alla cura. Se invece queste stesse informazioni finissero nelle mani, per esempio, di datori di lavoro o di assicuratori, potrebbero essere utilizzate a danno dell'interessato, il quale potrebbe non essere assunto, pagato meno di un altro in quanto "soggetto a rischio", non assicurato oppure assicurato ma con un premio inferiore (8).

Si corre quindi il rischio di far diventare il patrimonio genetico individuale fattore di discriminazione nei settori della tutela della salute, del lavoro, delle assicurazioni malattia e vita: attraverso la diffusione di test genetici potrebbe determinarsi una spinta sempre più forte verso un'organizzazione sociale fortemente connotata da criteri genetici di classificazione e controllo, come sembrerebbero suggerire le attività tese al continuo incremento di banche dati genetiche. In assenza di reazioni da parte della politica tramite adeguati strumenti giuridici, si corre il rischio di veder sorgere una nuova categoria sociale, quella dei "malati virtuali" (9).

La raccolta di informazioni genetiche ha già, peraltro, ricadute pratiche significative, come dimostra una diffusa politica di screening genetici, non giustificata da ragioni terapeutiche e al di fuori di qualsiasi controllo democratico, condotta in molti paesi (fra cui gli U.S.A. e il Regno Unito) con il fine di realizzare una sorta di schedatura genetica che sembrerebbe appartenere concettualmente più a sistemi polizieschi che a sistemi democratici (10). La stessa nozione di responsabilità individuale può vedere spostati i propri confini: il rapido aumento di conoscenze relative alla determinazione genetica del carattere individuale e dei relativi comportamenti apre un più ampio ventaglio di sfumature intermedie tra imputabilità e non imputabilità, rendendo più incerte le tradizionali scansioni. Il problema in questo caso potrebbe essere quello di stabilire quando e in quali circostanze i dati genetici possano essere ammessi in sede processuale.

Si pone pertanto la necessità di proteggere il singolo individuo da un cattivo uso delle informazioni genetiche, tale da condurre a comportamenti collettivi discriminanti e limitativi, a qualsiasi livello, della libertà e dei diritti individuali. Diventa quindi particolarmente urgente la messa a punto strumenti giuridici capaci di prevenire e reprimere abusi nell'utilizzazione di questi dati.

3. Orientamenti filosofici e politico-costituzionali sulle problematiche attinenti alla genetica

Le innovazioni scientifico-tecnologiche fanno nascere libertà e scelta dove prima c'era soggezione a immodificabili leggi di natura: ciò pone tutta una serie di nuovi problemi, dal momento che sembrano sorgere nuovi diritti e nuovi doveri. In particolare, "la genetica porta a conseguenze radicali questa tendenza, perché massima si fa la possibilità di conoscenza e scelta, e la creazione di ulteriori figure di diritti mette precocemente in discussione parte dei nuovissimi cataloghi che si era appena finito di compilare" (11). È un dato inequivocabile che le nuove tecnologie in campo genetico consegneranno a tutti e a ciascuno una massa crescente di informazioni capace di approfondire l'attuale conoscenza di sé e di orientarla verso il futuro.

Di fronte a questa prospettiva tre appaiono gli approcci fondamentali, naturalmente con una vasta gamma di modulazioni tra gli opposti estremismi.

Da una parte abbiamo i fautori del progresso scientifico ad ogni costo, "talora concepito deterministicamente, che constatano come evenienza ineluttabile o salutano con entusiasmo il passaggio dall'era industriale...a quella bioinformatica...nella quale la riprogrammazione dei codici genetici consentirebbe di reinventare la natura o di realizzare un mondo nuovo" (12).

In campo giuridico questo approccio è stato fatto proprio da chi, salutando con entusiasmo l'avvento della "nuova genetica", sostiene che con essa ci si sta avviando "sulla strada di un'eugenetica attenta ai bisogni della singola persona e dei suoi discendenti" (13), considerando i recenti sviluppi in maniera estremamente positiva. Per ciò che attiene alla libertà della ricerca scientifica in questi settori, tale autore sostiene la necessità della creazione e della salvaguardia di un mercato veramente libero e concorrenziale in cui le tendenze totalitarie della tecnica e delle maggioranze sarebbero automaticamente controbilanciate attraverso il criterio dell'efficienza e la tecnica giuridica del brevetto, considerata da questo autore come l'unica capace di assicurare un controllo e al contempo di stimolare la ricerca (14).

Sempre riconducibile a questo versante è la posizione di chi sostiene la laicità dell'approccio a queste tematiche, che deve tradursi nella separazione dei piani di morale e diritto e dunque nell'impossibilità di pervenire mediante il dato normativo a imporre coattivamente posizioni etiche anche se maggioritarie, lasciando così alla libertà di coscienza individuale e a quella di ricerca scientifica di operare nella direzione del miglioramento della qualità della vita (15). Tuttavia essa si differenzia dalla precedente in ragione di un certo scetticismo nei confronti delle virtù taumaturgiche del mercato e in ragione di un approccio dubitativo che sembra invece essere assente nell'altra, chiaramente improntata a un'ottica deterministica.

In mezzo e con varie gradazioni sono presenti approcci pragmatici, i quali, partendo dalla coscienza della difficoltà, per la scienza contemporanea, di formulare previsioni valide nel lungo periodo, e delle peculiari valenze di rischio delle applicazioni biotecnologiche, invita alla formulazione di canoni etici per la ricerca scientifica e stimola alla valorizzazione del principio di precauzione (16).

Una simile concezione è stata fatta propria da chi, tentando di scongiurare il riduzionismo deterministico biologico, tende a un sobrio uso dei valori costituzionali, per valorizzare il principio di non discriminazione sulla base del patrimonio genetico, il diritto alla non commercializzazione e brevettazione del corpo, il diritto all'evoluzione non pilotata della specie umana, senza per questo arrivare a sostenere la necessità di porre limiti preventivi alla libertà di ricerca scientifica (17).

All'estremo opposto si trovano invece i fautori della conservazione dello status quo, i quali, mossi da ispirazione religiosa, esigenze etiche o vocazione ambientalistica, evidenziano i rischi di un avanzamento spregiudicato delle frontiere tecnologiche, in termini di alterazione della specie umana, di avvento di una civiltà eugenetica a controllo industriale o commerciale, di rapida e irreparabile modificazione dell'ecosistema complessivo (18).

