2008

Il pelo e l'uovo

Giovanni Boniolo (*)

In verità, commentare brevemente, specie alla luce del dibattito italiano, Per la verità di Diego Marconi non è esattamente un compito breve, anche se il libro è breve.

Mi pare, però, che l'idea didattica di fondo di Marconi sia del tutto condivisibile, specie qui in Italia: "Cerchiamo di fare chiarezza sui termini che stiamo usando, specie nel dibattito etico-politico. Termini quale 'verità', 'conoscenza', 'certezza', 'relativismo' ecc. sono spesso usati in modo non corretto e quindi il dibattito che ne segue non può essere corretto". Che dire? Ha ragione. Io stesso da sempre mi batto per la chiarificazione, specie in ambito di etica applicata alle scienze delle vita. Senza chiarezza su termini quali, per esempio, 'vita', 'esistenza', 'zigote', 'embrione', 'morte' ecc., come poter giungere a una qualche buona deliberazione collettiva?

Vi è anche da dire che l'introduzione alle basi della teoria della conoscenza che propone nel primo capitolo è ben fatta. Fra l'altro le punture di spillo inflitte a destra e manca sono davvero gustose. Immagino pure che si sia divertito. E io stesso, anzi qualche passo dei miei scritti (non vorrei attribuire a Marconi una colpa che non ha: l'essere caduto nella fallacia dell'argumentum ad personam abusivo), sono stato oggetto dei suoi rimbrotti. Eppure, forse, il suo bacchettare qui e lì potrebbe risultare scarsamente efficace: talvolta perché bacchetta con troppa acribia e talvolta perché bacchetta le persone sbagliate. Un po' come il "prode Anselmo,/perché egli era molto scaltro/andò in guerra, e mise l'elmo".

Il pelo dell'uovo (altrui)

Non voglio certo ricordare a Marconi cose che conosce, ovviamente, meglio di me, per esempio che ogni uditorio deve essere interpretato dal parlante in modo che il suo discorso sia realmente efficace. Ora vi sono molti uditorii possibili con cui un filosofo, specie della vaglia di Marconi, si può confrontare: c'è quello delle riviste internazionali di filosofia; c'è quello della comunità internazionale dei filosofi (specie della tradizione cui egli appartiene); c'è quello più parrocchiale della comunità nazionale dei filosofi (specie della tradizione cui egli appartiene); c'è quello dei lettori del suo scritto pedagogico che, come chiunque sa di editoria, può essere piuttosto variegato. Ognuno di questi necessita di regole di scrittura diverse e di un modo diverso di presentare idee e temi. Non so se Marconi sia uno sportivo, ma sicuramente saprà che un professionista di rugby non solo gioca a scacchi con regole diverse da quelle che segue quando si trova in campo contro altri rugbisti professionisti, ma che se per caso gli capita, magari solo per esibizione, di giocare con gli Old della sua società non può fare esattamente le stesse cose che fa quando si trova in campionato. Sarebbe totalmente fuori contesto. Così pure un giocatore di pallacanestro famoso per le sue "finte" (la "finta" è l'accenno di una mossa - per esempio un tiro - in modo che l'avversario la difenda, per poi batterlo facendo un'altra mossa - per esempio un'entrata) fa una magra figura se propone le stesse "finte" in un campetto di periferia: per funzionare le sue "finte" devono essere fatte contro giocatori di pari livello, altrimenti le "finte non sono capite", nulla accade e lui si muove inutilmente.

Fuor di metafore, ciò su cui vorrei puntare l'attenzione è che richiedere il rigore terminologico e concettuale (mi insegnerà poi Marconi se 'termine' e 'concetto' possono essere distinti o, almeno in certi contesti, usati intercambiabilmente salva veritate) è cosa "buona e giusta" a tutti i livelli di discorso e quindi per ogni uditorio possibile, ma che se richiedo troppo a un uditorio non avvezzo a quel troppo sto semplicemente facendo una "finta" che non viene capita e quindi sto facendo qualcosa di inefficace. Sto giocando come se giocassi contro gli All blacks quando in realtà sto facendo una partitella tra amici (e gli amici giustamente mi mandano a quel paese).

