2007

La conferenza di Barcellona: una vera svolta nei rapporti euro-mediterranei?

Valentina M. Donini

Il Mediterraneo, oltre a costituire la culla delle più importanti civiltà (1) e il luogo di nascita delle tre religioni monoteistiche, ha sempre rappresentato una zona ricca di forti conflitti e intense contraddizioni. Oggi, nonostante il perdurare di tensioni politiche e militari, il Mediterraneo rappresenta però anche un importante partner commerciale per l'Unione Europea e, di conseguenza, ha assunto una nuova centralità e rilevanza, soprattutto in seguito alla Conferenza di Barcellona del 1995.

Per molto tempo i rapporti tra Europa e Mediterraneo sono stati segnati dal passato coloniale delle grandi potenze europee (2), responsabili in parte dell'alto tasso di conflittualità dell'area mediterranea: non si può trascurare il fatto che molto spesso le potenze coloniali che disegnarono gli attuali confini del Nordafrica e del Medio Oriente non si basarono su criteri storici o culturali, ma si limitarono a riprodurre sulla carta le loro aree d'influenza, basandosi quasi esclusivamente su considerazioni economiche, impostando l'equazione tra materie prime e frontiere (3).

Inoltre, per lungo tempo i rapporti commerciali tra la Comunità Europea e i paesi arabi sono stati caratterizzati da forti squilibri, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto qualitativo dell'interscambio che vedeva l'Europa importare quasi esclusivamente materie prime in cambio di manufatti di alto valore aggiunto e forte contenuto tecnologico. Intorno agli anni settanta questa tendenza ha subito qualche battuta d'arresto, anche se il relativo miglioramento della situazione dei paesi arabi, più che a un effettivo maggior potere contrattuale era dovuto al forte incremento della domanda mondiale di materie prime, e solo in pochi casi, ad esempio in Marocco, si è riusciti, per far fronte al forte squilibrio fra utili dei produttori della materia prima e utili dei realizzatori del prodotto finale, a perseguire una politica di trasformazione delle materie prime sul territorio nazionale, in modo da trattenere una quota maggiore del valore aggiunto (4). Il miglioramento era quindi solo quantitativo, non qualitativo, anche perché allo stesso tempo continuava la deformazione monocolturale, eredità del periodo coloniale (5).

Oggi la debolezza delle istituzioni arabe, i rischi strutturali che compromettono la stabilità interna (come ad esempio il basso reddito nazionale, l'alto tasso di disoccupazione e le forti disparità sociali) e la scarsa cooperazione economica inter-araba minano le basi di una possibile stabilità e sicurezza nel Mediterraneo e, soprattutto, non pongono il Sud come interlocutore unico e paritetico di una futura cooperazione con l'Unione Europea.

Uno degli ostacoli maggiori all'integrazione transmediterranea è rappresentato, infatti, oltre che dalla disparità economica e militare tra Nord e Sud e dai diversi standard di vita, proprio dall'asimmetrico livello d'istituzionalizzazione e coesione. Se tra i paesi membri dell'Unione Europea si assiste a un costante e incessante processo d'integrazione, la sponda meridionale e orientale del Mediterraneo presenta, invece, una forte frammentazione e disgregazione che si manifesta anche in un diverso livello di coinvolgimento e interesse nell'europartenariato tra il Maghreb e il Mashreq, destinato a sfociare in alcuni casi a una vera e propria passività (6), spiegabile soprattutto con la centralità del conflitto arabo-israeliano, che si pone come blocco anche psicologico per molti paesi arabi.

Tuttavia, anche sulla sponda settentrionale l'interesse per il partenariato euro-mediterraneo non è omogeneo: se Italia, Francia e Spagna sono i principali promotori del processo messo in atto con la Conferenza di Barcellona, Gran Bretagna e Germania sono più interessate all'Europa orientale, anche in considerazione dell'allargamento dell'Unione Europea verso Est.

Nell'ambito di una cooperazione regionale su vasta scala devono quindi promuoversi delle condizioni per sviluppare e mantenere dei rapporti di 'buon vicinato' per procedere a una modernizzazione dei paesi del Mediterraneo che non si limiti solo all'adeguamento strutturale, ma che miri anche allo sviluppo dell'industria, della tecnologia, nonché all'adattamento degli strumenti istituzionali appropriati, attraverso l'uniformazione sia dei sistemi di indirizzo politico-economico e finanziario, sia delle normative concernenti il commercio internazionale (7). Ci si deve domandare però se il partenariato previsto dalla Conferenza di Barcellona sia effettivamente in grado di raggiungere questi obiettivi, o non si tratti piuttosto dell'ennesima proclamazione di principi destinata a restare lettera morta.