Si è fatto interprete in sede costituzionale di parte di queste ultime istanze chi, sulla base della lettura degli artt. 2 e 13 C. come fondanti il diritto all'identità personale, anche genetica, sostiene l'inammissibilità costituzionale di qualsiasi intervento manipolativo sull'embrione e sul genoma (19), in quanto esso inciderebbe sotto il profilo genetico sia sull'identità personale, inalienabile anche volontariamente da parte dell'interessato, sia sulla discendenza. Qualche timida apertura ad alcune applicazioni della ricerca biotecnologica viene concessa utilizzando in sede di bilanciamento l'art. 32 C.; questa posizione sembra comunque eccessivamente penalizzante nei confronti della libertà di ricerca scientifica (20).

4. Problemi e prospettive dal punto di vista del diritto costituzionale: fonti del diritto e giustizia costituzionale

Alcuni interrogativi sorgono spontanei, di fronte all'avanzare delle biotecnologie, su come abbia reagito il diritto costituzionale a questi cambiamenti e su quali tensioni si siano create.

Innanzitutto, c'è chi ha sottolineato come la Costituzione possa essere usata in un duplice modo per cercare di fornire una base sufficientemente stabile alla formazione e legittimazione del c.d. biodiritto: o da un punto di vista sostanziale o da un punto di vista procedurale (21).

Dal punto di vista sostanziale si tratterebbe di identificare un nucleo duro di principî direttamente applicabili che costituiscano una sorta di minimo comune denominatore per risolvere le principali questioni sul campo: è abbastanza agevole indicare gli artt. 2, 3, 13 e 32 C., che pongono al centro del nostro ordinamento giuridico la persona, il libero sviluppo della stessa, la sua autonomia e la sua salute. Ma non si possono trascurare gli artt. 9, 33 e 41 C., che tutelano la ricerca scientifica e l'iniziativa economica privata.

Meno agevole è trarne delle indicazioni univoche: "La cornice costituzionale non riesce a chiudere nettamente il conflitto interpretativo e la responsabilità di definire regole e soluzioni passa quasi per intero ai circuiti - intrinsecamente meno stabili - della decisione politica e dell'interpretazione giudiziaria" (22).

I bilanciamenti possibili sarebbero molti, essendo esclusi solamente quelli che portassero a uno schiacciamento totale di alcuni dei valori in gioco (ferma restando comunque la preminenza logica e assiologica del combinato disposto degli artt. 2 e 3 C.).

Sembrerebbe quindi doversi optare per una strategia procedurale, "che prenda sul serio e dia spazio ad una pluralità di contributi" (23), dal momento che "in una condizione culturale ed epistemologica, prima che sociale, di incertezza circa gli sbocchi di questa fase del progresso scientifico, sembra che, almeno provvisoriamente ed in attesa di sviluppi che potrebbero concretizzarsi ad un livello sovrastatale, i valori sostanziali debbano con discrezione collocarsi su una linea più arretrata [...] in attesa del rinsaldarsi di nuovi equilibri valoriali in funzione dell'evoluzione della costituzione materiale" (24).

Questa concezione si riflette naturalmente sull'operato della Corte costituzionale, la quale ha tenuto (25) e terrà probabilmente un atteggiamento di self-restraint in questo settore, vuoi per il rispetto dovuto alla discrezionalità del legislatore, vuoi per evitare vuoti normativi in materie in cui sembra che l'assenza di normazione venga considerata dalla Consulta la situazione "maggiormente incostituzionale" (come è accaduto, per esempio, nella decisione di inammissibilità del quesito referendario sulla legge in materia di fecondazione assistita che mirava all'abrogazione totale) (26).

Un controllo, quindi, per linee esterne: agli organi di indirizzo politico-amministrativo spetterebbe la scelta tra le valutazioni scientifiche di quelle che appaiono più in linea con i valori costituzionali, al giudice delle leggi spetterebbe il compito di espellere ciò che proprio non può essere compatibile con le acquisizioni della scienza biomedica. Una funzione, quindi, di difesa delle condizioni minime di sviluppo del progresso scientifico e tecnico in campo medico (27), che lascia agli organi rappresentativi della sovranità popolare la libertà, al di sopra di tale minimo, di bilanciare i valori in gioco a seconda delle tendenze presenti nella società civile e in quella politica.

Certo, questo approccio presenta anche dei rischi, soprattutto quello di far divenire la Costituzione un mero protocollo di "generali regole procedurali e organizzative, essenzialmente funzionali al dispiegarsi della tecnica e delle sue necessità" (28). Sta alla Corte costituzionale evitare che questo rischio si tramuti in realtà, attraverso una giurisprudenza che rispetti nella misura massima possibile quel che la Costituzione dice (e può dire) e quel che non dice (e non può dire) (29); ma anche i soggetti politici hanno grande responsabilità, dovendo produrre sintesi che tengano conto, nella maggior misura possibile, del carattere pluralistico del nostro ordinamento costituzionale, al fine di evitare pericolose lacerazioni nel tessuto sociale.

Anche dal punto di vista delle fonti del diritto si presentano alcune singolarità: il c.d. biodiritto appare in larga misura connotato da una pluralità di fonti di diritto nazionale e di diritto internazionale pattizio. Insistono poi sulla materia anche vari documenti di natura solo politica, che però possono entrare a far parte del diritto vivente se assunte a canone interpretativo dai giudici, e norme deontologiche (senza dimenticare i pareri dei comitati etici, che non sono vincolanti ma che nella sostanza sembrano produrre un effetto di tal tipo).

Il caso dell'Italia poi è emblematico di una certa schizofrenia: ad anni di assenza di regole legislative sono seguite leggi il cui contenuto eccessivamente rigido mal si presta a venire incontro a quelle esigenze di flessibilità che la materia richiede (30).

Non è semplice comunque trovare soluzioni equilibrate, dal momento che si fronteggiano opposte istanze: quasi sempre siamo in presenza di materie coperte da riserva di legge o comunque di questioni sulle quali è difficile prescindere da un'indicazione di volontà dei rappresentanti del popolo (31), ma quasi mai il legislatore appare in grado di agire prontamente e di legiferare in maniera adeguata alla necessaria flessibilità che si richiede in materie altamente dinamiche e mutevoli (32); una legislazione vincolante, difficile da modificare, può essere inadatta in campi così incerti e in continuo sviluppo.

Il diritto, segnatamente quello legislativo, in queste materie ha il compito di fissare una disciplina di base limitata agli elementi davvero essenziali, ma, riguardo ad essi, invalicabile, una scelta chiara e decisa dei valori che devono tendenzialmente prevalere nel bilanciamento fra opposte istanze, lasciando poi al giudice il compito di adattare queste scelte ai casi concreti (33).

