2011

La salute globale
Tra beni pubblici, diritti collettivi e capability

Nicolò Bellanca

Introduzione redazionale

La salute globale è un concetto relativamente nuovo che, in un mondo in cui le interazioni si moltiplicano in maniera indefinita, assume sempre più rilevanza, sia per le conseguenze a livello individuale e collettivo, sia per le molte implicazioni di policy a livello nazionale ed internazionale. In questo saggio, Nicolò Bellanca affronta la questione attraverso un approccio multidisciplinare, volto a fornire adeguati strumenti di interpretazione per rispondere alle molte questioni aperte.

Introduzione

In questo saggio, discutendo una delle dimensioni fondamentali del benessere individuale e collettivo, ci si chiede come la salute umana possa essere concettualizzata in termini non già pubblici o internazionali, bensì globali. Alcuni elementi di risposta vengono offerti da tre distinti ceppi di letteratura - sui beni pubblici globali, sui diritti collettivi e sulle capability - che prendono le mosse principalmente da differenti aree disciplinari - la scienza economica, la filosofia del diritto e la filosofia morale -, ma che sembrano convergere indicando le coordinate di un nuovo paradigma di analisi e di policy.

1. Sulla definizione di "salute globale"

La "salute globale" è una nuova espressione - a cui ancora non corrisponde una definizione consolidata e condivisa - che si riferisce ai fenomeni e alle determinanti trans-locali della salute. La Tabella 1 (tratta da Koplan et al., 2009) marca le differenze rispetto ai termini tradizionali di salute pubblica e salute internazionale.

Tabella 1

Questa caratterizzazione richiede, a nostro avviso, qualche commento e integrazione. In estrema sintesi, la nozione di salute globale si distingue per quattro aspetti: l'idea di salute, l'esame di un sistema-oggetto che è immediatamente planetario, il ricorso a metodi di analisi multidisciplinari e la ricerca di soluzioni che siano esse stesse globali.

La "salute" viene intesa come una condizione di compiuto benessere fisico, mentale e sociale. Si tratta di un'accezione ben più ricca e comprensiva di quella espressa dal concetto di sanità, ma non priva di problemi. Si può star bene (in salute) per questa o quella cosa; per la sensazione che la nostra vita va per il meglio; oppure perché siamo soddisfatti della nostra vita nel suo complesso (Nozick 1989, pp.111-12). Le tre prospettive coincidono qualora la salute sia concepita come uno stato finale, ovvero come una fotografia istantanea, mentre divergono se la salute è vista come un percorso, nel quale contano sia la distribuzione temporale della salute - ad esempio, preferiamo di solito una vita di crescente salute, ad una di decrescita, a parità di somma totale - sia le aspettative sui periodi successivi, sia i nostri eventuali cambiamenti identitari (Ivi, pp.121 e 105). Queste difficoltà non sembrano ricevere adeguata attenzione in letteratura.

Il secondo aspetto segna il passaggio da livelli d'analisi locali o internazionali al livello globale. Pur in modi contraddittori e conflittuali, il mondo sta realizzando forme di governance economica, giuridica e politica che sono multistratificate e multiterritoriali; i governi e le imprese nazionali/locali continuano a incidere, ma la loro dinamica è ormai plasmata da traiettorie direttamente sovra-nazionali/locali (Held 2004). Analogamente al proverbio secondo cui da un bue traiamo tante bistecche, ma da tante bistecche non otteniamo un bue, questo è un passaggio d'epoca che richiede la riformulazione dell'intero framework concettuale: il problema non è più la costruzione di un ordine (economico, giuridico, politico) planetario mediante le sue parti, bensì la possibilità che il sistema-mondo, già esistente, sia un ordine. Molto spesso nella letteratura sulla salute globale questa radicale esigenza non è adeguatamente affrontata, ricadendo nell'indagine delle "bistecche".

Il terzo aspetto è la multidisciplinarietà. Al riguardo è importante rendersi consapevoli che questa metodica scaturisce proprio dalla natura globale dei temi, e quindi dalla fitta rete d'interdipendenze sistemiche con cui i temi si presentano. Consideriamo ad esempio la recente letteratura economica sul declino del tasso di mortalità. Come osserva Angus Deaton (2004, p.94): «While income makes many things possible in the long run, the more important proximate determinants of mortality decline are clean water, health systems - adequately financed and operated - and basic sanitary knowledge. The provision of the last two has much to do with education, particularly the education of women, and all seem to depend on the active participation of the population in health matters. To this "integrated" route to mortality decline, many would add the "vertical" and externally driven (by the WHO and other international agencies) disease eradication campaigns against malaria, smallpox, river blindness, and polio, as well as the later campaigns for immunization, breast-feeding, growth monitoring, and oral rehydration therapy. All of these routes to mortality decline have been effective, and sometimes have been so in the absence of economic growth». Pertanto, uno tra i più autorevoli economisti dello sviluppo riconosce che non ci si può più dedicare alla disamina specifica di un tema, senza tirare in ballo, per il loro ruolo causale, svariate dimensioni extraeconomiche. In particolare, una buona analisi economica della salute non può rimanere entro gli steccati delle determinanti economiche e degli strumenti con cui le si modellizza. La multidisciplinarietà nasce dalle cose.

Infine, occorre cercare risposte che, per essere all'altezza delle sfide, siano esse stesse di livello globale. Un esempio di (relativo) successo è il Fondo globale per la lotta ad AIDS, tubercolosi e malaria che viene creato nel 2001, quando «i governi dei paesi donatori, la Banca mondiale e il settore privato avevano dimostrato di non essere in grado di organizzare una risposta efficace alla pandemia di AIDS nell'ambito delle istituzioni esistenti» (Sachs 2008, p.324). Esso ha permesso ai governi dei paesi del Sud di accedere direttamente e in modo trasparente alle risorse, finanziando programmi in 132 paesi, distribuendo (a metà 2007) più di 30 milioni di zanzariere, sottoponendo a terapia antiretrovirale oltre un milione di persone e curando dalla TBC circa tre milioni di persone (1). Soprattutto, esso ha contribuito a farci constatare che è quella la strada da seguire nel confronto con molti altri problemi della salute.