1. La Conferenza di Barcellona

La conferenza di Barcellona, tenutasi il 27 e 28 novembre 1995, si è posta come obiettivo fondamentale il raggiungimento della pace e stabilità nell'area, operando su tre livelli: politico (8), economico-finanziario e socio-culturale-umano (9). Almeno in teoria, Barcellona segna il superamento delle precedenti politiche comunitarie che in effetti non avevano raggiunto gli scopi auspicati, restando sempre ancorate a un'idea paternalistica di assistenzialismo e sostegno, di derivazione coloniale o post-coloniale. La nuova impostazione è desumibile già dalla terminologia usata: non si tratta più di paesi in via di sviluppo, o di paesi terzi mediterranei, bensì di paesi partner. Si delinea quindi il concetto di partenariato, che opera in ambito multiculturale, nel rispetto delle caratteristiche, dei valori e delle specificità di ogni paese, riconoscendo pari dignità ai partners e soprattutto mettendo in luce i reali squilibri tra le due rive del Mediterraneo.

Alla Conferenza di Barcellona hanno preso parte i ministri degli esteri degli allora quindici paesi comunitari, i rappresentanti della Commissione e del Consiglio europeo, e i ministri degli esteri dei paesi mediterranei non comunitari (Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia, Israele, Cipro, Malta e Autorità Palestinese). Originariamente, quindi, erano previsti quattro paesi non arabi (Malta, Cipro, Israele e Turchia) e otto paesi arabi (la Libia è rimasta fuori dall'accordo, ma dalla Conferenza di Stuttgart del 1999 in poi le è stato concesso lo status di osservatore). Con l'allargamento del maggio 2004 e l'ingresso nell'Unione Europea di Cipro e Malta, il numero di paesi partner mediterranei si è ridotto da dodici a dieci: sempre otto paesi arabi, uno Stato candidato (Turchia) e Israele. A questo punto, se tre Stati non arabi su quattro diventano membri dell'Unione Europea, Israele resta l'unico membro di Barcellona non arabo e non europeo e, quindi, mancando veri progressi nel processo di pace del conflitto israelo-palestinese, il processo di Barcellona potrebbe trovarsi in un vicolo cieco (10).

D'altronde anche l'allargamento dell'Unione Europea verso Nord-Est, con l'ingresso dei nuovi dieci membri, dovrebbe comportare una revisione dell'europartenariato così come previsto originariamente dalla Conferenza di Barcellona, visto il rischio, reale ma forse fisiologico, di un calo di interesse nelle questioni mediterranee (11).

2. La Zona di Libero Scambio. Obiettivi e strumenti

Il secondo Capitolo della Dichiarazione di Barcellona prevede l'istituzione di un partenariato economico-finanziario tra le due rive del Mediterraneo attraverso la creazione di una zona di prosperità condivisa dalle due sponde del Mediterraneo, cioè la zona di libero scambio (12) che, in un'ideale gerarchia dei sistemi di integrazione economica precede l'unione doganale, il mercato comune e l'unione economica. La zona di libero scambio, da realizzarsi entro il 2010, dovrebbe collegare gli Stati membri dell'Unione Europea con i paesi partners mediterranei. Insieme all'EFTA e agli Stati dell'Europa Centrale e Orientale candidati all'ingresso nell'Unione Europea, questa zona includerà circa quaranta Stati e 600-800 milioni di consumatori, costituendo quindi una delle più importanti entità commerciali al mondo.

La Dichiarazione di Barcellona, tuttavia, in quanto mero quadro generale di riferimento e non anche documento giuridicamente vincolante, necessita per l'attuazione dei suoi obiettivi della conclusione dei cosiddetti accordi di associazione euro-mediterranei, che devono essere negoziati individualmente da ogni paese mediterraneo con l'Unione Europea e che vanno a sostituire i precedenti accordi di cooperazione. Lo scopo principale di questi accordi è proibire l'introduzione di nuove restrizioni quantitative sulle importazioni, e abolire quelle esistenti, sia dirette (outright bans, quote o altri limiti numerici in relazione al commercio di beni industriali), sia indirette (misure equivalenti alle restrizioni quantitative), risultanti da standard regolatori e tecnici diversi, che non discriminano sulla base del luogo di produzione.

Per realizzare entro il 2010 la zona di libero scambio (anche se è molto probabile che questa scadenza non sarà rispettata, considerando che in alcuni casi i periodi transitori per la liberalizzazione commerciale previsti dagli Accordi di associazione si concluderanno nel 2014 se non oltre), devono quindi essere abolite tutte le barriere, tariffarie e non (13). Tuttavia, a differenza di altre zone di libero scambio già istituite in altre parti del mondo, in cui due o più paesi con situazioni economiche simili si accordano per l'abolizione degli ostacoli alle importazioni, qui ci troviamo di fronte a una situazione asimmetrica: da una parte c'è un'entità unica, omogenea come l'Unione Europea e, dall'altra, non un paese, ma un gruppo eterogeneo di paesi le cui economie presentano diversi livelli di sviluppo e d'integrazione e, soprattutto, diversi livelli di protezione (14).