Peraltro, nonostante la difficoltà di pervenire a una situazione normativa omogenea su temi che coinvolgono spesso orientamenti culturali locali particolarmente radicati, i problemi giuridici posti dalle biotecnologie non trovano più nella dimensione statale la sede idonea all'approccio e alla soluzione degli stessi: servono regole giuridiche globali, capaci inoltre di governare questi fenomeni sia nei confronti degli effetti presenti che di quelli intergenerazionali (34).

5. La problematica delle informazioni genetiche: pericoli di discriminazione su base genetica e tecniche di tutela

Come si è detto in precedenza, le più recenti scoperte sul genoma umano permettono di far conoscere un insieme di dati del tutto particolari: "Le informazioni genetiche hanno la caratteristica di non avere un senso chiaro e univoco: il loro carattere criptico e però proiettato nel tempo, oltre la singola persona, ne fa dati con una spiccata attitudine ad acquistare una pluralità di significati. Molti soggetti e attori sociali sono interessati a conoscere quei dati, a elaborarli, a effettuare propri calcoli, a sfruttarli commercialmente: dagli appartenenti alla stessa linea genetica alle compagnie di assicurazione, dai datori di lavoro alle istituzioni sanitarie, dagli apparati statali di repressione dei reati fino alle industrie farmaceutiche. È proprio la circolazione di questi dati che può creare discriminazione su base genetica, a causa della differenza, reale o percepita come tale, che ha un certo genoma rispetto al genoma arbitrariamente ritenuto normale: ecco perché la questione della libertà e della discriminazione rispetto ai dati genetici è la battaglia civile per eccellenza del Ventunesimo secolo e la raccolta, l'elaborazione, l'utilizzo e la conoscibilità dei dati genetici è destinata a costituire la base di ogni libertà della persona" (35).

Le informazioni ottenute grazie ai test genetici predittivi si qualificano per il carattere personalissimo ma sono diverse da ogni altra informazione di tal tipo, dal momento che il patrimonio genetico coglie il soggetto nella sua unicità e contemporaneamente lo pone in relazione con altri individui appartenenti alla stessa linea genetica (36).

La decifrazione del codice genetico costituisce uno dei più straordinari progressi della conoscenza umana, ma altrettanto ampie appaiono le occasioni di nuove forme di discriminazione: può affermarsi la tendenza a ridurre le persone esclusivamente o prevalentemente al rispettivo corredo genetico, così come ci può essere la tentazione di cedere a una sorta di "fatalismo" biologico che pesa sulla persona in termini di condizione ontologica predeterminata e immodificabile, in grado di eliminare qualsiasi ruolo della volontà individuale (37).

Dal punto di vista giuridico questi rischi si profilano soprattutto nel settore delle assicurazioni, del diritto del lavoro, della criminologia (38).

Il carattere strettamente personale e sensibilissimo delle informazioni sul patrimonio genetico impone di cercare nuovi strumenti normativi di tutela dei diritti della persona umana a fronte di nuove e più aggressive forme di minaccia.

Esaminando leggi vigenti e proposte di legge in materia in vari sistemi, si possono individuare alcune tecniche giuridiche per la disciplina dei dati genetici: divieto assoluto di raccolta dei dati eccezion fatta per la tutela della salute e dell'attività di ricerca; legittimità del ricorso ai test solo in casi specifici e per finalità determinate; legittimità dei test solo con il consenso della persona interessata; specifici divieti di utilizzazione dei dati; regole riguardanti l'accesso ai dati raccolti e eventuali utilizzazioni ulteriori rispetto alle finalità originarie (39).

La tecnica di tutela più diffusa è quella che fa ricorso alle stringenti regole della privacy, ma si è notato in dottrina che sarebbe forse più opportuno affiancare a tali divieti, che possono comunque essere aggirati, azioni positive a tutela di persone che venissero eventualmente discriminate (40).

Pare condivisibile l'approccio di chi ha notato come sarebbe illusorio pensare di poter inibire il trattamento di questi dati in blocco, sottolineando però la necessità di migliorare gli attuali strumenti di tutela: occorre "una regolamentazione ad hoc, molto specifica, che tolleri il trattamento nei pochi casi descritti, onde impedirne ogni altro dissennato utilizzo" (41).

Per fare un esempio, si è proposto, per il settore lavorativo, di porre in capo ai datori di lavoro un divieto generale di richiedere test genetici; tale divieto dovrebbe considerarsi superabile solo nelle ipotesi in cui le mansioni da svolgere risultino incompatibili con un determinato profilo genetico o, nell'interesse della salute del lavoratore, in quei casi in cui una mansione o un determinato ambiente lavorativo possa nuocere a un impiegato con determinate caratteristiche genetiche. I dati genetici così raccolti dovrebbero comunque rimanere separati dagli altri ed essere coperti dal più rigoroso riserbo essendo comunque sempre possibile per il lavoratore accedervi, controllarli e rettificarli (42).

6. La normativa vigente (43)

L'ordinamento italiano manca di una definizione legislativa dei dati genetici, definizione che si può ricavare, comunque, dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa n. R (97) 5, secondo la quale sono tali "tutti i dati, indipendentemente dalla tipologia, che riguardano i caratteri ereditari di un individuo o le modalità di trasmissione di tali caratteri nell'ambito di un gruppo di individui legati da vincoli di parentela" (44).

In precedenza, altre raccomandazioni e risoluzioni di organismi sovranazionali avevano cercato di dare un indirizzo comune alle legislazioni dei vari paesi: così, la raccomandazione 934/1982 del Consiglio d'Europa aveva sancito il diritto di ereditare caratteri genetici che non abbiano subito alcuna manipolazione; la risoluzione del 16 marzo 1989 del Parlamento europeo aveva previsto la confidenzialità dei dati genetici e una serie di cautele nel relativo trattamento da parte pubblica e privata; aveva inoltre impegnato gli Stati membri ad adottare misure normative allo scopo di evitare che nel mondo del lavoro e in ambito assicurativo si renda possibile una discriminazione su basi genetiche; la Dichiarazione universale dell'Unesco sul genoma umano e i diritti dell'uomo del 1997 aveva vietato (art. 6) ogni discriminazione fondata su ragioni di natura genetica.