Alla luce della definizione avanzata, non può stupire che oggi la nozione di salute globale sia dibattuta all'intersezione di alcune tra le più fertili ed innovative letterature delle scienze sociali. Qui richiameremo quelle sui beni pubblici globali, sui diritti collettivi e sulle capability. Per un verso tenteremo di presentare l'una accanto all'altra elaborazioni multidisciplinari, posto che il filone dei beni pubblici nasce in seno alla scienza economica, quello dei diritti entro la giurisprudenza e la politologia, mentre quello delle capability si radica principalmente nella filosofia etica. Per l'altro verso inizieremo a mostrare come queste linee di argomentazione siano profondamente convergenti, dando gradualmente forma ad un nuovo paradigma interpretativo, analitico e di policy.

2. I beni pubblici globali

«I beni pubblici globali sono beni pubblici i cui benefici - o costi, nel caso di "mali" quali il crimine e la violenza - si estendono su regioni e nazioni, su gruppi ricchi e poveri della popolazione, e anche sulle generazioni. In parte, i beni e i mali pubblici globali sono un risultato della globalizzazione. Ad esempio, non appena i mercati finanziari si sono integrati, quella che un tempo sarebbe stata una crisi finanziaria locale può diventare internazionale, se non adeguatamente controllata fin dal suo nascere. [...] Ma essi costituiscono pure importanti direttrici della globalizzazione. Consideriamo il sistema civile internazionale dell'aviazione. Gli aeroplani non potrebbero viaggiare intorno al pianeta con rapidità e sicurezza se non venissero pienamente armonizzati i servizi e le infrastrutture delle amministrazioni civili nazionali. La gestione della globalizzazione dipende ampiamente dalla fornitura di beni pubblici globali» (Kaul et al., 2003, p.3). L'accesso universale all'istruzione di base e alle cure mediche, la pace e la sicurezza mondiale, la gestione delle maggiori risorse naturali, la stabilità finanziaria, l'efficienza internazionale dei mercati, la disponibilità di arene per negoziazioni multilaterali tra Stati e tra attori privati, l'armonizzazione di regole e istituzioni, sono alcuni tra i più auspicabili beni pubblici globali. I metodi standard per la fornitura di beni pubblici a livello regionale o nazionale, non si applicano quando ci riferiamo a beni non-escludibili che attraversano i confini e le generazioni. Mentre infatti i governi ricorrono alla coercizione per ottenere il pagamento di imposte e tasse, nessuna autorità cosmopolitica è oggi in grado di imporre la fornitura di beni pubblici globali, i quali, se e quando emergono, derivano spesso da contribuzioni volontariamente negoziate da soggetti locali o nazionali, politici o civili.

Questa premessa concettuale ci porta alla salute globale. Essa è un bene pubblico globale, in quanto, in larga misura, è qualcosa di cui tutti possono usufruire senza diminuirne l'accessibilità per gli altri. Un povero paese del Sud può ad esempio trarre beneficio dal controllo delle malattie infettive contemporaneamente ad un ricco paese del Nord agli Stati Uniti, senza diminuire per questo i benefici dell'altro paese. La Tabella 2 riassume le maggiori dimensioni della salute come bene pubblico globale.

Tabella 2. Salute e cambiamenti globali (2)
Global transnational factor Consequences and probable impact on health status
Macroeconomic
Structural adjustment policies and downsizing
Structural and chronic unemployment
Marginalization, poverty, inadequate social safety netsa
Higher morbidity and mortality ratesb
Trade
Trade of tobacco, alcohol and psychoactive drugs
Dumping of unsafe or ineffective pharmaceuticals
Trade of contaminated foodstuffs and feed
Increased marketing, availability and useb
Ineffective or harmful therapyb
Spread of infectious deseases across bordersb
Travel
More than 1 million people crossing borders every day
Infectious disease transmission and export of harmful lifestyles (such as high-risk sexual behavior)c
Migration and demographic
Increased refugee populations and rapid population growth
Ethnic and civil conflict and environmental degradationc
Food security
Increased demand for food in rapidly growing economies (such as those in Asia)
Increase in global food trade continuing to outstrip increases in food production, and food aid continuing to decline
Structural food shortages as less food aid is available and the poorest countries are unable to pay hard currencyb
Food shortages in marginalized areas; increased migration and civil unresta
Environmental degradation and unsustainable consumption patterns
Resource depletion, especially access to fresh water
Water and air pollution
Ozone depletion and increases in ultraviolet radiation
Accumulation of greenhouse gases and global warming
Global and local environmental health impactb
Epidemics and potential violence within and between countries
Introduction of toxins into human food chain and respiratory disorders; Immunosuppression, skin cancers and cataracts
Major shifts in infectious desease patterns and vector distribution, death from heat waves, increased trauma due to floods and storms and worsening food shortages and malnutrition in many regions
Technology
Patent protection of new technologies under trade-related intellectual property rights agreements
Benefits of new technologies developed in the global market are unaffordable to the poorc
Communications and media
Global marketing of harmful commodities such as tobacco
Active promotion of health-damaging practicesb
Foreign policies
Policies based on national self-interest, xenophobia and protectionism
Threat to multilateralism and global cooperation required to address shared transnational health concernsc

a.Possible short-term problem that could reverse in time
b.Long-term negative impact
c.Great uncertainty

Possiamo individuare meccanismi che facilitino la produzione e il finanziamento di un bene pubblico globale (Sandler, 2010). I modi con cui le contribuzioni individuali al bene pubblico determinano la quantità totale di bene disponibile per il consumo sono chiamati le "tecnologie di offerta". Finché assumiamo una "tecnologia additiva", per la quale ogni euro versato da un soggetto incide in egual misura sul livello totale del bene, il paradosso del free riding emerge con naturalezza: perché dovrei partecipare, se tanti altri possono farlo e se la mia spesa è rimpiazzabile da un qualsiasi altro apporto? Il paradosso appare invece abbordabile se ipotizziamo una "tecnologia del colpo ottimo": un meccanismo alternativo che rende conveniente la contribuzione del bene pubblico ai soggetti ricchi e organizzati, lasciando i soggetti poveri e frammentati nella comoda posizione di "viaggiare (quasi) gratis". Ciò può succedere quando l'ammontare di bene pubblico dipende dal più grande tra i contributi versati. Consideriamo ad esempio i tentativi per curare una malattia: qui vale, in definitiva, il solo sforzo di chi scopre la terapia. Il primo arrivato vince per tutti gli altri; il contributo di un soggetto qualsiasi non costituisce pertanto - come avviene con la tecnologia additiva - un perfetto sostituto di quello di un altro soggetto. Poiché le possibilità di successo sono di solito positivamente correlate alla quantità e qualità delle risorse, il "colpitore ottimo" è spesso uno dei soggetti più ricchi, mentre può risultare inutile o addirittura controproducente trasferire risorse verso i soggetti poveri: se la ripartizione di reddito e ricchezza diventa più livellata, l'offerta di bene pubblico può in questo caso ridursi. Ne discende che i soggetti consapevoli di non rientrare tra quelli in grado di assestare il colpo vincente, possono disinteressarsi dell'obiettivo comune.