Inoltre, i paesi del Mediterraneo devono affrontare lo smantellamento unilaterale dei loro meccanismi di protezione contro le importazioni dall'Unione Europea, mentre quest'ultima è già aperta alle importazioni dai paesi del Mediterraneo (con l'eccezione dei prodotti agricoli e alcuni tessili). Ma dal momento che i manufatti mediterranei hanno già libero accesso nell'Unione Europea e l'unica prospettiva di un aumento nelle esportazioni sarebbe l'inserimento dei prodotti agricoli nella zona di libero scambio, che invece sono stati esplicitamente esclusi (15), i vantaggi per i paesi mediterranei sono solo indiretti, collegati cioè all'aumento della competitività associata al crollo dei prezzi importati dall'Europa.

3. Gli Accordi di Associazione

A oggi gli Accordi di Associazione sono entrati in vigore con Tunisia (16), Israele (17), Marocco (18), Autorità Palestinese (19), Giordania (20), Egitto (21), Algeria (22), mentre gli accordi con il Libano (23) e la Siria (i negoziati si sono conclusi nell'ottobre 2005) non sono ancora entrati in vigore, nonostante le conferenze euro-mediterranee dei Ministri degli Esteri abbiano più volte auspicato un'accelerazione delle procedure di ratifica degli accordi già firmati.

Chiaramente le disposizioni dei singoli accordi bilaterali variano a seconda del paese partner, ma si possono comunque individuare degli aspetti comuni, quali il dialogo politico, l'istituzione di un libero commercio compatibile con i requisiti previsti dall'OMC per un periodo di transizione di dodici anni, le disposizioni relative a proprietà intellettuale, servizi, concorrenza, sussidi statali, monopoli, nonché le norme sulla cooperazione economica e culturale. Particolarmente interessante è il fatto che questi accordi richiamano come elementi essenziali il rafforzamento della democrazia nonché il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, facendo anche riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Prendendo come modello l'Accordo di Associazione con la Tunisia (che è stato il primo paese a firmare l'Accordo di Associazione con l'Unione Europea, in seguito a un intenso processo di riforme economiche e strutturali), si possono individuare gli obiettivi concreti che le parti cercheranno di raggiungere, cioè, ex art. 1: "Costituire un ambito adeguato per il dialogo politico tra le parti che consenta di consolidare le loro relazioni in tutti i campi che esse riterranno pertinenti a tale dialogo; stabilire le condizioni per la liberalizzazione degli scambi di beni, di servizi e di capitali; sviluppare gli scambi e stimolare l'espansione di relazioni economiche e sociali equilibrate tra le parti, segnatamente attraverso il dialogo e la cooperazione, per favorire lo sviluppo e la prosperità della Tunisia e del popolo tunisino; incoraggiare l'integrazione del Maghreb e favorire gli scambi e la cooperazione tra la Tunisia e i paesi della regione; promuovere la cooperazione in campo economico, sociale, culturale e finanziario".

L'Accordo euro-tunisino prosegue poi con un'accurata descrizione dei diversi ambiti in cui dovrà operare, a partire dal dialogo politico (Titolo I), come base per garantire la stabilità e sicurezza dell'area mediterranea, per poi arrivare al cuore del problema, cioè la libera circolazione delle merci (Titolo II). L'art. 6 infatti stabilisce l'istituzione di una zona di libero scambio transitoria, della durata massima di dodici anni dall'entrata in vigore dell'accordo, che sarà poi sostituita dalla zona di libero scambio (24) euro-mediterranea da istituirsi entro il 2010.

Il Titolo III si occupa invece del diritto di stabilimento e dei servizi, mentre il Titolo IV disciplina i pagamenti correnti e il movimento di capitali, e la concorrenza.

Per quanto riguarda la cooperazione economica in generale (Titolo V), si entra in un ambito più assistenzialista che di partenariato vero e proprio, dal momento che le parti si impegnano a intensificare i rapporti nel reciproco interesse e nello spirito del partenariato, allo scopo di sostenere l'azione della Tunisia per favorirne un duraturo sviluppo economico e sociale (art. 42), attraverso un regolare dialogo economico, scambi di informazioni e comunicazioni, iniziative di consulenza, scambi di esperti, assistenza tecnica e amministrativa (art. 44).

L'Accordo euro-tunisino prevede inoltre una disciplina della cooperazione sociale e culturale (Titolo VI) e della cooperazione finanziaria (Titolo VII), ma tra gli obiettivi della cooperazione è particolarmente importante sottolineare la norma (contenuta in tutti gli Accordi di Associazione) relativa al «ravvicinamento delle legislazioni», cioè all'esigenza di aiutare i paesi terzi mediterranei ad armonizzare le legislazioni nazionali recependo il modello comunitario nei settori contemplati dall'accordo, anche se poi non viene specificato il modo o gli strumenti per ottenere tale scopo (25).