Successivamente con la Carta dei diritti dell'Unione Europea si è dedicata specifica attenzione a tali problematiche: oltre ai principî del consenso libero e informato, del divieto delle pratiche eugenetiche, del divieto di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro, del divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani (art. 3), all'art. 21 si stabilisce un divieto specifico di discriminazione sulla base delle caratteristiche genetiche. Pur non essendo dotata di formale valore giuridico (almeno sino a quando non entrerà in vigore il Trattato di Lisbona), tale Carta ha già nei fatti cominciato a esercitare la sua influenza per via giurisprudenziale, orientando le interpretazioni della Corte di Giustizia nonché della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Il nostro paese ha poi ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (c.d. Convenzione di Oviedo), e il relativo Protocollo addizionale, con la l. 145/2001, manifestando così apparentemente la volontà di immettere nel nostro ordinamento i principî in essa contenuti, tra cui il divieto, sancito dall'art. 11, di ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona sulla base del patrimonio genetico della stessa; il divieto, sancito dall'art. 12, di test predittivi se non a fini medici o di ricerca medica, nonché il c.d. diritto di non sapere, garantito dall'art. 10, co. 2 (45). La successiva vicenda del mancato deposito dello strumento di ratifica sembra però avere vanificato, per il momento, l'entrata in vigore della Convenzione (46).

La materia era regolata, a partire dalla l. 675/1996, dalla disciplina dei dati sensibili (nella cui categoria si facevano rientrare i dati genetici) ed erano intervenute, nella scia delle raccomandazioni e delle risoluzioni di organismi sovranazionali, nonché delle scelte pattizie del nostro paese, alcune disposizioni dell'Autorizzazione generale n. 2/2002 del Garante per la protezione dei dati personali.

Successivamente è stato emanato il d.lgs. 196/2003, con il quale è entrato in vigore il Codice in materia di protezione dei dati personali, che protegge direttamente i dati genetici all'art. 90, intitolato "Trattamento dei dati genetici e donatori di midollo osseo", il quale al primo comma stabilisce che "Il trattamento dei dati genetici da chiunque effettuato è consentito nei soli casi previsti da apposita autorizzazione rilasciata dal Garante sentito il Ministro della salute, che acquisisce a tal fine il parere del Consiglio superiore di sanità" (47). Si pone così una differenziazione rispetto alla regolazione del trattamento dei dati sensibili prevista dall'art. 26 del Codice, quasi a sottolineare il fatto che i dati genetici sono ancor più "speciali", per cui parrebbe doversi evincere un divieto assoluto di trattamento di tali dati sino all'emanazione di tale specifica autorizzazione; la prassi però sembra essere andata nel senso dell'assimilazione, nell'attesa del provvedimento, dei dati genetici ai dati sensibili: si è quindi continuato a considerare lecito il trattamento conforme alla disciplina del Codice (si veda anche l'Autorizzazione generale n. 2/2005 che richiama la n. 2/2002).

Per ciò che riguarda invece la "copertura costituzionale" della tutela dei dati genetici si può sostenere che, sulla base delle scelte pattizie effettuate dal nostro paese, l'articolo 3 C. potrebbe essere ora letto alla luce della indubitabile rilevanza giuridica assunta dal principio di non discriminazione su base genetica: una via potrebbe essere quella di un'interpretazione estensiva di uno dei sette parametri contenuti nell'articolo, per esempio della locuzione "condizioni personali".

7. Qualche osservazione conclusiva: è possibile parlare di libertà di disposizione delle proprie informazioni genetiche?

Riguardo al tema specifico di questo seminario, la dottrina ha da tempo dimostrato che la libertà di disposizione del proprio corpo trova le sue radici nella Costituzione, sia come proiezione della libertà personale (art. 13 C.) e della disciplina dei trattamenti sanitari obbligatori (art. 32 C.) (48), sia nell'ottica complessiva che anima il combinato disposto degli artt. 2 e 3 C., che vuole lo Stato in funzione della persona.

I conflitti fra le opposte esigenze della libertà personale e della tutela dell'integrità fisica possono essere risolti sulla base del seguente criterio: se l'atto di disposizione del corpo è esercitato personalmente dal soggetto e gli effetti dello stesso si esauriscono interamente nell'àmbito della sua sfera soggettiva vi è sicura prevalenza della libertà in ragione del principio personalista. Se l'atto tocca in un qualsiasi modo la sfera dei terzi (per esempio, donazione di organi) la valutazione della prevalenza non può prescindere dai motivi e dalle finalità poste a fondamento dell'atto di disposizione: prevarrà la libertà se la finalità tende al perseguimento di beni e valori costituzionali (49) e la valutazione andrà fatta chiaramente caso per caso.

Bisogna ora domandarsi se questo schema è adeguato a comprendere l'eventuale atto dispositivo delle proprie informazioni genetiche o l'eventuale negazione dell'accesso alle stesse.

La risposta parrebbe essere negativa, soprattutto avendo riguardo a un dato fondamentale: come in precedenza specificato, le informazioni genetiche costituiscono una categoria di informazioni personali del tutto peculiare, in quanto si tratta di dati strutturalmente condivisi che, se definiscono l'individuo nella sua unicità biologica, in un processo di differenziazione da tutte le altre che ne rende evidente la singolarità e l'irripetibilità, lo mettono anche in relazione con altri soggetti appartenenti alla medesima linea genetica, essendo l'unico tipo di informazioni personali che ciascuno di noi condivide strutturalmente con altri; ed è evidente come questa peculiarità renda ancora più delicata la questione della regolamentazione dell'acquisizione di tali informazioni, della loro circolazione e del loro impiego (50).

Sembrerebbe doversi escludere la possibilità di disporre liberamente dei dati, visto che, contemporaneamente, si disporrebbe delle libertà appartenenti anche ad altri senza aver avuto il loro consenso (51). Così come sembrerebbe doversi escludere la possibilità di porre divieti assoluti all'accesso alle "proprie" informazioni genetiche, perché, in determinati casi, esse non si atteggiano solo come "proprie" (52).

Il criterio che può governare concettualmente tale problematica sembra essere quello della garanzia del diritto alla salute, attraverso cui pare possibile risolvere in maniera ragionevole i dilemmi che si presentano di volta in volta.

