2010

Il diritto islamico vivente
Le Fatwa dell'European Council for Fatwa and Research

Jacopo Pacini

Premessa

L'organismo dell'European Council for Fatwa and Research costituisce attualmente il più autorevole istituto di promulgazione di Fatwa (1)in ambito europeo. L'ECFR è una fondazione privata con sede a Dublino, istituita a Londra il 29 marzo del 1997 su iniziativa della Federazione delle Organizzazioni Islamiche d'Europa, ed unisce studiosi e pensatori musulmani provenienti da tutto il mondo. L'ambizioso progetto culturale e politico della fondazione è costituito dalla "restituzione" ai fedeli musulmani immigrati in occidente del senso di appartenenza alla Ummah (2), nonché dell'affermazione dell'importanza del diritto islamico anche nell'attuale contesto storico e nella società occidentale contemporanea.

Il suo presidente e fondatore Yusuf al-Qaradawi (3)è però figura controversa nello stesso mondo islamico, tanto che i suoi pareri sono stati duramente criticati da molte associazioni islamiche europee. Dopo aver sostenuto la prima pubblicazione di Fatwa, compiuta nel 2002, l'U.O.I.F. (Union des organisations islamiques de France) si è infatti duramente opposta nel 2005 alla pubblicazione in Francia della seconda raccolta, prendendo le distanze da alcune posizioni elaborate nei responsi, considerate estremistiche (4).

Nel primo decennio del 2000, l'ECFR ha prodotto tre raccolte di Fatwa riguardanti le problematiche del rispetto della legge islamica da parte dei fedeli musulmani che vivono in occidente. Le differenti opinioni espresse nel mondo islamico intorno a queste raccolte pongono numerosi interrogativi circa l'importanza dei pareri stessi e la loro reale incidenza sulla vita dei fedeli. Lo strumento della Fatwa infatti, non avendo il carattere vincolante di una sentenza, necessita del requisito del consenso da parte di coloro che ne recepiscono il contenuto, perché non vi è nessuna autorità umana che può garantirne l'applicazione coattiva.

Inoltre l'intrinseca potenzialità disgregante dell'emissione della Fatwa pone, rispetto ai quesiti sollevati all'ECFR, la necessità di una ulteriore e più approfondita riflessione sull'effettività delle autorità giuridico-religiose islamiche all'interno dello specifico alveo confessionale. La nuova giurisprudenza islamica emessa in territorio europeo delinea un nuovo corso della presenza musulmana in Europa che, dopo mezzo secolo di emigrazione, vuole stabilizzare la permanenza nel territorio occidentale attraverso forme consone alla legge sacra. I quesiti rivolti al giovane organismo islamico sono formulati da individui di fede islamica, in maggioranza immigrati, ed hanno ad oggetto prevalentemente quegli istituti del diritto islamico collidenti con i modelli giuridici tipici della tradizione europea. Il contenuto dei responsi acquista in questo senso una notevole importanza per l'attività degli imam (5) europei in quanto funge da direttiva generale per l'attività che questi operatori sono chiamati a svolgere rispetto alle proprie comunità di fedeli. Il responso-fatwa verrà infatti recepito dal fedele che ha posto il quesito anche alla luce delle spiegazioni e delle argomentazioni che questi richiederà al soggetto che svolge il ruolo di imam in ambito locale. Appare quindi evidente quanto sia decisivo il ruolo dell'imam al momento di collegare il contenuto tecnico-giuridico della Fatwa con il contesto sociale e culturale dove il fedele vive, attuando di volta in volta un collegamento pratico tra l'indicazione della legge sacra ed il tessuto civile. Attraverso la promulgazione di fatwa e con il contributo degli imam la comunità musulmana ha la possibilità di costruire un Islàm europeo che sia realmente integrato nelle società in cui agisce anche dal punto di vista giuridico-religioso, oltre che sociale, mantenendo salda l'aderenza al dettato divino e sviluppando la vita comunitaria in completa sintonia con gli ordinamenti giuridici occidentali.

Di seguito viene proposta una selezione di alcune pronunce rese a musulmani residenti in Europa con particolare riferimento a quegli istituti giuridico-religiosi che, per lo meno ad avviso di chi scrive, pongono maggiori spunti di riflessione. Il metodo utilizzato ha seguito un'impostazione analitica volta ad evidenziare le implicazioni pratiche della rigorosa appartenenza confessionale e giuridica islamica rispetto al tessuto normativo civile e laico. Il testo promulgato dall'ECFR utilizza una grammatica piuttosto semplificata e la traduzione che ho proposto vuole sostanzialmente restituire fluidità al discorso senza peraltro aggiungere alcun elemento; la versione inglese viene riportata in nota e per ciascun parere segue un breve commento con cui si è cercato di evidenziare le note più significative sia sotto il profilo dell'applicazione del diritto islamico, sia delle sue possibili ricadute sulle civiltà d'accoglienza.

Fatwa n. 5 (First Collection, III Session).La raccolta e la distribuzione di Zakat delle varie organizzazioni benefiche

Il Concilio ha esaminato la questione e ha concluso che è permesso alle organizzazioni benefiche di raccogliere Zakat dai suoi sostenitori e conseguentemente distribuire Zakat attraverso otto modalità. Questo quesito è dovuto alla necessità per i musulmani di organizzare le loro vite sempre come se essi fossero solo in tre, come menzionato in un Hadith: «Se voi foste tre a viaggiare, scegliereste uno di voi come leader», ed ancora di più questo atto è un implementazione all'ordine di Allah che i musulmani cooperino in tutto ciò che è buono e pio.

Raccogliere e distribuire Zakat è un ulteriore sostegno all'Islàm e non dipende in nessun modo dalla presenza o meno di un califfo, coerentemente alla testimonianza di Allah onnipotente nel Sacro Corano «Temi Allah al limite delle tue capacità», ed il Profeta «se io ti ordino qualcosa, fallo al meglio delle tue possibilità». Inoltre se noi non possiamo adempiere ai doveri del califfato, mentre ci occupiamo di altri doveri e obblighi, bisogna fare come ha comandato Allah onnipotente, ed il suo Profeta, pace all'anima sua, ossia ciò che è importante: assolvere alcuni doveri, ma non significa doverli assolvere tutti. E' significativo notare che i musulmani durante il periodo della Mecca, erano obbligati a pagare Zakat, come testimoniano in vari versi dei capitoli della Mecca, nel Sacro Corano, malgrado il fatto che lo Stato islamico della Medina non fosse ancora stato istituito. (Precise condizioni dello Zakat, come noi sappiamo oggi, furono stabilite e decretate alla Medina) (6).

Fatwa n. 7 (Second Collection, III Session) Organizzazioni caritatevoli che ricevono soldi da interesse individuale o dalle banche, pubblicità e conti designati per tale denaro

Quasi tutti i musulmani in occidente trovano indispensabile aprire conti bancari con banche che praticano l'usura o riba come pratica standard. E cosi vengono praticati interessi su questi conti. Un musulmano può optare per :

  1. Lasciare il denaro in banca in attesa di inviarlo ad altri musulmani, e questo genera interessi che le banche impiegano per supportare attività non approvate dall'Islàm.
  2. Spendere i propri soldi in varie iniziative di beneficenza.

Questi soldi vengono considerati haram (illeciti) quando vengono accumulati o spesi. Il denaro non è considerato haram in sé. Di conseguenza è in una situazione haram la persona che ha accumulato soldi esclusivamente per un uso personale, mentre il denaro non è haram se è impiegato per la carità verso i poveri. In proposito il Concilio dice che è permesso ottenere soldi da istituzioni private o banche in favore delle organizzazioni di beneficenza. Comunque queste organizzazioni caritatevoli devono evitare il più possibile di fare riferimento alla fonte, poiché queste operazioni sono divenute cosi complicate da diventare praticamente contrarie alla Legge Sacra. E' anche possibile aprire un conto per raccogliere questi soldi (7).

Commento

Tra i precetti più prettamente religiosi, che riguardano il rapporto tra l'uomo e il divino, si situano i cinque pilastri dell'Islam, comandi immutabili di Dio per gli uomini (8). Uno di questi precetti fondamentali è costituito dalla Zakat (9): un istituto che obbliga il fedele a condividere i propri beni con gli altri fedeli meno abbienti, realizzando attraverso la solidarietà una reale giustizia sociale (10). Spesso tradotta con elemosina, la Zakāt non ha in sé alcun elemento di volontarietà (per la vera e propria elemosina si usa il termine sadaqa), originariamente era un prelievo sui beni superflui di ciascuno finalizzato ad armonizzare il possesso di una ricchezza materiale al volere divino («Preleva sui loro beni un'elemosina che li purifichi e li mondi» IX,103).

Sempre in ambito economico il Corano (II, 275, 276; III, 30-39) condanna ripetutamente la riba (11) e quindi nella presente Fatwa si indica come illecito il deposito di denaro presso banche occidentali che prevedono il prestito ad interesse. Nonostante ciò il Concilio adottando un Hiyal (12)consente di utilizzare un meccanismo economico occidentale contrario all'Islàm per realizzare un tipico precetto-pilastro islamico: la Zakat, trasformando un disvalore etico in una pratica ossequiosa della Legge Sacra. Il musulmano residente in Europa potrà aprire un conto presso una banca che pratica il tasso d'interesse, purché una volta ricevuto questo eventuale beneficio se ne liberi destinandolo ad una associazione caritatevole per aiutare le categorie più svantaggiate della società islamica.

Nella prassi è preferibile che il fedele versi personalmente la Zakat che può essere destinata anche ad associazioni caritatevoli che se ne prefiggano la redistribuzione, ma questa azione non viene considerata meritoria perché semplicemente obbligatoria. L'importo della Zakat è pari al 2,5% del reddito netto. Nella ipotesi che le somme derivanti da questa pratica affluiscano nelle casse di uno Stato islamico verranno convogliate presso un fondo nazionale istituito per legge, oppure, nel caso delle comunità islamiche in Europa, presso le moschee locali dove gli imam si occupano di gestirle in favore della comunità.

Fatwa n. 13 (Second Collection, IV Session) L'autorizzazione a sposare quattro donne e l'abuso di questa autorizzazione

Prima dell'avvento dell'Islàm era consuetudine sposare molte donne, quante ciascuno ne desiderasse, senza limiti o condizioni. Quando l'Islàm fu rivelato venne stabilito un limite al numero e vennero fissate delle condizioni. Per il numero delle mogli l'Islàm ha stabilito che il numero massimo di donne che un uomo può sposare è quattro come il Corano dice: «Sposa le donne che scegli 2 o 3 o 4». Quando un uomo della tribù di Thaqeef che era sposato con 10 mogli abbracciò l'Islàm, il Profeta Maometto gli impose di scegliere quattro di loro e divorziare dalle altre. Per quanto riguarda le condizioni: l'uomo deve poter essere totalmente giusto e onesto tra le sue mogli, diversamente non può risposarsi. Il Corano dice «ma se temi di non riuscire ad occuparti in maniera soddisfacente di loro, allora sposa solo una donna». Inoltre le condizioni di ciascun matrimonio devono essere presenti così come parimenti la capacità di provvedere alla famiglia e alle necessità sessuali della donna. La ragione per cui è permesso ad un uomo di sposare più di una donna consiste nel fatto che l'Islàm è una religione realistica non basata su nozioni idealistiche, che causano problemi senza soluzione nella vita di ogni giorno. E' probabile che un uomo sposi una seconda moglie per risolvere problemi con la prima, ad esempio se questa non è in grado di curare i bambini o ha problemi di ciclo mestruale e non può soddisfare le necessità sessuali del marito. La prima moglie potrebbe essere malata e cosi invece di divorziare e lasciarla sposa un'altra donna. Questa autorizzazione alla poligamia risolve anche il problema di una vedova, ad esempio, che ha bisogno di un marito che si prenda cura di lei, che non sia giovane e celibe, oppure una donna divorziata con figli. L'autorizzazione a sposare più donne risolve problematiche sociali che sorgono in modo preponderante per donne buone e oneste che vogliono sposare uomini capaci. La poligamia è utile per risolvere i problemi tipici del dopoguerra. In questo caso la donna sceglie una delle tre possibilità:

  1. che rimangano non sposati per il resto della loro vita, che sia tolta alla donna la possibilità di essere una moglie e una madre, e ciò è una grande ingiustizia
  2. che soddisfino le loro necessità sessuali senza riguardo per i decreti religiosi e per un comportamento accettabile, il che risulterà una tragica perdita morale in questa vita e nell'altra
  3. che si possano sposare affinché le loro vite possano incontrarsi e le necessità sessuali esser soddisfatte e che l'uomo sia fiducioso e capace di condurre onestamente e giustamente il matrimonio con queste donne.

