2009

Appunti per una "lettura romanì" del pacchetto sicurezza

Alessandro Simoni (*)

Sommario: 1. Neutralità del diritto e recenti policies in tema di "nomadismo" - 2. La separazione degli spazi tra "popolazione maggioritaria" e "nomadi": radici antizigane delle norme restrittive in tema di concessione della residenza - 3. La mendicità minorile - 4. Conclusioni: la persistenza dello stereotipo antizigano nella macchina del diritto

1. Neutralità del diritto e recenti policies in tema di "nomadismo"

Nel 2005 e nel 2007 sono state pubblicate due importanti opere collettanee che hanno coraggiosamente tentato di suscitare tra i giuristi italiani interesse per gli spunti forniti dalla letteratura, la c.d critical race theory, primariamente nordamericana, che tenta radicali riletture del fenomeno giuridico attraverso il prisma delle tensioni razziali (1). Si tratta di un dibattito che, nel suo contesto di origine, ha raggiunto una rilevanza sociale e una complessità interna che possono disorientare.

Certamente, esso origina da vicende (l'esperienza degli afroamericani) che non hanno un preciso corrispondente in Italia. Occorre però fare attenzione a non trascurare il suo valore come punto di partenza per sguardi sull'evoluzione recente del nostro ordinamento magari sgradevoli, ma comunque utili.

Le elaborazioni compiute dai critical race theorists sono un attacco diretto al mito della neutralità dell'ordinamento di fronte all'identità razziale, alla sua colorblindness. In questa prospettiva, anche una volta scomparse dal linguaggio normativo le formule esplicitamente basate su valutazioni di disvalore di un'identità razziale (reale o artificiale, qui non rileva) rispetto ad un'altra, si scopre come tali valutazioni sopravvivano in forme occulte, ma non per questo meno efficaci nel mantenere specifici gruppi in posizione subordinata o comunque nell'esercitare su di essi una particolare pressione attraverso gli apparati giudiziari e di polizia.

L'evoluzione che abbiamo potuto osservare nel nostro paese negli ultimi anni ha reso queste "cose americane" potenzialmente sempre più rilevanti.

Mentre nell'ambito della cultura giuridica "alta" l'impossibilità per lo Stato di applicare differenze di trattamento basate su caratteristiche razziali ed etniche rimane un assioma, in fondo ormai avvertito come indipendente dalla sua base positiva nella Costituzione, la macchina legislativa appare mossa anche da forze che da stereotipi e gerarchie di questo tipo traggono alimento.

Piantiamo subito un paletto. Non vogliamo qui scoprire l'acqua calda, ossia che nel nostro parlamento siedono persone, con solidissima legittimazione popolare, che ritengono l'omogeneità etnica della nazione (qualunque cosa questa significhi) un valore in sé, e guardano con malcelata simpatia anche all'omogeneità razziale.

Sensibilità politiche di questo tipo sono apparse sulla scena di molti paesi europei, e probabilmente fanno parte della fisiologia di società internamente sempre più differenziate a seguito dei flussi migratori. Ed è altrettanto ovvio che queste sensibilità politiche, quando come in Italia diventano centrali nelle maggioranze governative, provochino delle ricadute normative, tipicamente nel diritto dell'immigrazione. Anche il "pacchetto sicurezza" è l'effetto ultimo di un processo del genere, dove tutta una vicenda legislativa prende senso solo sullo sfondo del peso culturale assunto dalla costruzione dell'"extracomunitario", termine con una valenza semantica inequivocabilmente (salvo per chi ignori l'italiano corrente ... ) legata a un'alterità razziale, etnica o religiosa a seconda dei casi.

Un esercizio di critical race theory sul diritto italiano dovrebbe comunque ancora fare, in prima battuta, i conti con l'asetticità dei documenti.

Nell'ambito del processo legislativo la salvaguardia di una neutralità formale è infatti ancora forte per quanto riguarda le categorie razziali ed etniche. I nessi tra razzismo politico e norme sono quindi netti ma indiretti, e la disponibilità di una "categoria ombrello" lessicalmente neutra come il "clandestino extracomunitario" permette all'attore politico, al momento di trasformarsi in legislatore o produttore di norme regolamentari, di non toccare il linguaggio dell'eguaglianza, pur se la sua azione crea condizioni di svantaggio per un insieme magari eterogeneo al suo interno ("neri", "cinesi", "nordafricani", "slavi"), ma composto da soggetti tutti percepiti come parimenti "differenti". Le norme, e le loro rationes esplicitate nei documenti preparatori, non fanno normalmente riferimento a differenziazioni etnico-razziali, anche quando il fine ultimo è evidentemente quello di mettere in piedi meccanismi che al momento dell'applicazione pratica gravino maggiormente su gruppi umani ben definiti.