A questo proposito, un paio di esempi possono essere utili a chiarire il punto. Il primo può essere mutuato dalle problematiche della genetica in materia brevettuale: "la brevettazione di interventi di ingegneria genetica relativi a cellule umane totipotenti (germinali) non concerne solo l'individuo a cui l'intervento si riferisce [...] con riguardo al primo profilo, quello attinente alla cogenza del diritto a che il patrimonio genetico dell'individuo non venga manipolato, inattendibili appaiono gli argomenti che si richiamano alla libertà degli interessati ed al consenso da essi espresso, perché qui, con tutta evidenza, ad essere in gioco sono il diritto di un terzo estraneo alla decisione, il nascituro assoggettato alla manipolazione e la sua progenie e, quindi, a fortiori, la posizione delle generazioni future" (53). È però altrettanto vero che, in alcuni casi, la selezione embrionale resa possibile dalla fecondazione in vitro e dalla diagnosi pre-impianto si presenta come l'unica strada per garantire un futuro dignitoso a chi deve nascere: "La possibilità di evitare la trasmissione di una malattia genetica è legata in molti casi al sesso del nascituro, sì che l'abbandono della lotteria genetica e la scelta del sesso si presentano come condizioni per assicurare a chi nasce il diritto alla salute" (54). E questo fa nascere altre serie di problemi legate all'eventuale sussistenza di un dovere di intervenire per assicurare la salute del nascituro (55), così che, se in futuro fossero possibili operazioni di ingegneria genetica sull'embrione ai primissimi stadi in grado di correggerne le anomalie responsabili di gravi e invalidanti malattie la questione si riproporrebbe con ancora maggiore cogenza.

Il secondo invece, può essere tratto dalla problematica inerente il diritto di "non sapere", affermato nell'articolo 10, co. 2, della Convenzione di Oviedo: "Ognuno ha il diritto di conoscere tutte le informazioni raccolte sulla propria salute. Tuttavia dev'essere rispettata la volontà della persona di non essere informata".

Il caso delle informazioni genetiche può essere eloquente: poiché sono condivise tra gli appartenenti allo stesso gruppo biologico, vi possono essere situazioni in cui una persona che voglia conoscere le proprie condizioni genetiche si trovi ad aver bisogno di accedere anche a informazioni riguardanti altri consanguinei. Può darsi tuttavia che l'accesso venga negato proprio in nome del diritto di non sapere, della volontà di non conoscere il "proprio" "rischio genetico": "Il rifiuto dell'informazione viene considerato come l'unico strumento per tutelare il mio diritto di non sapere. Vivere nella deliberata ignoranza di un possibile rischio futuro diviene la condizione del mio personale equilibrio, della mia salute psichica, della buona vita. In questo modo però, impedisco all'altro appartenente al mio stesso gruppo biologico di conoscere se stesso, di ottenere la conoscenza di ciò che è necessario per la sua libertà di decisione, salute psichica, buona vita" (56).

Un dilemma di questo tipo, quando si è presentato al Garante per la protezione dei dati personali, è stato risolto a favore del richiedente: si è consentito a una donna che voleva effettuare una consapevole scelta procreativa l'accesso ai dati genetici del padre, che le aveva negato il consenso; la richiesta è stata accolta considerando che sul diritto del padre alla riservatezza dei dati sensibili dovesse prevalere il diritto alla salute della donna, inteso come benessere psicofisico, limitando tuttavia la conoscenza dei dati ai soli medici incaricati dell'analisi (57).

In conclusione, si può dunque dire che, anche a prescindere dal panorama normativo vigente, la stessa struttura delle informazioni genetiche impedisce la configurazione di una libertà di disposizione in questo campo, dovendosi invece probabilmente ricorrere, per inquadrare concettualmente tale fenomeno, a istituti giuridici differenti, magari mutuando alcuni aspetti da forme di gestione come quelle che caratterizzano nel diritto privato la famiglia, la comunione o la società, naturalmente adattandoli alle caratteristiche peculiari di questo tipo di informazione (58).


Note

1. Così, in tono "scherzoso ma non troppo", G. Silvestri, "Un libro che fa «respirare»", in Diritto Pubblico, (2006), 1, p. 63.

2. Per un'analisi delle problematiche attinenti all'influenza della genetica nell'attività forense e nell'attività decisoria dei tribunali, con particolare riferimento al sistema statunitense, v. D. Nelkin, "Bioetica e diritto", in C. M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Bologna, il Mulino, 1998, p. 144 e ss.; cfr. anche le acute riflessioni di G. Silvestri, "Scienza e coscienza: due premesse per l'indipendenza del giudice", in Diritto Pubblico, (2004), 2, p. 411 e ss. (part. p. 422 e ss.).

3. Cfr., oltre ai contributi presenti in questo volume, C. Tripodina, "Studio sui possibili profili di incostituzionalità della legge n. 40 del 2004", in Diritto Pubblico, (2004), 2, p. 501 e ss.

4. V., ad esempio, M. Ricolfi, "Bioetica, valori e mercato: il caso del brevetto biotecnologico", in C. M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, cit., p. 157 e ss.

5. Per un'introduzione alle tematiche inerenti l'ingegneria genetica, con particolare riferimento agli organismi geneticamente modificati, v. M. Buiatti, Le biotecnologie, Bologna, il Mulino, 2004. Cfr. poi le attente ricostruzioni delle problematiche giuridiche in tale materia effettuate da T. Giovannetti, "Biotecnologie e sicurezza alimentare: la tutela della salute del consumatore tra Corte costituzionale e Corte di giustizia della Comunità europea", in A. D'Aloia (a cura di), Bio-tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2005, p. 325 e ss., e P. Milazzo, "Alcune questioni di interesse costituzionale in materia di organismi geneticamente modificati in agricoltura", in Diritto Pubblico, (2005), 1, p. 225 e ss.

6. Cfr. Comitato nazionale per la bioetica, Orientamenti bioetici per i test genetici, 19/11/1999, per un'analitica esposizione dei tipi di test genetici oggi praticati.

7. Cfr. M. Toraldo di Francia, "Nuove forme di governo sulla vita", in R. Bonito Oliva, La cura delle donne, Meltemi, 2006.

8. Sottolinea questo aspetto D. Nelkin, Bioetica e diritto, cit., p. 154, secondo cui "le persone cui è stata diagnosticata una predisposizione a un determinato tipo di comportamento o ad una malattia possono trovarsi ad essere trattate come se fosse certo che manifesteranno tali predisposizioni anche nei casi in cui la relazione tra il genotipo ed il fenotipo - tra la maturazione genetica e la effettiva manifestazione nel comportamento del soggetto o nella malattia - è condizionale, incerta e scarsamente compresa". Sul tema e sulle diverse regolamentazioni in diversi paesi v. il contributo di L. Gremigni Francini in questo volume.

