2008

Le carceri europee: sovraffollamento e detenzione dei migranti (*)

Lucia Re

Intendo presentare un'analisi della situazione penitenziaria in Europa e dei due tratti che più la caratterizzano: il sovraffollamento carcerario e la detenzione dei migranti. Questi nuovi caratteri della detenzione in Europa determinano un'accelerazione della crisi del modello penitenziario trattamentale fino a oggi prevalente.

1. L'aumento della popolazione penitenziaria

Dagli anni Ottanta del Novecento si è registrato in quasi tutte le democrazie avanzate un aumento della popolazione penitenziaria. Alcuni sostengono, a partire dai dati delle Nazioni Unite sulla detenzione nel mondo, che il fenomeno della crescita della popolazione reclusa ha una dimensione globale (M. Pavarini, Uno sguardo ai processi di carcerizzazione nel mondo: dalla 'ronda dei carcerati' al 'giromondo penitenziario', "Rassegna penitenziaria e criminologica", 1-3 (2002)).

1.1. Gli Stati Uniti

Il paese che ha il numero più alto di detenuti al mondo sono gli Stati Uniti, dove l'aumento della popolazione detenuta negli ultimi decenni del secolo scorso ha assunto il carattere di un vero e proprio boom penitenziario. In base agli ultimi dati del Bureau of Justice Statistics ("Bulletin", maggio 2005) alla metà del 2004 i detenuti nelle carceri statunitensi erano 2.131.180, pari a 726 ogni 100.000 abitanti.

  Pop. Penit. tot. (inclusi detenuti in attesa di giudizio e detenuti non definitivi) Tasso di detenzione (ogni 100.000 ab.) Nº Istituti Capacità ufficiale del sistema penitenziario Tasso di occupazione in base alla capacità ufficiale Trends recenti della pop. penit.
1995 1998 2001
USA 2.131.180 al 30.06.04 (Bureau of Justice Statistics) 726 5.069 1.951.650 107,6% 1.585.586 (600) 1.816.931 (669) 1.961.247 (685)

Fonte: BJS, "Bulletin", maggio 2005.

A fronte di più di due milioni di detenuti i posti disponibili nelle carceri statunitensi sono 1.951.650. Il tasso di occupazione dello spazio carcerario (Occupancy level) è dunque del 107,6%.

1.2. L'Europa

I dati statunitensi sono senza dubbio eccezionali, ma tendenze non dissimili si riscontrano in molti paesi europei, dove dagli anni Ottanta si è assistito a una crescita costante della popolazione carceraria. Benché i trend di crescita non siano uniformi (in alcuni paesi europei, come l'Italia, la popolazione penitenziaria è cresciuta più velocemente che in altri), vi è oggi una certa uniformità dei tassi d'incarcerazione nei principali paesi dell'Unione Europea. Nei paesi dell'Est invece il numero dei detenuti ricorda più quello del blocco ex Sovietico, Russia compresa, e si avvicina al dato statunitense.

Nell'Unione Europea si ha quasi l'impressione che sia in atto un processo di armonizzazione dei tassi di detenzione. In media il tasso d'incarcerazione in Europa è di 100 detenuti ogni 100.000 abitanti. Il Regno Unito guida la classifica dell'Europa occidentale con 145 detenuti ogni 100.000 abitanti. I paesi scandinavi restano per ora un'eccezione, ma in altri paesi, come i Paesi Bassi, a lungo caratterizzati da una popolazione carceraria esigua, sono in atto importanti processi di carcerizzazione.

1.2.1. Il sovraffollamento penitenziario

La crescita generalizzata della popolazione penitenziaria ha generato un grave sovraffollamento degli istituti penitenziari europei. Il tasso d'occupazione dello spazio carcerario è superiore al 100% nei principali paesi europei: è pari al 110,4% in Inghilterra e Galles, a 124,7% in Francia, a 139,17% in Italia, a 114,1% in Spagna, a 97,5% nei Paesi Bassi e a 99,9% in Germania.

Il sovraffollamento carcerario impedisce non solo l'attuazione di programmi trattamentali, ma anche il rispetto dei più elementari diritti dei detenuti. Il Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) costituito in seno al Consiglio d'Europa ha considerato il sovraffollamento come una forma di "Trattamento inumano e degradante" ed ha più volte sollecitato ufficialmente i paesi membri a porvi rimedio, suggerendo una revisione delle politiche penitenziarie nazionali. Il CPT ha inoltre specificato l'inopportunità di costruire nuovi istituti, consigliando piuttosto una riforma della normativa penale e delle pratiche giudiziarie che determinano un ricorso massiccio alla detenzione e mettendo l'accento sulla necessità di utilizzare soluzioni alternative alla detenzione (1).

