2017

Diritti negati, Diritti tutelati

I diritti dei bambini e delle bambine: percorsi di analisi e buone pratiche

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Game over - Il lavoro minorile in Italia


a cura di Anna Teselli  
(Fondazione Di Vittorio)


In questo contributo vengono presentati i principali risultati di un’indagine sul lavoro minorile in Italia, condotta dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil[1] e da Save the Children[2]. Gli obiettivi principali dell’indagine sono stati:

  • Fornire una stima del numero dei minori con meno di 16 anni, cioè i minori che secondo la legge italiana non possono lavorare[3], coinvolti in esperienze di lavoro in Italia.
  • Ricostruire le principali esperienze di lavoro minorile, a partire dalla consapevolezza che questo fenomeno si articola in numerose tipologie, differenti per attività svolte, intensità del tempo di lavoro, interferenze con la scuola, eventuale pericolosità, percezioni da parte dei minori[4].
  • Identificare le condizioni di partenza che concorrono allo sviluppo del lavoro minorile, legate da una parte ai contesti socio-ambientali e alle famiglie in cui vivono i minori, dall’altra ai percorsi nella scuola e ai vissuti in ambito educativo.
  • Approfondire ed indagare il coinvolgimento dei minori nelle peggiori forme di lavoro minorile.
  • Presentare il punto di vista dei ragazzi sul lavoro minorile.

L’ipotesi alla base dell’indagine è che il lavoro minorile sia un fenomeno tutt’altro che scomparso nei Paesi avanzati e che stia assumendo nuove forme da analizzare. Come indicato nella Relazione tematica sul lavoro minorile curata dal Cnel, occorre implementare un Sistema di statistiche sul lavoro minorile “che preveda indagini a valenza nazionale e a cadenza periodica sulle diverse componenti del lavoro minorile nel Paese”, dal momento che “il bisogno conoscitivo sul fenomeno è ampio, ma i metodi e le fonti di informazione ancora non sono in grado di tenere conto di un fenomeno così articolato”[5]. L’indagine presentata fa un primo passo in questa direzione, nella consapevolezza che il lavoro minorile resta un tema complesso, innanzitutto per la sua natura di fenomeno ‘sommerso’ e di nicchia. Ciò contribuisce alle note difficoltà di definirlo come campo di indagine e di intervento: è possibile avere diverse idee su cosa intendere oggi per lavoro minorile in un Paese avanzato, su cosa tener dentro o lasciare fuori da quell’“ampio campo di attività, intensità e forme diverse che solo difficilmente possono essere suddivise in chiare categorie”[6]. Il lavoro minorile nei fatti è un insieme di esperienze eterogenee, di cui occorre di volta in volta ricostruire le componenti soggettive – la specifica esperienza e il significato che ciascun minore è in grado di assegnargli – e le concrete condizioni familiari e di eredità sociale in cui maturano e che concorrono alla sua attribuzione di senso.

In tal modo si punta ad individuare gli eventuali legami di questo fenomeno con la dispersione scolastico-formativa, con i rischi di esclusione e marginalizzazione sociale, con le questioni di un inadeguato investimento delle famiglie e dei territori sul capitale socio-individuale di bambini e ragazzi, tematica rilanciata anche in sede europea attraverso la Child Centred Social Investment Strategy[7]. Il lavoro minorile rappresenterebbe uno strumento per replicare modelli sociali che predeterminano i percorsi individuali: il processo di mobilità sociale intergenerazionale sarebbe influenzato da meccanismi che tendono a riprodurre sui destini individuali lo squilibrio delle posizioni di partenza ed avere eventualmente come esito il circuito dei lavori poveri da adulti[8].

La questione, allora, non è ‘se e quanto il lavoro minorile sia buono o cattivo’ – affermazione per certi versi indecidibile – piuttosto riguarda in che modo decifrare di questo fenomeno le dimensioni che ne fanno un’esperienza difficilmente reversibile per un individuo e fortemente condizionata da una specifica eredità sociale. In tal senso, i lavori minorili apparirebbero come i tasselli di corsi di vita in qualche modo predestinati precocemente dalle culture familiari e territoriali di riferimento, siano esse legate a condizioni di arretratezza economica e sociale e quindi a forme di povertà, oppure regolate da sistemi valoriali non re-interpretati alla luce dei rapidi cambiamenti in atto nelle società avanzate e dei requisiti complessi richiesti al loro interno per evitare marginalizzazione ed esclusione sociale.


1.1 Le caratteristiche delle esperienze di lavoro minorile in Italia

Nell’indagine Game over, è stata ricostruita una mappatura ex ante delle diverse intensità di rischio di lavoro minorile che caratterizzano le aree del nostro Paese[9].