Questa autorizzazione alla poligamia è però spesso abusata da alcuni uomini, è increscioso che molte regole siano usate in maniera inadeguata. Ciò non significa comunque che si debbano cancellare queste regole. Ci sono anche uomini che abusano della loro prima e unica moglie e ciò deve farci cancellare e abolire il matrimonio nella sua interezza? Noi vediamo che gli Stati strumentalizzano le elezioni, quindi dovremmo abolire questi processi? Noi troviamo spesso autorità o governi corrotti, così sarebbe accettabile cancellare l'autorità e lasciare che la società cada nel caos? Sarebbe meglio chiedere l'abolizione di certe leggi volte a porre limiti e regole, e ciò potrebbe diminuire la possibilità che tali leggi vengano fuorviate (13).

Commento

La poligamia, o meglio la poliginia (dato che per le donne si ritiene comunemente non accettabile una speculare poliandria), è un istituto tipico del diritto islamico ed uno dei più collidenti con il senso comune occidentale, che si rifà ad un modello monogamico di matrimonio mutuato dalla tradizione cristiana. Attualmente la società musulmana sembra rivolgere maggior attenzione alla disparità giuridica dei coniugi nel matrimonio poligamico, riconsiderando criticamente ed in senso restrittivo il versetto del Corano IV, 3 (14). Il Concilio non sembra in linea con questa tendenza e cerca di evidenziare gli aspetti positivi e di giustizia sociale perseguiti tramite il rispetto di questo istituto.

Se la società occidentale identifica nel matrimonio monogamico una garanzia per l'uguaglianza dei sessi, la società musulmana individua tale garanzia nella capacità dell'uomo di essere "giusto" con le varie mogli (15).

Nella lingua araba non si rinviene un termine specifico per indicare l'antico istituto della poligamia che proviene direttamente dalla tradizione tribale delle popolazioni arabe ed africane che ne facevano largo uso già in epoca pre-islamica (16). La poligamia è dunque un atto lecito halal ma oltre ad essere vietata da alcune legislazioni islamiche moderne, è considerata una extrema ratio anche dalla maggioranza degli Ulema (17), per i quali questa deve essere esercitata solo in situazioni di necessità e perseguire unicamente il benessere sociale della donna. Nel mondo islamico la poligamia è oggi in netto regresso e persiste prevalentemente in nord-Africa ed in Medio-Oriente, dove comunque viene scoraggiata dal punto di vista legislativo (18); la poligamia più diffusa resta di carattere diacronico (ossia gli uomini prendono una nuova moglie quando la prima comincia ad invecchiare) e può essere definita come un matrimonio «monoandrico poliginico simultaneo». E' interessante rilevare nella prassi giurisprudenziale europea l'applicazione di un «ordine pubblico attenuato» (19)legato a questo specifico istituto, che ha permesso il riconoscimento di situazioni che non avrebbero potuto formalmente costituirsi negli Stati europei (ad esempio sono stati riconosciuti alla seconda moglie e ai figli del secondo matrimonio la titolarità dei diritti alimentari, dei contributi previdenziali, fino al riconoscimento del diritto di soggiorno in capo a due mogli) (20).

Nella pronuncia dell'ECFR si sottolinea più che mai l'attualità del matrimonio poligamico in quanto si afferma che esso persegue la realizzazione di una necessità umana, assecondando al contempo le tendenze sessuali della parte maschile e la garanzia di sostegno per quella femminile. L'impostazione del Concilio sembra in questo caso avallare una qualificazione di minore importanza delle necessità sessuali della donna cui sembra spettare unicamente il diritto ad un sostegno economico. L'utilità pragmatica dell'istituto viene inoltre affermata «per risolvere i problemi del dopoguerra» in modo tale che l'eventualità non viene posta come remota o storicamente giustificata, ma plausibile anche per le vicende attuali rendendo, a mio avviso, problematica l'argomentazione nel suo complesso. Se si ritiene infatti che i dotti islamici si riferiscano alle comunità musulmane che vivono in zone di guerra, il senso del riferimento alla poligamia può diventare plausibile da un punto di vista logico; d'altro canto se si riflette sul fatto che tali pronunce vengono rese in un contesto europeo pare quantomeno fuori luogo un riferimento ad ogni sorta di conflitto bellico. La riproposizione dell'unione poligamica in ambito europeo solleva numerosi dubbi anche rispetto alla recente politica dell'Islàm moderato e progressista che aveva lentamente circoscritto il ricorso a questo istituto, qualificandolo come una pratica ormai in netto declino e destinata a scomparire. Con la Carta europea dei musulmani presentata a Bruxelles nel 2008 infatti, oltre quattrocento organizzazioni musulmane europee rappresentanti venti paesi, compresa la Turchia, avevano affermato l'uguaglianza tra uomo e donna come un principio fondamentale e definito la famiglia «unita dal legame di matrimonio tra un uomo ed una donna» (art.7 e 8). Se la tendenza ideologica di gran parte dei musulmani europei sembrava convergere intorno ai principi connessi al matrimonio monogamico è necessario chiedersi quale influenza possa avere questa pronuncia del Concilio che sembra riportare il dibattito su posizioni assai lontane nel tempo.

Fatwa n. 15 (Second Collection, III Session) Eguaglianza tra marito e moglie nella relazione matrimoniale

La moglie è uguale al marito nella relazione coniugale. Il Sacro Corano ha chiamato ciascuno la metà di un paio, cosi come ciascuno porta responsabilità e sentimenti all'altro e cosi entrambi formano un paio completo. Osservando ciò che dice Allah «e tra i suoi peccati è questo ciò che egli ha creato per te, i compagni con cui potresti abitare in tranquillità ed egli ha messo l'amore ed il ringraziamento nei vostri cuori». E dal suo statuto «e Allah ha fatto per te i compagni della tua stessa natura e ha fatto per te, fuori di loro figli, figlie e ragazzi e ha provveduto per te al sostentamento migliore». Osserviamo che l'abilità è simile nell'uomo e nella donna cosi non c'è una esclusiva abilità del maschio. Mentre il verso in cui Allah indica l'uomo soltanto, era conducibile allo stato in cui uomo e donna sono uguali senza una relazione coniugale. Allah detta: «l'approccio alle tue mogli, esse sono i tuoi abiti e tu sei il loro». In questo vediamo come Allah descrive il rapporto tra uomini e donne, e ciascuno di loro è l'abito dell'altro in cui è riflessa compattezza, calore, la vicinanza e la bellezza. Comunque questo principio di uguaglianza non contraddice il fatto che siano dovute responsabilità specifiche per ciascun coniuge verso l'altro, cosi come è responsabilità dell'uomo di proteggere e mantenere sua moglie e la sua famiglia. Allah ha stabilito nel Corano: «gli uomini sono i protettori e coloro che mantengono la moglie perché Allah ha dato a ciascuno una preferenza sopra gli altri purché essi siano supportati dai loro mezzi. La bellezza dell'espressione coranica è indicata in «Allah ha dato a ciascuno....» e non dà meramente una preferenza dell'uomo sulla donna. Questo perché gli uomini sono preferiti sotto alcuni aspetti e le donne in altri, per esempio per il lato emotivo della vita. Mentre l'uomo è obbligato a pagare doni materiali oggi detti dowry o mahr (21)per costruire la casa coniugale e mantenerla. Perciò se un uomo fa del male alla propria famigla egli sarà la prima vittima di questa violenza. Il Corano afferma anche che i doveri devono essere adempiuti da entrambi in parti uguali. Allah stabilisce: «e le donne avranno diritti simili ai diritti usati contro di loro, coerentemente a ciò che è equo, ma gli uomini hanno un grado sopra di loro». Cosi è narrato ciò che Ibn Abbas stabilì «Io mi faccio bello per mia moglie come lei si fa bella per me»; l'Imam Al-Tabari spiega il termine daraja (grado) che ricorre nel verso, essendo i doveri e gli obblighi fuori dall'ambito maritale. Il Profeta Maometto colloca la responsabilità su ciascun partner fino al matrimonio come dice Ibn Omar: «e voi siete responsabili del vostro gregge e l'uomo è il guardiano tra i membri della sua famiglia ed egli è responsabile per essi, e la donna è un guardiano nella casa del marito e lei è responsabile di essa». Vi è una responsabilità verso gli obblighi matrimoniali della donna che gioca un ruolo di consigliera e di educatrice verso il marito, cosi lei lo consiglia e gli dedica il meglio del suo tempo. Lei deve richiamarlo a fare del bene ogni volta che sbaglia e gli deve proibire di fare cose sbagliate, come è obbligatorio che ogni musulmano faccia verso gli altri, cosi come un figlio verso il padre, uno studente verso l'insegnante, il cittadino verso il governante. Questa buona raccomandazione e il divieto devono essere citati nei libri degli scolari. Allah dice «i credenti, uomini e donne sono protettori gli uni degli altri, essi godono di ciò che è giusto, fuggono ciò che è sbagliato». Cosi la relazione coniugale che non applica questo annulla l'atto di esaltare il bene e di fuggire il male, ma logora piuttosto il rapporto. Noi impariamo che le mogli dei buoni predecessori ricordano loro prima che lascino la casa per un impegno o per lavoro «attento a non portare al ritorno ciò che è haram (vietato), come noi saremo felici di sopportare il freddo e la fame, non saremo capaci di resistere al calore dell'inferno e all'ira dell'Altissimo». Perciò se una donna trova suo marito non ossequioso nelle sue preghiere, lei lo deve redarguire con modi gentili a mantenere l'impegno delle preghiere, e se lo vede bere alcool gli deve dire di trattenersi, perchè il bere è considerato la genia di tutti i mali. Lei deve anche esortarlo a mantenere la sua religione, la fede, la salute, i bambini e la famiglia e di non compiacere satana nelle sue parole ed azioni.