Esiste tuttavia un'interessante crepa in questo quadro di fondo, che appare quando l'evoluzione della normativa statale interagisce con le nuove priorità politiche circa il controllo della presenza rom. In questo caso, le barriere argomentative che (sinora) reggono per altre identità sembrano non reggere più, ed è possibile portare alla luce l'antiziganismo senza dover troppo scavare.

Ricordiamo i passaggi essenziali, politici e normativi, del nuovo antiziganismo di Stato (2) sino alla promulgazione del "pacchetto sicurezza". Con la campagna elettorale del 2008, per la prima volta la "questione zingara" diventa problema di rilievo nazionale, con prese di posizione nel programma ufficiale di una delle formazioni politiche in lizza. Tra gli obbiettivi presentati agli elettori dal Popolo della libertà compare infatti il «contrasto all'insediamento abusivo di nomadi e (l')allontanamento di tutti coloro che risultano privi di mezzi di sostentamento e di regolare residenza» (3). Come sappiamo, queste priorità hanno avuto una rapida traduzione pratica con l'emanazione delle famose ordinanze sull'"emergenza nomadi". Non ritorneremo qui sul loro contenuto (4), ricordando solo come esse facessero riferimento agli insediamenti di comunità nomadi, agli abitanti dei quali venivano applicate una serie di incisive misure di polizia preventiva, pur se prodromiche - a leggere il testo - ad interventi per il superamento dell'emergenza e l'integrazione sociale.

Come scrivevamo, a nostro parere l'antigiuridicità di tali ordinanze non derivava tanto dalle attività che prescrivevano, ma piuttosto dalla costruzione di una categoria, quella del "nomade", che assume in Italia caratteristiche inequivocabilmente etniche, e rappresenta l'emersione nel linguaggio normativo di una stereotipizzazione negativa che aveva sino ad allora già governato, ma in modo occulto, un'infinità di prassi discriminatorie verso gli "zingari", di cui il termine "nomadi" è sinonimo. Cerchiamo in queste pagine di riprendere il filo del discorso, nella prospettiva del "pacchetto sicurezza".

2. La separazione degli spazi tra "popolazione maggioritaria" e "nomadi": radici antizigane delle norme restrittive in tema di concessione della residenza

Non crediamo valga qui la pena di diffondersi sulla nota vicenda italiana della creazione di luoghi per la "tenuta a distanza" dei gruppi percepiti come "zingari" comunemente denominati "campi nomadi". Si tratta di una vicenda sulla quale si è ormai prodotta una letteratura rilevante, che comincia a metterne a fuoco le radici e le molte variabili locali. È certo questione complessa nei suoi aspetti giuridici ed amministrativi. I "campi nomadi" esistono infatti come effetto cumulativo di una serie di azioni ed inazioni amministrative molto variegate (5). Appare però chiaro come dietro queste azioni ed inazioni vi sia una costante spinta a minimizzare la presenza "zingara", facendo sì che, quando questa non possa essere rimossa, essa rimanga comunque in condizioni di precarietà giuridica. A tal fine, da parte dei governi si vigila affinché vi sia sempre disponibilità nell'ordinamento di strumenti normativi utilizzabili in tal senso dalle istituzioni, in particolare quelle locali.

Negli ultimi anni alcuni strumenti che per molto tempo avevano rappresentato la principale leva per il controllo della "presenza zingara", ossia quelli della normativa sugli stranieri, si sono indeboliti. Il fenomeno dovrebbe essere abbastanza evidente. Per quanto, come sappiamo, gli stranieri non rappresentino la totalità, e forse neanche la maggioranza dei rom presenti in Italia, è comunque vero che in molti contesti la frazione rappresentata da stranieri, in particolare dell'Europa centro-orientale, è stata particolarmente visibile e politicamente problematica. Verso gli stranieri non cittadini dell'Unione europea, azioni repressive o di allontanamento tuttavia non necessitavano della ricerca di particolari basi legali, essendo sufficiente risvegliare lo status immanente di immigrato clandestino, con tutte le conseguenze del caso.

L'afflusso (quale che sia stata la sua dimensione reale) dei rom rumeni, unito alla loro acquisizione dello status di cittadini dell'Unione, ha rotto equilibri, certo perversi, ma comunque equilibri. La traumaticità per le istituzioni fu - come tutti ricordiamo - enorme. Anche una persona generalmente accorta, e interessata al problema rom come Giuliano Amato, non esitò a menzionare in dichiarazioni ufficiali la riduzione dell'emigrazione dei rom (non «dei cittadini rumeni in condizione di indigenza e marginalità» o altro giro di parole) come un obbiettivo della collaborazione tra Italia e Romania, realizzando un'inedita classificazione di un gruppo etnico come per definizione meno idoneo alla mobilità nell'ambito comunitario.

