2005

Modificazioni genitali e intervento pubblico: alcuni rilievi nella prospettiva di genere

Alessandra Facchi

Personalmente considero quell'insieme di interventi correntemente denominati mutilazioni genitali femminili (MGF) lesivi dell'integrità del corpo e- se praticati su minori anche nelle forme più leggere - una grave violazione della libertà di autodeterminazione della persona. Non posso non vederle connesse ad un sistema socio-culturale di oppressione e controllo della sessualità femminile, uno strumento di affermazione di ruoli tradizionali, che ostacola il libero sviluppo delle donne. Penso dunque non ci debbano essere dubbi rispetto alla loro incompatibilità con i diritti delle donne così come sono enunciati in varie dichiarazioni internazionali.

Tuttavia - rifacendomi al titolo provocatorio dell'intervento di Emilio Santoro - non trovo nulla di scandaloso nella proposta fatta dal Comitato etico della Asl di Firenze di praticare forme di escissione simbolica. Sono anzi rimasta sorpresa dalla forte reazione d'opposizione che ha ricevuto, e ciò benché abbia avuto modo più volte e in contesti molto diversi di rendermi conto come di fronte a questa pratica le prese di posizione siano da una parte e dall'altra spesso dettate da rigidità culturali e ideologiche e non tengano conto dell'interesse delle bambine coinvolte e delle loro famiglie. Quello che comunque mi pare ormai accertato è che le numerose implicazioni di questa tradizione rendono molto problematiche e difficili le scelte pubbliche a riguardo e dunque richiedono procedure complesse, che prevedano spazi di consultazione, confronto, ripensamento. Così come credo che non ci siano dubbi sul fatto che questa pratica riguarda primariamente le donne.

Ho pensato perciò di provare a rintracciare e segnalare alcuni apporti che la storia della teoria femminista (e mi riferisco principalmente al femminismo occidentale) può dare alla riflessione e all'intervento pubblico nei confronti delle MGF. Ho individuato otto punti, si tratta comunque di un elenco provvisorio, non ancora discusso ed esposto in forma molto sintetica e superficiale. L'obiettivo di questo intervento è quello di contribuire a un dibattito che problematizzi dal punto di vista di genere la questione, evitando sommarie contrapposizioni, come quelle tra diritti della donna e diritti della cultura.

1. Attenzione ai rapporti interni alle famiglie e alle comunità. La letteratura femminista ha ripetutamente sottolineato come la sfera familiare costituisca una sorta di giurisdizione autonoma, dove si consumano la maggior parte delle discriminazioni e delle violenze verso le donne. Un obiettivo fondamentale è dunque quello di dare pubblica visibilità a ciò che succede in questa sfera privata per eccellenza, riportandola nel dibattito politico, e sottraendola così alla riservatezza e all'intangibilità ad essa tradizionalmente riservate. Questo aspetto- già segnalato alla metà dell'800 da J.S. Mill e H. Taylor - assume nuove e forti implicazioni oggi nei confronti delle donne delle comunità immigrate e contribuisce a mettere in luce la problematicità dei rapporti tra femminismo e multiculturalismo.

Nel caso delle MGF ciò si traduce nell'esigenza di rendere visibile -anche nei singoli contesti d'immigrazione- la diffusione, la portata, i significati di queste pratiche, e in particolare i loro legami con la rete di rapporti familiari e comunitari, cercando di creare intorno a questi aspetti un dibattito pubblico che coinvolga anche gli interessati. L'iniziativa toscana ha l'indiscutibile merito di avere provocato questo dibattito, sottraendo le MGF alla sfera privata delle famiglie immigrate e a quella quasi altrettanto chiusa delle sedi accademiche o legislative. Mettendo in luce la difficoltà delle risposte istituzionali ho inoltre permesso di andare oltre le facili risposte legate alla comunicazione mediatica.