Il sovraffollamento è causa del grave peggioramento della condizioni detentive. Si potrebbero descrivere nel dettaglio le condizioni intollerabili di vita in molte carceri europee, a partire dal carcere fiorentino di Sollicciano, ma vi è un indice chiaro del peggioramento delle condizioni detentive: l'aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo fra i detenuti. L'aumento è stato registrato sia negli Stati Uniti, sia nei paesi europei. In Italia nel 2001 si sono suicidati in carcere 13 detenuti ogni 10.000 (i suicidi sono stati 72). L'aumento del numero di suicidi nelle carceri italiane è direttamente riconducibile alla crescita della popolazione penitenziaria: nel 2002, quando la popolazione penitenziaria ha raggiunto i 56.537 detenuti, il numero dei suicidi è triplicato rispetto al 1991 (57 sucidi). Il 93% di questi casi è avvenuto in istituti penitenziari affollati. Nel 2003 i suicidi nelle carceri italiane sono stati 65, due dei quali in istituti minorili. Analogamente, gli atti di autolesionismo e i tentati suicidi sono aumentati in parallelo all'aumento del numero dei detenuti. (Dati tratti da L. MANCONI, Suicidi e atti di autolesionismo: i dati di una ricerca, "Golem", 1 (2003) e da L. MANCONI, A. BORASCHI e E. LO VOI, Secondo rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane, 2004.).

Dati relativi alla capacità degli istituti di pena di alcuni paesi UE (2)
  Nº Istituti Capacità ufficiale del sistema penitenziario Livello di Occupazione basato su Capacità ufficiale
UK 141 (2004) 68.880 (27.05.05) 110,4% (27.05.05)
FRANCIA (al 9.2.03) 185 (2002) 45.660 (1.3.04) 124,7% (1.3.04)
ITALIA 222 al 31.12.04 (Ministero della Giustizia. Di cui 17 istituti penali minorili) 42.641 (al 1.9.03, compresi 718 posti negli i.p.m.) 134,2% (al 1.9.03)
SPAGNA 77 (2004) 48.420 al 1.09.2003 114,1% al 1.09.2003
PAESI BASSI 102 (61 istituti penit. per adulti, 10 cliniche psichiatriche, 24 istituti penali minorili - 7 istituti per tossicodipendenti) (2004) 20.522 (15.071 in istituti penitenziari per adulti, 2515 in istituti penali minorili, 1371 in cliniche per malati psichici, 1565 in istituti per tossicodipendenti) al 1.07.04 97,5% al 1.07.04
GERMANIA 237 (2004) 79.378 al 31.08.04 99,9% al 31.08.04

1.2.2. La detenzione dei migranti

L'altro tratto caratterizzante il sistema penitenziario europeo è quello della detenzione dei migranti. Nelle carceri dei paesi UE si assiste a una forte sovrarappresentazione dei migranti nella popolazione penitenziaria.

La percentuale media degli stranieri reclusi nelle carceri europee supera il 30% della popolazione detenuta, a fronte di una presenza straniera sul territorio europeo che si aggira in media intorno al 7% della popolazione (3). La sproporzione è evidente e ricorda il fenomeno del "Racial divide" registrato negli Stati Uniti d'America, dove gli afroamericani che sono il 13% circa della popolazione degli Stati Uniti sono invece il 49% dei detenuti.

La percentuale della popolazione detenuta di nazionalità straniera è inferiore alla media europea in alcuni dei paesi europei di più antica immigrazione, ma nei penitenziari di questi stessi paesi si riscontra una percentuale elevata di cittadini di 'razza non bianca', figli di genitori immigrati. Benché non sia facile registrare la presenza di detenuti che godono della cittadinanza ma che hanno origini straniere, per le comprensibili resistenze delle amministrazioni a stilare statistiche che possono avere un effetto discriminatorio. In Francia molti dei detenuti classificati come autoctoni sono giovani francesi di origine algerina, marocchina e tunisina e in Inghilterra la maggioranza dei detenuti sono giovani neri di nazionalità inglese o provenienti dai paesi del Commonwealth. Secondo alcuni (Palidda) si tenesse conto di questi dati, la percentuale di detenuti stranieri e di origine straniera in questi due paesi europei sarebbe più elevata della percentuale di afroamericani reclusi nelle carceri statunitensi.