Rispetto a tale questione il marito gode di alcune autorità sulla moglie, fino a dove si estende questo concetto? La risposta è nell'uguaglianza, ma con nessuna bassezza e senza una assoluta autorità. Piuttosto è una autorità ristretta alle regole della Shari'a e della società presso cui uno vive. Le regole della famiglia sono delimitate dai 2 argomenti nel Sacro Corano:

  1. Restrizione divina da Allah. Questo è riferito nel Corano come «limiti di Allah», accade molte volte di doverlo ricordare nel contesto familiare.
  2. Una umana restrizione «che è riferita come Ma'aroof (buono), che è apprezzata e riconosciuta dalle menti sensibili, persone di buon gusto e sagge». Cosi per la prima restrizione, leggiamo dal Corano in relazione al divorzio: «ci sono limiti imposti da Allah cosi non trasgrediteli, se trasgredite i limiti di Allah, offendete voi stessi e gli altri». In un altro verso Allah dice:«questi sono i limiti di Allah che egli ha illustrato alla gente che sa» e in un altro «chiunque trasgredisce i limiti di Allah fa davvero un'offesa alla sua anima». Cosi per la seconda umana restrizione Allah impone «vivi con loro in un cammino di dolcezza e di equità» e «ma egli sopporterà il costo del loro cibo e dei loro vestiti» e «ciascuno riprenda le cose in termini uguali o renderli liberi in ugual maniera» e «per la donna divorziata è conveniente un regalo». Cosi le questioni importanti riguardo la famiglia devono essere risolte tra moglie e marito, il Corano ha sottolineato questo nel contesto dello svezzamento del bambino: «Se entrambi decidono sullo svezzamento con reciproco consenso non c'è colpa per loro. Comunque se essi falliscono nel raggiungere un accordo, allora il marito avrà l'autorità di decidere, ma entro i limiti del Ma'roof». Il marito non forza sua moglie a fare niente, semplicemente deve soddisfare i suoi desideri sotto la pretesa dell'obbedienza al marito. E' corretto dire che la moglie deve obbedire a suo marito coerentemente al Corano che sottolinea il giuramento dell'obbedienza data dalla donna al Profeta «ed essi non disobbediranno a te in nessuna questione». L'Hadith ha anche stabilito che «l'obbedienza è veramente cosa giusta» (22).

Commento

Si può affermare che nel diritto di famiglia islamico vi sia una particolare persistenza delle disposizioni divine nella vita civile e nei sistemi giuridici (23). Nell'architettura giuridica islamica infatti, e soprattutto nelle legislazioni musulmane odierne, le disposizioni riguardanti la famiglia sono anch'esse riconducibili al dettato divino e, come tali, indisponibili al legislatore civile. L'esiguo spazio concesso agli uomini per legiferare in questo ambito e la volontà dei vari legislatori moderni di non violare le disposizioni religiose, costituiscono infatti alcune delle ragioni che hanno portato alla creazione degli "statuti personali".

Il nikah (matrimonio islamico) è essenzialmente un negozio giuridico e la sua sacralità consiste nell'essere un gesto meritorio nei confronti di Dio, ma non obbligatorio. Se il matrimonio cristiano è un vero e proprio sacramento, quello musulmano ricorda maggiormente il concetto romano di «divini et humanis iuris communicatio» (24). Il matrimonio islamico è un contratto civile, riferibile alla categoria delle Mu'amalat (questioni di vita sociale), quindi considerato halal, ed essendo particolarmente favorito da Dio si avvicina decisamente alla categoria delle 'Ibadat (precetti religiosi). Infatti se il fedele musulmano dispone di un buon patrimonio è obbligato (wajjib) a contrarre matrimonio, mentre, se teme di non poter garantire la felicità e la sicurezza economica della moglie, non può sposarsi o compirebbe un atto haram contrario alla Shari'a. L'importanza dell'istituto matrimoniale è confermata dalla permanenza come reato, nel diritto penale islamico, degli atti sessuali compiuti fuori del matrimonio, tanto che alcune comunità sciite, per rendere legali i rapporti sessuali legati alla prostituzione, hanno elaborato il mut'a, un matrimonio a tempo che legalizza totalmente gli effetti dell'unione di breve durata, per cui anche gli eventuali figli vengono considerati legittimi.

Il contratto civile con cui i nubendi stipulano il matrimonio ha carattere bilaterale e si perfeziona attraverso l'accettazione (qabul) di un'offerta (ijab), anche se la sinallagmaticità è per certi versi squilibrata, come vedremo in seguito. Perché il matrimonio nikah sia valido sono necessari quattro elementi: la costituzione del donativo nuziale mahr, la capacità giuridica ed il consenso degli sposi, l'intervento del wali o tutore. Per quanto riguarda la cerimonia, non rinvenendosi precise disposizioni nel dettato coranico, essa rimane un mero rituale che può anche considerevolmente cambiare a seconda dei contesti locali.

La pronuncia del Concilio, che premette in modo netto l'affermazione dell'uguaglianza tra marito e moglie, non descrive tuttavia una piena parità dei diritti nella vita coniugale, ma afferma piuttosto una differenziazione delle competenze tesa al raggiungimento di un equilibrio tra i coniugi, fermo restando che l'attribuzione dei rispettivi generi viene effettuata da autorità maschili ed in ogni caso con la riproposizione di un'idea autoritaria e patriarcale della donna che mal si concilia con la visione europea dei rapporti tra i sessi. Tale sperequazione del principio di parità di genere determina il delinearsi di una uguaglianza "differenziata" in ragione di un delicato intreccio di specifiche competenze, ciascuna riferita alle qualificazioni attribuite dalla tradizione islamica ai sessi.

Sul fronte dell'uguaglianza si gioca quindi un importante confronto della dottrina musulmana con gli ordinamenti europei come con quello nazionale: se si ritiene che la famiglia islamica poggi sulla netta subordinazione della donna (25) nei confronti del marito, il nostro ordinamento, in forza del principio costituzionale espresso dall'art. 3, non potrà integrare tale impostazione neppure quando la si consideri epressione di un dettato religioso (26).

Fatwa n. 17 (Second Collection, III Session) Decisioni sul divorzio sentenziato da un giudice non musulmano

Il principio è che un musulmano ricorre ad un giudice musulmano o ad un soggetto deputato preposto in occasione di un conflitto. Comunque l'assenza di un giudice islamico in un paese non musulmano è dovuto al sistema giuridico di questi paesi. E' imperativo che un musulmano che ha contratto matrimonio in questi paesi con le rispettive leggi, deve conformarsi ad esse e alle regole del giudice non musulmano per il divorzio. Le leggi erano accettate così come il regime che regola il contratto di matrimonio, dunque il soggetto ha implicitamente accettato tutte le conseguenze, includendo che il matrimonio potrebbe non essere sciolto senza il consenso di un giudice. Questo caso è simile a quello in cui il marito dà autorità al giudice di fare questo; se egli si comporta cosi è comunemente accettato dalla maggior parte degli studiosi. La giurisprudenza Fiqh applica il principio che qualsiasi pratica di accordo è un contratto. Anche rendere effettive le decisioni di un giudice non musulmano è una questione accettabile; esso rientra nell'ottenere ciò che è considerato essere di interesse e di trattenere ciò che è considerato un danno morale e ciò che può creare caos, come stabilito da più di uno dei più esimi studiosi come Al-I'zz Ibn Abdul Salam, Ibn Taymiyyah e Al-Shatibi (27).

Commento

«L'uomo benestante che non prende moglie non appartiene a me» recita un Hadith (28) che nello stesso tempo condanna duramente il celibato «quelli che vivono da celibi sono della peggior specie, quelli che muoiono celibi sono della più ignobile» ed ancora «non v'è celibato nell'Islam».

Tecnicamente il contratto di matrimonio si ratifica alla presenza di due testimoni (maschi, puberi, sani di mente e musulmani) e, di solito, di un qadi o di un giudice, non necessariamente in una moschea. I requisiti minimi di età non sono stabiliti dal diritto islamico così che essi possono variare in ragione delle diverse tradizioni popolari (le soluzioni maggioritarie prevedono 15/17 anni per la donna e 15/18 per l'uomo). La donna, pur essendo in una posizione di inferiorità rispetto all'uomo, in seno al matrimonio rimane, dal punto di vista giuridico, completamente capace di agire ed il suo status non si modifica, salvo il caso della minorenne che invece si emancipa. Per quanto riguarda il requisito del consenso, mentre l'uomo può concludere direttamente il contratto, in presenza di tutti i requisiti, la donna pur in presenza di questi, non può esprimere direttamente il proprio consenso, ma deve ricorrere alla rappresentanza del tutore matrimoniale. Dal punto di vista di teoria generale, occorre riflettere sulla radicale differenza ontologica dell'unione matrimoniale nei sistemi giuridici islamico ed occidentale. Infatti, mentre nella tradizione di diritto canonico il matrimonio assurge a sacramento, nella tradizione islamica invece la Shari'a attribuisce grande importanza alla legalizzazione dei rapporti sessuali a fianco dei rispettivi doveri.

Sciogliere un matrimonio è secondo un Hadith di Maometto «la cosa più odiosa, tra quelle lecite, agli occhi di Dio». Nelle sure II, 226-237 e LXV, 15 il Corano ne determina però le procedure, che sono poi state sviluppate dalla legge islamica che non ha mai considerato il matrimonio come un vincolo indissolubile (29). Il matrimonio islamico può essere annullato in tre modi: con il ripudio della moglie da parte del marito (talaq); per mutuo consenso (khul); su richiesta del marito o della moglie ma solo per gravi motivi (tafriq), quali la sterilità, l'impotenza, i maltrattamenti, etc. Il divorzio deve comunque essere preceduto da tentativi di riconciliazione (IV, 35) così come previsto in molte legislazioni civili moderne. L'annullamento dovuto al ripudio diventa definitivo dopo che il marito ha atteso tre cicli mestruali (idda). Questo periodo è previsto per favorire la riconciliazione dei coniugi (a meno che il ripudio non sia già stato esercitato tre volte). L'effettività del divorzio per mutuo consenso si perfeziona non appena marito e moglie giungono ad un accordo in tal senso. Quanto al divorzio ottenuto per via giudiziaria su richiesta della moglie, le procedure variano secondo le scuole giuridiche. Attualmente in alcuni paesi islamici, al fine di proteggere la moglie, il divorzio è stato sottratto all'arbitrio del marito ed incardinato in precise disposizioni di legge civile; in questi paesi è così legalmente valido solo quello concesso dai tribunali civili. Le legislazioni islamiche moderne hanno quindi allargato il novero delle situazioni legittimanti la richiesta di divorzio ed hanno previsto, oltre a quelle che si riferiscono a vizi che rendono impossibile il rapporto sessuale (castrazione, impotenza, malattie etc.etc.), anche altre cause tipiche, quali la mancanza di autorizzazione al matrimonio poligamico, l'assenza delle formalità di legge, la violenza, e soprattutto la causa atipica del dissenso.

In linea con questa tendenza sembra muoversi il parere dell'ECFR che oltre a ribadire la subordinazione dei fedeli musulmani alla legislazione civile dei paesi dove questi concludono contratti, accordi o il matrimonio ne riconosce implicitamente il valore, in ragione del consenso prestato dall'individuo di fede islamica. Come cittadini i musulmani sono tenuti a collaborare con le istituzioni per il bene comune di tutti in linea con l'insegnamento del maestro musulmano Shaykh Abu al-Hasan ash-Shadili «Senza Profeti, non avresti modelli spirituali; senza sapienti, non avresti potuto conformare la tua vita alla Legge Sacra; senza i governanti, tu non ti troveresti in una condizione di sicurezza» (30).