2. Attenzione alle differenze. Notoriamente il pensiero della differenza ha trovato uno dei suoi principali ambiti di sviluppo nella differenza di genere. Ma l'attenzione e la valorizzazione delle differenze, dunque di ciò che costituisce gli individui nella loro realtà, al di là delle categorie astratte, non riguarda soltanto le differenze tra uomini e donne, ma anche tra donne stesse. Negli ultimi decenni è emersa con forza nel movimento femminista la consapevolezza dell'esistenza di tanti tipi di donne e di tanti modi di combattere contro la loro oppressione, e, di conseguenza, dell'importanza di evitare atteggiamenti assimilazionisti, che riconducano le donne ad un unico modello creato del femminismo occidentale.

Nel caso delle MGF ciò dovrebbe condurre - a me pare- ad evitare quanto possibile risposte giuridiche omologanti. Dunque cercare di conoscere e tener conto delle differenze tra donne africane e occidentali, tra i loro stili di vita, valori, bisogni, interessi. Questo significa anche tener conto del punto di vista dei genitori africani, delle diverse nozioni di integrità fisica, danno, interesse delle bambine. Ma è anche importante differenziare le risposte giuridiche in relazione alle varie forme di intervento che- com'è noto- hanno conseguenze fisiche, psichiche, funzioni e motivazioni molto differenti.

Un'altra significativa conseguenza della consapevolezza dell'esistenza di differenti punti di vista delle donne (e del principio di non-discriminazione) è la necessità- già sottolineata in altri interventi- di chiarire la posizione delle istituzioni nei confronti della circoncisione maschile. Non si può continuare ad ignorare che dal punto di vista di molte culture africane esiste una specularità e complementarietà tra queste pratiche, che danno ad entrambi i sessi l'ingresso nel mondo adulto della sessualità e della procreazione. Né che esiste un'importante letteratura che assimila le due pratiche e che porta come argomento a difesa della MGF la libertà e l'appoggio pubblico comunemente riconosciuti in Occidente alla circoncisione maschile, di cui si vede la giustificazione solo nella nostra cultura ebraico-cristiana.

3. Teoria critica e normativa. Un altro carattere fondamentale della riflessione femminista è la costante connessione tra indagine empirica, selezione dei problemi e proposte normative, tra movimento e teorie, analisi e riforme. Nell'ambito della teoria giuridica e politica ciò si è tradotto in posizioni di interazione tra fatti e valori, che evitassero il realismo che trasforma i fatti in valori, ma anche l'astrazione di principi inapplicabili e non verificati.

Nei confronti delle MGF ciò suggerisce - mi pare- da un lato di mettere a fuoco il ruolo primario dei valori nella costruzione sociale della pratica senza tuttavia abbandonarsi al relativismo culturale, dall'altro di non trascurare che l'affermazione di principi e le scelte politiche e giuridiche si devono fondare sulla conoscenza approfondita degli aspetti empirici che questo intervento assume nei singoli contesti socio-culturali.

4. Autodeterminazione femminile. Forse il primo e principale obiettivo del movimento femminista è stato quello di costituire le donne come soggetti autonomi a piena capacità decisionale. Nella linea del liberalismo dei diritti ciò si è tradotto in rivendicazione dell'autodeterminazione delle donne e in rifiuto del paternalismo: l'interesse delle donne non può che essere deciso da loro stesse e non da altri, siano essi il padre, il marito, i fratelli, ma anche lo Stato o la comunità di appartenenza. Ciò implica la parità di diritti civili e politici, e più ampiamente la partecipazione femminile diretta alle scelte pubbliche e soprattutto alla formazione delle norme giuridiche che le riguardano.

Nel caso delle MGF la prima significativa conseguenza dell'autodeterminazione è la necessità che le donne interessate siano coinvolte direttamente e siano loro ad avere il ruolo decisivo nella formulazione delle politiche pubbliche anche se ciò significa forzare delle resistenze che tendono a proporre i maschi come interlocutori. Certamente non è sufficiente, anzi può essere dannoso per le donne, rivolgersi ai rappresentanti delle associazioni di immigrati, generalmente maschi o comunque espressione di comunità in cui la componente femminile non partecipa paritariamente ai processi decisionali. Ciò è ancora più importante in quanto si tratta di una pratica che nella varie fasi, materiali e simboliche, del suo svolgimento è interamente gestita dalle donne della comunità.

