2006

Bio-potere e razzismo in Michel Foucault

Vincenzo Sorrentino (*)

Il razzismo moderno è, allo stesso tempo, una griglia di intelligibilità degli eventi e un principio di azione politica. Esso investe, dunque, sia il sapere che il potere. Qui come altrove, la genealogia foucaultiana mostra l'insufficienza di tre forme di analisi: quella che pone al centro il tema delle istituzioni, quella che riduce il sapere a mera ideologia e quella che insegue degli universali antropologici. Non si tratta, per Foucault, di negare l'importanza delle istituzioni per la messa a fuoco delle relazioni di potere. Ciò che conta, però, è la capacità di analizzare le istituzioni dal punto di vista di tali relazioni e non viceversa, attribuendo una sorta di primato alle forme istituzionalizzate (1). Il razzismo, anche quando diventa razzismo di Stato, non può essere considerato semplicemente come una strategia ideata e messa in opera dagli apparati statuali. Il diffondersi del razzismo, però, non è neanche dovuto al prevalere, all'interno di una guerra tra visioni del mondo, di un'ideologia su altre concorrenti, o alla sua utilità strumentale in relazione all'imporsi di determinati assetti di potere. Le idee per Foucault non sono il motore della storia, ma non sono neanche una mera sovrastruttura funzionale ai rapporti di potere (economici e/o politici). Potere e sapere sono costitutivamente correlati. Il sapere, infatti, si costituisce attraverso un complesso di pratiche - ad esempio, di comunicazione, registrazione, accumulazione e spostamento delle informazioni - che è in se stesso attraversato da rapporti di potere. Allo stesso tempo, nessun potere si esercita senza la creazione e la gestione di saperi che non sono riducibili alle ideologie: i saperi sono inscritti nella trama stessa dei rapporti di potere (2). La genealogia dissolve, dunque, ogni concezione reificante del potere e del sapere. Il razzismo moderno, allora, va considerato come un dispositivo, ossia una rete di elementi sia discorsivi (ad esempio, una lettura della storia e una concezione dei rapporti tra le popolazioni) che non discorsivi (ad esempio, misure amministrative, istituzioni, procedimenti di esclusione e internamento) (3).

Infine, la genealogia si pone su un registro che non è quello della ricerca degli universali antropologici: Foucault, rifacendosi al paradigma della "storia effettiva" di matrice nietzscheana, generalmente rifiuta l'idea di "natura umana" e nega dunque che si diano tali universali (4). E' vero che in qualche passaggio egli sembra non escludere la loro possibile esistenza (5), ma anche in quest'ultimo caso il filosofo è molto chiaro: la messa tra parentesi del problema degli universali è comunque una scelta di metodo, dovuta all'esigenza di fare una storia delle pratiche nella loro costituzione storica (6). Dunque, anche ammettendo un radicamento antropologico universale di determinati fenomeni storici, la sua mera messa in luce non ci direbbe ancora nulla in merito alla specifica configurazione che tali fenomeni hanno assunto in contesti determinati. La ricerca foucaultiana, di conseguenza, non si pone la questione delle dimensioni della natura umana in cui si radica il razzismo considerato come un atteggiamento, o una potenzialità, universale. Essa cerca, invece, di comprendere le ragioni per cui in un determinato momento storico, all'interno della società occidentale, un complesso di miti e teorie sulla razza, in circolazione da tempo, si è cristallizzato nel moderno dispositivo del razzismo di Stato. Ciò è potuto accadere perché i discorsi sulla razza sono stati assunti, il che significa integrati e trasformati, all'interno di una specifica tecnologia politica sorta nella modernità: il bio-potere.