Fatwa n. 28 (Second Collection, V Session) Alcool e bevande

Quesito: Siamo arrivati a capire che tutte le tipologie di soda contengono una quantità d'alcool, in ragione di pubblicazioni accademiche elaborate negli Stati Uniti. Le leggi sui cibi e bevande in America dicono che se la quantità di alcool in una bevanda è meno di 0,5%, allora la bevanda non è considerata alcolica. Inoltre le leggi permettono alle compagnie di produzione di cancellare questi contenuti se questi sono di quantità minima. E' permesso ad un musulmano consumare bevande che contengono tale quantità di alcool?

Risposta: Questa quantità di alcool, se provata e certa forma un ingrediente di queste bevande, non trasforma alcuna bevanda da halal in haram. Ciò può essere dedotto dal Profeta Maometto: «Se una bevanda causa intossicazione quando è consumata in grande quantità, anche consumarla in piccole quantità (quindi senza pervenire ad una intossicazione) è considerato ugualmente un gesto Haram». Questo è un autentico insegnamento narrato da Abu Dawood e da Al-Timrizi e dall'insegnamento di Jaber Ibn Abdullah, come anche è narrato da Al-Nasa e Ibn Maja e Abdullah Ibn Amr. La chiara indicazione del Profeta è che una bevanda viene considerata halal se non causa intossicazione, pur avendone consumata una notevole quantità. Nei fatti queste bevande non causano alcuna intossicazione, qualsiasi quantità venga consumata, quindi non è importante scoprire di quali ingredienti sia composta, se essi non influiscono sui cibi interessati o sull'ammissibilità delle bevande (31).

Commento

Il rispetto delle prescrizioni alimentari da parte dei fedeli musulmani costituisce indubbiamente uno degli aspetti più caratterizzanti della vita islamica. Per quanto riguarda l'alcool, il Corano parla del vino khamr anche in modo positivo («in Paradiso scorrono fiumi di vino delizioso» ILVII, 15 che «non eccita al peccato» LII, 23), benché generalmente si ritenga il contrario. Il suo consumo, in terra, costituisce però un peccato (II, 219) e la preghiera è vietata a chi è ubriaco (IV, 43) (32).

Nonostante questi divieti il vino, specialmente quello di uva passa, di datteri o di orzo fermentati nabdh (lecito per gli hanafiti (33)) è sempre stato usato più o meno legalmente dai musulmani. Occorre inoltre ricordare che nell'ambito del ramo mistico dell'Islàm, nel sufismo, il vino costituisce addirittura il simbolo dell'amor di Dio. Intorno al tema del consumo di bevande fermentate ed alcoliche si sono sviluppate numerose teorie nella dottrina islamica; la corrente maggiormente conservatrice ritiene che l'esplicito divieto contenuto nel Corano non riguardi unicamente il vino perché all'epoca del Profeta questo costituiva l'unica bevanda alcolica, come invece ritengono le correnti progressiste, ma che oggi tale divieto debba essere esteso per analogia (Qiyas) (34) a tutte le altre bevande che contengano una percentuale di alcool. Alcune altre tradizioni interpretative muovendo dall'indicazione coranica (XVI, 67 «dai frutti dei palmeti e delle vigne ricavate bevanda inebriante e cibo eccellente. Ecco un segno per coloro che capiscono.») ritengono che il divieto divino riguardi unicamente l'uso smodato delle bevande alcoliche e la conseguente intossicazione, anche sulla base dell'indicazione contenuta nel Corano: «O Figli di Adamo, abbigliatevi prima di ogni orazione. Mangiate e bevete, ma senza eccessi, ché Allah non ama chi eccede» (VII, 31).

Nel parere dell'ECFR la presenza di alcool nelle bibite indicate come analcoliche viene considerata lecita halal perché non conduce a ciò che è vietato dalla Shari'a: l'abuso di alcool e l'ubriachezza. Inoltre l'esigua percentuale di alcool che può essere rintracciabile nelle bevande non deve, secondo la prevalente interpretazione, essere considerata illecita se il fedele musulmano la consuma nella completa convinzione (buona fede) di non assumere una sostanza alcolica.

Fatwa n. 2 (Second Collection, V Session) Decisione legale riguardo al cibo e ai prodotti di pollame venduti da non musulmani in Europa

Il Concilio ha discusso a lungo questo argomento perché questo è al centro di un grande interesse ed è sovente dibattuto tra i musulmani. Il Concilio ha concluso che è necessario rispettare le condizioni di macellazione in accordo alla Shari'a islamica, cosicché i musulmani possano compiacere al Signore, proteggere la loro identità dalla corruzione e dal consumo di carne contrario alla Legge sacra.

Avendo esaminato i vari metodi di macellazione, molti di essi constano di atti illegali che portano alla morte molti animali, soprattutto il pollo. Il Concilio ha deciso che è illegale consumare carne di pollo e manzo, mentre la carne di agnello, capra e vitello è ammessa al consumo se, tali animali, sono stati macellati col metodo previsto dalla Shari'a. Il Concilio raccomanda quindi a tutti i musulmani di accertare questo tipo di macellazione, in maniera tale che possano soddisfare le loro necessità e proteggere la loro identità religiosa e culturale. Il Concilio invita i governi dell'Occidente a riconoscere gli aspetti di vita religiosa dei musulmani, in accordo alla Shari'a islamica, come viene fatto con altre comunità religiose come gli ebrei. Il Concilio inoltre invita i paesi islamici ad esportare carne macellata col metodo della Shari'a, carne che è controllata e amministrata dai centri islamici certificati, attraverso tutto l'Occidente europeo (35).

Commento

La macellazione rituale è prevista espressamente dal Corano (II, 173). Perché la carne degli animali sia lecita halal (36) e possa essere mangiata dai musulmani, gli animali devono essere macellati secondo un particolare rito e soltanto da individui di fede islamica. Colui che compie il rito deve pronunciare l'invocazione «nel nome di Dio, Dio è grande» (bismi' Llah! Allah hu Acbar!) e recidere con un unico gesto la vena giugulare e la trachea dell'animale in modo da dissanguarlo completamente. L'ECFR coerentemente a questa interpretazione indica il rispetto delle prescrizioni alimentari, invitando poi gli stati occidentali a permetterne l'esercizio. Un buon musulmano infatti deve costantemente controllare la provenienza della carne di cui si ciba e per questo il Concilio auspica che in territorio europeo si possano trovare in sempre maggiore quantità, carni macellate secondo il rituale religioso, anche promuovendone l'importazione dai paesi islamici. Occorre inoltre ricordare che il Corano, nella sua impostazione pragmatica, prevede che in mancanza di carne halal i musulmani possano cibarsi anche di altra carne aggiungendo poi che «è lecito il cibo di coloro che hanno ricevuto il Libro» (V,5) e quindi anche dei Cristiani, anche se l'ECFR sembra non farne volutamente menzione.

La direttiva europea 74/577 Cee e la Legge 2 agosto 1978 n. 439 ed il successivo D.M. 11 giugno 1980 sull' "Autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti religiosi ebraico ed islamico" attribuendo la natura di ente morale al Centro Islamico Culturale di Roma, riconosce le esigenze religiose rituali in materia alimentare. La Direttiva in questione poneva dei punti di frizione solo riguardo il previo stordimento degli animali, tale obbligo non trovava menzione nel successivo decreto, purché fossero adottate «tutte le precauzioni atte ad evitare il più possibile la sofferenza degli animali...» (art. 3). La successiva Direttiva 91/497 Cee del 19 luglio 1991 in tema di macellazione e commercializzazione delle carni ha ribadito l'obbligatorietà del preventivo stordimento degli animali. In Italia il D.lgs. n.333 del 1 settembre 1998 ha recepito la Direttiva, prevedendo la competenza dell'autorità religiosa in materia di applicazione e controllo delle disposizioni particolari relative alla macellazione secondo riti religiosi, ma sempre sotto la responsabilità del veterinario ufficiale dell'Azienda sanitaria locale (art. 2 primo comma lett. h).

Per quanto riguarda il rispetto dell'alimentazione halal nei luoghi pubblici quali le carceri, gli ospedali e le mense scolastiche, questa, pur essendo generalmente prevista, necessita di un continuo impegno da parte delle amministrazioni locali per il suo effettivo rispetto. Per questo occorre guardare con interesse ad una Carta dei Servizi Pubblici che possa definitivamente garantire il rispetto ed aggiornare gli standard qualitativi, riguardo alle esigenze alimentari di tutti i cittadini secondo le diverse fedi religiose. La problematica della macellazione rituale e della richiesta da parte delle comunità islamiche di poter ricevere carne halal presso le mense pubbliche, ha costituito un nodo controverso anche in Francia durante il decennio scorso. Lo Stato francese, pur regolarizzando la pratica della macellazione rituale (autorizzata con l'Accordo tra repubblica francese e Comunità islamiche del 1996), non ha consentito l'istituzione di mense pubbliche differenziate a livello generale, paventando la creazione di "ghetti alimentari", in cui i sottogruppi culturali si sarebbero isolati in base alla scelta del cibo.

Fatwa n. 21 (Second Collection, III Session) Sulla sepoltura di un musulmano in un cimitero non musulmano

Vi sono principi legali certi concernenti la morte dei musulmani cosi come lavare il corpo, avvolgerlo nel suo sudario, recitare le preghiere Janazh (rituali) per lui e seppellirlo in cimiteri musulmani. Questo perché i musulmani hanno la propria via di sepoltura e preparazione della tomba, cosi in semplicità, verso la Qibla ( lett. «orientamento» verso la Mecca), evitando l'imitazione dei politeisti.

E' risaputo che ogni comunità religiosa ha il proprio cimitero, gli ebrei hanno i loro cimiteri cosi come i cristiani e i pagani; perciò è naturale che i musulmani abbiano anche loro il proprio cimitero. I musulmani vivendo in un paese non musulmano possono trovare, attraverso canali appropriati, il proprio cimitero, qualora sia possibile e questo renderebbe dignitosa la loro presenza e preserverebbe la loro personalità. Se essi non riuscissero ad avere il loro cimitero almeno separato, avrebbero un piccolo posto dentro un cimitero non musulmano in cui seppellire i loro morti.

Se entrambe le alternative non sono disponibili e un musulmano muore, egli potrebbe essere sepolto ovunque sia possibile anche in un cimitero non musulmano, Allah non pesa sulle possibilità di una persona. Seppellire un musulmano in questo caso nel cimitero di non musulmani non gli provocherebbe alcun torto, quello di cui beneficerà il musulmano nell'aldilà saranno lo sforzo e le giuste azioni, e non il piccolo posto dove egli è sepolto «non ciò che l'uomo ha, ma per cosa si è sforzato di raggiungere», Salman Al-Farisi (possa Allah essere lieto di lui) disse: «La terra non santifica nessuno, ma le azioni di quella persona lo santificano». Inoltre seppellire il deceduto nel posto dove muore è la pratica maggiormente raccomandata dalla Shari'a, e ciò è più facile che trasferire il morto in paesi islamici, questo causerebbe difficoltà e costi notevoli.