I detenuti di nazionalità straniera sono particolarmente numerosi nei paesi di recente immigrazione come l'Italia e la Grecia dove la percentuale della popolazione carceraria rappresentata da stranieri è pari, rispettivamente, al 32% (4) e al 42% (5). La sovrarappresentazione degli stranieri è ancora maggiore con riguardo alle donne e ai minori. Il fenomeno è particolarmente rilevante in Italia, dove le donne straniere costituiscono il 42% (6) della popolazione detenuta femminile e i minori stranieri reclusi negli istituti penali minorili sono il 47% del totale (7). Inoltre, gli ingressi in carcere di minori stranieri sono in continua crescita, con punte che giungono sino all'80% nei penitenziari del centro-nord (8), a fronte di una progressiva diminuzione degli ingressi in carcere dei minori italiani: a questo proposito Dario Melossi ha ipotizzato che sia in atto un vero e proprio processo di specializzazione degli istituti penali minorili in direzione degli stranieri (9).

E' interessante notare come la composizione della popolazione detenuta straniera tenda a rispecchiare le comunità immigrate più numerose sul territorio, ma con una particolare predilezione per le nazionalità appartenenti ai paesi confinanti con l'Unione europea (10). Più dell'85% dei detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane provengono dal Maghreb e dai Balcani, ossia dalle "periferie dell'Unione europea" (11). La nozione, utilizzata in questo contesto, è interessante, poiché contribuisce a mettere in luce le analogie riscontrabili sia fra i migranti - per lo più giovani maschi - provenienti dai Balcani e i migranti provenienti dal Maghreb, sia fra questi e i loro coetanei residenti nelle periferie metropolitane europee. I detenuti stranieri reclusi nelle carceri europee si assomigliano molto fra loro: provengono da paesi che hanno subito forti processi di destrutturazione economica e sociale in seguito all'affermarsi della globalizzazione e ai mutamenti geopolitici dei primi anni Novanta. Inoltre essi non sono molto diversi dai cittadini europei di origine straniera che risiedono nelle periferie metropolitane dei paesi dell'Unione: le 'periferie euromediterranee' condividono con le periferie metropolitane europee alcuni caratteri essenziali, quale la diffusione fra i giovani di modelli devianti, della tossicodipendenza, di relazioni sociali fondate sulla violenza. La popolazione delle periferie urbane ha poi generalmente le stesse caratteristiche etniche, culturali e religiose di quella che proviene direttamente dai paesi che si trovano alle frontiere dell'Unione. Sono queste due 'periferie' i luoghi dai quali proviene la quasi totalità delle persone recluse nei penitenziari europei (12). Non è un caso che la percentuale di stranieri nei grandi penitenziari delle principali città europee sia notevolmente superiore alla percentuale calcolata su scala nazionale.

Detenuti stranieri nei paesi UE (percentuale su tot. pop. det.)
Austria 33,0% al 1-9-2002 (Consiglio d'Europa)
Belgio 40,9% al 1-9-2002 (Direzione generale dell'amm.penit.)
Danimarca 16,3% al 1-9-2002 (Ministero della giustizia danese)
Finlandia 7,9% al 15-4-2004 (Ministero della giustizia finlandese)
Francia 21,4% al 1-4-03 (Ministero della giustizia francese)
Germania 29,9% al 31-03-02 (Consiglio d'Europa)
Grecia 41,7% al 16-12-04 (Ministero della giustizia greco)
Irlanda 8,1% al 1-6-04 (Irish Prison Service)
Italia 31,8% al 31-12-04 (Ministero della giustizia)
Lussemburgo 63,9% al 1-9-02 (Ministero della giustizia del Lussemburgo)
Paesi Bassi 33,2% al 1-7-04 (National Agency of Correctional Institutions)
Portogallo 12,0% al 1-09-2002 (Ministero della giustizia portoghese)
Spagna 25,4% al 1-09-02 (Direzione generale dell'amministrazione penit. Spagnola)
Svezia 27,2% al 1-10-02 (Ministero della giustizia svedese)- solo definitivi
UK-Inghilterra e Galles 12,2% al 31-10-04 (Home Office Prison Service)
UK- Scozia 1,2% al 1-9-2002 (Scottish Prison Service)
UK-Irlanda del Nord 1,5% al 1-9-02 (Northern Ireland Prison Service)

Le carceri europee sono dunque "Carceri nere", così come sono "Carceri nere" le carceri degli Stati Uniti. Questo dato è a mio avviso l'indice di una nuova forma di razzismo che sopravvive e prospera nelle liberal-democrazie occidentali.