9. Cfr. A. Santosuosso, "Genetica, diritto e giustizia: un futuro già in atto", in A. Santosuosso, C. A. Redi, S. Garagna, M. Zuccotti (a cura di), I giudici davanti alla genetica, Como-Pavia, Ibis, 2002, p. 26.

10. Cfr. E. Lecaldano, Bioetica. Le scelte morali, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 208.

11. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 165.

12. Così, ricostruendo il contesto ideologico attuale, G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", in Diritto pubblico comparato ed europeo, (2002), 4, p. 1565.

13. V. Menesini, Introduzione allo studio giuridico della nuova genetica, Milano, Giuffrè, 2003, p. 10. Nella prospettiva di questo autore, "non v'è nulla di male nel riconoscerlo, perché ciascuno deve poter scegliere liberamente, sempre che lo possa fare con risultati costanti e di proprio gradimento, su come vuole apparire...oppure sul come evitare preventivamente le patologie, proprie e familiari. Affermare che per questa strada si soddisfano bisogni futili, come la predeterminazione del colore dei capelli o degli occhi, o che si compiono scelte irreversibili in quanto vanno ad incidere sul genotipo, costituisce un'obbiezione contraddittoria, poiché solo la persona può decidere quale sia il bisogno che intende soddisfare, né l'incidenza sul genotipo è concettualmente diversa se si affrontano preventivamente malattie o bisogni che altri ritenga futili".

14. V. Menesini, Introduzione allo studio giuridico della nuova genetica, cit., p. 94 e ss.

15. Cfr. U. Scarpelli, Bioetica laica, Milano, Baldini&Castoldi, 1998, p. 118: secondo questo autore, "La specie umana guardata nei secoli e nei millenni ci appare come una specie in cambiamento ed auto-cambiamento, cambiamento biologico in senso stretto...e cambiamento culturale che è anch'esso cambiamento biologico in senso lato ed ingenera cambiamenti biologici...Una specie animale idonea a un continuo ricrearsi, come la specie umana, non dovrebbe opporre rifiuti di principio, né subire terrori non controllabili di fronte a una sperimentazione sugli embrioni scientificamente illuminante, forse preparatoria di significativi interventi genetici: si tratta ancora una volta per la specie della ri-creazione di se medesima condotta per vie preparate dal cambiamento precedente".

16. Cfr. G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", cit., p. 1565.

17. Cfr. L. Chieffi, "Ingegneria genetica e valori personalistici", in L. Chieffi (a cura di), Bioetica e diritti dell'uomo, Torino, Paravia, 2000, p. 88 e ss.; dello stesso autore v. anche Ricerca scientifica e tutela della persona, Napoli, ESI, 1993, in particolare il Cap. II.

18. Cfr. ancora G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", cit., p. 1565. V. anche C. Casonato, "Bioetica e pluralismo nello Stato costituzionale", in C. Casonato - C. Piciocchi (a cura di), Biodiritto in dialogo, Padova, Cedam, 2006, p. 17 e ss.

19. Cfr. A. Baldassarre, "Le biotecnologie e il diritto costituzionale", in M. Volpi (a cura di), Le biotecnologie: certezze e interrogativi, Bologna, il Mulino, 2001, p. 15 e ss.

20. Per un'efficace sintesi del pensiero di Baldassarre v. G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", cit., p. 1566 e ss., che muove peraltro una critica molto significativa all'autore in questione: "la civiltà bioinformatica, intervenendo sul materiale genetico per riprogrammarne i codici, riplasma la vita stessa. In linea di principio, essa risiede, prima che nell'embrione, nel genoma: pertanto, una volta assunto massimalisticamente a base di riferimento il diritto alla vita, la linea divisoria derivante dal parametro risulta difficilmente collocabile, in un contesto in cui la materia oggetto della ricerca, della sperimentazione e delle applicazioni è la medesima per l'uomo, per il mondo animale e per quello vegetale. In termini di casistica fattuale, poi, se si tenta di collocare la scriminante, in relazione al dato funzionale, tra le attività dettate da esigenze di tutela della salute umana o di ricerca, da un lato, e quelle di altra finalizzazione, dall'altro, per operare il bilanciamento tra la vita come precondizione dell'identità personale (art. 2 e 13 Cost.) e i valori di cui agli art. 32, 33 e 9 Cost., si scopre ben presto che le distinzioni sul campo sono così poco nette da risultare pressoché impraticabili".

21. C. Casonato, "Bioetica e pluralismo nello Stato costituzionale", cit., p. 19 e ss.

22. Così A. D'Aloia, "Norme, giustizia, diritti nel tempo delle bio-tecnologie: note introduttive", in Bio-tecnologie e valori costituzionali, cit., p. XXII. Le difficoltà in questo senso aumentano anche perché, come notato da P. Milazzo, Alcune questioni di interesse costituzionale in materia di organismi geneticamente modificati in agricoltura, cit., p. 228, "Nel caso delle biotecnologie si è invece di fronte al bilanciamento fra un interesse costituzionalmente protetto [la libertà di ricerca scientifica] attuale ed un altro diritto costituzionale fondamentalissimo (la salute, l'ambiente) la cui lesione è ipotetica e dunque incerta nell'an, nel quantum e nel quando".

23. C. Casonato, "Bioetica e pluralismo nello Stato costituzionale", cit., p. 29.

24. G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", cit., p. 1569-1570.

25. In questo senso v. G. Gemma, "Giurisprudenza costituzionale e scienza medica", in Bio-tecnologie e valori costituzionali, cit., p. 68. V. anche R. Romboli, "La «relatività» di valori costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo", in Politica del diritto, (1991), 4, p. 579 e ss., secondo cui "in presenza di valori costituzionali invocabili in un senso o nell'altro, la Corte costituzionale tende a ritrarsi ed a lasciare che a scegliere sia il Parlamento...rifugiandosi nella insindacabile discrezionalità del Parlamento, di fronte a precise scelte attraverso le quali quest'ultimo ha deciso a quale tra i diversi interessi in gioco, costituzionalmente tutelati, dare la prevalenza".

26. Si può richiamare come esempio la s. n. 347/1998, avente ad oggetto l'art. 235 c.c., nella quale la Corte denunciava che il vuoto normativo si poneva in violazione della Costituzione. Analogamente la Corte, nella s. n. 45/2005, ha motivato l'inammissibilità del quesito referendario richiamato nel testo sulla base del fatto che l'abrogazione totale avrebbe avuto come risultato il ritorno a una situazione normativa incostituzionale, di assenza cioè di una legge costituzionalmente necessaria.