A partire dal XVII secolo assistiamo, secondo il filosofo francese, ad una radicale trasformazione del rapporto del potere con la vita e la morte. Caratteristico del potere sovrano è il diritto di vita e di morte. Si tratta di un diritto che, nella formulazione dei teorici classici, non è assoluto, bensì relativo alla difesa e alla sopravvivenza del sovrano: diritto di far morire o di lasciar vivere. A parere di Foucault, abbiamo qui una forma giuridica propria di un tipo di società in cui il potere si esercita essenzialmente come istanza di prelievo; il potere è innanzi tutto diritto di prendere e, dunque, anche di impadronirsi della vita per sopprimerla. A partire dall'età classica (7) avviene un mutamento di queste dinamiche e prende forma un potere volto a produrre delle forze, a farle crescere e ad ordinarle, piuttosto che a bloccarle, a piegarle o a distruggerle: "un potere che gestisce la vita". Il potere diventa un agente di trasformazione della vita umana - la vita non è più il fondo inaccessibile che talvolta viene alla luce, ma entra "nel campo dei calcoli espliciti" - un agente per cui la morte non è più lo strumento di dominio più importante, bensì il limite da rimuovere continuamente. Tra il XVII e il XIX secolo il bio-potere si sviluppa in due forme principali. La prima ha come obiettivo il corpo, il potenziamento delle sue attitudini, la crescita della sua utilità in relazione agli imperativi delle strutture nelle quali è inserito. Si tratta della disciplina, che Foucault definisce anche "un'anatomo-politica del corpo umano". La seconda, invece, è rappresentata dalla "bio-politica della popolazione" e si realizza in una serie di controlli regolatori relativi ai fenomeni demografici, alla nascita e mortalità, al livello di salute o alla durata di vita. Si tratta di due forme di potere sulla vita che nel XVIII secolo sono ancora separate e che troveranno un'articolazione soltanto nel XIX secolo. È proprio in relazione a questo processo di integrazione che Foucault mette in luce l'importante ruolo dello Stato, definito una forma di potere sia individualizzante che totalizzante (8).

La squalificazione della morte, cui si assiste a partire dalla fine del XVIII secolo, è dunque dovuta a una trasformazione delle tecnologie di potere: se il potere sovrano si esercita facendo morire e lasciando vivere, il bio-potere si esercita gestendo la vita. Abbiamo due meccaniche di potere diverse, che Foucault arriva a definire addirittura incompatibili, ma che, ciò nonostante, sono entrambe parti costitutive dei meccanismi generali di potere nella nostra società: il bio-potere, infatti, non cancella la sovranità, ma la penetra e la modifica (9). Ciò diventa evidente nel modo in cui la morte, nonostante quanto detto precedentemente, continua ad avere un posto di rilievo nella meccanica del potere. E' proprio da quando il potere si esercita positivamente sulla vita che la morte è potuta irrompere nella politica con un impatto inimmaginabile in passato. Le guerre vengono condotte non più in nome del sovrano da difendere, ma in nome dell'esistenza dell'intera popolazione: il genocidio diventa il "sogno" dei poteri moderni. Il reciproco della biopolitica è la tanatopolitica; è a questo livello che emerge quella che l'autore definisce la soglia di modernità biologica di una società. Il diritto di morte viene subordinato alle esigenze del bio-potere. Questo significa che il potere necessita ancora del diritto di morte: ma un potere il cui fine è di potenziare la vita, si chiede Foucault, come può dare la morte? La base su cui poggia tale diritto di uccidere, in un sistema politico incentrato sul bio-potere, è costituita dal razzismo (10). Quest'ultimo introduce una separazione tra chi deve vivere e chi deve morire e dà un senso nuovo all'antica relazione guerriera "se vuoi vivere occorre che l'altro muoia": la morte dell'altro è ciò che renderà la vita più "sana" e più "pura". Alla fine del XIX secolo appare poi una concezione nuova della guerra, secondo la quale questa non è più solo un modo per rafforzare la propria razza eliminando la razza nemica (tema della selezione e lotta per la vita), ma anche un modo per rigenerare la propria razza: più sono i morti, più si purifica la razza.

E' soltanto con il bio-potere che il razzismo, che pure esiste da tempo, viene iscritto nei meccanismi dello Stato. La messa a morte, nel sistema del bio-potere, è ammissibile solo se tende non semplicemente alla vittoria sull'avversario, ma all'eliminazione del "pericolo biologico" e al rafforzamento della razza. Diventa evidente perché gli Stati più omicidi siano, al contempo, anche i più razzisti. Il razzismo moderno, dunque, non è riducibile a semplice odio delle razze o ad un'operazione ideologica attuata per indirizzare verso un avversario mitico l'ostilità che altrimenti sarebbe rivolta contro lo Stato. Esso non è collegato a delle mentalità, delle ideologie o delle menzogne del potere, ma piuttosto ad una determinata tecnologia di potere (11). Diventa allora essenziale, per comprendere questo peculiare investimento della morte da parte del bio-potere, una genealogia della teoria delle razze.