Una seconda modalità è rappresentata dalla "tecnologia dell'anello più debole", per cui è il minore tra i contributi a stabilire il livello di bene pubblico a disposizione dell'intero gruppo. Pensiamo ad una malattia contagiosa: il suo contenimento dipende dalla nazione che meno s'impegna. Anche stavolta i soggetti più forti sono stimolati a collaborare con i deboli; i soggetti deboli, tuttavia, possono trovare conveniente l'assenteismo, nella convinzione che gli altri dovranno aiutarli.

Una terza importante modalità è la tecnologia threshold, la quale dà origine ad un «dilemma a soglia (step-level public good), utile per studiare la costruzione e salvaguardia di beni pubblici la cui esistenza dipende dal superamento di un certo livello di cooperazione. Se, per esempio, un'associazione benefica intende costruire un ospedale sulla base di donazioni private, la costruzione potrà iniziare solo se i fondi raccolti sono sufficienti a garantire l'apertura dei cantieri. La caratteristica di questo tipo di dilemma sociale è che il vantaggio collettivo associato alla cooperazione non è direttamente proporzionale all'ammontare di cooperazione, in quanto potrebbe risultare nullo allorquando la soglia necessaria per produrre il bene pubblico non sia superata» (Gallucci 2004, p.209).

La Tabella 3 (tratta da Sandler 2004, p.110) illustra come questi tre meccanismi, e altri ad essi vicini, si applicano al tema della salute pubblica, nonché alcune loro implicazioni di policy. La Tabella 4 (Ivi, p.113) sintetizza piuttosto i vari tipi di istituzioni che parzialmente tentano di fornire la salute come bene pubblico globale. Mentre la prima Tabella mostra alcuni tra i principali percorsi lungo i quali l'azione collettiva globale può, in tema di salute, essere facilitata, l'altra smentisce l'idea, spesso associata all'analisi del beni pubblici globali, secondo cui, scaturendo tali beni da unità spazio-temporali prive di confini, la soluzione di policy che richiedono è la creazione di una sorta di Sistema Sanitario Globale. Al contrario, la lezione teorica ed empirica che si trae dallo studio dei beni pubblici globali è che i loro costi di coordinamento aumentano (non di rado, in modo più che proporzionale) all'aumentare della dimensione e dell'eterogeneità del gruppo; occorre dunque - per riuscire, al meglio, a produrli, fornirli e finanziarli - un'organizzazione poliarchia e policentrica (Olson, 1969; Sandler, 1997; Bellanca, 2007), ovvero, per un tema come la salute pubblica globale, occorre «un progetto per l'unione volontaria e revocabile di istituzioni governative e metagovernative, con il potere coercitivo di ultima istanza distribuito tra i diversi attori e sottoposto al controllo giudiziario delle già esistenti e opportunamente riformate istituzioni internazionali» (Archibugi 2009, p.130).

Tabella 3. Modi di promuovere la Salute pubblica come Bene pubblico globale
Aggregation Technology Infectious Diseas Noninfectious Diseas Public Policy Implications
Summation: public good levels equal the sum of individual contributions Educating the public about transmission Educating the public about screening Need for international cooperation for infectious disease. Some international assistance is required for non-infectious disease if country is poor.
Weakest link: only the smaller provision level determines the public good level Providing prophylactic measures Sharing information in a network When the countries have similar income, little intervention is required. If, however, standards for infectious diseases cannot be met by poor countries, rich ones will have to bolster the poor's capacity to contribute. This is more of a concern for infectious diseases.
Weaker link: the smallest contribution has the greatest marginal influence, followed by the next smallest, and so on Maintaining sterilization Curbing the spread of a pest The need for matching behaviour is less pronounced. Rich may assist poor countries if infectious or noninfectious diseases pose a danger.
Best shot: only the largest provision determines the overall public good level Isolating a virus Finding a cure Effort must be concentrated where talent is the greatest with discoveries benefiting everyone. Coordination in the form of directing resources to those most likely to succeed is desirable.
Better-shot: the largest provision has the greatest marginal influence, followed by the next largest, and so on Discovering new vaccines Developing treatment regimes Less need for concentrated effort, but some coordination still required.
Threshold: cumulative contribution must surpass threshold for benefits to be received Eradicating a disease with herd immunity less than 99 percent Assessing risks Coordination is needed so that threshold is met. Cost sharing and refundability promote action. Public coordination can be helpful.
Weighted sum: each contribution can have a different additive impact Curbing spread of AIDS Reducing sulphur pollution Need for intervention must be on a case-by-case basis. Localized benefits may limit policy intervention.

3. Il diritto collettivo alla salute globale

In senso stretto, il diritto è sinonimo di "pretesa" (claim). In tale accezione il diritto è il riflesso di un obbligo positivo (permesso) oppure negativo (divieto) e vale la correlazione tra diritto e dovere: se X esibisce il diritto di attingere acqua ad una fontana posta su una strada che conduce alla terra di cui è proprietario Y, allora Y ha il correlativo (ed equivalente) dovere di far prendere l'acqua ad X (Hohfeld, 1913). Questa visione appare riduttiva nei riguardi di molti processi sociali, tra cui spicca la salute, poiché si riferisce esclusivamente a nessi tra individui. Pensiamo ad Y che deve restituire un prestito ad X: egli ha un obbligo verso quella specifica persona, la quale può vantare un diritto contro di lui. Ma il diritto alla salute non è, in generale, un'esigenza che X vanti relativamente ad Y, tranne circostanze particolari in cui sia proprio lo specifico comportamento di Y ad impedire ad X azioni rilevanti per la sua salute. Non sempre le pretese di X sono "contro" qualcuno.