Vorrei fare un esempio che mi riguarda, visto che Marconi si dedica qui e lì a qualche mia frase.

... la libertà di critica comporta [...] pure un atteggiamento anti-fondamentalista, ossia l'atteggiamento di colui che si rende conto che nessuna credenza, valore, o conoscenza può essere giustificata razionalmente come assolutamente vera. (1)

Non sono sicuro che sia appropriato parlare di 'fondamentalismo' per intendere la posizione che Boniolo sta criticando qui, e ho dei dubbi che 'assolutamente vero' dica qualcosa di più di 'vero'. Ma, a parte queste considerazioni, mi pare problematico contrapporre a questo modo giustificazione e verità. (2)

A parte il problema della definizione di 'fondamentalismo' (non sono sicuro che sia inappropriato parlare di 'fondamentalismo'), non posso che condividere quello che scrive. In effetti 'assolutamente' è un avverbio che può essere tolto e c'è il problema della relazione fra 'giustificazione' e 'verità'. Ha ragione da vendere. Ma vi è un problema: qual era l'uditorio cui mi rivolgevo in quel librettino sulla laicità da cui la frasetta è stata tolta? Non certo quello cui mi rivolgo quando pubblico su riviste internazionali, non certo quello della comunità internazionale dei filosofi, non certo quello, più vicino a Peyton Place, della comunità dei filosofi italiani, ma quello piuttosto variegato e non ben precisabile del lettore medio italiano interessato a tali temi, peraltro oggi piuttosto caldi. Seppure io stesso ami lavorare per aumentare la chiarezza, ho sempre pensato che non puoi "uccidere" (ossia, annoiare e così perdere) il lettore medio su un pelo, facendogli perdere di vista l'uovo. Non perché il lettore medio non lo meriti, ma perché sai che la gaussiana che lo rappresenta è ben diversa dalla gaussiana del lettore di una rivista di filosofia internazionale e che se vuoi comunicargli qualcosa devi smussare, naturalmente senza cadere in banali errori e fraintendimenti grossolani. Un po' come accade con la scienza: al lettore medio non comunichi, per esempio, la complessità dei pathway biochimici che sono sotto l'espressione di un gene (a meno che tu non voglia fare un inutile sfoggio di sapere), ma la funzione più rilevante della proteina espressa. E lo stesso smussamento di complessità lo offri al lettore medio di cose filosofiche. In Italia spesso si ha una vaga idea di quale sia il luogo più adatto in cui parlare di filosofia e di come parlare di filosofia in quel luogo. Sarà una mia patologia, tuttavia credo (e se volete me ne pento e me ne dolgo) che come la filosofia non si possa proporre nei quotidiani o nei domenicali (che invece dovrebbero servire a divulgarla), così credo (e se volete me ne pento e me ne dolgo) che il pubblico generalista non possa essere l'obiettivo di sottili dispute scolastiche. Può anche darsi che nella frase sopra abbia smussato troppo, ma credo pure (anche se - devo ammetterlo - è una credenza non molto giustificata) che qualunque lettore medio italiano che adotti, seppur inconsapevolmente, un principio di carità interpretativo più caritatevole di quello di Marconi possa capire quello che intendevo.

D'altronde, in primo luogo, Marconi stesso ha cercato di capire quello che intendevo, tanto è vero che scrive: "Quel che Boniolo vuol dire, credo, è che nessuna credenza può essere ritenuta certa, cioè che nessuna credenza può essere sottratta al dubbio" (p. 22). E, in effetti, è più o meno quel che volevo proporre (anche se la sua argomentazione mi fa diventare uno scetticone che non vorrei essere - ma questo è ora poco importante). In secondo luogo, è sempre Marconi che in altri casi adotta un principio di carità più caritatevole. Per esempio, riferendosi a un passo di Giorgio Volpe e del suo uso della locuzione 'è un fatto che', scrive che sebbene Volpe avesse potuto ometterla, essa "ha una funzione enfatica (come sottolineatura o un corsivo): serve ad evidenziare l'importanza di ciò che segue" (p. 70). Perché interpretare caritatevolmente la locuzione di Volpe e non l'avverbio di Boniolo? Mah, credo (ma non presento giustificazione di nessun tipo) che sia questione del tutto soggettiva; e non è certo riprovevole criticare il vicino perché la sua capra ti bruca l'erba del giardino, ma sorridere all'amante quando la sua capra fa la stessa cosa. In fondo della propria erba ognuno fa quello che vuoi.