Foucault ricostruisce quello che, a partire dal XVII secolo, è stato, a suo parere, il primo "discorso storico-politico" sulla società, nel quale la guerra viene intesa come relazione sociale permanente e come sostrato di ogni rapporto e istituzione di potere. E' un discorso "critico" e "mitico" allo stesso tempo, che appare poco dopo la fine delle guerre civili e religiose del XVI secolo, ed è già chiaramente formulato all'inizio delle lotte politiche inglesi del XVII secolo. Non si tratta di un'ideologia legata ad una determinata classe sociale, ma piuttosto di un discorsotrasferibile e polivalente: in Inghilterra è uno degli strumenti della borghesia, della piccola-borghesia e talvolta degli strati popolari (Coke e Lilburne) contro la monarchia assoluta; in Francia, a partire dalla fine del XVII secolo, circola inizialmente all'interno dell'aristocrazia (Boulainvilliers e Fréret), spostandosi in seguito alle forze rivoluzionarie (Sieyès, Buonarroti) e alla ricerca storica della prima metà dell''800 (Augustin e Amédée Thierry, Guizot); alla fine del secolo lo ritroviamo poi nei biologi razzisti e eugenisti. Tale discorso vede la società non come un corpo omogeneo, ma come un campo di battaglia tra "razze" diverse. Foucault osserva che il termine "razza" non ha all'inizio il significato biologico che assumerà nel XIX secolo. La teoria delle razze fa inizialmente riferimento alla storia di due gruppi che hanno origini, lingua o religione diverse, che si sono uniti solo in seguito ad una guerra e che, pur coabitando, non si sono mescolati a causa di differenze dovute ai costumi e ai privilegi (12).

Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo la teoria delle razze ha subito, in primo luogo, una trascrizione esplicitamente biologica, che nasce prima di Darwin e che ritroviamo tanto nelle lotte delle nazionalità contro i grandi apparati di Stato, quanto nelle politiche di colonizzazione. La seconda trascrizione è quella che, a partire dal tema della guerra sociale, si incentra sull'idea di lotta di classe. Alla fine del XIX secolo si sviluppa poi un razzismo biologico-sociale che costituisce un episodio e, allo stesso tempo, il rovesciamento del discorso della guerra delle razze. L'idea di base di tale razzismo è che l'altra razza non è la razza estranea, arrivata da altrove, ma è la razza che si riproduce continuamente all'interno della società: emerge l'idea degli estranei infiltrati e dei devianti. Non abbiamo più due razze estranee, ma lo sdoppiamento di una razza in una sovra-razza e in una sotto-razza: alla concezione binaria della società verrà sostituita l'idea di una società biologicamente monista, minacciata da fattori eterogenei accidentali (estranei che si sono infiltrati o devianti come sottoprodotti della società); nasce dunque un razzismo di matrice biologica diverso dal "razzismo etnico" tradizionale. Il discorso che tale razzismo mette in campo non è più uno strumento di lotta di un gruppo sociale contro un altro, ma il discorso del potere centralizzato, dello Stato, che non viene visto più come lo strumento di una razza contro l'altra, bensì come il protettore dell'integrità della razza (13).

Prende dunque corpo, alla fine del XIX secolo, un razzismo di Stato esercitato per difendere la società da quella sotto-razza che essa stessa produce. Nel XX secolo tale razzismo subisce due trasformazioni, quella nazista e quella sovietica. Il nazismo integra le due forme di razzismo descritte precedentemente. Riprende cioè il tema di un razzismo di Stato volto a garantire la purezza della razza, recuperando la mitologia popolare della guerra delle razze comprendente, ad esempio, i temi del popolo germanico asservito a vincitori stranieri, del ritorno degli eroi e dell'avvento di un nuovo Reich. Inoltre, secondo il codice nazista la politica deve concludersi necessariamente nella guerra, non solo per eliminare le altre razze, ma anche per rigenerare la propria razza attraverso la sua esposizione alla morte. Siamo in presenza di una meccanica di potere che, a parere di Foucault, è inscritta nel funzionamento stesso dello Stato moderno: il nazismo non è altro che lo sviluppo parossistico dei nuovi meccanismi di potere instaurati a partire dal XVIII secolo. Esso ha solamente spinto sino alle sue estreme conseguenze il gioco, proprio del funzionamento di tutti gli Stati, tra il diritto sovrano di uccidere e i meccanismi del bio-potere. La società nazista è, per Foucault, la società più disciplinare e regolativa che sia mai esistita, o in ogni caso progettata. Allo stesso tempo, al suo interno vi è stato uno scatenamento del vecchio potere sovrano di uccidere, che è stato concesso, oltre che allo Stato, ad un enorme numero di persone (SA, SS, ecc) e di fatto a tutti, attraverso la pratica della denuncia. Si tratta, dunque, di una società che ha generalizzato tanto il bio-potere quanto il diritto sovrano di uccidere (14).