Piuttosto il diritto alla salute, e ancor più quello alla salute globale, riguarda l'esistenza e la fruibilità per X di beni pubblici (dall'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici all'offerta adeguata di cibo sano e nutriente, dalla libertà da violenza e discriminazione all'informazione e ai servizi sanitari), che possono essere forniti ed usati solo mediante un'azione collettiva, entro la quale di solito il contributo del singolo soggetto Y non è decisivo (Meier, 2007). Qui l'integrazione con l'analisi del § 2 è immediata e cruciale. Siamo davanti a beni pubblici globali (e a corrispettivi bisogni sociali globali) che emergono da "fallimenti dei mercati", incapaci (come s'è visto) di rispondere ad essi spontaneamente. La risposta possibile sta piuttosto nell'attività del rivendicare (claiming) (3), che «chiede il riconoscimento di determinati imperativi e addita la necessità di fare qualcosa per tradurre in realtà le libertà individuate dai diritti così riconosciuti. Non pretende invece di spacciare questi diritti umani come diritti già sanciti giuridicamente, codificati in un corpus di leggi o dal diritto consuetudinario» (Sen 2009, p.364). Nel linguaggio degli economisti, potremmo dire che X reclama il contributo di Y alla fornitura e all'utilizzo di certi beni pubblici globali; ossia, X contrasta la defezione (il free-riding) di Y e degli altri cittadini che, accanto a Y, concorrono al paniere di beni pubblici che promuovono il fine della salute. Il diritto di X alla salute globale non è dunque un obbligo per il singolo Y a concedere permessi o a non esercitare divieti; bensì è la rivendicazione da parte di X che quelli che stanno nella posizione di Y s'impegnino a realizzare i beni pubblici globali mediante cui si soddisfa il bisogno della salute. A sua volta, poiché i beni pubblici globali scaturiscono dall'azione collettiva, ha poco senso e ben scarsa efficacia che la rivendicazione avvenga da parte di un X isolato: ciò segna il passaggio dai diritti individuali ai diritti di gruppo; è l'insieme di coloro che stanno nella posizione di X rispetto all'esigenza della salute che si fa valere di fronte a quelli che stanno nella posizione di Y. È questo dei diritti di gruppo l'altro aspetto innovativo, nella riflessione e nella policy, su cui torneremo tra poco.

Asserire che il diritto alla salute dipende (in larga e crescente misura) dall'accesso a beni pubblici globali, significa collocarlo direttamente tra i cosiddetti "diritti di welfare", che contrastano le maggiori forme di vulnerabilità e che includono diritti sociali (l'analfabetismo, ad esempio), economici (le pensioni o le indennità di disoccupazione), culturali (la salvaguardia di un idioma locale) o ambientali (la tutela delle specie animali in pericolo di estinzione) (4). Questi diritti di welfare sono stati criticati in quanto "opportunità condizionali", che vengono assecondate in base all'ammontare delle risorse a disposizione, alle scelte discrezionali dei governi e dell'amministrazione, nonché agli equilibri contingenti di forze tra i gruppi sociali. L'obiezione è ovviamente molto seria e la risposta non può che essere articolata. Essa distingue tra praticabilità tecnica e giuridica, che appare percorribile (5); sostenibilità economica, che appare implementabile (6); e realizzabilità politica, che invece appare oggi ardua, senza che ciò tuttavia svuoti il contenuto di claiming di tali diritti (7). Anzi, è proprio sul terreno della realizzabilità politica che Sen (1984) introduce l'importante distinzione tra diritti e meta-diritti. Questi ultimi sono definibili come il diritto di avere la policy p(x) che è in grado di avvicinare l'obiettivo di rendere realizzabile il diritto x. Anche se il diritto rimane temporaneamente non percorribile, il meta-diritto può costituire una rivendicazione valida se tutte le obbligazioni ad esso associate possono essere specificate, con l'identificazione dei soggetti che debbono farsene portatori e darne conto ai beneficiari. Il meta-diritto a p(x) è insomma il percorso di claiming lungo cui il diritto a x può diventare raggiungibile in futuro.

Siamo all'ultimo passaggio: come abbiamo già anticipato, oltreché diritto di welfare, quello alla salute è un diritto collettivo. La nozione di diritto di gruppo o collettivo nasce per rispondere ad un'aporia dei diritti individuali: in situazioni di grande rilievo, il prerequisito per la protezione del mio diritto soggettivo è che sia definito e tutelato un diritto per l'intero gruppo al quale faccio riferimento. Immaginiamo che io rivendichi il diritto di parlare l'idioma della minoranza a cui appartengono i miei antenati. Questo diritto vale su scala individuale soltanto se è riconosciuto, su scala collettiva, il diritto di quella minoranza ad esistere culturalmente: in caso contrario, con chi potrei parlare quell'idioma? Pertanto «i diritti collettivi non sono intesi semplicemente come diritti soggettivi riconosciuti ai membri di un gruppo: sono diritti che il gruppo come tale, attraverso i suoi organi e i suoi rappresentanti, può esercitare a nome di tutti i suoi membri all'interno di un determinato ordinamento giuridico, nazionale o internazionale» (8). Il diritto alla salute rientra appieno tra i diritti collettivi. «Whereas traditional human rights scholarship views "man" as a separate isolated individual who, as such and apart from any social context, is bearer of rights, combating the health disparities of a globalized world will require renewed focus on the collective social factors that facilitate the onset and spread of disease. Creating societal interventions to combat these societal determinants of health will require broad public health systems that move beyond the individual curative model of medicine. The tools of public health programs - including medical knowledge, disease surveillance, and treatment options - are public goods that, by their very nature, have meaning only in the context of societies» (Meier 2006, p.759).