La seconda conseguenza di un'impostazione antipaternalista mi pare sia la predisposizione di risposte giuridiche differenti per bambine minorenni e donne maggiorenni, che dichiarino di scegliere liberamente di sottoporsi all'intervento. Per la donna adulta vale il principio milliano secondo il quale "su se stessa, sul suo corpo e sulla sua mente l'individuo è sovrano", che implica l'illegittimità dell'intervento pubblico in forme coercitive in nome di un bene (o di un danno) definito dall'esterno, su cui l'interessato non concorda. Di conseguenza è solo ad altre forme d'intervento giuridico e politico, non coercitive, ma educative, assistenziali e promozionali che può essere affidato il problema di farsi carico delle preferenze adattive. Cioè di dissuadere e dare la possibilità concreta alle donne adulte di non sottoporsi all'intervento.

5. Estensione e effettività dei diritti-servizi sociali. L'accesso ai c.d. diritti sociali, costituisce una delle più importanti conquiste delle donne: un ruolo centrale nella liberazione femminile l'hanno avuto istruzione, lavoro, assistenza sanitaria e sociale. La titolarità formale dei diritti è però apparsa presto insufficiente, se non resa compatibile con le diverse esigenze, valori, ruoli legati alle specificità femminili, da cui la necessità di trattamenti differenziati rispetto agli uomini. Trattamenti fondati sull'eguaglianza sostanziale e su un'eguaglianza delle opportunità. Questa considerazione delle differenze in un contesto di presenza multiculturale, significa anche a me pare che la realizzazione dei diritti sociali deve almeno tendere ad avvenire in forme compatibili con le appartenenze religiose e culturali

Nel caso delle donne immigrate è dunque prioritario l'impegno pubblico per garantirne la scolarizzazione, l'accesso al lavoro extra-familiare, e l'assistenza medica. Nelle situazioni in cui si trovano l'estensione e l'effettività dei diritti sociali sono anche un presupposto necessario per l'esercizio della libertà personali, dunque anche della scelta di non sottoporre le proprie figlie alle mutilazioni genitali. In questo caso è poi necessaria un'adeguata assistenza medica, anche con valenze di appoggio e informazione. Una misura specifica che appare di rilievo centrale - anche come forme di concretizzazione del diritto d'uscita- è il riconoscimento dell'asilo politico, già avvenuta in altri paesi, per le donne che facciano questa scelta.

6. Etica della cura o della responsabilità. Si tratta di un tema complesso con varie sfaccettature sul quale la letteratura è notoriamente molto vasta. Mi riferisco qui soltanto all'idea di una modalità di affrontare i conflitti morali e sociali che punta alla salvaguardia delle relazioni tra le persone coinvolte più che all'applicazione di principi universali e giusti; che presta attenzione alla sofferenza soggettiva nei singoli casi più che all'ingiustizia come violazione di una norma, ai bisogni più che ai diritti.

Nella scelta di come regolare giuridicamente le MGF l'etica della responsabilità ci suggerisce in primo luogo di guardare alle conseguenze concrete delle scelte giuridiche sulle persone coinvolte, e cioè soprattutto i genitori colpevoli e i loro figli. Come hanno abbondantemente mostrato esperienze di altri paesi, in particolare la Francia dove si sono svolti molti processi penali per casi di MGF, la scelta di mettere in carcere i genitori -al di là dei problemi di giustizia- è altamente problematica per gli effetti sulle stesse vittime. Essa infatti provoca loro un danno ulteriore: la separazione dai genitori, che come hanno rilevato varie pronunce di Tribunali per i minorenni, in Italia e in altri paesi, sono sotto ogni altro aspetto le persone migliori per allevarle. Senza contare gli effetti di allontanamento dalle istituzioni pubbliche, in particolare dall'assistenza sanitaria, delle famiglie africane e quelli di rivendicazione della pratica, con conseguente suo incremento, come fattore di identità collettiva.