La seconda trasformazione, quella sovietica, innesta la lotta di classe in un razzismo di Stato discreto e "scientista", per cui il nemico di classe diventa un pericolo biologico (il malato, il deviante, il folle) da eliminare attraverso la polizia medica. Il socialismo, fino al momento in cui non ha posto la questione della proprietà e del modo di produzione, ossia della meccanica del potere, non ha potuto fare a meno di riutilizzare gli stessi meccanismi di potere su cui poggiava lo Stato capitalista; solo quando il socialismo ha insistito sulla trasformazione delle condizioni economiche non ha avuto bisogno, almeno immediatamente, del razzismo, come è invece accaduto quando si è concentrato sul problema della lotta e dell'uccisione del nemico. In definitiva, sostiene Foucault, il socialismo non solo non ha criticato il tema del bio-potere, ma lo ha addirittura ripreso e sviluppato. Esso, pur avendolo in parte modificato, non lo ha messo in discussione nei suoi fondamenti, ossia ha recepito l'idea che lo Stato, o ciò che ad esso si sostituisce, debba gestire la vita dei singoli e delle collettività. Questo spiega perché, ad esempio, in URSS ritroviamo il razzismo, un razzismo di tipo evoluzionista, biologico e non etnico, che investe i malati, i criminali e gli avversari politici (15). Questi accenni al regime nazista e a quello sovietico sono estremamente interessanti e c'è da rammaricarsi del fatto che, come ha giustamente messo in evidenza Giorgio Agamben, Foucault non abbia condotto un'analisi più approfondita di quelli che costituiscono i luoghi per eccellenza della biopolitica moderna (16).

L'interesse del filosofo francese, lo abbiamo visto, è tutto volto a cogliere non il darsi di leggi storiche ma piuttosto la specifica configurazione degli eventi. Nel caso del razzismo moderno, a suo parere, è l'assunzione del discorso sulle razze all'interno del bio-potere a rendere comprensibile le peculiarità del razzismo di Stato. Questo non mi sembra che implichi l'assunto che solo all'interno di tale tecnologia di potere sia possibile che una teoria delle razze acquisti una portata politica. L'analisi di Foucault è aperta e si inserisce all'interno di una radicale filosofia della contingenza. Certo, una teoria delle razze, qualora fosse correlata ad una diversa tecnologia di potere, muterebbe probabilmente la sua forma e il suo significato politico. E' sempre necessaria, dunque, un'analisi storica puntuale, cui va correlata una critica di tipo scientifico del paradigma secondo il quale l'umanità è costituita da un insieme di razze intese come fatti biologici bruti che, dal fondo della "natura", si imporrebbero alla storia: solo in questo modo diventa possibile andare al di là di un antirazzismo meramente retorico (17).

L'imporsi del razzismo sulla scena politica moderna è un fenomeno estremamente complesso e drammatico, dal momento che esso ha cercato di realizzare concretamente i suoi miti con la violenza (18). Una condizione del suo successo fu probabilmente la sua capacità di apparire come una via d'uscita dalla confusione del mondo moderno e come una risposta alle sue minacce (19). Ma accanto al problema del nesso tra il razzismo e alcuni bisogni delle masse, vi è quello del suo rapporto con le specifiche forme di potere che hanno connotato la modernità politica. Se il campo di concentramento, che la Arendt definisce l'istituzione centrale del regime totalitario (20), costituisce il luogo di massima convergenza di razzismo e bio-potere, l'interrogazione sul suo significato investe il cuore stesso della politica contemporanea (21). E' in relazione a questo livello del problema che l'analisi di Foucault rappresenta un imprescindibile punto di riferimento.


Note

*. Università di Perugia.

1. Cfr. M.FOUCAULT, The Subject and the Power (1982), Afterword in H.L.DREYFUS - P.RABINOW, Michel Foucault. Beyond Structuralism and Hermeneutics (1983; 1a ed. 1982), trad. it. Il soggetto e il potere, in H.L.DREYFUS - P.RABINOW, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, pp. 250-251.