Premesso che la nozione di "salute" tende a combaciare con l'idea classica di well-being (benessere psico-fisico), definiamo il "diritto collettivo alla salute" come un percorso che consenta ad un gruppo di realizzare il well-being dei propri membri mediante il conseguimento progressivo di tutti i diritti civili, politici e di welfare. La differenza più marcata tra questo approccio e quello tradizionale viene efficacemente raffigurata nella Figura 1 (tratta da Meier-Fox 2008, p.353). Finché siamo nell'orbita dei diritti individuali, il rapporto centrale è tra lo Stato nazionale e il cittadino, il quale chiede e paga per ottenere una qualità dello sviluppo entro cui la salute pubblica non stia ai margini. Quando si entra nell'orbita dei diritti collettivi, il nesso cruciale è tra attori collettivi, che sono gruppi sociali, associazioni e organizzazioni, Stati, Istituzioni internazionali e sovranazionali. Poiché adesso ad essere rivendicati sono i diritti di gruppi come tali, essi hanno, per dir così, un duplice carattere d'indivisibilità: non soltanto sono indivisibili quale corpus di diritti, ma lo sono altresì rispetto al percorso di sviluppo socio-economico che si sta (o non si sta) effettuando. Il diritto collettivo alla salute e il diritto collettivo allo sviluppo di un territorio tendono pertanto a combaciare.

Figura 1

Un esempio che esplicita la potenza e la complessità di quest'approccio viene suggerito da Annalijn Conklin e Benjamin Meier (2008). Prendendo in esame una figura soggettiva che accumula numerose tremende vulnerabilità (la bambina che - in un paese estremamente povero, in guerra e privo di uno Stato funzionante - è rapita alla famiglia, subisce violenze e abusi sessuali ed è costretta, diventando soldatessa, a perpetrare a sua volta violenze, perfino sui propri familiari), gli autori si concentrano su un vettore dei diritti intersezionale. La condizione della bambina-soldato emerge dall'interazione di molteplici marginalità; ed è all'incrocio di molteplici forme di diritti che quelle debolezze si possono contrastare. Il Diagramma di Venn della Figura 2 rappresenta il complessivo danno alla salute della bambina, nel mentre raffigura il complesso di diritti che ad esso si oppongono. La Figura non implica che tutte le modalità specifiche dei diritti civili, o di quelli di welfare, e così via, siano tra loro coerenti, rispetto alle esigenze della bambina, e nemmeno comporta che tutte quelle modalità specifiche varino congiuntamente, ossia, in particolare, che segnino, se introdotte, un concorde e a-conflittuale miglioramento. Piuttosto, la Figura 4 si limita efficacemente a mostrare che possono esistere intersezioni tra le varie aree dei vari diritti, e che entro tale eventuale spazio la bambina (oppure il gruppo delle bambine-soldato, quando appare più rilevante ragionare in termini di diritti collettivi) è meno vulnerabile (9).

Figura 2

4. L'approccio delle capability

Amartya Sen (1999) sostiene che i beni, così come il reddito, sono un mezzo per ottenere benessere ma non sono, di per sé, indice di benessere. Oltre ai mezzi (monetari e in beni), occorre considerare le capacità di un individuo di fruire dei mezzi, e le opportunità (socio-istituzionali) che gli sono accessibili. Occorre dunque guardare a ciò che le persone riescono, dati certi mezzi, a fare e ad essere mediante le loro capacità e opportunità. Questo "spazio", in cui determinati mezzi incontrano le capacità/opportunità della persona, è chiamato da Sen lo spazio delle capability. Soltanto entro esso possiamo adeguatamente valutare il benessere degli individui e lo sviluppo dei paesi. L'obiettivo dello sviluppo socio-economico è, per Sen, né (come affermano i liberisti) la massimizzazione dei mezzi (redditi monetari), né (come affermano alcuni tipi di progressisti) l'eguaglianza dei risultati (livelli di benessere, quantità di redditi monetari), bensì l'eguaglianza delle capacità e delle opportunità. Ad esempio, se un soggetto è anziano o malato, uno stesso ammontare di mezzi sarà da lui usato con differenti capacità: occorre puntare a uniformare le capacità tue e le sue, compensando lui con mezzi adeguati. Oppure, se un soggetto ha minori accessi a certe opportunità socio-istituzionali, ed è quindi discriminato, occorre puntare a uniformare le opportunità tue e sue (10).

Figura 3

La Figura 4 è costruita per marcare alcuni parallelismi tra la teoria delle capability e quella dei diritti soggettivi. L'area che nella Figura 3 raffigura i mezzi tramite cui la persona si muove in società, corrisponde nella Figura 4 all'area dei diritti come obblighi negativi (astenersi da certi comportamenti) e positivi (che consistono in poteri): infatti ogni divieto o permesso in tanto si esercita in quanto dispone di mezzi (11). L'area delle opportunità corrisponde all'area dei diritti di welfare. Infine, l'area in cui s'incrociano le capacità individuali e collettive corrisponde a quella in cui si formano i diritti collettivi (12). Non pretendiamo di 'forzare' eccessivamente il parallelismo; esso però aiuta a cogliere con un solo sguardo le coordinate comuni delle due impostazioni.

Figura 4

5. Ordinamenti parziali e decisioni di policy

Abbiamo un "ordinamento parziale" quando non tutte le dimensioni di un fenomeno possono essere ordinate e pesate per ogni valutazione sociale. Immaginiamo di classificare le possibili organizzazioni della salute pubblica con una terna di numeri (a, b, c), in cui a è il grado di benessere fisico; b la lunghezza della vita; c la soddisfazione psicologica. Qual è l'ordine di preferenza delle possibili combinazioni? Un'organizzazione che produce livelli (2, 1, 3) è migliore di quella che produce (1, 2, 3)? Non esiste una risposta univoca, poiché manca la possibilità di calcolare compensazioni tra l'una dimensione e le altre. Oppure immaginiamo che Anna e Bruno abbiano tassi diversi di trasformazione di risorse socio-sanitarie in utilità. Un governo che si proponga di perequare le loro opportunità, potrà equalizzare le loro quote di risorse, rendendo così ineguali i loro gradi di utilità (sia totale sia marginale); oppure potrà rendere i loro gradi di utilità eguali, rendendo ineguali le loro risorse; ma non potrà rendere eguali sia i loro gradi di utilità, sia le loro quote di risorse. Dovrà per forza eguagliare una cosa assieme alla disuguaglianza dell'altra (Carter 2001, pp.15-16).