Comunque sia, ciò che vorrei sottolineare, a prescindere dal caso personale, è che anch'io credo (ma qui non me ne pento né me ne dolgo) che il rigore sia necessario per noi filosofi professionisti (almeno intesi come persone che si guadagnano il pane insegnando filosofia e non necessariamente come coloro che fanno filosofia). Qui Marconi mi vede non solo alleato ma nella stessa trincea, o - qualora fosse pure un rigoroso pacifista - seduto dalla stessa parte del desco imbandito - sperando che apprezzi la buona tavola e il buon vino. Tuttavia, credo, l'uso e la richiesta di rigore dovrebbero essere relative al contesto entro cui si sta parlando. E qui, forse, Marconi e io siamo in lieve disaccordo (forse lui è vegetariano mentre io non ho preclusione sul regno - ma sulla specie sì - dell'essere vivente da mangiare). Credo (e qui ho qualche ragione empirica a supporto) che certe volte l'uovo sia più importante del pelo, specie in situazioni in cui è importante che siano molti quelli che si vorrebbe assaggiassero la frittata.

Mi si consenta - come direbbe il nostro Silvio - di ripetere. Come Marconi sa, le discussioni politiche ed etiche in Italia non sono esattamente esemplari dal punto di vista del rigore terminologico, anzi direi che sono piuttosto patologiche. Ma se vogliamo sanarle, non è detto che una terapia come quella che Marconi sembra proporre sia la più efficace, anzi forse potrebbe rivelarsi controproducente. Potrebbe darsi, infatti, che non pochi di coloro che sono del tutto imprecisi terminologicamente si tengano ben distanti dal suo insegnamento e che lo considerino solo il prodotto di un noioso e cavilloso grillo parlante. Ma amerei sbagliare.

Il pelo dell'uovo (proprio)

Vi è un fatto ironico e interessante. Marconi pretende il massimo rigore, ma lui stesso sa che sta scrivendo un saggio introduttivo e qui e lì cambia stile. Non sto avanzando in maniera capziosa, ovviamente, un ragionamento fallace basato su un argumentum ad personam virato sul tu quoque. Voglio solo mostrare che Marconi è ben consapevole che non tutto può essere sempre detto con lo stesso rigore. Per esempio scrive "[...] l'identità di massa inerziale e massa gravitazionale è vera per Einstein ma non per Newton" (p. 54). Se volessimo essere rigorosi e concentrarci sul pelo anziché sull'uovo, dovremmo dire che questa asserzione è piuttosto imprecisa dal punto di vista sia ontologico che epistemologico ed errata dal punto di vista sia della storia della fisica che della fisica. Naturalmente queste cose Marconi le sa. Io conosco che lui conosce ciò di cui sta parlando; e ne ho buone ragioni. Queste non sono date dalla mia frequentazione di Marconi (penso ci siamo accidentalmente incontrati un paio di volte), né tantomeno dovute al fatto che in quelle occasioni lo abbia interrogato sull'argomento. Invece, credo che sia uno studioso serio perché ho letto un po' di suoi lavori che mi hanno convinto. Poi, non pago di questa impressione, mi sono andato a vedere in rete il suo cv (3) e ho osservato che è anche apprezzato dalla comunità internazionale e che è uno dei pochi (forse 3, forse 4) filosofi italiani strutturati in Italia che pubblica con una certa regolarità su riviste referate. Naturalmente il cv potrebbe essere falso, ma fino a prova contraria credo sia vero. Naturalmente il fatto che pubblichi su buone riviste con una certa regolarità non significa necessariamente che debba accordargli fiducia intellettuale e culturale, ma nel suo caso - forse per simpatia - così è. Dunque, mi fido di lui; in particolare mi fido che lui sappia ciò di cui sta parlando e così, applicando il principio di carità, capisco benissimo quello che avrebbe voluto dire in quella frase e certo non pretendo da lui in questa occasione lo stesso rigore che pretenderei se dovessi fare il referee di un suo lavoro in cui parlasse dell'identità fra massa inerziale e gravitazione come accennato nel libretto. Né pretendo da lui lo stesso rigore che lui pretende da (quasi) tutti gli altri. E qui, forse, sta un'altra differenza. Forse io sono più "buono" o, semplicemente, meno rigoroso, più facilone, più caritatevole. Insomma, quello che volete.