Si tratta evidentemente di una sorta di adeguamento all'aquis communautaire (26) esteso a Stati terzi, come esplicitamente previsto, ad esempio, dall'art. 52 dell'accordo euro-tunisino: «Obiettivo della cooperazione è aiutare la Tunisia a ravvicinare la sua legislazione a quella della Comunità nei settori contemplati dal presente accordo». Questa formulazione è ripresa testualmente negli accordi con Marocco, Algeria, Autorità Palestinese, mentre è leggermente diverso il tenore dell'art. 69 dell'accordo giordano (corrispondente al testo dell'accordo con Egitto e Israele): «Le parti fanno il possibile per ravvicinare le rispettive legislazioni al fine di agevolare l'attuazione del presente accordo».

Per l'attuazione degli accordi è istituito il Consiglio di Associazione «che si riunisce a livello ministeriale una volta all'anno e ogni qualvolta le circostanze lo richiedono, su iniziativa del suo presidente e alle condizioni previste dal suo regolamento interno (27)». Ma dal momento che per attuare il partenariato occorrono riforme sostanziali del settore fiscale, economico e industriale, il sostegno finanziario necessario è assicurato dal programma MEDA (Mésures d'Adjustement), il principale strumento finanziario dell'Unione Europea per l'attuazione del partenariato euro-mediterraneo. Più che dei tradizionali aiuti allo sviluppo, si tratta della creazione di una rete commerciale con i paesi del Mediterraneo in modo da instaurare il libero commercio incoraggiando la transizione economica (28).

4. Dopo Barcellona? Aspettative e critiche

Insieme ai vantaggi derivanti dalla creazione della zona di libero scambio, si presenteranno però anche alcuni inconvenienti: si prevede infatti una crescita esponenziale della popolazione dei dodici paesi mediterranei con i conseguenti problemi di gestione dei forti flussi migratori. Ciò comporterà dei problemi per quanto riguarda in primo luogo le risorse idriche e alimentari, ma anche il tasso di occupazione, lo sfruttamento delle risorse energetiche e le industrie correlate. Per questi motivi, il partenariato euro-mediterraneo non dovrà limitarsi solo alla creazione della ZLS e al libero commercio, ma dovrà prevedere anche una pianificazione strategica dello sviluppo da parte degli Stati, partendo da un'iniziale protezione delle industrie nodali e dall'innalzamento del livello scientifico tecnologico.

È ancora incerto, però, l'esito reale di tale politica: allo stato attuale solo l'Accordo con la Tunisia, e in parte quello con il Marocco, sono già in una fase di apprezzabile impatto sulle economie mediterranee (il che non vuol dire che tale impatto sia completamente favorevole: il venir meno delle entrate doganali ha già avuto delle gravi ripercussioni, in particolare sulla spesa sociale che ha subito pesanti tagli), mentre gli altri si trovano ancora in una fase iniziale, in cui i benefici non si sono ancora visti (29).

Per questi (e altri) motivi non sono mancate forti critiche al programma di Barcellona (30).

Per quanto riguarda il livello politico, si è assistito al crollo delle aspettative, forse troppo ottimistiche, collegate al processo di pace in Medio Oriente. Come si evince dal punto 1 della Dichiarazione, il partenariato avrebbe dovuto preparare il terreno per far sì che l'Europa avesse un peso maggiore nel processo di pace (31), dato che in realtà si è sempre tenuta ai margini, rispetto invece al ruolo degli Stati Uniti. È evidente però come i fatti abbiano deluso le speranze di una soluzione del conflitto mediorientale, almeno nell'immediato futuro; diventa quindi opportuno domandarsi se il partenariato euro-mediterraneo potrà sopravvivere alla fine del processo di pace, visti gli ultimi sviluppi dello scenario internazionale.

Inoltre, ci si deve chiedere se la zona di libero scambio sia davvero la scelta più appropriata per favorire lo sviluppo economico, sociale e politico dei paesi mediterranei, considerando in primo luogo l'abissale sproporzione tra Unione Europea (un colosso commerciale con un interscambio globale pari a circa il 40% del commercio mondiale) e i paesi terzi (il cui interscambio ammonta a circa il 2% dell'economia mondiale (32)), ma anche l'asimmetria delle limitazioni, soprattutto per quanto riguarda la questione agricola e la libertà di circolazione e di stabilimento delle persone. Nonostante le altisonanti proclamazioni di principi e gli effettivi tentativi di promuovere l'integrazione economica tra i paesi membri del partenariato, sancendo la libertà di movimento di beni e capitali, la Dichiarazione di Barcellona, non menziona nemmeno la libertà di circolazione e di stabilimento delle persone (33). Questo silenzio dipende dalla paura degli Stati comunitari delle conseguenze di un approccio di tale genere, dato che concedere la libertà di stabilimento ai cittadini dei paesi partner, oltre a tutta una serie di problemi legati ai flussi migratori, comporterebbe la perdita di certi privilegi prettamente europei (34).