Come può affermarsi una valutazione economica, e una decisione di policy, quando gli ordinamenti sono parziali o non-completi? A questo interrogativo, che attraversa l'intera sua riflessione, Sen così risponde: «Ci sono moltissime scelte per le quali un ordinamento parziale non privo di fratture può comunque fornirci qualche ottima indicazione. Se, per esempio, mediante un esame critico di alcune questioni di giustizia siamo in grado di collocare un'alternativa x al di sopra di y e z, senza riuscire però a gerarchizzare tra loro y e z, potremo tranquillamente optare per x, lasciando irrisolta la questione della priorità tra y e z. Se siamo meno fortunati e il nostro esame non pone in luce il primato di x su y, ma colloca sia x sia y al di sopra di z, allora dalle sole considerazioni su questioni di giustizia non emergerà alcuna scelta specifica. E tuttavia le ragioni della giustizia ci permetterebbero di respingere l'alternativa z, chiaramente inferiore a x e a y» (13). La posizione di Sen appare al riguardo insoddisfacente, nel senso che, mentre richiama l'attenzione sui casi in cui, malgrado la parzialità dell'ordinamento, possiamo scegliere, rimane muta su tutti gli altri casi; senza, per giunta, introdurre alcun criterio generale che consenta di distinguere il primo dal secondo tipo di casi.

Un brillante tentativo di compiere qualche passo ulteriore è quello di Cass Sunstein (1995, 2007), il quale rimarca l'importanza degli accordi incompiutamente razionalizzati (incompletely theorized agreements), la cui essenza è colta da una frase famosa del filosofo Jacques Maritain a proposito dei lavori che condussero alla Dichiarazione Universale del 1948: «Yes, we agree about the rights, but on condition no one asks us why». Quattro ci sembrano le modalità essenziali di simili accordi. 1) Possiamo fare assieme qualcosa senza ragionare sul perché lo facciamo, come quando aiutiamo una persona in pericolo. 2) Possiamo convergere su singoli provvedimenti ma dissentire sulle ragioni per cui li introduciamo, come quando somministriamo preservativi contro il contagio dell'AIDS. 3) Possiamo condividere un criterio senza discutere dei fondamenti che lo legittimano per ciascuno di noi: stabiliamo, ad esempio, un limite di velocità agli autoveicoli, ma ciò perché, secondo alcuni, le ragioni di sicurezza per l'automobilista superano quelle di efficienza e di piacere, per lo stesso guidatore, legate al viaggiare più veloce (è la tesi paternalistica); mentre, secondo altri, sono le ragioni di sicurezza per gli altri automobilisti a superare l'utilità di chi desidera correre (è la tesi libertaria). 4) Possiamo approvare un principio generale, ma dividerci sui casi particolari: dichiariamo di propugnare eguali opportunità di accesso ai servizi sanitari di base, ma dissentiamo su quali sono, in un contesto concreto, i servizi di base. Jennifer Prah Ruger (2004, 2007, 2009) riformula lo schema di Sunstein distinguendo tra il più elevato livello di astrazione dei principi, il livello intermedio dei criteri operativi ed il criterio più concreto dei risultati della pratica: nella prima parte della Figura 5 vi è accordo soltanto sui principi, nella seconda parte soltanto sui criteri operativi, nella terza soltanto sugli esiti. Ciò che tuttavia manca - in contributi come quelli di Sunstein e Ruger - è la precisazione di una o più metodiche: appurato che possono formarsi varie forme di accordi non del tutto sorretti da giustificazioni razionali, come possiamo riconoscere l'una loro modalità dall'altra? Come possiamo provare a trasformare l'una nell'altra? Come possiamo migliorare i margini dell'accordo, data una divergenza su principi e/o criteri e/o esiti? Sotto quali condizioni, piuttosto, l'accordo non è possibile?

Figura 5

Per elaborare elementi di risposta a queste domande occorre anzitutto riconoscere - ed è una tesi non scontata - che le scelte (per noi) più impegnative nell'ambito di ordinamenti incompleti esprimono una valenza etica, ossia non sono, e non possono essere, proceduralmente neutrali. Entro gli ordinamenti incompleti, infatti, si formano con naturalezza situazioni dilemmatiche: due o più opzioni sono egualmente rilevanti per noi, in quanto i valori che ognuna richiama ci appaiono irrinunciabili. Il dilemma scatta quando abbiamo diverse ragioni per agire, nessuna delle quali predomina, nessuna delle quali è predominata, e tali che giustificano azioni incompatibili. In questi casi la deliberazione è arbitraria, non potendo effettuarsi in base a ragioni, e pone una minaccia al nostro profilo identitario: se la scelta non ha un chiaro senso per noi, chi siamo? È proprio davanti ad una tale difficoltà che di solito il soggetto sceglie di scegliere: la predominanza di un'opzione diventa il risultato della stessa deliberazione; ovvero, la deliberazione diventa un modo per auto-conferirsi senso, per provare a ripristinare unità e coerenza identitaria (Frankfurt 1988, 1999).

Ma il punto teorico è che il soggetto, di solito, sceglie di scegliere secondo ragioni. Riprendendo l'argomentazione di Chiara Bagnoli (2006), immaginiamo che Gemma e Gaia siano gemelle e abbiano entrambe pari deficit di salute, mentre la loro madre Beatrice dispone di risorse adeguate per curare soltanto una di loro. Se il problema di Beatrice fosse di "tagliare il nodo", le basterebbe randomizzare la decisione oppure delegarla ad un qualsiasi soggetto esterno. Invece per lei conta il modo con cui si supera lo stallo deliberativo: lanciare la moneta, o affidarsi ad un arbitrario giudizio altrui, le appaiono procedimenti iniqui (e insensati) verso la figlia esclusa; Beatrice desidera scegliere in base ad un criterio, ossia in forza di ragioni. Soltanto questo passaggio dà una risoluzione morale al suo dilemma, stabilendo quale identità Beatrice conferisce a sé stessa nel prossimo periodo.

Il punto teorico che stiamo toccando segnala insomma che, di fronte a situazioni dilemmatiche (tra cui spiccano quelle che riguardano "scelte tragiche" intorno alla salute), mettiamo in gioco il significato delle nostre azioni e quindi il nostro profilo identitario: non sappiamo più bene chi siamo, perché ci sfuggono le ragioni per agire. In risposta al dilemma dobbiamo prendere posizione, deliberando. Molte volte tuttavia non ci basta una scelta qualunque, purché scelta sia; abbiamo bisogno di essere riconosciuti e di auto-riconoscerci mentre decidiamo; dobbiamo pertanto selezionare un criterio che renda preferibile un certo percorso di scelta rispetto ad altri; e questo criterio ha natura etica. La conclusione è che, quando siamo alle prese con genuini dilemmi, la scelta non è (semmai può esserlo) una mera faccenda neutrale di calcoli di benefici e costi relativi, bensì comporta meta-scelte sui principi (morali) del nostro agire. Quando dobbiamo assumere le scelte che davvero per noi contano, i confini che passano tra una decisione economica e una decisione etica diventano estremamente sottili e mobili.