Per far capire di che sto parlando, chiarisco brevemente. Come si sa, una delle formulazioni del principio di identità afferma che x e y sono identici se e solo se le proprietà di x sono identiche alle proprietà di y. Ora la condizione necessaria non vale nel nostro caso perchè massa inerziale e massa gravitazione sono due cose diverse (una è la resistenza che un corpo offre alla variazione del suo stato di quiete o di moto; l'altra è la sorgente del campo gravitazionale). Ovviamente non vale nemmeno la condizione sufficiente perché l'unica proprietà che hanno in comune (fino a prova teorica o empirica contraria) è il loro valore. Tanto è vero che nessuno parla di identità fra le due ma di 'equivalenza numerica' (in ogni testo di fisica ben fatto si parla di "principio di equivalenza"). Ma qui sorge un altro problema: questa equivalenza numerica è alla base degli esperimenti di Galilei sulla caduta dei gravi; Newton ne parla nei suoi Principia; e tutta la fisica dell'Ottocento ne è consapevole, tanto che alcuni degli esperimenti più belli di quell'epoca furono fatti proprio per controllare fino a che ordine di valore si spingeva. Naturalmente non se ne parlava nei termini in cui se ne parla nella fisica einsteiniana e in quella seguente, ma il contenuto è quello. Tuttavia proprio Marconi, che mi pare piuttosto realista (non nel senso politico, ma nel senso epistemologico), ci dice che "è vera per Einstein ma non per Newton". Sfortunatamente non è proprio così. Si noti, fra l'altro, che questo è esattamente uno dei casi studiati a proposito della questione del relativismo concettuale. Come tutti sanno, questo è un tema affrontato dai filosofi fin dai tempi dell'astronomia ellenista, anche se poi tematizzato più rigorosamente in ambito contemporaneo da H.J. Poincaré e poi, anni dopo, da quella che è stata chiamata la "new philosophy of science". E devo dire che da quel dibattito (ormai datato, essendo degli anni '50/'70 del secolo passato) è anche uscita una soluzione del tutto convincente (e questo è un fatto). Insomma è lo stesso tema del relativismo concettuale discusso da Marconi, anche se la discussione classica era rubricata sotto un'etichetta diversa e anche se Marconi avrà avuto le sue buone ragioni per non menzionarla.

Ma ritorniamo a noi. La voluta e pienamente giustificabile mancanza di rigore in questo caso da parte di Marconi mi porta, da un lato, a pensare che anche lui si renda conto che non è possibile essere sempre rigorosi: se si fosse attardato nel rigorizzare quanto sopra il lettore italiano medio avrebbe perso l'uovo del suo messaggio. Ma, dall'altro, mi porta a suggerire che forse non possiamo chiedere agli altri di osservare sempre il (loro) pelo invece che l'uovo, quando noi stessi non osserviamo sempre (il nostro) pelo ma badiamo sempre al (nostro) uovo.