Se il cimitero islamico è lontano dalla residenza della famiglia del deceduto, non sarà una scusa accettabile il seppellirlo in un cimitero non musulmano per andare a visitarlo, è raccomandato principalmente per il bene del visitatore di ricevere ammonizioni e di imparare una lezione come confermato dal Profeta: «vi domandai di non visitare le tombe ma adesso vi esorto a visitarle, perchè il cuore tenero e gli occhi pieni di lacrime fanno ricordare l'aldilà (narrato da Ahmad e da al-Hakim, con autorità su Anas)». Un musulmano può pregare per la persona morta e chiedere perdono per lui e la ricompensa della grazia di Allah arricchirà lui ovunque potranno essere effetuate le richieste di perdono (37).

Commento

La Shari'a e la tradizione musulmana prevedono che il cadavere debba essere accuratamente lavato, quindi avvolto in lenzuoli funebri in numero dispari. In seguito è prescritto di recitare la "preghiera della sepoltura" che consiste in una formula rituale con l'aggiunta di invocazioni per i defunti; quest'ultima può essere recitata sia presso l'abitazione del defunto, sia presso la moschea. Il defunto viene poi condotto sulle spalle (gesto meritorio) dalla moschea al cimitero (prima di ultimare la sepoltura viene pronunciata la professione di fede Shahada). Nel cimitero il defunto è deposto nella tomba sul lato destro e con il volto posto in direzione della Mecca. Pur non essendo vietato l'uso della cassa da morto, i defunti vengono comunemente seppelliti semplicemente avvolti nei loro lenzuoli funebri. Quest'ultimo aspetto costituisce il principale motivo di frizione con le normative europee in tema di aree cimiteriali.

L'opinione dell'ECFR volge nuovamente in senso pragmatico perché considera halal, lecita, ogni sepoltura, in ragione delle considerazioni economiche e della ubicazione geografica dei fedeli. L'interesse dei dotti islamici si sofferma infatti sulla valorizzazione dei principi religiosi che vengono posti al di sopra di qualsiasi condizione fisica, geografica ed economica. Per i numerosi immigrati musulmani non è necessario sostenere forti spese per ricondurre in territorio islamico il proprio corpo dopo la morte. Il Concilio ritiene infatti che non sia importante il luogo dove il corpo del fedele riposi ma piuttosto la qualità delle azioni che questi ha compiuto in vita, ribadendo con questa indicazione che il fedele musulmano deve sforzarsi principalmente di compiere azioni giuste e non concentrarsi sugli aspetti formali delle indicazioni religiose. Inoltre rivolge un ulteriore invito al legislatore europeo, perché renda legale la costruzione di cimiteri musulmani anche nel territorio europeo.

In ambito italiano il D.P.R. del 10 settembre 1990 n.285 (Approvazione del regolamento di polizia mortuaria) prevede al capo XX, riguardante i reparti speciali entro i cimiteri, all'art. 100 che «i piani regolatori cimiteriali di cui all'art. 54 possono prevedere reparti speciali e separati di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico. Alle comunità straniere, che fanno domanda di avere un reparto proprio per la sepoltura della salme dei loro connazionali, può parimenti essere data dal sindaco in concessione un'area adeguata nel cimitero», dimostrando come il nostro ordinamento esprima piena apertura alla professione del culto anche post mortem. In ambito locale però tale concessione è rimessa alla discrezionalità del sindaco che "può" conferire un'area specifica del cimitero comunale, di modo che ogni amministrazione deciderà per suo conto se acconsentire o negare questo diritto, spesso in ragione del proprio indirizzo politico (38). Il principale aspetto problematico rimane comunque la mancanza, nella tradizione islamica, dell'uso di un contenitore per il cadavere predisposto all'inumazione; l'art. 74 della citata legge prevede infatti che «ogni cadavere destinato alla inumazione deve essere chiuso in una cassa di legno e sepolto in fossa separata dalle altre,..». Tuttavia il successivo art. 75, pur mantenendo tassativo l'uso di materiale biodegradabile per il contenitore della salma, non esclude l'uso di un materiale biodegradabile diverso dal legno, ma il suo utilizzo «deve essere autorizzato con decreto del Ministro della Sanità, sentito il Consiglio Superiore della Sanità.». Anche i tessuti che avvolgono i cadaveri nel rito islamico, qualora siano di origine naturale e non sintetica, sono materiali interamente biodegradabili ed il loro utilizzo non sembra impedito da alcuna previsione, ferme le valutazioni di carattere sanitario ed igienico operate dalla pubblica autorità.

In ambito europeo anche in Francia, dal 2008, una circolare ha autorizzato la creazione di aree cimiteriali ("carré islamique", letteralmente "quadrati islamici") adibite alla sepoltura musulmana, ed ugualmente vengono previste specifiche aree in molti altri paesi europei. Recentemente a Strasburgo, dove la popolazione musulmana si attesta sul 10% del totale, il Sindaco Roland Ries ha firmato una convenzione con il presidente del Consiglio Regionale del culto musulmano in Alsazia, Driss Ayachour, autorizzando la costruzione del primo cimitero pubblico musulmano in territorio francese, fatto particolarmente significativo perché dimostra come una esigenza di matrice religiosa possa armonizzarsi con il principio di laicità dello Stato.


Note

1. La Fatwa, al plurale Fatawa, corrisponde, nel diritto islamico, ai responsa del diritto romano. Si tratta generalmente di una risposta ad una domanda riferita ad un argomento di diritto. L'atto con cui si sottopone la questione è denominato istifa, l'atto con cui si risponde è chiamato futya. Mentre non vi sono espliciti requisiti per l'attore della domanda, colui o coloro che rispondono con opinione motivata al quesito debbono essere necessariamente musulmani, onorevoli (sadil) e conoscere a fondo la scienza giuridica. La pratica della Fatwa ha da sempre costituito, nella storia del diritto islamico, lo strumento di evoluzione giuridica rispetto ai dati nuovi ed alle circostanze politiche contingenti che coinvolgono di volta in volta la comunità musulmana. Questa continua elaborazione ha contribuito allo sviluppo ed alla vitalità della shari'a disancorandola da una dogmatica rigidità. Il rispetto del responso in esame costituisce per il fedele islamico la legittimazione religiosa alle disposizioni normative ad esso contingenti, valutate alla luce della legge sacra. Storicamente l'emissione delle decisioni legali spettano oltre che ad un giudice (qadi), ad un mufti, ossia ad un giurista musulmano il cui compito è armonizzare la legge umana positiva con i dati meno certi del dettato normativo divino. Attualmente le figure che elaborano le Fatwa non sono quasi mai "esclusivamente" mufti, ma soggetti che riuniscono a vario titolo le loro conoscenze tecnico-giuridiche ad un ruolo di prestigio religioso e sociale all'interno della comunità islamica. L'eterogeneità della legittimazione autoritaria di questi soggetti ed il conseguente diverso prestigio delle loro decisioni conduce, nella prassi, ad una sostanziale difformità del fenomeno Fatwa. L'assenza poi di una istituzione pubblica assimilabile ad un tribunale ecclesiastico impedisce di fare riferimento ad una prassi giurisprudenziale unitaria. La Fatwa non ha comunque efficacia vincolante dal punto di vista giuridico, essa indica invece una interpretazione, un parere che dovrebbe indurre il richiedente ad uniformarvisi. Una volta escluso il valore legale del responso, almeno nel senso di decisione categorica vincolante, resta sul campo di indagine un principale dato problematico: la funzione potenzialmente disgregante della Fatwa nei confronti di una comunità islamica che vive in terre straniere. L'assenza di una gerarchia nelle istituzioni religiose islamiche e la conseguente incapacità di dar vita ad un organo unitario capace di esprimere una legittimazione trasversale e condivisa dalla maggioranza dei musulmani, conduce ad una inevitabile parcellizzazione del fenomeno islamico. E' impossibile impedire che le Fatwa possano essere emesse da autorità religiose autoproclamatesi, e ciò dimostra quanto il caso islamico sia complesso e difficile da trattare. Un ulteriore dato sensibile è rappresentato dal nuovo vigore che le futya hanno assunto negli ultimi decenni e l'enorme interesse che esse suscitano nella politica e nell'opinione pubblica europea, con il rischio che l'eterno ritorno della grande paura occidentale per il barbaro musulmano possa facilmente indurre alla semplificazione del "clash of civilization" ed a politiche di chiusura: ecco quindi svelata la grande opportunità offerta dallo strumento delle Fatwa non solo dal punto di vista giuridico, ma anche da quello politico, potendo queste ben fungere da volano per il dialogo interculturale e religioso, dimostrando la permeabilità e la propensione all'adattamento insita nell'Islàm.

2. Si tratta di una organicità non omogenea ma estremamente variegata, per cui il riferimento ad una comunità unita nel nome dell'Islàm rinvia ad un concetto tutt'altro che uniforme, proprio perché «pensare all'Islam come a una confessione religiosa è estremamente limitativo poiché è una civiltà, rispetto alla quale l'aspetto religioso appare come il più importante, poiché condiziona la società civile, la condizione di vita, i valori fondamentali, i rapporti tra le istituzioni», in M. TEDESCHI, (Confessioni religiose/VIII) Islam, in Enciclopedia giuridica, volume aggiornamento XI, Roma, 2003, p. 1; ed inoltre occorre tenere presente che «la fondamentale vocazione all'unità dell'Islam non ha tuttavia impedito lo sviluppo di una notevole varietà di sensibilità, di modelli culturali e di pratiche popolari, di strutture e di istituzioni che caratterizzano la diverse società musulmane», R. ALUFFI BECK-PECCOZ, Islam: unità e pluralità, in S. FERRARI, Musulmani in Italia, Bologna, 2000, p. 55.

3. Yusuf al-Qaradawi è un medico egiziano molto influente nel pensiero islamico contemporaneo. Studioso della Shari'a e della tradizione musulmana, al-Qaradawi è anche un noto predicatore mediatico che conduce un popolarissimo programma sulla principale emittente del mondo arabo Al Jazeera. Il pensatore egiziano ha rivestito un ruolo di leadership nelle teorie dei Fratelli musulmani, ma non ha mai rivestito un ruolo direttivo in questa organizzazione. Le sue affermazioni sull'olocausto, gli attentati suicidi, sul conflitto Israele-Libano, sull'omosessualità e su molte alte spinose questioni lo ha posto al centro di forti critiche in ambito internazionale. Dal 1997 è a capo dell'European Council for Fatwa and Research.

4. «Lo stop vincolante dell'Uoif è motivato da vaghe ragioni («contiene fatwa molto generiche alcune delle quali non riguardano i francesi», ha detto a Le Monde il segretario generale, Fouad Alaoui). In realtà, secondo Tawhid, editore di Lione, è dovuto alla volontà di evitare ogni mossa imbarazzante da parte dell'Uoif, da poco entrata nei vertici del Consiglio francese del culto musulmano, interlocutore del governo francese. Sarebbero due Fatwa in particolare, sulle 37 della raccolta, ad avere convinto l'Uoif al basso profilo: una sulla poligamia (ritenuta un «diritto» che va tollerato anche se non incoraggiato), l'altra su Gerusalemme («che ogni musulmano e arabo deve sforzarsi di liberare»). Due Fatwa meno dirompenti di altre emesse in passato da Sheikh Qaradawi (come quella che autorizzava i kamikaze in Israele), ma in questo momento comunque imbarazzanti. «La questione è tutta politica, riguarda la legittimazione di fronte alle autorità francesi dell'Uoif, che già aveva evitato ogni resistenza contro la legge sul velo», commenta Hamza Piccardo, segretario nazionale dell'Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii), «sorella» della stessa Uoif. «E non approvo che si contrastino pareri tecnicamente corretti per scopi politici». Piccardo difende le due Fatwa e sostiene che «come editore pubblicherebbe subito la Raccolta, anche se come associazione dovrebbe prima esaminarla con estrema attenzione». L'ambasciatore Mario Scialoja, del Centro Islamico Culturale di Roma è su posizioni più moderate («non amo Qaradawi nè Ramadan, hanno un doppio linguaggio a seconda dell'interlocutore») ma pensa che «la prima fatwa non sia così imbarazzante, visto che la poligamia sta comunque scomparendo» (Corriere della Sera, E il grande libro delle fatwa fa litigare i musulmani, 25 maggio 2005).