La tesi sulla non-neutralità etica dei dilemmi è al centro della teoria della giustizia sociale di Michael Sandel. A suo avviso, se vogliamo stabilire un modo equo di assegnare le risorse a cui diamo valore, non possiamo non interrogarci sul modo giusto di valutarle. Se ad esempio vogliamo accrescere la prosperità ed estendere i diritti di libertà, non possiamo non chiarire quali siano le attività che, generando la prosperità e tutelando i diritti, vadano promosse in una società buona. Oppure, per ricorrere ad un esempio vicino al nostro tema, «come nel caso della controversia sull'aborto, non è possibile far valere la tesi a favore della ricerca sulle cellule staminali senza prendere posizione nel dibattito politico circa il momento in cui ha inizio la persona. Se, dal punto di vista morale, l'embrione appena concepito è come una persona, chi si oppone a queste ricerche ha un argomento su cui fondarsi, perché neppure la ricerca medica più promettente potrebbe giustificare lo smembramento di una persona umana; ben pochi considererebbero legale sottrarre gli organi vitali a un bambino di cinque anni, fosse pure per intraprendere ricerche mirate a salvare vite umane. E dunque, neppure la tesi favorevole agli studi sulle cellule staminali si mantiene neutrale nel dibattito etico e religioso circa l'esatto momento in cui la persona ha inizio, anzi presuppone una risposta precisa: l'embrione non ancora impiantato, che viene distrutto quando si manipolano le sue cellule, non è ancora un essere umano» (Sandel 2009, p.284).

L'idea liberale - difesa, pur con molte qualificazioni, anche da Sen - è che i principi di giustizia in base ai quali definiamo i nostri diritti non debbano poggiare su alcuna concezione etica particolare, e che invece debbano mantenersi neutrali rispetto a visioni plurali della vita buona. Questa concezione procede assieme a quella della scienza economica, secondo cui il processo della scelta consiste, dati certi fini, nella selezione neutrale dei mezzi ottimali. Il framework concettuale qui propugnato critica entrambe queste posizioni. Il policy-maker non può rimanere neutrale nelle questioni etiche; e le scelte dilemmatiche sulla salute sono questioni etiche. Quel che il policy-maker può fare è delimitare l'area della sua non-neutralità. Ci sono tre possibilità; che la regolamentazione: 1) sia neutrale rispetto al contenuto, come avviene quando un governo è autorizzato a sanzionare coloro che impediscono, nel traffico urbano, il transito dell'autoambulanza; 2) sia non-neutrale sul contenuto, ma neutrale sull'opinione, come quando si vieta l'espressione commerciale della magia per la terapia dei tumori, ma si permettono tutte le forme di pubblicità di farmaci dalla validità verificata; 3) sia non-neutrale sull'opinione, come quando s'impedisce la pubblicità contraria ad una campagna pubblica sugli anticoncezionali (Sunstein 2001, pp.174-77).

Il grado di controvertibilità delle decisioni politiche, che esiste sempre, aumenta passando da (1) a (3). Quando esso è elevato, un criterio che può orientare, pur senza dissolvere ogni difficoltà, è quello di terzietà, il quale affronta «le controversie sulla base del principio che nessuno può essere giudice in casa propria. Nel momento in cui sorgono dispute, le parti devono essere disposte a rivolgersi e a sottomettersi a un parere esterno» (Archibugi 2009, pp.283-84, corsivo aggiunto). Ovviamente, lo snodo delicato, che non può essere presupposto, è proprio la disponibilità delle parti. Se torniamo all'esempio di Beatrice, alle prese con una "scelta tragica" concernente la salute delle figlie, ella, abbiamo notato, tende a non decidere senza ragioni e quindi, tra l'altro, non accetta di cedere la scelta ad un Terzo arbitrario. Ma Beatrice può accogliere l'idea che a scegliere sia un medico o un assistente sociale in cui ripone fiducia. Non è scontato che ciò succeda. Quando però accade, è importante che Beatrice e il Terzo siano entrambi consapevoli della natura eticamente schierata della loro procedura. È intorno a simili istanze che la politica si esprime nella sua forma più alta: come forma di convivenza civile entro cui si affrontano, si valutano e si decidono pubblicamente non poche tra le opzioni a cui maggiormente diamo valore.

6. Questioni aperte

Ci siamo avvicinati a tre letterature che hanno recentemente studiato la salute pubblica: quella dei beni pubblici globali, quella dei diritti collettivi e quella delle capability. La nostra è stata una interpretazione congiunta, finalizzata a mostrare le potenzialità della convergenza dei tre approcci. Rimangono, ovviamente, molte questioni aperte. Ne ricordiamo una di particolare rilievo. Le dimensioni dei diritti, del well-being o delle capability sono eterogenee e sollevano problemi di inconfrontabilità; le risposte basate su accordi incompiutamente razionalizzati e valutazioni etico-politiche deliberative costituiscono validi spunti, ma non esauriscono le difficoltà dei processi di decision-making. Siamo insomma alla frontiera del dibattito e le questioni aperte sollecitano il nostro impegno.

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Note

1. «Il successo del Fondo globale è particolarmente notevole perché è giunto in seguito a un'ondata di polemiche, scetticismo e opposizione. [...] Sei anni dopo, tutti questi dubbi e timori si sono dimostrati privi di fondamento: gli africani hanno rispettato i regimi terapeutici, la resistenza ai farmaci non è aumentata, le zanzariere sono state usate correttamente e solo poche sono state rubate o accaparrate» (Sachs 2008, pp.325-26).

2. Tabella tratta da Chen et al., (1999, pp.286-287).

3. «I diritti-pretesa sono qualcosa di prioritario, e di più fondamentale, dei doveri. Se Nip ha un diritto-pretesa verso Tuck, è in conseguenza di questo fatto che Tuck ha un dovere verso Nip. È solo perché qualcosa è dovuto da Tuck a Nip (elemento direzionale) che c'è qualcosa che Tuck deve fare (elemento modale). Inoltre, questa è una relazione nella quale Tuck è vincolato e Nip è libero. Nip non solo ha un diritto, ma può scegliere se esercitarlo o meno, se rivendicarlo, se sporgere querela per la sua usurpazione, persino se sollevare Tuck dal suo dovere». Feinberg (1980, p.149). Per una discussione approfondita del passaggio, qui appena abbozzato, dal claim al claiming, si veda Baccelli (2009).