Per questi motivi i partners arabi (a parte i paesi del Maghreb che sono comunque attratti da un rapporto privilegiato con l'Unione Europea), non hanno sempre visto di buon occhio l'europartenariato, ma l'hanno considerato piuttosto come un tentativo di normalizzare i rapporti con Israele e di dividere il mondo arabo tra paesi ammessi e paesi esclusi al partenariato, nonché di controllare e monitorare l'area mediterranea per proteggere gli interessi e promuovere i valori politici ed economici occidentali, mantenendo così incontrastato il predominio occidentale (35).

A questo punto potrebbe essere auspicabile un allargamento della politica di partenariato verso i paesi geograficamente esclusi; d'altronde sarebbe opportuno anche per l'Unione Europea avviare una politica di dialogo e cooperazione con gli altri paesi del mondo arabo (36), che pur non appartenendo al Mediterraneo in senso stretto giocano comunque un ruolo determinante, se non altro perché produttori di petrolio, riconsiderando quindi la politica europea (37) verso gli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, cioè Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, le più importanti monarchie 'petrolifere' del Golfo Persico, allo scopo di promuovere un collegamento sistematico tra Europa, Mediterraneo e paesi del Golfo (38).


Note

1. Secondo F. Braudel, La Méditerranée. L'espace et l'histoire, Flammarion, Paris 1985, pp. 157 e ss. gli attori principali nell'area mediterranea sono tre, l'Occidente, inteso come cristianità, l'islam, e in misura minore, la chiesa ortodossa: «La Méditerranée, au-delà des ses divisions politiques actuelles, c'est trois communautés culturelles, trois énormes et vivaces civilisations, trois façons cardinales de penser, de croire, de manger, de boire, de vivre... En vérité trois monstres toujours prêts à montrer les dents, trois personnages à interminable destin, en place depuis toujours, pour le moins depuis des siècles et des siècles». Per un panorama storico sul Mediterraneo, vedi anche P. Matvejevic, Il Mediterraneo e l'Europa, Garzanti, Torino 1998.

2. «L'amministrazione francese dell'Africa settentrionale (e in minor misura anche quella italiana e quella spagnola) fu caratterizzata da un'ideologia unitaria, quella della mission civilisatrice, la convinzione della superiorità occidentale e del diritto di diffonderla. Di carattere diverso era la dominazione britannica in Egitto, che non si proponeva una colonizzazione di massa e non aveva l'idea esplicita di una missione civilizzatrice: nell'impero britannico si preferiva parlare del 'fardello dell'uomo bianco' e fingere di credere al mito secondo cui la Gran Bretagna si era trovata ad amministrare immensi territori per caso, quasi trascinata per i capelli». P.G. Donini, Il mondo islamico, Laterza, Bari 2003, p. 214. Quanto all'avventura coloniale italiana, mancava una giustificazione di tale genere, ma più semplicemente: «Dovevamo riprenderci la Libia perché era la 'Quarta sponda' del nostro paese, perché era stata civilizzata dai Romani, perché dovevamo sistemarvi i nostri braccianti senza terra; più nobilmente, per liberare i Libici dal giogo turco o, più prosaicamente, per insegnar loro a mangiare con le posate. Non mancavano è ovvio, motivi economici più sostanziosi, rappresentati dagli investimenti bancari, agricoli e commerciali». Ivi, p. 215.

3. A. Biad, Code of Conduct for Good-Neighbourly Relations in the Euro-Mediterranean Partnership, in Mutual perceptions in the Mediterranean unity and diversity, a cura di A. Marquina, Publisud, Mosbach/Madrid/Paris 1998, p. 263.

4. Cfr. P.G. Donini, L'integrazione economica dei paesi arabi come presupposto per il superamento degli squilibri negli scambi con la CEE, in La Politica Mediterranea della CEE, ES, Napoli 1981, pp. 332-340.

5. Sia che si tratti di prodotti agricoli, sia di materie prime, ad esempio il petrolio, i paesi del Mediterraneo erano orientati verso la monocoltura, cioè la produzione o coltivazione di solo una o poche materie prime. Tale scelta era favorita, se non addirittura imposta dalle potenze coloniali, perché funzionale alla loro economia, ma in realtà il crollo dei prezzi delle materie prime poteva avere effetti devastanti sull'economia del paese produttore. Cfr. A. Cassese, I rapporti Nord/Sud, Editori Riuniti, Roma 1989.

6. «The Southern Mediterranean countries have primarily reacted to rather than acted on European proposals». A. Biad, op. cit., p. 265 (mio il corsivo).

7. Cfr. V.M. Donini, Il diritto del commercio internazionale nell'area euro-mediterranea, tra diritto islamico e lex mercatoria, ESI, Napoli 2007.