Sappiamo naturalmente quale fu il peso della presenza dei rom rumeni nella definizione delle norme sull'espulsione dei cittadini comunitari, e già vi sono segni di un'utilizzazione di queste forzandone la portata al di là di ogni più estrema sostenibilità giuridica.

Questo però non appare come l'unica "valvola" per alleviare la pressione della mobilità rom messa a punto in Italia. Un ruolo importante potrebbe essere in futuro svolto anche da norme volte a impedire il radicamento territoriale dei rom, in particolare rendendo difficile l'acquisizione della residenza in un Comune italiano. In questa prospettiva, viene naturale fare riferimento alla modifica della legge anagrafica apportata dal "pacchetto sicurezza" (6), sulla base del quale «L'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie», testo questo che modifica una prima versione della norma (contenuta nel testo approvato al Senato) ove la verifica delle condizioni igienico-sanitari dell'immobile non era discrezionale, ma presupposto per l'iscrizione.

Vi è già tra i primissimi commentatori chi ritiene che tale disposizione si traduca in una «discriminazione indiretta [...] "per razza" nei confronti degli appartenenti alle minoranze rom e sinte, i quali di regola non dispongono di un immobile e dimorano all'interno di roulotte e di tendopoli sorte spontaneamente nelle periferie dei centri urbani, e che non di rado cambiano residenza perché costretti dalle ordinanze di sgombero ad abbandonare certi siti» (7). È certo possibile che essa, e quelle connesse circa la registrazione presso il luogo di domicilio e il registro dei "senza fissa dimora" diventino oggetto di applicazione selettiva nei confronti dei "nomadi" e di fatto uno strumento utile a contemporaneamente allontanare ed esercitare controllo (8). In questa sede, tuttavia, ci interessa piuttosto vedere se è possibile "tracciare" la norma, formalmente neutra, riconducendola a una ratio legis esplicitamente antizingara.

Almeno un indicatore significativo esiste, ed è contenuto in un disegno di legge presentato già nella XV legislatura dal senatore Paolo Franco (all'epoca vice capogruppo della Lega nord) insieme a vari colleghi, e poi ripresentato nell'attuale. Tra le norme proposte ve ne è una singolarmente simile a quella della prima versione del "pacchetto sicurezza" che recita: «La registrazione nell'anagrafe della popolazione residente è subordinata alla disponibilità di un alloggio rispondente ai requisiti igienico-sanitari previsti per il certificato di abitabilità in ordine agli immobili destinati ad uso abitativo, ai requisiti fissati dai regolamenti locali di igiene, nonché agli ulteriori requisiti, igienico sanitari definiti con apposita direttiva adottata dal Ministero della salute» (9).

Il disegno di legge secondo il suo titolo ha come obiettivo il «contrasto al nomadismo irregolare nei territori comunali», e i presentatori non hanno dubbi sulla caratterizzazione etnica dei soggetti da controllare. Il problema di fondo per loro è infatti costituito dalla presenza di «130.000 Rom in Italia e dell'esistenza di 60 campi ufficiali», «grave fenomeno che non rappresenta solo un problema di natura sociale, ma anche culturale e di decoro urbano». Per risolvere tale problema, il disegno di legge prevede - insieme alla descritta modifica dell'ordinamento dell'anagrafe - anche la attribuzione al sindaco di maggiori poteri per impedire la sosta di auto-caravan e ordinarne la rimozione forzata, nonché la possibilità di richiedere al questore l'allontanamento di persone pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica, strumento da utilizzarsi contro i «nomadi irregolari presenti sul territorio comunale».

L'evocazione di standard igienico-sanitari, come quelli evocati nel "pacchetto sicurezza", al fine di impedire il radicamento territoriale dei rom non è, neanche questo, cosa nuova e trova d'altronde una perfetta sintesi in un altro disegno di legge di questa legislatura, presentato da due deputati della Lega nord (di cui uno membro della Commissione infanzia, e con più di una legislatura di esperienza) e dedicato alle «norme regionali che prevedono la realizzazione di campi di sosta o di transito per le popolazioni appartenenti alle etnie tradizionalmente nomadi e seminomadi», le quali sarebbero chiamate a stabilire «i parametri igienico-sanitari ai quali devono conformarsi tali strutture». Chi pensasse che il mancato rispetto di tali parametri abbia come conseguenza interventi correttivi rimarrebbe deluso. Il comma seguente, infatti, semplicemente dispone che «nei casi di mancato rispetto [...] il sindaco [...] dispone l'immediato sgombero delle strutture».

Conseguenza d'altronde coerente con la presentazione della proposta, che fa riferimento a campi autorizzati istituiti con delibere comunali, ma che è volta a tutelare non le esigenze degli abitanti dei campi ma le «esigenze più volte segnalate dalle popolazioni residenti in numerose aree urbane in cui troppo spesso si registrano situazioni di degrado e allarme sociale dovute alle precarie condizioni igieniche e sanitarie in cui versano, purtroppo, molti dei campi nomadi ivi presenti» (10).