4. Si veda l'International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, del 16 dicembre 1966.

5. Vale la pena di riportare al riguardo un brano di Ferrajoli (2001, pp.31-32): «Sul piano tecnico nulla autorizza a dire che i diritti sociali non siano garantibili al pari degli altri diritti perché gli atti richiesti per la loro soddisfazione sarebbero inevitabilmente discrezionali, non formalizzabili e non suscettibili di controlli e coercizioni giurisdizionali. Innanzitutto questa tesi non vale per tutte le forme di garanzia ex lege che, diversamente dalle pratiche burocratiche e potestative proprie dello stato assistenziale e clientelare, possono ben realizzarsi attraverso prestazioni gratuite, obbligatorie e perfino automatiche: come l'istruzione pubblica gratuita e obbligatoria, l'assistenza sanitaria parimenti gratuita o il reddito minimo garantito. In secondo luogo, la tesi della non giustiziabilità di questi diritti è smentita proprio dalla più recente esperienza giuridica, che per vie diverse (provvedimenti d'urgenza, azioni di danno e simili) ha visto ampliarsi le loro forme di tutela giurisdizionale, in particolare per quanto riguarda i diritti alla salute, alla previdenza e all'equa retribuzione. In terzo luogo, al di là della loro giustiziabilità, questi diritti hanno il valore di principi informatori del sistema giuridico, largamente utilizzati nella soluzione delle controversie dalla giurisprudenza delle corti costituzionali. Soprattutto, poi, nuove tecniche di garanzia possono ben essere elaborate. Nulla impedirebbe, per esempio, che a livello costituzionale si stabilissero quote minime di bilancio da destinare ai vari capitoli della spesa sociale e si rendesse così possibile il controllo di costituzionalità sulle leggi finanziarie. E nulla impedirebbe, almeno sul piano tecnico-giuridico, l'introduzione di garanzie di diritto internazionale: come l'istituzione di un codice penale internazionale e di una correlativa giurisdizione sui crimini contro l'umanità [...]; l'introduzione di un controllo giurisdizionale di costituzionalità su tutti gli atti degli organismi internazionali e magari su tutti quelli degli Stati per violazione dei diritti umani; l'imposizione e la regolazione infine di aiuti economici e di interventi umanitari, declinati nella forma delle garanzie, a favore dei paesi più poveri».

6. Nelle parole di Maurice Cranston (1983, p.13, parentesi quadra aggiunta), «come si può pensare che i governi di quelle parti [più povere] dell'Asia, dell'Africa e del Sudamerica, in cui l'industrializzazione è appena iniziata, si facciano carico della previdenza sociale e delle vacanze pagate per i milioni di persone che abitano in quelle terre e che proliferano a vista d'occhio?». Osserva Sen (2009, p.389): «come gli utilitaristi perseguono la massimizzazione dell'utilità, senza che l'attuabilità del loro approccio venga compromessa dal fatto che sul terreno dell'utilità c'è sempre spazio per ulteriori miglioramenti, allo stesso modo i sostenitori dei diritti umani si battono affinché i diritti umani riconosciuti pervengano al massimo grado di attuazione; e l'effettiva tenuta del loro approccio non viene meno per il semplice fatto che per rendere pienamente attuabili e realmente attuati questi diritti riconosciuti è possibile che sia necessario fare sempre qualcosa in più».

7. Sen (2009, p.388) si richiama alla distinzione tra obblighi perfetti ed imperfetti, ricordando che anche per molti diritti classici l'obbligazione è imperfetta (ad esempio, il diritto di non essere aggrediti impone agli altri, in qualsiasi contesto sociale, obblighi imperfetti). Quando l'istituzionalizzazione di un diritto di welfare non è del tutto compiuta, la sua applicabilità è ovviamente imperfetta, ma ciò non tocca la sua rilevanza etico-politica, poiché rende anzi ancora più motivate le rivendicazioni contro la violazione di tale diritto e per la sua effettività.

8. Zolo (2005). Si veda altresì Kymlicka (1989).

9. L'approccio di Conklin e Meier appare di grande rilevanza anche nella prospettiva del co-sviluppo di territori del Nord e del Sud. Esso infatti implica l'esigenza di interventi che, sebbene possano prendere le mosse da un tema-chiave come quello della salute pubblica, siano integrati e inter-settoriali. Sul co-sviluppo, rimandiamo a Caldes et al. (2010).

10. L'esposizione della teoria di Sen è qui particolarmente succinta e semplificata. Per una ricostruzione più complessa, si rimanda a Bellanca - Biggeri - Marchetta (2010).

11. Si rimanda a Sunstein - Holmes (2000).

12. La definizione di diritto in senso soggettivo di Tedesco (2009, pp.8-9) aiuta a intendere la notevole sovrapposizione dei due approcci: «un diritto è fondamentalmente uno strumento per liberarsi dalla coercizione politica, culturale, religiosa, familiare, sessuale, razziale, e dunque uno strumento per consentire ai soggetti di programmare la loro vita; tale scopo può essere realizzato mediante libertà sia negative sia positive (nel senso che i diritti non possono essere intesi solo come 'libertà da', se essi non sono corredati anche dalla 'libertà di'), ovvero sia chiedendo allo Stato, alla famiglia, all'etnia, alla religione di permettere al soggetto di scegliere, sia prevedendo che lo Stato, la famiglia, l'etnia etc. si attivino per far sì che il soggetto realizzi le sue aspirazioni di autonomia».

13. Sen (2009, p.404) così prosegue: «Ordinamenti parziali di questo tipo possono avere notevole portata: se, per esempio, si conviene che lo status quo del sistema sanitario americano - quanto mai lontano dal garantire una copertura medica universale - è decisamente meno giusto rispetto ad altre iniziative che offrano una minore copertura, siamo autorizzati, sulla base di considerazioni di giustizia, a rifiutare quello status quo, quand'anche tali considerazioni non stabiliscano una gerarchia tra le varie alternative ad esso superiori».