2. Cfr. M.FOUCAULT, Surveiller et punir: naissance de la prison (1975), trad.it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976, p. 31; Histoire de la sexualité 1. La Volonté de savoir (1976), trad. it. La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1991, p. 87 e Il faut défendre la societé. Cours au Collège de France 1975-1976 (1997), trad. it. Bisogna difendere la società, a cura di M.Bertani e A.Fontana, Feltrinelli, Milano 1998, p. 36.

3. In merito alla definizione della nozione di "dispositivo", cfr. Le jeu de Michel Foucault (intervista pubblicata nel 1977), in Dits et écrits, a cura di D.Defert e F.Ewald, Éditions Gallimard, Paris 1994, vol. III, p. 299.

4. Cfr., ad esempio, M.FOUCAULT, Nietzsche, la généalogie, l'histoire (1971), trad. it. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di M.Bertani, Einaudi, Torino 2001, pp. 54-56 e Human Nature: Justice versus Power (conversazione del 1971 con N.Chomsky e F.Elders, pubblicata nel 1974), trad. it. N.CHOMSKY-M.FOUCAULT, Giustizia e natura umana. Conversazione di Eindhoven, a cura di S.Vaccaro, Ila Palma-Edizioni Associate, Palermo 1994, pp. 26-28, 47, 59-60, 72-73.

5. Cfr. M.FOUCAULT, Preface to the History of Sexuality, in P.RABINOW (a cura di), The Foucault Reader (1984), trad. it. Prefazione alla "Storia della sessualità", in Archivio Foucault 3. 1978-1985, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, p. 235 e Foucault (1984), trad. it. in Archivio Foucault 3, cit., pp. 250-252.

6. Cfr. Ibidem e Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979 (2004), trad. it. Nascita della biopolitica, a cura di M.Senellart, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 14-15.

7. Ricordo che l'epoca classica indica il periodo che va dalla metà del XVII secolo alla fine del XVIII secolo e che l'epoca moderna copre l'arco di tempo cha va dal tramonto dell'epoca classica ai nostri giorni.

8. Cfr. M.FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., pp. 119-127; Bisogna difendere la società, cit., pp. 207-214; Il soggetto e il potere, cit., pp. 242-244; Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France 1977-1978 (2004), trad. it. Sicurezza, territorio, popolazione, a cura di M.Senellart, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 16-21, 58-66 e Nascita della biopolitica, cit., pp. 32-33, 63-72.

9. Riguardo alla posizione articolata, e non priva di oscillazioni, di Foucault in merito al rapporto tra potere sovrano e bio-potere, cfr. R.ESPOSITO, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004, pp. 27-39.

10. Cfr. M.FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., pp. 120-127 e Bisogna difendere la società, cit., pp. 38, 41, 207, 219-220.

11. Cfr. Ivi, pp. 207, 219-224 e La volontà di sapere, cit p. 120.

12. Cfr. M.FOUCAULT, Bisogna difendere la società, cit., pp. 48-49, 54-56, 68-71, 164, 232.

13. Cfr. Ivi, pp. 57-58, 73-74. In merito al ruolo fondamentale della psichiatria in relazione alla nascita di tale forma di razzismo, cfr. Les Anormaux. Cours au Collège de France 1974-1975 (1999), trad. it. Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), a cura di V.Marchetti e A.Salomoni, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 281-283.

14. Cfr. M.FOUCAULT, Bisogna difendere la società, cit., pp.75-76, 224-225.

15. Cfr. Ivi, pp. 75-76, 226-227. In Europa, a parere di Foucault, il razzismo socialista è stato eliminato alla fine del XIX secolo dall'egemonia della socialdemocrazia e grazie a fenomeni come l'affare Dreyfus (Ibidem).

16. Cfr. G.AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 131.

17. Cfr. M.FOUCAULT, Bio-histoire et bio-politique (1976), in Dits et écrits, cit., vol. III, pp. 96-97.

18. Cfr. H.ARENDT, The Origins of the Totalitarianism (1966, 1a ed. 1951), trad. it. Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1996, pp. 221, 500 e G.L.MOSSE, A History of European Racism (1978), trad. it. Il razzismo in Europa. Dalle origini all'olocausto, Mondadori, Milano 1992, p. VII.

19. Cfr. Ivi, pp. VII, 129, 139 e H.ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 329.

20. Cfr. Ivi, p. 600.

21. A riguardo, cfr. G.AGAMBEN, Homo sacer, cit., pp. 129-211 e R.ESPOSITO, Bíos, cit., pp. 115-157.