La proposta appoggiata dal Comitato etico della ASL di Firenze va invece nella direzione di un'etica della responsabilità, fondata su una logica realista e ispirata alla riduzione del danno. Responsabilità e attenzione agli effetti concreti delle scelte pubbliche in primo luogo nei confronti delle bambine africane che vivono ora in Italia.

7. Cautela verso la logica e il linguaggio dei diritti. I diritti fondamentali hanno avuto un ruolo primario nella tutela degli interessi delle donne e nel processo di conquista della parità tra i sessi. La teoria femminista ha tuttavia elaborato in tempi più recenti posizioni fortemente critiche a riguardo. Le riduco a due argomenti estremamente semplificati.

Il primo riguarda l'inadeguatezza della logica dei diritti, fondata sul presupposto di rapporti tra individui separati, autonomi e razionali, a situazioni caratterizzate invece o da disparità di potere, di più o meno ampia soggezione, oppure di reciproca dipendenza e unione. Dunque si verifica che i soggetti in posizione di dipendenza non abbiano le capacità effettive di far valere i diritti di cui sono proclamati titolari, oppure (e talvolta contemporaneamente) che la contrapposizione non sia rispondente ad una realtà di fusione, di interazione reciproca. In questa prospettiva il linguaggio dei diritti da un lato può risultare del tutto formale e inefficace, dall'altro operando attraverso logiche di esclusione e gerarchizzazione rischia di creare o aumentare i conflitti tra i soggetti, invece di scioglierli.

Il secondo argomento è una ricaduta di una più ampia revisione dell'idea di universalità: il proclamato universalismo dei diritti nasconderebbe invece scelte e realtà discriminatorie e assimilatorie. Questa posizione che ha riguardato in primo luogo i rapporti tra diritti dell'uomo /diritti della donna, si estende con molte implicazioni ai rapporti diritti della donna/ diritti delle donne. Per l'aspetto che qui ci interessa, ciò si tradurrebbe nell'inadeguatezza dei diritti umani espressione di una specifica cultura e società, a rispondere a esigenze, valori, stili di vita di donne appartenenti ad altre culture. Emerge quindi con particolare intensità il problema di dare un contenuto ai diritti attraverso forme di dialogo interculturale e l'indispensabile apporto della conoscenza empirica per affrontarlo.

Nel caso delle MGF la cautela verso la logica dei diritti trova in primo luogo conferma nella difficoltà di contrapporre i diritti delle bambine a quelli dei loro genitori. E' inoltre facile constatare come il diritto alla libertà femminile venga rivendicato sia da chi condanna, sia da chi difende queste pratiche, come i diritti delle culture si contrappongano ai diritti individuali, come lo stesso diritto all'integrità fisica possa avere differenti interpretazioni. Come il ricorso al lessico dei diritti sia frequentemente usato - da un lato e dall'altro- con funzioni manifestamente provocatorie, come quando si parla di "diritto all'escissione".

8. Cautela verso il diritto, in particolare il diritto penale. Il diritto è stato per il movimento femminista un potente strumento di liberazione, ma, almeno da una parte della teoria femminista, è stato visto come un ambito maschile per eccellenza e ne sono state sottolineata l'inadeguatezza a rispondere a aspettative, valori, interessi delle donne. Ciò ha corrisposto a varie proposte di ricerca di forme di regolazione elastiche e meno astrattamente vincolanti della legge e, in particolare, della legge penale. Alla ricerca di strade alternative più attente alle singole situazioni e con l'intervento delle parti interessate.