Loic Wacquant ha definito il carcere la nuova "Peculiar Institution". Con riferimento all'Europa esso sembra una nuova forma di colonizzazione. I detenuti nelle carceri francesi e inglesi sono cittadini delle ex-colonie e nel resto d'Europa la sovrarappresentazione dei migranti è strettamente connessa alle politiche migratorie restrittive che consentono la creazione di una classe di lavoratori non-cittadini. Ai migranti detenuti nelle carceri si devono poi aggiungere i migranti detenuti nei Centri di permanenza temporanea, dove la detenzione assume per di più un carattere amministrativo e quindi non è neppure "circondata" dal sistema di garanzie previsto per il processo penale.

E' evidente che una presenza così elevata di stranieri nei penitenziari europei corrisponde, almeno in parte, ad un reale livello di devianza degli immigrati. E' però altrettanto chiaro che la sovrarappresentazione degli stranieri nelle carceri europee dipende da forme più o meno latenti di discriminazione razziale presenti a tutti i livelli del sistema penale: dalle pratiche di polizia, alla fase di esecuzione della pena, passando per il processo. Queste discriminazioni sono solo in parte consapevoli: spesso derivano da scelte tecniche finalizzate a rendere efficiente in termini di risultati quantitativi l'operato delle forze di polizia e dalle caratteristiche proprie di un sistema penale e penitenziario pensato per i cittadini, che non si adatta allo status giuridico e sociale dei migranti, determinando così una costante violazione degli elementari diritti degli imputati e dei condannati stranieri. Si assiste così ad una "etnicizzazione" dell'azione repressiva penale, che si traduce in una tendenza alla diminuzione della percentuale dei detenuti che hanno la cittadinanza e in un aumento del numero dei detenuti stranieri o di origine straniera (13).

1.3. La crisi del trattamento

I detenuti stranieri nelle carceri europee sono in gran parte clandestini o perché erano in una posizione di irregolarità al momento della commissione del reato, o perché l'ingresso in carcere, determinando nella maggior parte dei casi la rottura definitiva del rapporto di lavoro in base al quale potevano godere di un permesso di soggiorno, fa sì che essi si trovino in posizione irregolare non appena cessano di scontare la pena. Il carcere diviene così per la maggior parte degli stranieri un luogo di passaggio in attesa della espulsione. La conseguenza principale di questa situazione è la trasformazione della pena detentiva in un mezzo di mera incapacitazione dei migranti. Il sistema trattamentale non è assolutamente in grado di operare nei loro confronti. Gli stranieri raramente possono usufruire di quegli istituti giuridici di carattere premiale ai quali la legislazione penitenziaria della maggior parte dei paesi europei attribuisce un ruolo centrale nel processo di reinserimento dei detenuti. I migranti non possono quasi mai accedere alle misure premiali poiché non sono in grado di fornire garanzie sufficienti, mancando spesso di una residenza certa, di legami familiari, della possibilità di un inserimento lavorativo.

Il concetto stesso di "Reinserimento sociale" presuppone che il detenuto fosse inserito in un tessuto sociale e che sia stato l'atto deviante a porlo al di fuori della società. Questa rappresentazione che è alla base del modello penitenziario rieducativo è sempre stata illusoria, ma lo è ancora di più nel caso dei migranti che solitamente passano dalla clandestinità alla detenzione. Il sistema trattamentale è in via di trasformazione in quasi tutti i paesi europei, a causa delle critiche che gli sono state mosse e della più generale ristrutturazione dei sistemi di Welfare che coinvolge anche il cosiddetto 'welfare penitenziario' - ovvero l'insieme dei servizi destinati ai detenuti - sottoponendolo a radicali interventi di ridimensionamento. La crisi di questo modello determina un inasprimento delle condizioni detentive. Se è vero che il carcere non ha mai risocializzato nessuno, l'ideologia del trattamento è tuttavia servita, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, come un'indicazione: "se si deve punire il condannato, privandolo della sua libertà, che lo si faccia cercando almeno di evitare la sua definitiva de-socializzazione". L'ideologia trattamentale ha spesso promosso la tutela dei diritti dei detenuti. Il carcere che oggi getta la maschera trattamentale e si mostra esplicitamente come un'istituzione di contenimento e di punizione (difesa sociale e pena retributiva), è peggiore del carcere ispirato alla rieducazione. Il modello penitenziario che l'Europa sta accogliendo si è già affermato negli Stati Uniti ed ha come principali "utenti" o come principali "vittime" cittadini di serie B o non-cittadini. C'è un filo rosso che lega queste politiche penitenziarie con le politiche migratorie e, se vogliamo guardare oltre, con le tecniche di tortura, le forme di detenzione illegale, la guerra: il razzismo alimenta questo circuito che si colloca al di fuori del "contenitore" della "cittadinanza". Le vittime di queste violazioni non sono bianche.