Vorrei fermarmi un altro po' sulla scienza. In più punti, Marconi la difende contro gli attacchi che da qualche tempo in Italia stanno aumentando. E noi lo ringraziamo per questo, anche perché credo (e lo credo fermamente, naturalmente se si può credere 'fermamente'!) che la difesa della scienza passi per una classe di umanisti che la vogliano studiare almeno un po', e in Italia - ahimé - sembra che ce ne siano pochi. Una volta incontrai un filosofo che mi sorprese dicendomi che lui non studiava la scienza ma ne parlava lo stesso, specie quando discettava sulla naturalizzazione dell'epistemologia, perché riteneva fosse sufficiente soffermarsi sugli aspetti linguistici. E come non ricordare quei filosofi della mente che non si rendono conto che per avere una mente devi avere un cervello (a meno che tu non sia un idealista) e che forse bisognerebbe sapere un po' di più di anatomia e fisiologia del sistema nervoso centrale e periferico? Sono esattamente come quei bioeticisti che parlano di embrioni e di cellule staminali ma non si sono mai curati di entrare in un laboratorio per capire che cosa siano. Che sia veramente sufficiente per un filosofo professionista avere una conoscenza da 'Forse non tutti sanno che' (cfr. La settimana enigmistica) della scienza?

Analogamente, forse, bisognerebbe non pensare che gli schemi che vanno bene per il discorso quotidiano possano esserle applicati senza alcun accorgimento dappertutto, per esempio al discorso scientifico. Solo conoscendolo un po' possiamo, per esempio, essere un meno certi (si può essere 'un po' meno certi' di qualcosa?) del punto di vista secondo cui tutte le volte che consideriamo giustificata una tesi ci impegniamo a considerarla vera. Forse (ma non ne sono sicuro perché non ho trovato giustificazione così persuasiva, almeno per me), questo vale nel discorso quotidiano. Tuttavia, ci sono molti fisici che pensano che la meccanica quantistica sia del tutto giustificata ma che non sia affatto vera e altri che pensano che sia del tutto giustificata (per le stesse buone ragioni) e "vera in prima approssimazione" (mai considerate possibilità quali "vero in prima approssimazione", "vero all'interno dell'intervallo di errore", "vero entro certo valori spazio-temporali"?). Inoltre, tutti i fisici concordano sul fatto che il modello a goccia dell'atomo sia del tutto giustificato ma pure del tutto falso. Giustificazione e verità non sempre e solo vanno a braccetto per le strade dell'analisi del linguaggio quotidiano; ci sono anche altri luoghi ameni dove poter passeggiare. Certo a livello quotidiano potrebbe essere, ma dovremmo stare attenti a generalizzare tesi in ambiti che non controlliamo a sufficienza. Potremmo mancare di rigore. Anche lì vi sono uova e peli, anche se non sono le nostre uova e i nostri peli.

Rimaniamo un po' qui. Più volte Marconi ci ricorda che le conoscenze non possono non essere vere (o vere fino a prova contraria). Ma tutta la fisica nucleare è fatta di modelli che sappiamo essere falsi eppure sono conoscenza (o si vuole sostenere che la fisica nucleare non è conoscenza?). In genetica delle popolazioni tutti sanno che la legge di Hardy-Weinberg è falsa, ma non può non dirsi conoscenza, e una delle ragioni a sostegno del suo essere conoscenza è indirettamente data proprio dal suo essere falsa (per via che viene usata in modo un po' particolare, come tutti sanno).

E a proposito di verità e di fatti, se 'È vero che P se e solo se che P', come la mettiamo con entanglement quantistico? In parole povere, per esempio, con l'effetto tunnel quantistico? Qui dov'è "che P"? Se qualcuno me lo indica, lo propongo per il Nobel! E poi, si ha mai avuto l'occasione di vedere i risultati di un'interazione ad alta energia fra particelle elementari? Qui dov'è il fatto? Qui non è certo questione di ermeneutica selvaggia, o di post-modernismo d'accatto, o - ancora peggio - di banalizzazione dell'ontologia del senso comune. Qui è questione di fisica; della stessa fisica (che non è, ovviamente, la fisica del senso comune così di moda in Italia fra gli "umanisti-bene") di cui ti fidi quando fai una tac o una pet o una risonanza o usi un telefonino. Qui è questione di scienza. Di quella stessa scienza che vede Marconi e me accomunati nel volerla difendere e per la quale prendiamo il brando e mettiamo l'elmo, esattamente come il prode Anselmo.