5. La dottrina dell'Islam propone un concetto di religione privo di clero, «non siamo di fronte a una confessione gerarchicamente strutturata (...) ma a una realtà maggiormente immedesimata alla società civile» (Tedeschi), per cui la comunità islamica rappresenta un insieme di fedeli tutti egualmente equidistanti da Dio. Quest'ultimo dato impedisce di operare una distinzione ontologica, almeno in senso formale, tra i vari soggetti che, seppur addetti alla mediazione liturgica o alla direzione di alcune cerimonie, non possono essere distinti da tutti gli altri fedeli. Il vocabolo Imam significa letteralmente in arabo "colui che sta davanti" o "colui che guida" e la sua radice etimologica 'mm rinvia al concetto di procedere verso un "segno" o "modello archetipo". In origine l'Imam era il capo della carovana, colui che camminava davanti a tutti indicando la direzione giusta da seguire (la retta via), solo in seguito il termine ha assunto vari significati. In alcune comunità islamiche sunnite, l'Imam è stato poi identificato con il leader politico-spirituale, fino a far sovrapporre i termini imamato e califfato. Utilizzando il termine Imam ci si riferisce in primo luogo a colui che presiede la preghiera rituale comunitaria del venerdì, stando davanti ai fedeli allineati, che ripetono le sue parole ed imitano tutti insieme i suoi gesti rituali. L'Imam non è però assimilabile ad un ministro sacro, poiché nell'Islam non vi sono sacerdoti né tantomeno sacramenti: egli è un semplice fedele ed ogni musulmano (in epoca antica poteva essere anche uno schiavo) può svolgere la funzione di Imam nella preghiera, purché sia in grado di compiere precisamente le cerimonie prescritte; se vi sono due soli fedeli, uno dei due deve svolgere i compiti di Imam. Anche una donna può fare da Imam nella preghiera purché si rivolga solo verso un gruppo di donne. «L'Imam è semplicemente colui che presiede la preghiera e quindi l'antistes del mondo romano», in G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, 1996, p. 244.

6. Fatwa n. 5 (First Collection, III Session) The collection and distribution of Zakat by the various charity organisations.
The Council examined this issue and concluded that is allowed for charity organisations to collect Zakat from its holders and subsequently distribute it amongst the eight ways of spending zakat, or those available at least. This is further emphasised due to the need for Muslims to organise their lives even if they were only three, as mentioned in the Hadith: "If you were three in travel, choose one of you to become your leader". Moreover, this act is an implementation of the order of Allah that Muslims co-operate in all that is good and pious. The action of collecting and distributing Zakat is also one that enforces a major pillar of Islam which is not restricted in any way be the presence or absence of a Caliph, in accordance with the statement of Allah Almighty in the Holy Quran: "and fear Allah to the extent of your ability", and the hadith: " If I order you to something, do as much of it as possible". Therefore, if we find ourselves unable to establish the Caliphate whilst managing to perform other obligations and duties, we must do so as commanded by Allah Almighty and this Prophet peace be upon him, as it is also important to realise that the lifting of some obligations does not mean the lifting of all.
It is also significant to note that the Muslims during the Meccan era, were obliged to pay Zakat, as testified by the various verses in the Meccan chapters of the Holy Quran, despite the fact that the Islamic state of Madinah was yet to be established (The precise amounts and measures of Zakat as we Know it today was established and decreed in Madinah).
La presente e le successive versioni riportate in nota in lingua inglese, nella traduzione di Anas Osama Altikriti e di Shakir Nasif Al-Ubaydi, sono state confrontate con quella dall'arabo dall'imam di Firenze, Izzedin Elzir, che ringrazio della disponibilità e gentilezza.

7. Fatwa n. 7 (Second Collection, III Session) Charity Organisations benefitting from interest monies of individuals and banks, advertising and opening designated accounts for such monies. Resolution: Almost all Muslims in the West find it obligatory to open bank accounts with banks that practice usury riba as standard practice, and are thus paid interest money on these accounts. In this case, a Muslim finds him or herself with one of two options: either to leave these monies to the bank, which causes many benefits to be missed by Muslims, particularly if these banks support and fund anti-Islamic activities, or to spend these monies in various charitable means. Due to the fact that the reason these monies were deemed haram, is because of the manner in which they were gathered or spent, and not because the money is haram in itself; it remains that is haram for the person him or herself who accumulated this money. Thus, it is haram for a person who has accumulated interest money to use this money for personal benefit, whilst the money is in no way haram for the poor or for charitable establishments. Upon this, the Council sees that it is permissible for charitable organisations to aske who have such accounts for the interest money which they are accumulating. Similarly, the Council finds that it is also acceptable for charitable organisations to obtain these monies from other sources, such as private establishments or banks. It is also permissible to open an account in order to collect these monies.

8. I cinque pilastri arkan al-din sono i cinque atti di culto fondamentali ed irrinunciabili della religione islamica; tali atti trovano la loro fonte diretta nel Corano.

9. La "tassa dell'elemosina" Zakat deriva da zaka "purificare" ed esprime il dovere di purificare i propri beni (Corano, IX,103) dandone una percentuale, variabile secondo l'entità dei beni stessi (in genere il 2,5% dei capitali superiori ad un minimo). In passato la zakat era raccolto dai governi musulmani; oggi è lasciata alla coscienza dei fedeli (si differenzia comunque dalla sadaqa che è invece una elemosina volontaria).

10. Nel Corano si afferma che «[saranno] nei Giardini e si interpelleranno a vicenda a proposito dei colpevoli: Cosa mai vi ha condotti al Calore che brucia? Risponderanno: Non eravamo tra coloro che eseguivamo l'orazione, né nutrivamo il povero» (LXXIV,40-44) ed anche «Non credeva in Allah, il Supremo, e non esortava a nutrire il povero» (LXIX,33-34).

11. Letteralmente "aumento", prestito a interesse, considerato come usura. Con questa previsione si vuole evitare che una parte tragga beneficio, da una attività che non ha effettivamente compiuto. Tuttavia oggi si sono escogitati molti espedienti per aggirare tale divieto come, ad esempio, la creazione delle Banche islamiche, istituti questi che pongono in essere complesse operazioni finanziarie nel rispetto, almeno formale, delle regole della Shari'a.

12. Lett. "imbroglio, raggiro"; individua uno stratagemma che consente di aggirare le rigide norme della Shari'a pur rispettandone formalmente la lettera.

13. Fatwa n. 13 (Second Collection, IV Session) The allowance of marriage to 4 women and the abuse of this allowance
Prior Islam, men used to marry women as they wished without any limits nor conditions. When Islam was revealed, it prescribed a limit to number of women one marry and also placed conditions for this to take place. As for the limit, Islam prescribed that the maximum number of women a man can marry is four, as stated in the Quran: «Marry women of your choice, two or three or four» (4:3). When a man from the tribe of Thaqeef who was married to ten women, embraced Islam the Prophet Mohammed commanded him to choose four from amongst them and to divorce the rest. As for the condition, it is the confidence of the man that he can actually be totally just and fair between his wives, otherwise he is not allowed to re-marry. The Quran stated: «but if you fear that you will not be able to deal justly (with them), then only one» (4:3). In addition, the other conditions of any marriage must also be present, such as the ability to provide for the family and the ability to satisfy the sexual needs of the woman. The reason for the allowance for a man to marry more than one woman is because Islam is a realistic religion and one which is not based upon idealistic notions which would cause real problems of everyday life without solution or treatment. It is very probable that a man marrying a second wife could be solving a problem, in that his first wife is incapable of bearing children or has extended menstruation cycles which result in his sexual needs being unsatisfied. The first wife could be ill and thus, instead of divorcing her and leaving her alone, could marry a second wife and remain next to his first wife, and so on. This allowance also solves the problem of a widow who needs a husband to care for her but does not wish for an unmarried young man, similar to a divorced woman with children. Indeed this allowance may solve a social problem which arises from the high proportion of good women who want to marry in comparison to able men. This is a common problem which increases particularly in the aftermath of wars and the such. The fact, in this case, is that the extra women do one of three following options:
1) That they remain unmarried for the rest of their lives, and are thus deprived from being a wife and a mother, which is great injustice
2) That they fulfil their sexual needs regardless of decrees of religion and acceptable behaviour, which will result in a tragic loss in this life and the hereafter
3) That they agree to marry an already married man who is capable of meeting their living and sexual needs and who is confident in his ability to deal fairly and justly between his wives.
As for those who say that this allowance is often abused by some men it is an unfortunate fact that many rights are abused or are used inappropriate manners. This does not mean that we must cancel these rights. Indeed, they are many men who abuse their first and only wives, so does this lead us to cancel marriage in its entirety? Freedoms are often abused. Should we cancel freedoms? We see that states and governments abuse elections; would it be right to cancel these processes? In fact we find that authority and government is frequently abused, so would it acceptable to cancel authority and let society decline into a state of chaos? It would better, instead of calling for the cancellation of these rights, to set up boundaries and regulations which would limit the possibility of such rights being abused.

14. La poligamia venne abolita in Turchia già nel 1926. Nel corso del novecento furono introdotte numerose restrizioni anche in Egitto, Siria, Iraq, Algeria. Oggi in molti Stati musulmani alcune delle norme che regolano il matrimonio sono state modificate in favore della donna. Un espresso divieto è contenuto nell' art. 18 del Codice dello Statuto personale tunisino del 1956 che afferma che la «poligamia è vietata».

15. Il requisito dell'equità ritenuto, insieme ad altri, idoneo a consentire all'uomo musulmano di contrarre fino a quattro unioni matrimoniali nel diritto islamico pone questioni problematiche rispetto al ricongiungimento familiare di molti immigrati considerando che, ad esempio, l'ordinamento italiano nega tassativamente la poligamia (nei Delitti contro la famiglia punisce infatti la bigamia agli artt. 556, 557, 558 del codice penale), cosi che sembrano auspicabili temperamenti delle normative nazionali, come ritenuto da N. COLAIANNI, Poligamia e principi del diritto europeo, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1/2002, p. 227. Secondo la normativa attualmente in vigore (art 28 t.u.) hanno diritto a riacquistare l'unità familiare gli stranieri titolari di carta di soggiorno (permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari, per coloro che hanno diritto alla protezione sussidiaria, per motivi umanitari e per ricerche scientifiche. Si ricorda che con il d. lg. 31 gennaio 2007, n.5 di "attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare", come modificato dal decreto legislativo correttivo n. 160 del 3 ottobre 2008 si permette agli Stati membri di limitare fortemente l'ingresso degli stranieri che rivendicano il diritto all'unità familiare.