La crisi del sistema trattamentale invece di condurre a una sfiducia nell'istituzione penitenziaria e quindi a politiche di de-penalizzazione e di de-carcerizzazione, consolida il primato del carcere fra gli strumenti di controllo penale, secondo la tendenza affermatasi negli Stati Uniti. In un mondo nel quale la cultura economica e politica del liberalismo democratico statunitense è diventata l'asse portante della globalizzazione, è difficile non assumere il fatto che gli Stati Uniti guidano la classifica mondiale della incarcerazione come l'indice di un processo di "globalizzazione penitenziaria" che ha condotto sino ad ora ad un aumento della detenzione in quasi tutto il mondo occidentale.

In una prospettiva europea, appaiono invece obiettivi irrinunciabili la difesa delle culture penali e penitenziarie nazionali, frutto di molti anni di riflessione e di esperienza, e il potenziamento di un sapere specialistico in grado di opporre alle spinte populistiche, che attraversano il campo penale le pratiche sperimentate e condivise che pongono molti paesi europei all'avanguardia nell'elaborazione di politiche di depenalizzazione e di de-carcerizzazione.


Note

*. Convegno ALFA Human rights face security, Università di Firenze, 8-9 luglio 2005.

1. CPT, 11th General Report. Vedi anche Committee of Ministers, Recommendation Nº R (99) 22.

2. Alcuni dei dati riportati sono tratti da International Centre For Prison Studies, World Prison Brief.

3. Si noti che la media europea non è particolarmente significativa poiché la percentuale di immigrati residenti varia nei diversi paesi europei. Inoltre non vi è una correlazione necessaria fra il numero degli stranieri residenti e il numero dei detenuti stranieri: nei paesi dell'Europa meridionale, dove si registrano le percentuali più elevate di detenuti stranieri, la porzione della popolazione residente immigrata ammonta al massimo al 2%.

4. Dati al 31-12-04 (31,8%).

5. Dati dell'Amministrazione penitenziaria greca al 16-12-2004 (41,7%).

6. Mia elaborazione sui dati forniti dal Ministero della Giustizia che registrano la situazione al 30-6-02.

7. Ministero di giustizia, dati riferiti al primo semestre del 2003.

8. Ibid.

9. D. MELOSSI, Stato, controllo sociale, devianza, Mondadori, Milano 2002, p. 299.

10. In alcune regioni italiane ad esempio, dove sono presenti comunità cinesi anche molto grandi, non si assiste ad una particolare sovrarappresentazione di tali comunità nei penitenziari. Le comunità più numerose in carcere rimangono sempre quella albanese e quelle maghrebine, particolarmente la comunità marocchina.

11. S. PALIDDA, La devianza, in ISMU, Settimo rapporto sulle migrazioni 2001, Franco Angeli, Milano 2002, p. 179.

12. L'analisi di Palidda si riferisce alle grandi metropoli europee, essa potrebbe tuttavia essere estesa anche ad alcune zone scarsamente modernizzate dei paesi europei come il Sud d'Italia, le quali presentano a loro volta forti analogie con le "periferie euromediterranee" individuate da Palidda. In Italia la quasi totalità dei detenuti è di nazionalità straniera o proviene dalle regioni del Sud (cfr. S. ANASTASIA, P. GONNELLA, Inchiesta sulle carceri italiane, Carocci, Roma 2001).

13. S. PALIDDA, La criminalisation des migrants, «Actes de la recherche en sciences sociales», 129 (1999), p. 39.