3. La mendicità minorile

Il "pacchetto sicurezza" ha, come sappiamo, compiuto un ulteriore passo in avanti in quell'aumento della pressione repressiva contro la mendicità in tutte le sue forme osservabile in Italia negli ultimi anni, in particolare quella svolta da o con l'ausilio di minori. Il pacchetto abroga l'art. 671 c.p., che prevedeva il reato contravvenzionale di «impiego di minori nell'accattonaggio», introducendo un art. 600 octies con una fattispecie omonima, trasformata però in delitto contro la libertà individuale. Nel testo attuale, il delitto è commesso da chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, «si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare», reato punito con la «reclusione sino a tre anni». Rispetto al testo dell'abrogato art. 671, viene ampliata l'area dell'incriminazione in quanto mentre in precedenza «nella ipotesi dell'induzione diretta del non imputabile a mendicare, era comunque richiesta l'esistenza di un rapporto qualificato tra l'autore del reato e il soggetto passivo, nella nuova figura delittuosa, invece, tale rapporto è presupposto necessario nelle sole ipotesi di mancato impedimento che il non imputabile mendichi ovvero di tolleranza nel suo utilizzo da parte di terzi» (11). Permane (ora come conseguenza della disposizione generale di cui all'art. 34 c.p.) la pena accessoria della sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale o dall'ufficio di tutore quando il reato sia commesso dal genitore o dal tutore.

Ci troviamo qui di fronte all'ultimo anello di una catena che in buona parte prescinde dal puro dato legislativo. Come abbiamo già rilevato commentando una recentissima sentenza della Cassazione (12), il coinvolgimento di minori in attività qualificabili come accattonaggio, quando oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, è oggetto di trattamento sempre più severo, con una tendenza ad imputare agli adulti coinvolti - tra i vari reati astrattamente ipotizzabili - addirittura il mantenimento in stato di schiavitù o servitù di cui all'art. 600 c.p., così come riformulato dalla legge 228/2003. I primi testi formulati durante l'iter che portò all'intervento legislativo del 2003 menzionavano d'altronde esplicitamente l'accattonaggio, accanto alle prestazioni lavorative o sessuali, tra le situazioni che potevano perfezionare il reato quando sussistessero la "soggezione continuativa" e gli altri elementi previsti (13).

Basta una lettura anche superficiale alla giurisprudenza che si è cumulata intorno a questo problema per vedere come questa faccia costante riferimento all'insieme dei "nomadi" come gruppo all'interno del quale lo sfruttamento dei minori a fine di accattonaggio, o furto, sarebbe tipicamente praticato. L'utilizzazione di questa categoria ha luogo in modo complessivamente acritico non solo nel testo delle pronunce, ma anche da parte dei commentatori, ed è abbastanza trasversale al contenuto del discorso. Ai "nomadi" e al posto che la mendicità avrebbe nella loro cultura fanno riferimento anche sentenze e commenti non animati da particolare antiziganismo, ma seriamente interessati alla tutela dei minori, come nel caso di alcuni interventi relativi alla famosa giurisprudenza sugli "argati" (14). Gli esempi potrebbero essere veramente infiniti. In modo sostanzialmente uniforme, conseguenze giuridiche in senso repressivo o "mite" sono tratte a partire da un confronto tra «sistemi di vita per molti versi profondamente diversi fra loro per usanze e per valori culturali come quelli dei nomadi e dei non nomadi», per usare le parole di una nota (e "mite") pronuncia in tema di dichiarazione di adattabilità (15). Abbiamo già sostenuto, commentando la recente sentenza della Cassazione, che utilizzando una categoria così generale come quella di "cultura rom", il dibattito sulla rilevanza dell'elemento culturale nella gestione giudiziaria della mendicità minorile diventa comunque privo di senso. Se si vuole che la valenza (culturale, ma anche economica, in termini di effettiva disponibilità di alternative) della mendicità minorile in un particolare contesto "zingaro" diventi elemento giuridicamente rilevante deve esserlo in termini specifici (quel gruppo, quel momento), così da bilanciare gli interessi che la norma penale vuole tutelare con altri di rilevanza costituzionale, e comunque sullo sfondo dell'interesse del minore.

Crediamo però che occorra distinguere due piani di discussione, entrambi rilevanti ma strutturalmente differenti.

Uno è quello dell'interpretazione delle norme penali in senso costituzionalmente orientato e in modo da non pregiudicare l'interesse del minore (la lettura «ragionevole e multifocale» che da tempo Paolo Morozzo della Rocca auspica) (16). È un profilo sempre interessante, ma alla luce dell'evoluzione legislativa più recente va preso atto che nei confronti della mendicità minorile l'ordinamento italiano ha scelto la via della repressione penale, e che una scelta come quella dell'art. 671 nella sua nuova formulazione può non essere «al di là della condivisione del merito politico [...] costituzionalmente illegittima», come ammesso da uno dei primi commentatori (17). Da questo non si può prescindere, come dall'incapacità della politica di anche solo provare a pensare un modo diverso di affrontare la questione.