27. Cfr. G. Gemma, "Giurisprudenza costituzionale e scienza medica", cit.: per questo a. la giurisprudenza costituzionale ha la funzione di favorire il progresso scientifico in campo medico mediante la rimozione di ostacoli indebitamente posti, perché non legittimati dalla tutela di interessi costituzionali, all'attività terapeutica o scientifica.

28. G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 258. Anche G. Silvestri, "Scienza e coscienza: due premesse per l'indipendenza del giudice", cit., p. 420, denuncia questi rischi: "Il diritto però - non bisogna dimenticarlo - si sviluppa sul piano del dover essere e in tale sfera le guide-lines sono i valori trasfusi in principi contenuti nella Costituzione e nelle leggi. Il proceduralismo indifferente ai contenuti è solo una versione aggiornata del positivismo giuridico classico. La Costituzione...è ispirata viceversa ad una cultura giuridica post-positivistica".

29. Cfr. le lucide osservazioni di C. Tripodina, "Eutanasia, diritto e Costituzione nell'età della tecnica", in Diritto Pubblico, (2001), 1, p. 167. Per G. Silvestri, "Scienza e coscienza: due premesse per l'indipendenza del giudice", cit., p. 432, "La Corte verrebbe meno alla sua missione, se piegasse il giudizio in termini di valori costituzionali ad una «oggettività scientifica», che deve concorrere a formare il giudizio medesimo, ma non lo può determinare in modo necessario, secondo un meccanicismo del tutto incompatibile con la forza generativa ed espansiva dei principi".

30. Sulla situazione italiana alla fine del secolo scorso cfr. C. M. Mazzoni, "Introduzione. La bioetica ha bisogno di norme giuridiche" e L. Nielsen, "Dalla bioetica alla biolegislazione", in C. M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, cit., rispettivamente p. 8 e p. 54.

31. Cfr. C. M. Mazzoni, "La bioetica ha bisogno di norme giuridiche", in C. M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, cit., p. 10.

32. L. Nielsen, Dalla bioetica alla biolegislazione, cit., p. 46.

33. Cfr. C. Casonato, "La discriminazione genetica: una nuova frontiera dei diritti dell'uomo?", in Discriminazione genetica e nuove frontiere del diritto alla privacy, Milano, Giuffrè, 2002. Per P. Zatti, "Verso un diritto per la bioetica", in C. M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, cit., p. 72, occorre "limitare l'innovazione al diritto necessario: a quelle regole, cioè, che non si possono ricavare in via interpretativa o per ricorso ai principi, e che paiano indispensabili ad evitare l'affermarsi di inclinazioni non reversibili nella condotta sociale. Disciplinare insomma per garantire interessi a rischio immediato, per salvaguardare principi non autodifendibili, e soprattutto per non pregiudicare il futuro, più che per prefigurarlo secondo un modello predefinito".

34. Cfr. G. F. Ferrari, "Biotecnologie e diritto costituzionale", cit., p. 1584, richiamato anche da G. Silvestri, "Scienza e coscienza: due premesse per l'indipendenza del giudice", cit., p. 428, il quale sottolinea che "Alla massima estensione spazio-temporale delle nuove regole deve però corrispondere una grande flessibilità nell'applicazione, sia per l'inevitabile varietà delle questioni concrete, che si contrappone alla generalità della previsione normativa, tanto più comprensiva quanto più destinata ad incidere in aree sempre più vaste, sia per la connessione costante tra regole e principi propria di materie in cui l'influsso dell'etica e della scienza appare molto forte". Nello stesso senso v. anche G. Santaniello, Ricerca genetica e tutela della persona.

35. Così, A. Santosuosso, "Genetica, diritto e giustizia: un futuro già in atto", cit., p. 31.

36. Cfr. G. Famiglietti, "Il diritto alla riservatezza come diritto", in A. D'Aloia (a cura di), Bio-tecnologie e valori costituzionali, cit., p. 321. V. anche M. Toraldo di Francia, "Biotecnologie e nuove forme di discriminazione".

37. Cfr. C. Casonato, "La discriminazione genetica: una nuova frontiera dei diritti dell'uomo?", cit.; per E. Lecaldano, Bioetica. Le scelte morali, cit., p. 208 e ss., c'è il rischio che "quanto ottenuto dalla mappatura del genoma umano valorizzi e incoraggi l'abitudine a considerare la gente in termini genetici piuttosto che come individui membri di una società; è altresì vero, però, che non c'è niente di intrinseco nell'attività di raccolta che impedisca di prevedere sistemi di controllo e forme di riservatezza che impediscano gli usi eticamente inaccettabili delle informazioni genetiche. Per contrastare questa conseguenza perversa la via non è quella di bloccare la ricerca biologica, ma di ispessire con una buona preparazione scientifica la capacità delle persone di comprendere la reale portata e i limiti delle nuove informazioni rese disponibili dalla scienza".

38. C. Casonato, "La discriminazione genetica: una nuova frontiera dei diritti dell'uomo?", cit., riporta vari esempi: l'amministrazione Bush Sr. aveva avviato uno screening su migliaia di bambini nati in zone ad alto tasso di delinquenza, con l'intento di destinare tali criminali potenziali a programmi di modificazione riabilitativa del comportamento; si sono verificate inoltre richieste diagnostiche di carattere genetico come precondizione per stipulare un contratto di assicurazione sulla vita, rifiuti di concedere in affidamento un minore a una donna in quanto a rischio genetico della malattia di Huntington, licenziamenti dovuti alla scoperta nel patrimonio genetico dell'impiegato del gene responsabile della stessa malattia.

39. Cfr. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., p. 179.

40. A. D'Aloia, "Norme, giustizia, diritti nel tempo delle bio-tecnologie: note introduttive", cit., p. XIX.

41. G. Famiglietti, "Il diritto alla riservatezza come diritto", cit., p. 321.

42. Cfr. C. Casonato, "La discriminazione genetica: una nuova frontiera dei diritti dell'uomo?", cit., il quale segnala anche che un divieto totale andrebbe imposto anche in campo assicurativo: infatti, benché la comunicazione dei dati possa in alcuni casi portare a ridurre l'alea del contratto e con essa il premio assicurativo, l'esito generalizzato di tale strategia potrebbe imporre oneri insopportabili o addirittura escludere dalla facoltà di assicurarsi intere categorie di persone. Su questo problema v., in questo volume, il contributo di L. Gremigni Francini.