16. Per indicare l'istituto della poligamia si usa l'espressione ta'addud al-zawjat, che significa prendere una pluralità di donne come mogli. Nel mondo arabo pre-islamico delle società tribali la poligamia era molto diffusa e comportava notevoli problemi sociali, perché gli uomini prendevano spesso più mogli di quante ne potessero mantenere. La rivelazione coranica, limitando questa facoltà degli uomini ed imponendo un numero massimo di cinque mogli, attuò una vera rivoluzione nella realtà sociale.

17. Il vocabolo italianizzato ulema deriva dall'arabo 'ulama (singolare 'alim) e significa letteralmente dotto (da 'ilm, scienza o sapere. « Prima dell'avvento dell'Islam, 'ilm era, secondo l'espressione di Jaquelin Chabbi, il "sapere dello spostamento" dei beduini, che consisteva nel cercare le tracce e i segni materiali lasciati dagli uomini nel deserto; era anche la conoscenza delle genealogie delle tribù e delle alleanze che queste stabilivano tra loro. In breve 'ilm era la conoscenza di ciò che si lascia alle spalle: tracce e antenati. Dopo l'avvento dell' Islam 'ilm divenne la conoscenza del Corano e della Sunna, e quindi si contrappone al ra'y, l'opinione argomentata.» In S. MERVIN, Histoire de l'Islam. Fondements et doctrines, Parigi, 2000, p.182). Al plurale ulama designa non solo un insieme di dotti, ossia un corpo di religiosi che esercitano un magistero spirituale e funzioni religiose, ma anche giuristi, giudici ed imam. Nella tradizione musulmana gli ulema sono considerati come custodi dell'ortodossia islamica e, pur non essendo ministri sacri, hanno svolto nella storia un ruolo decisivo, del tutto assimilabile a quello del clero cristiano. Questi soggetti studiavano le differenti discipline coraniche, il Fiqh (diritto islamico) e i suoi fondamenti, ma anche la grammatica, la retorica e altre scienze. Gli ulema interpretavano e amministravano la legge islamica anche attraverso la direzione di scuole giuridiche con cui esercitavano una decisiva influenza sulla società musulmana. Oggi la politica di istruzione di massa, adottata dalla maggior parte degli Stati musulmani ed in Europa, ha portato ad un relativo declino dell' autorità degli ulema, ciononostante alcuni esercitano ancora funzioni ufficiali. Resta comunque il fatto che la categoria degli ulema continua a porsi come mediatore tra la società e lo Stato, dando a volte qualche nastha " buon consiglio" al potere politico, almeno nei Paesi musulmani.

18. «In Marocco, ad esempio, il nuovo codice della famiglia (Moudawana, 2004) incoraggia l'opzione monogamica da parte della moglie nel contratto di matrimonio: in mancanza di detta opzione, il marito puo` prendere una seconda moglie solo previa autorizzazione del giudice, e col consenso della prima moglie, della cui presenza d'altra parte la seconda moglie deve essere informata. Il nuovo codice delimita il proprio ambito di applicazione con una norma di diritto internazionale privato unilaterale. Esso si applica infatti solo ai cittadini marocchini, ai rifugiati e apolidi, alle coppie formate da almeno un marocchino, e alle relazioni tra due cittadini marocchini di cui uno musulmano (art. 2). Tale autolimitazione potrebbe creare problemi ai giudici stranieri in tutti i casi in cui il loro diritto internazionale privato richiama l'ordinamento marocchino per disciplinare rapporti matrimoniali tra individui non marocchini: si pensi ad esempio agli artt. 29-31 della nostra legge n. 218/1995 che rimanda, in assenza di cittadinanza comune dei coniugi, alla legge dello Stato di prevalente localizzazione della vita matrimoniale. In tal caso sembrerebbe opportuno ignorare l'autolimitazione delle norme marocchine piuttosto che ignorare il richiamo ad esse operato dalle nostre norme di conflitto (Mosconi, Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e contratti, 4a ed., Torino, 2007, p. 250).». In C. CAMPIGLIO, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Padova, 2008, p.45.

19. In C. CAMPIGLIO, Famiglia e diritto islamico. Profili internazional-privatistici, in S. FERRARI, La condizione giuridica delle comunità islamiche, Bologna, 2000, p. 178.

20. La Corte di Giustizia è intervenuta sovente per tutelare coloro che rivendicavano il diritto al ricongiungimento familiare nei rispettivi Stati membri, così con la sentenza 408/03, 23 marzo 2006, ha ritenuto non conforme al diritto comunitario la prassi belga di richiedere che il cittadino dell'UE disponga di risorse personali per il proprio sostentamento ovvero, di risorse provenienti da altri soggetti legati ad esso da vincolo giuridico (ad es. coniuge o figli), perchè riteneva espressione di una ingerenza sproporzionata la richiesta di un obbligo giuridico al mantenimento del soggetto ricongiunto in capo al familiare quale requisito di legittimità della domanda nei confronti dello Stato belga, che in questo modo intendeva tutelare il proprio assetto finanziario. La sentenza Metock 127/08, del 24 settembre 2008, ha inoltre stabilito che tutti i cittadini di stati terzi familiari di un cittadino comunitario che usufruisce o ha usufruito della sua libertà di circolare in seno all'UE hanno diritto al ricongiungimento familiare a prescindere dal luogo e dal momento in cui è stato creato il vincolo familiare.

21. Mahr significa dote ma per il Corano (IV, 4) è esattamente il contrario della dote occidentale: è infatti un dono nuziale, cioè una somma di denaro che lo sposo deve dare alla sposa. Il Corano stabilisce inoltre che lo sposo se ripudia la moglie, prima di aver consumato il matrimonio, può esigere solo la restituzione di metà della dote (II, 237). Prima dell'avvento dell'Islam, gli arabi consegnavano la dote al padre o al custode della sposa; il Corano stabilisce invece che la dote rimane sempre proprietà della sposa. La somma da versare non è precisata ma tutti i giuristi hanno sempre raccomandato di non esigerne una troppo elevata, ma neppure irrisoria.

22. Fatwa n. 15 (Second Collection, III Session) Equality between the husband and wife in a marital relationship
The wife is equal to her husband within a marital relationship. The Holy Quran called each "one half of a pair", as each, bears responsibility for the worries and feelings of other half and thus they both from a complete pair. We also observe from the statement of Allah: «And among His signs is this, that He created for your mates from among yourselves, that you may dwell in tranquillity with them, and He has put love mercy between your hearts» (30,21) and from His statement: «And Allah has made for you mates of your own nature, and made for you, out of them, sons and daughters and grandchildren, and provided for you sustenance of the best» (16,72), we observe that there address in both verses is to both men and women alike, as there is no evidence that there is an exclusive address to men in these two cases.
Meanwhile, the verse in which Allah addressed men alone, was directly followed by a statement that men and women are equal within a marital relationship. Allah stated: «Permitted to you on the night of the fasts, is the approach to your wives, they are your garments and you are their garments» (2,182), in which we see how immaculately Allah described the relationship of men and women to each other, as being "garments" to one another, which reflects closeness, warmth, proximity and adornment. However, this equality is principle, does not contradict the fact that there are duties and responsibilities unique and specific to each part of this relationship, such us the responsibility of the man to protect and maintain his wife and family, which is termed Qawama. Allah stated in the Quran: «Men are the protectors and maintainers of women, because Allah has given each preference over the other, and because they support them from their means» (4,34). The beauty of the Quran expressions illustrated in the statement that «Allah has given each preference over the other» and not merely that Allah gave preference to men over women. This is because men are preferred in some aspect and women in others; particular the emotional aspect of life, whilst the man is obliged to pay the marital gift or which is know today as Dowry or Mahr, to establish the marital house and support it. Therefore, if a man ever attempts to harm this family; he will be the very first victim of this act of destruction. The Quran also emphasised that duties and obligations of both parties are perfectly equal apart from a few exceptions. Allah stated: «And women shall have the rights similar to the rights against them, according to what is equitable; but men have a degree over them» (2,228). It was narrated that Ibn Abbas stated: «I make myself beautiful for my wife such as she does for me, and then gave in evidence the previous verse. Imam Al-Tabari explained the term Daraja or (degree) which occurred in the verse, as being extra marital duties and responsibilities. Others explained it to be equal to the term Qawama previously illustrated, and both explanations are correct. The Prophet Mohammed placed the responsibility upon each partner within marriage, as in the Hadith of Ibn Omar: «Each of you is a shepherd and you are each responsible for you herd and the man is a shepherd amongst the members of his family and he is responsible for them and the women is a shepherd in her husband's house and she is responsible for it.»
The responsibility of the woman within her marital home obliges her to pay an educational and advisory role towards her husband, as she extends advice to him and wishes him the best at all times. She must call him to good whenever he falls short of doing so, and must prohibit him indulging into wrong-doing, as this is the obligation upon each and every Muslim towards the other, such as a son towards his or her ruler. However, this commanding good and prohibiting evil must be within the regulations and boundaries mentioned by the Scholars in sound books and references. Allah states: «The believers, men and women, are protectors one of another: they enjoin what is just and forbid what is evil» (9,71). Thus, the marital relationship does not by any means, annul the act of enjoining good and forbidding evil, but rather emphasises and stresses it. We learn that the wives of the good predecessors would remind them before they left their homes to work, trade or travel: «Beware of bringing back what is Haram, as we would be happy to tolerate hunger and the cold, but we would never be able to withstand the heath of Hellfire and the wrath of the Almigthy!». Therefore, if a woman found her husband falling short in fulfilling hi obligatory prayers, she must advise him in a beautiful way to maintain his prayers, and if she found him consuming alcohol, she must advise him to refrain from drinking what is considered the mother of all evil. She must also advise him to maintain his religion, faith, wealth, children and family and not to agree with Satan in his words and actions.
As for the question: Does the husband enjoy any authority over his wife, and to what extent? The answer could be: the husband enjoys the Qawama explained above, but it is not by any means, an absolute and infinite authority. Rather it is an authority which is restricted by the regulations of tha Shari'a and the considerations of the society within which one lives. The regulations of the family are restricted by two matters in Holy Quran:
First: A divine restriction, i.e. from Allah. This is referred to in the Quran as the "the boundaries of Allah" and occurred many times regarding the context of family. Second: A human restriction, which is referred to in to the Quran as Ma'roof or good, i.e. what is appreciated and acknowledged by people of sound minds, good tastes and people of wisdom. As for the first restriction, we read from the Quran in relation to divorce: «These are the limits ordained by Allah, so do not transgress them, if any do transgress the limits ordained by Allah, such persons wrong themselves as well as others» (2,229). In another verse Allah stated: «these are the limit of Allah which he has illustrated to people who know» (2,230), and in another: «those are the limits set by Allah, and any who transgresses the limits of Allah does verily wrong his own soul» (65,1).
As for the second human restriction, Allah states: «Live with them on a footing of kindness and equality» (4,19) and «but we shall bear the cost of their food and clothing on equitable terms» (2,223) and «either take them back on equitable terms or set them free on equitable terms» and «For divorced women is suitable gift»(2,241). Thus and in principle, the affairs of the marital home and the family must be done in consultation between the husband and wife, as consultation can only bring good. The Holy Quran stressed this in the context of weaning the child: «If they both decide on weaning by mutual consent and after due consultation, there is no blame on them» (2,223). However, if they fail reach an agreement, then the husband shall have the authority to decide, but within the boundaries of Ma'roof explained. It is not for the husband to force his wife to do anything, merely to fulfil his desires under the pretence of "obedience of the husband", as any obedience must be within the boundaries of Ma'roof. It is correct to say: that the wife must obey her husband within the limits of Ma'roof alone, according to the Quran when addressing the oath of allegiance given by women to the prophet: «and they will not disobey you in any just matter» (60,.12). The authentic Hadith also stated: «Obedience is verily in just matters».