L'intervento puramente sanzionatorio contro la mendicità infantile, particolarmente se tendente a debordare automaticamente verso le fattispecie di reato più gravi come nel caso italiano, non solo è inefficace, ma rischia di rendere impraticabile qualunque azione di più ampio respiro, la cui pianificazione può essere in ogni momento "sparigliata" dal maglio della giustizia penale. Con norme del genere non è immaginabile pensare a giudici che temperino le conseguenze applicative più severe con argomenti extratestuali, per i quali non appaiono culturalmente attrezzate, e che costringono a districarsi tra "realtà zingare" che sfidano ogni sintesi e semplificazione.

Anche chi ha voluto in dottrina confutare la «classificazione dell'accattonaggio come elemento che fa parte della cultura rom» accennata dalla recente Cassazione, lo ha fatto cadendo d'altronde in una semplificazione e generalizzazione speculare, ma che rischia di essere altrettanto arbitraria, presentando la mendicità come una «conseguenza forzata dell'emarginazione dei rom e [...] dei processi di industrializzazione e urbanizzazione che hanno prodotto il tracollo delle attività tradizionali» (18).

Arbitraria, perché, come ci ricorda Piasere «se lo scollamento tra mendicità e povertà in molti gruppi zingari sconsiglia economicismi troppo facili [...] l'esempio zingaro sconsiglia anche l'uso di etnologismi bell'e pronti. Gli zingari dell'Europa occidentale, infatti, da secoli mostrano che non può esistere una dicotomia netta tra economie del dono ed economie di mercato, ma che, semmai, le due sono pensabili come poli di un continuum di situazioni in cui scambi oblativi e scambi commerciali si intrecciano variamente» (19). Ambiguità queste in mezzo alle quali la giurisprudenza e la dottrina si muovono come il classico "elefante nella cristalleria".

Crediamo però che vi sia un'altra prospettiva nella quale il problema della mendicità dei minori zingari può essere inquadrato, che si ricollega alla nostra indagine sulle radici del "pacchetto sicurezza", ossia quello della cultura complessiva che permea l'azione dello Stato quando ha a che fare con i rom. È certo possibile ammettere che anche norme penali severe siano compatibili con un'azione statale improntata a una color o ethnic blindness. La norma penale la si immagina nata dal riscontro empirico della frequenza della violazione di un certo interesse di rilievo costituzionale, e dalla conseguente necessità di predisporre per questo adeguata tutela, senza che il fatto che la violazione avvenga con più frequenza all'interno di un certo gruppo assuma rilevanza. Questo dovrebbe essere fisiologicamente, in uno Stato di diritto moderno, l'atteggiamento dei legislatori. Quando questi ultimi, per continuità della scena politica, rimangono alla direzione degli apparati esecutivi, il loro atteggiamento diventa doppiamente rilevante in quanto è presumibile che il concreto enforcement segua direttive politiche, se non altro nella determinazione delle priorità. Chiunque segue le vicende di zingari o altri gruppi marginali sa benissimo quanto di discrezionalità politica o di "mediazione" vi sia nella scelta se reprimere o meno certe tipologie di reati, quanto spesso, dove, come e quando (20).

Senza giri di parole, nell'irrigidimento delle sanzioni penali contro l'accattonaggio minorile può aver giocato uno stereotipo criminalizzante circa il nomade/zingaro/rom? Il tenore degli argomenti svolti durante il dibattito parlamentare rimane abbastanza neutro, e questo vale anche per quanto sostenuto da un esponente della maggioranza, relatrice del "pacchetto sicurezza" in prima Commissione (nonché vicepresidente della stessa), la deputata Jole Santelli, durante la seduta del 30.4.2009 (21).

La stessa deputata aveva però meglio chiarito la sua visione poco meno di un anno prima, appena avviata la legislatura, in occasione della presentazione di una proposta di legge sull'«Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia» (22).