Forse il quadro concettuale che Marconi introduce con grande rigore funziona anche qui, ma non ne sono così certo. Bisognerebbe che me lo giustificasse (in uno qualunque dei tre sensi di giustificazione che ci propone). Perché non fa un libretto su verità, conoscenza e giustificazione fra biologia molecolare e meccanica quantistica? Potrebbe rispondere che non le conosce abbastanza. Potrei ribattere che basterebbe studiarle, come molti fanno (senza per questo morire). Comunque, come fa allora a essere così sicuro che il suo quadro concettuale funziona anche qui? Potrebbe sostenere che va bene solo per le situazioni ordinarie. Potrebbe essere. Mi faccia un teorema di limitazione, che allora ci credo più facilmente.

E, si badi bene, in verità in verità vi dico che non voglio prendere le distanze dalla verità, né che la verità mi fa paura, ma che forse le cose (le relazioni fra verità, certezza, conoscenza, giustificazione) sono un po' più complesse di quel che sembrano, specie in campi diversi da quelli della vita quotidiana.

Le uova degli altri

Non solo non a tutti piacciono i peli, specie - a quanto pare - i propri peli, ma a molti non piacciono nemmeno le uova. Nella parte finale del suo volumetto, Marconi, con una retorica serrata e incalzante, si/ci chiede "Che cosa c'è di particolarmente scandaloso nel fatto che una chiesa, come una multinazionale o come l'Associazione Commerciale si proponga di "influenzare l'andamento del dibattito pubblico"? [...] E come distinguere, nella pratica, tra il diritto - che si riconosce o si rivendica - di "manifestare anche pubblicamente le proprie credenze" [...] ovvero di "esprimere pubblicamente la propria fede e l'etica che ne consegue" [...] e il diritto che invece si (contesta) di cercar di influenzare "l'andamento pubblico" o di "diventare gruppi di pressione" [...]? I laici e i credenti che non condividono le posizioni dei vescovi italiani, farebbero meglio a contrastare quelle posizioni nelle sedi appropriate anziché perseguire improbabili e illiberali limitazioni della facoltà dei vescovi di intervenire nel dibattito pubblico" (pp. 149-151).

L'introduzione pedagogico-linguistica qui si è trasformata in una filippica. Ma contro chi? Chi sono i cattivoni che vogliono che i Vescovi tacciano? Chi sono gli illiberali che vogliono limitare la libertà di espressione dei Vescovi? Chi sono questi poco-di-buono? Forse quei "laicisti" tanto avversati dai teocon e dagli atei-devoti? Vuoi vedere che anche il buon Marconi mi è diventato tale?

Io non ho nessun problema a far parlare chiunque; d'altronde posso sempre non ascoltarlo e andarmene. Così non ho nessun problema soggettivo se il Cardinale Truillo, come riporta The Guardian (9 ottobre 2003) sostiene che tutti i preservativi sono porosi e siccome per questi pori passa lo spermatozoo, che è 450 volte più grande del virus dell'AIDS, allora ci passa anche questo, e che quindi i preservativi non devono essere usati. Io rido nel sentire una bischerata del genere se pronunciata in tram, in treno o in un bar. Ma c'è un problema sociale, se a dirlo è il Cardinale Truillo e se il suo pulpito è il suo ruolo cardinalizio. Come gli ha fatto notare l'Organizzazione Mondiale della Sanità: "These incorrect statements about condoms and HIV are dangerous when we are facing a global pandemic which has already killed more than 20 million people, and currently affects at least 42 million [...] Intact condoms [...] are essentially impermeable to particles the size of STD pathogens including the smallest sexually transmitted virus [...] condoms provide a highly effective barrier to transmission of particles of similar size to those of the smallest STD viruses".