8. Obiettivi fondamentali sono la garanzia dello stato di diritto, il pluralismo religioso-politico, la tolleranza, l'uguaglianza tra i popoli, l'autodeterminazione. Inoltre, la cooperazione, attraverso la ratifica di strumenti specifici, si propone anche di prevenire e combattere il terrorismo, la criminalità organizzata, il traffico internazionale di stupefacenti.

9. Il terzo livello, che rappresenta forse la principale innovazione della Dichiarazione di Barcellona, considera il dialogo e il rispetto tra culture e religioni differenti come le condizioni necessarie affinché i popoli si possano avvicinare. Appare quindi evidente il ruolo dell'educazione, della formazione e della mobilità delle persone in una cooperazione che assume un aspetto decentralizzato, coinvolgendo i responsabili della società politica, civile e culturale.

10. Cfr. R. Pace, The Mediterranean Enlargement of the European Union and Its Effect on the Euro-Mediterranean Partnership, Managing asymmetric interdependencies within the Euro-Mediterranean Partnership, in ZEI Discussion Papers, a cura di F. Meier, Center for European Integration Studies, University of Bonn, Bonn 2002, p. 22. Vedi anche F.D. Gonel, Trade Effects of European Union Enlargement on the Mediterranean Partner Economies, Paper presented at the Sixth Mediterranean Social and Political Research Meeting of the Mediterranean Programme of the Robert Schuman Centre for Advanced Studies at the European University Institute, Montecatini Terme, March 2005.

11. Cfr. F. Zallio, Le relazioni Euro-Mediterranee: bilancio e futuro, in «Italiamondoarabo», XVI, 1, Gennaio-Marzo 2004, pp. 22-25.

12. Per un approccio critico cfr. K.V. Champion, Who Pays for Free Trade? The Dilemma of Free Trade and International Labour Standards, in «North Carolina Journal of International Law and Commercial Regulation», XXII, 1996, pp. 181-239; T. Geiger - D. Kennedy, Regional free trade blocs, multilateralism and the GATT: complementary paths to trade free?, Pinter, London 1996, pp. 2-5.

13. Vi sono però delle deroghe ad esempio in caso di ordine pubblico, buon costume, pubblica sicurezza. Cfr. l'art. 27 dell'accordo Euro-Tunisino: «Il presente accordo lascia impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione o al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale o di tutela della proprietà intellettuale, industriale e commerciale o dalle norme relative all'oro e all'argento. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra le parti». La stessa disciplina è prevista dagli artt. 27 degli accordi stipulati con la Giordania e con Israele, dall'art. 28 dell'accordo con il Marocco, dall'art. 26 dell'accordo con l'Egitto, dall'art. 23 dell'accordo interinale con il Libano e dall'art. 14 dell'accordo interinale con l'Autorità Palestinese.

14. La diversità delle situazioni dei paesi del Mediterraneo si manifesta anche nel tipo di esportazioni: alcune economie dipendono quasi al 99% dall'esportazione di idrocarburi (è questo il caso di Libia e Algeria) altri, come Siria ed Egitto, esportano prodoti tessili, mentre Tunisia e Marocco esportano fosfati, tessili e prodotti alimentari. Di conseguenza, anche se il regime della Zona di Libero Scambio è unico, le esigenze sono in realtà molteplici e variegate. Cfr. A. Sid Ahmed, Les conditions de l'ancrage economique, in Euro-Méditerranée. Une région à construire, a cura di R. Bistolfi, Publisud, Paris 1995, p. 230.

15. Tale esclusione sembra non essere definitiva, poiché sia a Barcellona che successivamente fu assicurato che la questione agricola sarebbe stata affrontata, cosa che però allo stato attuale non si è ancora verificata, salvo una mera dichiarazione di principio nell'ambito della VIII conferenza (Tampere, novembre 2006). Vedi VIII conferenza euro-mediterranea dei Ministri degli Esteri (Tampere, 27-28 novembre 2006). Cfr. D. Orden - E. Diaz-Bonilla - R.S. Kaukab, Liberalizing Agricultural Trade and Developing Countries, TED Policy Brief, 6, Carnegie Endowment for International Peace, Global Policy Program, Washington 2002.

16. Firmato il 17 luglio 1995 ed entrato in vigore il 1 marzo 1998, ma. il processo di eliminazione delle barriere tariffarie era stato avviato addirittura prima della ratifica dell'Accordo, come chiaro segnale della volontà di apertura del Governo tunisino.

17. Firmato il 20 novembre 1995, in vigore dal 1 giugno 2000.

18. Firmato il 26 febbraio 1996, in vigore dal 1 marzo 2000.

19. Accordo interinale firmato il 24 febbraio 1997, in vigore dal 1 luglio 1997.

20. Firmato il 24 novembre 1997, entrato in vigore nel maggio 2002. Sostituisce l'accordo di cooperazione del 1977.

21. Firmato il 25 giugno 2001 ed entrato in vigore il 1 giugno 2004. I negoziati con l'Egitto sono stati avviati nel gennaio 1995 per concludersi nel giugno 1999. Il nuovo Accordo di associazione euro-mediterraneo sostituisce quindi l'Accordo di cooperazione del 1997.

22. Firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 1 settembre 2005.

23. Firmato il 17 giugno 2002. Il 1 marzo 2003 è entrato in vigore l'Accordo interinale sugli scambi e sulle questioni commerciali.

24. L'Accordo distingue chiaramente i prodotti industriali (art. 7-14) da quegli agricoli (artt. 15-19), mantenendo la differenza di regime, dal momento che per i prodotti industriali originari della Tunisia importabili in Europa e viceversa sono eliminati i dazi e le tasse di effetto equivalente (secondo un dettagliato calendario che prevede nell'arco di dodici anni l'azzeramento totale progressivo), mentre provvede solo a una progressiva liberalizzazione nei reciproci scambi di prodotti agricoli e della pesca.

25. Vedi anche l'art. 2(b) del Regolamento (CE) n. 1638/2006 recante disposizioni generali che istituiscono uno strumento europeo di vicinato e partenariato, che pone tra gli obiettivi dell'assistenza comunitaria nell'ambito della Politica Europea di Vicinato: «la promozione del ravvicinamento delle legislazioni e delle regolamentazioni verso standard più elevati in tutti i settori di pertinenza, in particolare per incoraggiare la progressiva partecipazione dei paesi partner al mercato interno e l'intensificazione degli scambi».

26. Sulla recezione del diritto uniforme, e in particolare del modello comunitario nel Mediterraneo, cfr. V.M. Donini, La circulation des modèles juridiques dans la région euro-méditerranéenne, in L. Sapio, La riforma delle legislazioni agrarie nei paesi terzi del Mediterraneo, Felici Editore, Pisa 2007.

27. Il Consiglio è composto da membri del Consiglio dell'Unione Europea e da membri della Commissione, nonché da rappresentanti del governo del paese partner, che si riuniscono per esaminare le questioni inerenti all'Accordo, discutere sulle questioni principali e prendere atto dei progressi compiuti, soprattutto per quanto riguarda i processi di smantellamento tariffario. Il Consiglio, che è presieduto a turno da un rappresentante dell'Unione Europea e da un membro del governo del paese partner, oltre a formulare raccomandazioni, ha anche poteri decisionali, vincolanti per le parti, che devono prendere le misure necessarie per l'attuazione di tali decisioni. Inoltre al Consiglio possono essere sottoposte le controversie riguardanti l'interpretazione o l'applicazione dell'Accordo, e la decisione del Consiglio è vincolante. Se non è possibile dirimere la controversia in questo modo, si ricorrerà a un procedimento arbitrale. Al Consiglio è affiancato un Comitato di Associazione, composto da funzionari rappresentanti del Consiglio dell'Unione Europea e della Commissione, e da rappresentanti del governo del paese partner, con l'incarico di gestire l'Accordo fatte salve le competenze del Consiglio. Inoltre il Consiglio può istituire gruppi di lavoro o altri organismi necessari per l'attuazione dell'Accordo, cercando anche di agevolare i contatti tra il Parlamento Europeo e le istituzioni parlamentari del paese partner, nonché tra il Comitato economico e sociale della Comunità e l'istituzione analoga per il paese partner. Ogni Accordo si conclude con le disposizioni finali riguardanti la durata (illimitata), i modi di ratifica ed entrata in vigore, le lingue ufficiali (cioè tutte quelle dell'Unione Europea, più arabo ed ebraico) e una serie di protocolli e allegati tecnici che ne costituiscono parte integrante.

28. Il regolamento di riferimento è MEDA EC/1488/96, emendato poi nel novembre 2000 (2698/2000), il cosiddetto regolamento MEDA II. Nel periodo 1995-1999 MEDA ha stanziato 3.435 milioni di euro sui 4,422 milioni di budget. Per il periodo 2000-2006 (MEDA II) sono stati assegnati 5.350 milioni di euro, ma questi fondi sono incrementati da prestiti dalla Banca Europea per gli Investimenti: per il 1995-1999, i prestiti ammontavano a 4.808 milioni, per il 2000-2007 invece il mandato è di 6.400 milioni. Inoltre la Banca si è impegnata a versare un ulteriore contributo di un milione (che grava sulle proprie risorse, e di cui si assume i rischi) per progetti transnazionali. Tuttavia, per i partner non comunitari si tratta di un aiuto ancora insufficiente rispetto allo sforzo richiesto, soprattutto se si considerano i ritardi nell'erogazione e la difficoltà nell'accesso a questi stanziamenti. Cfr. R. Pepicelli, 2010 un nuovo ordine mediterraneo?, Mesogea, Messina 2004, p. 54.