Per comprendere le sfumature del suo pensiero basta rifarsi ad alcuni passaggi della presentazione circa quelli che sono chiamati alternativamente "nomadi", "rom", "nomadi rom": «Il tasso di scolarizzazione tende a zero perché questo facilita la perpetuazione dei comportamenti e dei "valori" della comunità. I gruppi rom sono assolutamente impermeabili e chiusi e questo è dimostrato, in particolare, dal fallimento degli interventi di vario tipo messi a punto dai comuni, dalle forze dell'ordine o dalle organizzazioni umanitarie che se ne occupano. All'interno di queste comunità si vive la quotidiana violazione dei diritti umani fondamentali e dei principi fondamentali previsti dalla Costituzione [...]. Le donne rom subiscono quotidianamente la pressione della famiglia e della comunità che le spingono ad assumere abitudini e comportamenti degradanti. [...]. Questa tradizione patriarcale [...] fa sì che le donne e i bambini diventino le "parti vulnerabili" nella tratta di persone indirizzata alla mendicità o, peggio, allo sfruttamento sessuale. Le donne e i bambini della famiglia vengono addestrati da subito al "lavoro": accattonaggio e furto. [...]. L'addestramento è feroce, con l'esercizio di qualunque forma di violenza, fino a trasformarli in "macchine criminali" capaci di rubare di tutto. È una situazione di emergenza, e, più precisamente, di una nuova emergenza criminale che però, finora, ha suscitato solo fiammate emotive».

Un documento del genere (e la lettura integrale porterebbe altri passaggi dello stesso tenore) conferma la piena ammissibilità di un antiziganismo quasi ottocentesco nei toni nel cuore della macchina legislativa italiana, dai tratti talmente netti che non è possibile pensare non abbiano ricadute nelle scelte di politica del diritto.

L'accostamento accattonaggio minorile/rom è d'altronde il perno di un'altra proposta di legge di poco anteriore, presentata dall'on. De Corato ed altri colleghi, intitolata proprio «Modifiche al codice penale in materia di sfruttamento dell'accattonaggio» (23), e dove una nuova fattispecie di «Impiego dei minori e degli anziani nell'accattonaggio» si accompagna ad una disposizione ad hoc sui «Campi sosta abusivi di gruppi nomadi».

4. Conclusioni: la persistenza dello stereotipo antizigano nella macchina del diritto

Come abbiamo visto, anche il processo che ha portato alla promulgazione del "pacchetto sicurezza" mostra chiaramente come la neutralità di discorsi e pratiche giuridiche rispetto alle identità etnico razziali nel caso dei rom non è rispettata, né nella forma né nella sostanza. Gli attori del processo legislativo affrontano l'identità rom a partire da una costruzione di questa ipersemplificata, ma al tempo stesso molto stabile.

Un punto fermo di tale costruzione è ovviamente quella della identificazione del rom come "nomade". Anche nel mondo delle istituzioni e del diritto «Fra i non zingari [...] il termine "zingaro" è spesso sinonimo di "nomade". C'è un'immagine-schema - che rimanda al quadretto composto da un carrozzone, un cavallo o un'auto, qualche adulto, tanti bambini e magari dei cani, il tutto accompagnato da un sottofondo di musica, di colori sgargianti e di balli - che costituisce il prototipo della categorizzazione degli zingari. Le scienze cognitive insegnano che le immagini-schema sono di fondamentale importanza nelle modalità di costruzione della conoscenza. L'immagine della famiglia zingara come famiglia nomade (che si distingue dal vagabondo, nomade senza famiglia) è uno schema cognitivo ampiamente condiviso: è uno schema transculturale potente, la cui generalizzazione, però, rischia di essere arbitraria» (24).

Questo schema ha avuto, tra l'altro, un rinforzo normativo anche prima delle recenti derive in tema di "emergenza nomadi", nell'ambito di alcune leggi regionali che, volendo tutelare l'identità rom e sinta, hanno voluto farlo anche attraverso costruzioni in cui il nomadismo è considerato come un elemento caratterizzante la cultura delle popolazioni in questione (25). Su questa scia sono anche alcune proposte di legge presentate in parlamento, dove nel delineare una tutela minoritaria per rom e sinti si è pensato di ipotizzare anche un "diritto al nomadismo" (26).

Non affronteremo qui il problema se quest'orientamento sia o meno appropriato.

Ci sembra, tuttavia, evidente come nell'attuale contesto sociale e politico il valore del termine "nomade" è tale da non renderne opportuno l'uso nell'ambito normativo. Questo non vuol dire che non debba essere concepibile una regolamentazione di particolari forme di mobilità territoriale, ed eventualmente inserirla in un quadro di tutela minoritaria. Per fare ciò, è possibile tuttavia trovare altri termini ("mobilità girovaga", "viaggianti") che non portino con sé la sinonimia con "rom" (a prescindere dalla sua effettiva mobilità) affermatasi in Italia, e la risalente stereotipizzazione negativa. Ricorre d'altronde ora il trentennale dell'abrogazione nel 1969 della (durissima e razzista) legge francese sui nomades, che non a caso si accompagnò all'abbandono del termine, sostituito da gens du voyage.

Non si tratta qui di abbandonarsi alla smania del politically correct. Il problema non è rappresentato dall'occasionale attribuzione a un gruppo etnico di una particolare propensione a delinquere nella confusione di un dibattito parlamentare. Se si vanno a vedere i verbali della discussione in aula del progetto della futura Loi sur la sécurité intérieure francese del 2003, che su alcuni punti costituisce un antefatto del "pacchetto sicurezza", è certo possibile trovare riferimenti a «mendicanti rumeni e prostitute bulgare». Le stereotipizzazioni negative non sono però elementi portanti di documenti ufficiali, né costituiscono un'articolata linea argomentativa.