43. Nelle more della pubblicazione di questo lavoro è stata emanata, il 22/2/2007 (G.U. n. 65 del 19/3/2007), dal Garante per la protezione dei dati personali, l'Autorizzazione al trattamento dei dati genetici prevista dall'art. 90 del d. lgs. 196/2003, che individua i soggetti autorizzati al trattamento dei dati genetici e detta le prescrizioni necessarie a regolare il trattamento stesso. Si rinvia alla lettura di tale provvedimento non essendo possibile sintetizzarlo in questa sede, anche se è possibile dire che esso recepisce le esigenze segnalate nel lavoro e non si discosta dall'impostazione dell'art. 26 del d. lgs. 196/2003 riguardante i dati sensibili.

44. Cfr. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., p. 183. Per S. Landini, "Assicurazioni sanitarie e privacy genetica", in Diritto Pubblico, (2003), 1, p. 229, "L'ampiezza di tale definizione pare ammettere che possano essere considerati dati genetici non solo i risultati dei test ma anche informazioni relative allo stato di salute dei parenti da cui è possibile ricavare notizie in ordine all'esistenza di eventuali malattie ereditarie all'interno della famiglia di un soggetto onde stabilire la probabilità che questi ha di manifestare analoghe patologie". Sul contenuto di tale raccomandazione cfr. anche le osservazioni di A. Santosuosso, "Genetica, diritto e giustizia: un futuro già in atto", cit., p. 32.

45. In argomento cfr. C. Piciocchi, "La Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?", in Diritto pubblico comparato ed europeo, (2001), 3, p. 1301.

46. Su tale problematica cfr. l'attenta ricostruzione di S. Penasa, "Alla ricerca dell'anello mancante: il deposito dello strumento di ratifica della Convenzione di Oviedo".

47. D. lgs. 196/2003, art. 90. Il comma II sancisce invece che "L'autorizzazione di cui al comma 1 individua anche gli ulteriori elementi da includere nell'informativa ai sensi dell'articolo 13, con particolare riguardo alla specificazione delle finalità perseguite e dei risultati conseguibili anche in relazione alle notizie inattese che possono essere conosciute per effetto del trattamento".

48. R. Romboli, art. 5, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1988, p. 239 e ss.

49. R. Romboli, art. 5, cit., pp. 241-242.

50. Cfr. M. Toraldo di Francia, Nuove forme di governo sulla vita, cit.

51. Anche chi basa il ragionamento sull'art. 5 c.c., G. Ferrando, "Il principio di gratuità, biotecnologie e «atti di disposizione del corpo»", in Europa e diritto privato, (2002), 4, p. 764, riconosce che il principio di autonomia sancito dallo stesso articolo va ridimensionato in un contesto in cui la possibilità di atti di disposizione tende a dilatarsi oltre ogni confine. A. Galasso, "Biotecnologie ed atti di disposizione del corpo", in Famiglia, (2001), 4, p. 920, fa notare che "l'utilizzazione vieppiù ampia delle biotecnologie, anche se controllata, sul piano tecnico-scientifico e sul piano giuridico, sta determinando un progressivo svuotamento del contenuto precettivo dell'art. 5 c.c., nella cui formulazione il divieto degli atti di disposizione del corpo risulta ancorato alternativamente al parametro anatomico dell'integrità fisica e al parametro morale della illiceità".

52. Come suggestivamente indicato da A. Santosuosso, "Genetica, diritto e giustizia: un futuro già in atto", cit., p. 34, "L'individuo, che si presenta "da solo" davanti allo specchio dei dati genetici, vede rimandarsi un'immagine che ha qualcosa di simile a una foto di famiglia: in quanto, mentre si ha un patrimonio genetico, contemporaneamente si appartiene a un patrimonio genetico più ampio. Nella scena che lo specchio dei dati genetici rimanda, e nelle relazioni che lascia intravedere, ogni individuo che eserciti la sua libertà individuale rischia di incidere direttamente su quella degli altri individui della foto di famiglia, e in ciò incontra un serio limite".

53. M. Ricolfi, "Bioetica, valori e mercato: il caso del brevetto biotecnologico", cit., rispettivamente p. 164 e p. 166. Tale autore propone poi di sancire un divieto assoluto in questa materia del seguente tenore: "Sono in ogni caso escluse dalla brevettabilità le invenzioni concernenti le cellule germinali umane, i procedimenti di ingegneria genetica ad esse relativi ed ogni intervento che possa alterare l'identità genetica delle generazioni successive" (p. 170).

54. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., p. 142, che continua rilevando come "Diverse legislazioni, come quella inglese e quella tedesca, altrimenti severissima, consentono appunto questo tipo di scelta, che ha la sua necessaria premessa nella diagnosi preimpianto".

55. In campo bioetico un dovere morale di tal genere è sostenuto da E. Lecaldano, Bioetica, cit., p. 278.

56. S. Rodotà, La vita e le regole, cit., pp. 70-71.

57. Indicazioni in S. Rodotà, La vita e le regole, cit., p. 183. Nelle pagine seguenti l'a. richiama decisioni di giudici ordinari che sono andate nello stesso senso.

58. Cfr. ancora, S. Rodotà, La vita e le regole, cit., p. 190 e ss., che parla di "comunità biologica" e mette in risalto gli interrogativi che sorgono a causa della condivisione strutturale di questo tipo di informazione: "I problemi legati alla condivisione delle informazioni genetiche, tuttavia, non si esauriscono con la considerazione dei problemi dell'accesso. Altri dilemmi nascono una volta raccolte determinate informazioni. La consulenza genetica deve riguardare soltanto il soggetto che le ha richieste o anche tutti i suoi consanguinei che possono averne conoscenza, eventualmente indiretta? Nascono doveri di comunicazione che, abbattendo le barriere tradizionali del segreto professionale, impongono la comunicazione di talune informazioni raccolte a terzi che, conoscendole, potrebbero mettere in atto strategie di tutela della salute altrimenti impossibili? Contro la diffusione di informazioni genetiche relative a una determinata persona può agire in giudizio uno dei suoi consanguinei, adducendo proprio il possibile pregiudizio che gli deriverebbe dalla conoscenza da parte di terzi di una informazione condivisa (è il caso risolto positivamente dalla Corte suprema islandese)?".