29. Cfr. P. Brenton - M. Manchin, Trade Policy Issues for the Euro-Med Partnership, Middle East & Euro-Med Working Paper, 7, Centre for European Political studies, Brussels 2003, p. 18: «Trade agreements have had little impact on growth and poverty alleviation in the Mediterranean region. A key reason for this is that agreements between the EU and countries of the region and agreements within the region have been limited in scope and ambition. Significant sectors have been excluded and the agreements have been shallow in terms of the range of regulatory barriers to trade that have been addressed. It is time now to think how the Barcelona process can be made more effective in stimulating trade, growth and poverty reduction».

30. Cfr. M. Nikolinakos, Mediterranean Cooperation: limits and possibility, in Economic Cooperation among the Countries in the Mediterranean Area. Proceedings of an International Conference, Cairo 11-13 November 1998, a cura di P. Tani, Firenze 2001, pp. 191-207. Sulla logica del compromesso, come dominante nei negoziati di Barcellona e alternativa a una vera ottica di partenariato, vedi S. Amin - A. El Kenz, Europe and the Arab World, Zed Books, London/New York 2005, pp. 122 e ss.

31. Vedi anche The Common Strategy of the European Council on the Mediterranean Region del 19 giugno 2000, all'art. 5 della Parte I, che stabilisce: The Europe is convinced that the successful conclusion of the Middle East Peace Process on all its tracks, and the resolution of other conflicts in the region, are important prerequisites for peace and stability in the Mediterranean.

32. Fonte: WTO. Il divario tra le due realtà demografiche si può riscontrare anche nell'abissale disparità di reddito pro-capite che va dai circa 1.297 euro annui di un marocchino ai 47.000 euro di un lussemburghese (dati World Bank e Eurostat).

33. Va detto però che la questione è stata affrontata (ma non risolta) all'ottava conferenza euro-mediterranea, Tampere 2006.

34. Cfr. M. Olivé Elias, Les Politiques Immigratòires de la Uniò Europea I el Procés de Barcelona, Tesi Doctoral, Universitat Rovira i Virgili, Tarragona 2006.

35. Cfr. E. Moxon-Browne,New Wine, Old Bottles, or Both? Regional Integration in the Mediterranean, in Euro-Med Integration and the 'Ring of Friends': the Mediterranean's European Challenge, IV, a cura di P.G.Xuereb, European Documentation and Research Centre, University of Malta, Malta 2003, p. 87, che discute anche dell'accusa di imperialismo culturale eurocentrico mossa all'europartenariato.

36. Per una suddivisione in due livelli sub-regionali, UE-Maghreb, e UE-Mashreq, proponendo un potenziamento del primo livello a discapito del secondo, cfr. C. Liguori, Europa e Maghreb: ipotesi per nuove forme di cooperazione nel quadro del partenariato euro-mediterraneo, Italian Chair Working papers in EuroMediterranean Relations and Politics, July 2001 - ICWP No.02. D'altronde una proposta di diversificazione delle politiche di partenariato, sulla base dell'eterogeneità dei paesi partner del Mediterraneo, non è stata accolta, almeno fino a oggi. Cfr. R. Aliboni, The European Union and the Future Security Relationship with the Maghreb, Istituto Affari Internazionali, Roma, DOC IAI, 1997.

37. Proprio a tale proposito va citato l'accordo di cooperazione tra la CE e i paesi del CCG stipulato nel 1989, in base al quale è stato istituito il Consiglio Congiunto, che si riunisce su base regolare per intensificare i contatti tra le due regioni, rafforzando le relazioni politiche ed economiche, in particolare attraverso la decisione di istituire l'unione doganale entro il 2005. Nonostante la lentezza dei negoziati, dopo il quindicesimo Consiglio Congiunto (svoltosi a Manama, Bahrein il 5 aprile 2005), le parti hanno potuto constatare con soddisfazione qualche reale progresso, sia per quanto riguarda l'incremento degli scambi commerciali tra UE e CCG, sia per quanto riguarda la realizzazione della Zona di Libero Scambio soprattutto in seguito all'ingresso dell'Arabia Saudita nell'OMC (11 dicembre 2005).

38. Cfr. R. Aliboni, Europe's Role in the Gulf: a Transatlantic Perspective, in «The International Spectator», XLI, 2, 2006, pp. 33-50. Vedi anche P. Brenton - M. Manchin,op. cit., p. 15, che evidenziano i potenziali benefici derivanti da un eventuale ingresso dei paesi del CCG nell'europartenariato: «The GCC countries have the most developed financial markets in the region, as a result of their oil wealth, and could be substantial investors throughout the region if barriers to investment and trade were demolished and the incentive to investment improved. The integration of the GCC into the Barcelona process could provide a strong push towards freeing trade between the Gulf and the Mediterranean countries and in promoting regional cooperation».