L'immagine del "nomade", invece, è diventata in Italia lo schema classificatorio principe delle realtà zingare o rom, con un sostanziale distacco tra la letteratura più raffinata sulle identità rom e il discorso nelle sedi istituzionali (27). Per utilizzare ancora una volta una delle sintesi di Piasere «In tutte le lingue europee è presente un termine più o meno equivalente all'italiano "zingari" (tsiganes, gypsies, gitanos, cigani ecc.), anche se è evidente che le persone così denominate non sono le stesse da un paese all'altro. La flessibilità della struttura concettuale ha permesso di includervi storicamente una varietà abbastanza composita di persone, con diversità culturali anche notevoli, il cui unico tratto comune è consistito, forse, in una stigmatizzazione negativa da parte di chi non si considerava zingaro» (28).

Un discorso del genere appare lontano anni luce dalle aule parlamentari e dagli uffici governativi.

Sarebbe presuntuoso proporre in questa sede soluzioni per un problema che ha radici complesse. Può valere la pena, magari, di concludere richiamando l'attenzione su alcuni vuoti che nella scena italiana rendono difficile compensare questa patologia del linguaggio istituzionale. Da un lato, la costruzione dello stereotipo antizigano negli apparati dello Stato non è oggetto di studio serio (29). Dall'altro, appaiono molto deboli quelle istituzioni di garanzia che dovrebbero vigilare sull'emergere di prassi discriminatorie senza obbligatoriamente passare per la rigidità e il formalismo del sistema giudiziario. Per ritornare al caso francese, basta guardare alle pronunce della Haute Autorité de Lutte contre les Discriminations et pour l'Egalité (HALDE), teoricamente equivalente al nostro UNAR, in materia di discriminazione istituzionale contro le gens de voyage. Pronunce che in vari casi hanno toccato aspetti (residenza e domicilio), guarda caso, centrali nel nostrano "pacchetto sicurezza" (30).


Note

*. Professore associato di Sistemi giuridici comparati presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze.

1. Cfr. K. Thomas, G. Zanetti (a cura di), Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia, Diabasis, 2005 e T. Casadei, L. Re (a cura di), Differenza razziale, discriminazione e razzismo nelle società multiculturali. Vol. I Società multiculturale e questioni razziali, Reggio Emilia, Diabasis, 2007.

2. Per uno sguardo d'insieme sull'antiziganismo più recente cfr. N. Sigona, "I rom nell'Europa neoliberale. Antiziganismo, povertà e i limiti dell'etnopolitica", in S. Palidda (a cura di), Razzismo democratico. La persecuzione degli stranieri in Europa, Milano, Agenzia X, 2009, pp. 54 ss. Cfr. anche M. Carrara Sutour, "Multicultura, antiziganismo e rappresentatività dei mondi rom", in Quaderno di storia contemporanea, 44, (2008), pp. 9 ss.

3. Cfr. il nostro "Sicurezza, legalità e lo spettro degli 'zingari'", in Reset, 107, (2008), 5-6.

4. Cfr. il nostro "I decreti 'emergenza nomadi': il nuovo volto di un vecchio problema", in Diritto, immigrazione e cittadinanza, (2008), 3-4, pp. 44 ss. Le ordinanze sono state l'oggetto di una pronuncia della giurisdizione amministrativa (Tar Lazio, sez. I, sentenza 24.6.2009, ERRC ed altri c. Presidenza del Consiglio dei Ministri), che ne ha annullato alcune disposizioni relative ai rilievi segnaletici, pur senza - a nostro parere - smentirne l'impianto di base. L'efficacia della decisione è stata comunque sospesa con ordinanza del Consiglio di Stato (sez. IV) del 25.8.2009, che ha ritenuto che «nella valutazione dei contrapposti interessi [...] prevalente quello delle Amministrazioni appellanti principali, ferma la necessità di un'approfondita valutazione nel merito tanto dell'appello principale quanto di quello incidentale laddove sollevano complesse e delicate questioni inerenti all'imprescindibile rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona in uno con il divieto, che pervade l'ordinamento nazionale ed internazionale, di qualsivoglia discriminazione razziale ed etnica».

5. Un valido tentativo di sistematizzazione è quello compiuto da T. Vitale, "Contestualizzare l'azione pubblica: ricerca del consenso e varietà di strumenti nelle politiche locali per i rom e i sinti", in G. Bezzecchi, M. Pagani, T. Vitale (a cura di), I rom e l'azione pubblica, Milano, Teti Editore, 2008, pp. 7 ss.