Non è argomento che si possa riprendere qui, ma solo ricordare che la repressione penale delle MGF si è rivelata in vari paesi europei altamente inefficace, spesso solo proclamata simbolicamente e non applicata. Quando lo è stata- come in Francia- si è rivelata molto problematica sia dal punto di vista della scienza giuridica (principalmente perché è difficile affermare per i genitori la volontà di produrre un danno alla loro figlia) sia dal punto di vista degli effetti (scarsa diminuzione degli interventi, loro effettuazione nel paese d'origine o in clandestinità; allentamento dalle strutture sanitarie pubbliche). Le MGF sono un caso tipico in cui è necessaria la ricerca di strade di mediazione, non imposizione dall'alto di un intervento repressivo difficilmente giustificabile agli occhi delle interessate, ma contrattazione degli interventi con loro stesse, evitando che diano contenuto a rivendicazioni identitarie. Dunque campagne di informazione, educazione, assistenza medica, sostegno all'escissione simbolica, svelamento delle false credenze, ecc.

Come si può facilmente notare alcuni di questi punti vanno in una direzione comune, altri invece, opposte. Il femminismo, sia inteso come movimento, sia come corrente di pensiero, è d'altronde un insieme vasto e eterogeneo, ma proprio questo mi sembra significativo: posizioni rigide sono difficilmente giustificabili, anche dal punto di vista della tradizione femminista.

Non ho deliberatamente fatto riferimento alla legge attualmente in approvazione sulle MGF perché ciò avrebbe ulteriormente complicato il discorso, allungandolo oltre lo spazio possibile per questo intervento. Ritornando invece - per concludere- al caso che è all'origine di questo Forum, vorrei sottolineare che la scelta di praticare in strutture pubbliche forme di sunna simbolica deve essere accompagnata da molte cautele, come è apparso chiaro dalle reazioni che ha suscitato. Ne ricordo due che mi paiono di particolare rilievo. La prima -già emersa sopra- è che questa scelta deve essere espressione di un consenso derivante da una vasta e approfondita consultazione delle donne africane. In una faccenda che riguarda il corpo delle donne, le interessate devono essere le prime a dover essere consultate e quelle a cui spetta l'ultima parola. Senza dubbio il consenso degli uomini rappresenta un dato fondamentale per diffondere l'accettazione della sunna simbolica, ma è prima, nella decisione di proporla che le donne e solo le donne devono intervenire. Certo si pone il problema di quali donne, considerando la diversità di posizioni esistenti. Direi in primo luogo le dirette interessate (anche tramite associazioni in cui si identificano) e cioè, nel caso toscano, le donne immigrate che hanno subito l'intervento, a maggior ragione se madri di bambine "a rischio", residenti sul territorio italiano. Ma forse anche le stesse bambine dal momento che è il loro interesse che si vuole tutelare e, trattandosi di forme simboliche, il modo come loro percepirebbero questo intervento è fondamentale.

La seconda riguarda la condanna morale delle MGF: deve essere pubblicamente chiaro che la sunna simbolica è considerata solo un passo verso la loro eliminazione. Essa non va considerata, né recepita come la soluzione del problema, il rischio infatti è che diventi una specie di vaccinazione di massa riservata a tutte le bambine africane. Ciò significa che l'escissione simbolica andrebbe accompagnata da campagne informative efficaci che mettano in luce l'infondatezza delle credenze per molti legate a queste pratiche (ad esempio che costituisce un'obbligazione religiosa islamica, che facilita il parto, la fertilità ecc) e che chiariscano l'atteggiamento pubblico a riguardo. E' vero che - secondo quanto scrive Santoro-l'integrazione sociale va considerata parte del concetto di salute, ma intervenendo su bambine si predefinisce la loro appartenenza, la "società" in cui saranno integrate, dunque si impone loro scelta che dovrebbe essere riservata alle donne adulte.

Detto ciò, mi pare che la proposta del Comitato etico della ASL di Firenze vada in una direzione corretta, cioè quella della riduzione del danno. La forma di sunna proposta elimina la lesione dell'integrità fisica, lasciando sussistere gli aspetti simbolici di questa pratica. Ma questi aspetti, pur rilevanti, dal mio punto di vista non reggono di fronte all'interesse immediato, concretamente verificabile delle bambine a non subire un intervento fortemente lesivo.