23. «Il diritto di famiglia islamico può essere presentato come il nocciolo duro del sistema giuridico islamico, ovvero come quel segmento di norme che sono riconosciute intangibili da parte dell'intera comunità di fedeli e non soltanto degli esperti, dai praticanti più attenti o dalle correnti più radicali; una visione che peraltro ha attraversato senza eccessivi scossoni il corso del tempo, resistendo anche ai momenti di maggiore crisi, della disciplina tradizionale. Ciò è legato alla circostanza che questo settore del diritto è uno dei campi dove più deciso risulta l'intervento normativo della Legge divina; molte delle norme che regolano il matrimonio ed i rapporti familiari trovano, come già anticipato, la loro fonte diretta nella rivelazione coranica». In N. FIORITA, L'Islam spiegato ai miei studenti: otto lezioni su Islam e diritto, Firenze, 2006, p. 37.

24. La definizione di Ulpiano e di Modestino per cui il matrimonio inteso come consortium vitae si accresce del significato divino. In O. ROBLEDA S.J., El matrimonio en derecho romano. Esencia, requisito de validez, efectos, disolubilidad, Roma, 1970, pp.70-71.

25. Si descrive il "ruolo subalterno assegnato alla donna" in parte del mondo musulmano conservatore in O. CARRE', L'Islam laique ou le retour à la Grande Tradition, Parigi, 1993, p. 100 ss. ed in M. RUTHVEN, Islam in the world, London p. 90 ss.

26. In una sentenza riguardante una opposizione al riconoscimento di un figlio, il genitore ricorrente ha ritenuto, trovando concorde la Corte, che i principi dell'ordinamento islamico relativi alla condizione della donna determinano una posizione di netto svantaggio della donna e rischiano di avere implicazioni negative anche per il figlio (Cassazione civile, Sez. I, sent. 12077/1999).

27. Fatwa n. 17 (Second Collection, III Session) Ruling on a divorce issued a non-Muslim judge
Resolution: The principle is that a Muslim only resorts a Muslim judge or any suitable deputy in the event of a conflict. However, and due to the absence of an Islamic judicial system in non-Muslim countries, it is imperative that Muslim who conducted his Marriage by virtue of those countries respective laws, to comply with the rulings of a non-Muslim judge in the event of a divorce. Since, the laws were accepted as governing the marriage contract, then it is as though one has implicitly accepted all consequences, including that the marriage may not be terminated without the consent of a judge. This case is similar to that in which the husband gives authority to the judge to do so, even if he did so implicitly, and which is considered acceptable by the vast majority of scholars. The jurisprudence Fiqh principle applicable in this case is that whatever is normal practice is similar to a contractual agreement. Also, implementing the rulings of a non-Muslim judiciary is an acceptable matter, as it falls under the bringing about of that is considered to be of interest and to deter what is considered to be of harm and many cause chaos, as stipulated by more than one of the most prominent Islamic scholars, such as Al-I'zz ibn Abdul Salam, Ibn Taymiyyah and Al-Shatibi.

28. Letteralmente "racconto". Detto o fatto attribuito a Maometto ed ai suoi compagni e tramandato dalla tradizione islamica. Può significare anche la raccolta di questi detti e fatti, che esprimono la Sunna, cioè il "costume" o modo abituale di agire di Maometto, definito dal Corano «nobile esempio per tutti i credenti» (33,21).

29. Nel catechismo della Chiesa Cattolica vi sono alcuni canoni che spiegano il significato del matrimonio inteso come sacramento, il regime del vincolo ed i suoi effetti. Il canone 1638 recita «Dalla valida celebrazione del Matrimonio sorge tra i coniugi un vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel Matrimonio cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento». Il canone 1640 inoltre aggiunge:«Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso è consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà irrevocabile e dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione divina».

30. In Y. PALLAVICINI, Dentro la moschea, Milano, 2007, p.33.

31. Fatwa n. 28 (Second Collection, V Session) Food and drink (alcohol)
Q) We have come to realize that all soda drinks (such as coca Cola) contain an amount of alcohol, according to the academic papers published in the United states. Food and drug laws in America stipulate that if the amount of alcohol in a drink is less than 0,5%, then the drink is not considered an alcoholic drink. Also, laws allow manufacturing companies to conceal these contents if they are of very small quantities. Is it permissible for a Muslim to consume drinks which contain such amount of alcohol?
A) This amount of alcohol, if proven to be accurate and does indeed form an ingredient of these drinks, does not transform any drinks or food being Halal into becoming Haram. This can be deduced from the Hadith of the Prophet Mohamme: «If a drink causes intoxication when consumed in large quantities, then consuming small quantities thereof is deemed Haram.». This is an authentic Hadith narrated by Abu Dawood and Al-Tirmizifrom the hadith of jaber ibn Abdullah, and is also narrated by Al-Nasa'i and Ibn Maja from the Hadith of Abdullah ibn Amr. The clear implication of the hadith is that should a drink not cause intoxication if consumed in large quantities then it is deemed Halal. Indeed, these soda drinks do not cause one to become intoxicated whatever quantities were consumed, and thus it is not important to disclose theseingredients as they do not affect the concerned food or drink's permissibility.

32. «Fra le bevande è proibito il vino, e per estensione tutti i liquidi alcolici. La giurisprudenza non è unanime su questo punto, poichè alcuni intendono la proibizione come tassativa esclusivamente nel caso del vino in senso stretto, considerando solo come riprovevole l'assunzione di altri alcolici. Questa discrepanza è dovuta alla formulazione non chiara che il Corano dà del divieto, che lascia un certo spazio ad interpretazioni divergenti (II, 219; V, 90-91; XVI, 67), ma nel complesso ogni buon musulmano si astiene scrupolosamente da ogni bevanda inebriante», in A. VENTURA, L'Islam sunnita nel periodo classico(VII-XVI), in G. FILORAMO a cura di, Islam, Roma-Bari, 2002, p. 146 ss.

33. Nell'ambito sunnita delle quattro scuole quella hanafita si propone come la più liberale, è stata adottata come scuola ufficiale dai Califfi Abbassidi e poi dai Sultani Ottomani.

34. Attraverso questo metodo, assai controverso nel sistema di fonti del diritto islamico, ci si riferisce alla possibilità di creare una regola giuridica basata sul ricorso ad un procedimento analogico, per cui da un caso disciplinato in modo esplicito si desume un principio che serve a disciplinare un caso simile ma non previsto. Per quanto riguarda l'assunzione di bevande alcoliche si è assistito ad un progressivo aumento delle disposizioni restrittive in tale ambito con il conseguente estendersi del ragionamento analogico volto a proibire tale pratica. Il Corano infatti recita «traetene dunque esempio, o voi che avete occhi per vedere» (LIX, 2).

35. Fatwa n. 2 The legal decision in regards with meat and poultry products sold by non-Muslim in Europe
The Council discussed this matter at great length acknowledging that it is matter which has created great concern and debated amongst Muslim. The Council concluded that is necessary for Muslim to abide by the conditions of Slaughtering according to the Islamic Shari'a, so that they please their Lord and that they protect their identity from compromise and external threats as well as to protect themselves from consuming what is illegal and forbidden.
Having examined the various methods of slaughter, many of which consist of various illegal acts which lead to death of a large proportion of animals, particularly chicken, The Council decided the illegality of consuming the meat of chicken and cows, whilst the meat of lamb, sheep and calves is allowed as the method of slaughtering these in many countries does not contradict the methods decided by Shari'a. The Council hereby recommends to all Muslims that they establish their own slaughter houses so that they may fulfil this important need whilst protecting their religious and cultural identity. The Council also calls upon the Western governments to recognise the religious aspect of Muslims, including enabling them to slaughter according to the Islamic shari'a, similar to other religious communities and groups such as the Jews. The Council also upon the Islamic countries to import meat which has been slaughtered according to the Shari'a and which are supervised and administered by trusted Islamic centres throughout the West.

36. Le prescrizioni che garantiscono la liceità dell'alimentazione sono molto simili ad altre storicamente precedenti, della religione ebraica, che trovano il loro fondamento nella Torah (Genesi 9,4; Levitico 2,1-47,17,12-14;Deuteronomio 12,16,23-24) e che nel loro complesso sono note come prescrizioni sul cibo kasher.

37. Fatwa n. 21 (Second Collection, III Session) Ruling of burying a Muslim in the cemeteries of non-Muslims
Resolution: There are certain determined legal Ruling concerning the Muslim on his death, such as washing him, wrapping him a shroud, performing the Janazah prayer for him, in addition to burying him in Muslim's cemeteries; that is because the Muslims have their own way of burying the dead and preparing graves, such as simplicity, facing qibla and avoiding the imitation of polytheists, the affluent, and the like.
It is known that every religious community have their own cemeteries; Jews have their own cemeteries; as do the Christians and the pagans, therefore, it is natural that Muslims have their own cemeteries too. Muslims living in non-Muslim countries should try, through approved channels, to have their own cemeteries whenever possible, for that would enhance their presence and preserve their personality. If they fail to have their own separate cemetery, they should at least have a specific and exclusive spot within the cemetery of non-Muslim wherein they could bury their dead. If even both alternatives are not available and a Muslim dies, he may be buried anywhere possible, even if the cemetery of non-Muslim, for Allah does not burden a person beyond his ability. Burying the Muslim, in this case, in the cemeteries of non-Muslims would not cause him any harm, for what will benefit the Muslim in the Hereafter will be his endeavour and righteous deeds, and not the spot where he is buried. «And man can have nothing but what he strives for» (53:39). And as Salman al-Farisi (May Allah be pleased with him) said: «Land does not sanctify anybody, but a person's own deeds sanctify him». Besides, burying the deceased in the place where he or she dies in the practice primarily recommended by Shari'a, and it is easier than transferring the dead to Muslim countries as do some Muslims, for that causes difficulties and costs a lot of money needlessly.
If the Islamic cemetery is far from the residence of the deceased's family, it will not be an acceptable excuse to bury him in a nearby non-Muslim cemetery, for visiting cemeteries is primarily recommended for benefit of the visitor, to receive admonition and learn a lesson, as is confirmed in the Hadith: «I commanded you not to visit graves, but now I strongly recommend visiting them, for that makes the heart tender and the eye shed tears and it reminds of the Hereafter». (Narrated by Ahmad and al-Hakim on the authority of Anas). A Muslim can pray for the dead person and ask forgiveness for him, and, by the Grace of Allah, the reward thereof will reach him wherever the supplicant or the seeker of forgiveness for him may be.

38. Quelle soluzioni definite da Francesco Margiotta Broglio «pasticciate ed incongrue come la richiesta del Consiglio della circoscrizione di Rigutino, in Comune di Arezzo, nel giugno 2007, di "ghettizzare" in aree apposite le salme di tutti I defunti non cristiani, a cominciare dai musulmani, vietando (o comunque subordinando al consenso delle realtà locali) i, pur previsti, appositi settori confessionali separati nei cimiteri comuni, onde preservare l'identità della comunità locale e le sue radici cristiane», in A. FERRARI, Islam in Italia, Islam in Europa, Tra diritto e società, Bologna, 2008, p.368.