6. Si tratta come è noto del nuovo comma dell'art. 1 della legge 24.12.1954, n. 228.

7. R. Cherchi, "I diritti dello straniero", in R. Cerchi, G. Loy (a cura di), Rom e Sinti in Italia. Tra stereotipi e diritti negati, Roma. Ediesse, 2009, pp. 155-156.

8. Cfr. i timori in tal senso espressi da D. Gallo, "Come ti nego i diritti di cittadinanza", Liberazione, 16.9.2009.

9. Senato della Repubblica, XV legislatura, disegno di legge 1669 (ora XVI legislatura con numero 675) Norme per contrastare il nomadismo irregolare nei territori comunali (Franco Paolo ed altri).

10. Camera dei deputati, XVI legislatura, proposta di legge n. 629 (Polledri, Rivolta).

11. Corte di cassazione, Relazione sulle novità della legge n. 94/2009 (sicurezza pubblica).

12. "La qualificazione giuridica della mendicità rom tra diritto e politica", in Diritto, immigrazione e cittadinanza, (2009), 1, pp. 98 ss.

13. G. Ciampa, Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, Napoli, Jovene, 2008, pp. 220-232.

14. Cfr. ad esempio il commento di M. Dogliotti, "La schiavitù è ancora tra noi!", in Il diritto di famiglia e delle persone, 20, (1991), pp. 62 ss.

15. Cfr. Tribunale per i minorenni di Roma, decreto 30.6.1992, in Il diritto di famiglia e delle persone, 23, (1994), pp. 635 ss.

16. P. Morozzo della Rocca, "La condizione giuridica degli zingari", in M. Impagliazzo (a cura di), Il caso zingari, Milano, Leonardo International, 2008, p. 78.

17. R. Cherchi, op.cit., p. 153.

18. E. Ruggiu, "La diversità come bene pubblico tra Europa e Stati costituzionali", in R. Cherchi e G. Loy (a cura di), op.cit., p. 106.

19. "La mendicità e gli zingari: sguardi incrociati", in Polis, 14, 3, dicembre 2000, p. 369.

20. Cfr. l'interessante indagine di L. Boschetti, "Pragmatica del disordine: musicisti di strada, mendicità e forze di polizia", in G. Bezzecchi, M. Pagani, T. Vitale (a cura di), op. cit., pp. 93 ss.

21. Al resoconto stenografico della seduta fa riferimento per individuare le «posizioni proprie di membri della maggioranza» R. Cherchi, op. cit., p. 152, nota 21.

22. Camera dei deputati, XVI legislatura, proposta di legge n. 1052 (Santelli).

23. Camera dei deputati, XVI legislatura, proposta di legge n. 570 (De Corato ed altri).

24. L. Piasere, I rom d'Europa. Una storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2004, 3a ed. 2008, p. 10.

25. Cfr. i riferimenti nel nostro Le ordinanze "emergenza nomadi", cit., p. 48.

26. Senato della Repubblica, XV legislatura, disegno di legge n. 266, Riconoscimento e tutela delle minoranze rom, sinte e camminanti (Valpiana e Nardini).

27. Un problema è costituito dalla confusione rilevabile anche in letteratura non specializzata, ma comunque altrimenti di alto livello. Cfr. ad esempio i lavori del sociologo Marzio Barbagli che a distanza di dieci anni ripropone in forma identica passaggi sulla lettura del «comportamento deviante di alcuni gruppi nomadi» in chiave di conflitto di culture (appoggiandosi a un lavoro di Piasere e Dick Zatta), in cui il lettore non ha chiavi per comprendere i rapporti tra i vari etnonimi ripresi dalla letteratura citata. Cfr. M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Bologna, il Mulino, 1998, p. 131 e Id., Immigrazione e sicurezza in Italia, Bologna, il Mulino, 2008, p. 190.

28. L. Piasere, I Rom d'Europa, cit., p. 3. Su questa prospettiva cfr. anche L. Lucassen, W. Willems, A. Cottaar, Gypsies and Other Itinerant Groups. A Socio-Historical Approach, London-Houndmills, Macmillan Press, 1998.

29. Eccellenti, anche se risalenti, esempi sono i lavori di M. Grönfors, Ethnic Minorities and Deviance: The Relation between the Finnish Gypsies and the Police, Helsinki, University of Helsinki, 1979; Id., "Police Perception of Social Problems and Clients: The Case of the Gypsies in Finland", in International Journal of the Sociology of Law, (1981), 9, pp. 345 ss. Interessanti anche le pagine di un magistrato, Silvia Governatori, "La 'debolezza' dei rom di fronte al diritto: spunti dall'esperienza di un giudice", in A. Simoni (a cura di), Stato di diritto e identità rom, Torino, l'Harmattan, 2005, pp. 167 ss..

30. HALDE, Délibération n. 2008-157 du 7 juillet 2008, délibération n. 2009-143 du 6 avril 2009.