E sapete come ha risposto l'affabile e incline al dialogo Cardinale Truillo? Ecco: "They [l'Organizzazione mondiale della Sanità ] are wrong about that [...] this is an easily recognisable fact." Anche il Cardinale Truillo parla di fatti! Tutti parlano di fatti. Che siano gli stessi fatti cui fa riferimento Marconi?

Che facciamo, Marconi, gli insegniamo un po' di filosofia del linguaggio, un po' di teoria della conoscenza e un po' di filosofia della scienza e gli facciamo capire che è difficile essere relativisti, che c'è differenza fra conoscenza, verità e giustificazione, e che per un buco piccolo non passa un oggetto grande (a differenza della cruna dell'ago per cui, sembra, talvolta passi addirittura un cammello)? (4) Certo un primo approccio potrebbe essere quello di chiedergli rigore terminologico. Ma se non lo accetta? Che facciamo, Marconi? Gli facciamo leggere Wittgenstein due volte al dì prima dei pasti? Io ci starei. Il mio problema sociale è anche legato al fatto (e che fatto!) che ho figli e mi dispiacerebbe che, nel caso migliore, mi venissero a confessare che stanno aspettando un bimbo o, nel caso peggiore, che si sono presi l'AIDS perché "è un fatto facilmente riconoscibile" che usare i preservativi non serve a nulla. Facciamo parlare sempre tutti e in ogni luogo? Ha mai sentito Marconi parlare del principio della potenza del podio? Sono veramente così illiberale nel chiedere una moratoria allo sproloquio anti-scientifico o para-scientifico di molti umanisti (anche "umanisti-bene"), giornalisti (e perché no? teocon e religiosi) italiani e alle sue nefaste implicazioni etico-sociali? Certo che tutti possono parlare e che tutti sono liberi di dire ciò che vogliono; ma senza rispettare alcuna regola di buona educazione argomentativa?

Non credo di essere io, né quelli come me, gli avversari filosofici o politici di Marconi. Potremmo esserci reciprocamente antipatici (cosa non vera, spero), ma forse dovremmo essere solidali nell'avversare persone come il Cardinale Truillo (e non certo per anticlericalismo pregiudiziale, ma perché ciò che afferma, visto che è un cardinale e non una persona qualunque, è pericoloso, come ribadisce anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità). Mi pare, insomma che Marconi abbia sbagliato bersaglio (ma forse aveva il sole in faccia e ne è stato momentaneamente accecato). Tuttavia, visto che sono "buono", lo assolvo (anche senza richiedere da parte sua un pater, un'ave e un gloria). In fondo, Marconi non è pericoloso.


Note

*. Fino a Settembre 2008 - Dipartimento di Filosofia - Università di Padova. Da Ottobre 2008 - Facoltà di Medicina - Università di Milano & Istituto Firc di Oncologia Molecolare Via Adamello, 16 20139 - Milano giovanni.boniolo@ifom-ieo-campus.it.

1. G. Boniolo (a cura di), Laicità, Einaudi, Torino, 2006, p. XXV.

2. Marconi per la verità. Relativismo e filosofia, Einaudi, Torino, 2007, pp. 21-22.

3. Per chi fosse interessato al suo, cfr. qui; mentre per il mio, cfr. qui.

4. Per coloro che amano la precisione e per evitare che mi accusino di essere impreciso, riformulo la frase. Supponiamo di avere un oggetto O con un foro f, che per semplicità pensiamo circolare e di raggio r. Supponiamo anche di avere un secondo oggetto O', che per semplicità pensiamo perfettamente sferico e di sezione equatoriale di diametro d. Supponiamo, inoltre, che a) l'oggetto O' non sia quantistico; b) che O e O' siano alla stessa temperatura T tale che 0° K < T < (temperatura di fusione di O e O'); c) che la velocità v relativa fra O e O' sia tale che v <<C, dove C è la velocità della luce; d) che il sistema O e O' sia chiuso. In tal caso, O' passa attraverso f di O se e solo se d < 2r.