L’analisi ha individuato cinque livelli di rischio di lavoro minorile (fig. 1):

  • Un rischio molto basso (in giallo), concentrato in alcune aree metropolitane del centro-nord (es.: Roma e Milano) o in alcune province ricche sempre del nord (es.: Monza e della Brianza e Ravenna).
  • Un rischio basso (in arancio chiaro), che copre la maggior parte delle province del centro-nord.
  • Un rischio medio (in arancio scuro), diffuso in modo sparso sempre nelle province del centro-nord e in una provincia della Sardegna.
  • Un rischio alto (in rosso chiaro), frequente in particolare nelle province del sud e delle isole, con qualche presenza al centro (es.: Teramo e Grosseto) e al nord (es.: Imperia).
  • Un rischio molto alto (in rosso scuro), concentrato nelle province delle isole ed in particolare in Sicilia e in alcune zone del sud (es.: Foggia, Vibo Valentia).


lavprec

Fig. 1 – Il rischio del lavoro precoce nelle Province italiane

Fonte: FDV – StC


Dalla mappa è evidente la nota spaccatura del nostro Paese in due parti: nel sud e nelle isole c’è la maggiore concentrazione del rischio di diffusione del lavoro precoce, il nord e il centro sono le aree meno esposte, anche se non del tutto protette. Anche in queste aree, si registrano zone meno ampie, ma comunque con un’esposizione medio-alta al fenomeno.

Sempre a partire dai dati forniti dall’indagine Game over, i minori tra 7 e 15 anni con una qualche esperienza di lavoro sono stimabili in circa 340.000: quasi il 7% della popolazione in età. Confermando quanto emerso anche da precedenti indagini sul tema[10], al crescere dell’età aumenta la quota di chi fa un’esperienza di lavoro: l’incidenza è minima prima degli 11 anni (0,4%), è quasi il 4% tra gli 11-13enni e ha un picco nella classe 14-15 anni (il 24,0%).

Tra i minori che oggi lavorano[11], più di due su tre sono maschi e circa il 7% è di nazionalità straniera. Inoltre il 61% è alla prima esperienza di lavoro, uno su 4 ha già avuto altre esperienze oltre quella attuale e il 13% non lavora oggi, ma ha fatto esperienze di lavoro in passato. Quasi 3 ragazzi su 4 fanno un’esperienza di lavoro per la famiglia, aiutando i genitori nelle loro attività professionali, quindi nel mondo delle piccole e piccolissime imprese a gestione familiare, oppure sostenendoli nei lavori domestici e di cura in casa propria. Gli altri – circa il 30% - lavorano nella cerchia dei parenti e degli amici o collaborano per altre persone.

Prevalentemente le esperienze di lavoro vengono svolte in quattro ambiti: quello della ristorazione, il settore agricolo, il commercio e l’artigianato[12]. Approfondendo queste esperienze in relazione ad una batteria di informazioni sui tempi di lavoro (tab. 3), emergono le seguenti tendenze principali.

  • Oltre il 40% dei 14-15enni che lavorano è impegnato in attività occasionali, di brevissima durata (al massimo 10 giorni in un anno) o di breve durata (fino a un mese all’anno).
  • 1 ragazzo su 4 svolge attività regolari, di lunga durata (per più di 6 mesi nell’anno).
  • Quasi il 40% lavora qualche volta a settimana e una quota equivalente fino a 2 ore al giorno.
  • Il 30% collabora in modo molto saltuario (una volta al mese o qualche volta durante l’anno).
  • Lavori più impegnativi riguardano quei ragazzi che sono impegnati per oltre 5 ore al giorno (27%) o più o meno tutti i giorni (26%).
  • Oltre il 60% lavora di pomeriggio, alcuni di mattina (il 16%) e il 13% di sera o di notte.
  • 1 ragazzo su 2 lavora solo nei giorni o nei periodi di vacanza, gli altri lavorano anche nei giorni di scuola di pomeriggio senza interferenze con la frequenza scolastica, in pochissimi (3%) interrompono periodicamente la scuola per lavorare.
  • Quasi 1 ragazzo su 2 dice di guadagnare dei soldi per il proprio lavoro.

Tabella 3- Tempi di lavoro e retribuzione delle esperienze di lavoro attuali dei 14-15enni


%

Giorni impegnati nell’anno


Da 1 a 10 giorni

17,7

Da 11 a 30 giorni

26,4

Da 31 a 3mesi

18,6

Da più di 3 mesi a 6 mesi

8,3

Da più di 6 mesi a 9 mesi

6,5

Da più di 9 mesi a 12 mesi

20,3

nd

2,2

Totale

100

Frequenza dell’attività


Più o meno tutti i giorni

26,2

Qualche volta a settimana

35,9

Solo una volta a settimana

7,3

Una volta al mese

19,2

Solo qualche volta durante l’anno

11,1

nd

0,3

Totale

100

N° di ore giornaliere


Fino a 2 ore

38,6

Da 2 a 4 ore

34,2

Da 5 a 7 ore

19,0

Più di 7 ore

7,9

nd

0,3

Totale

100

Fasce orarie


Di mattina (7.00 -13.00)

16,3

All’ora di pranzo (13.00 -15.00)

6,5

Di pomeriggio (15.00 -20.00)

62,9

Di sera (20.00 -22.00)

11,6

Di notte (22.00-7.00)

1,6

nd

1,1

Totale

100

Interferenza con la frequenza scolastica


Lavoro anche nei giorni di scuola

42,5

Lavoro, solo nei giorni o nei periodi di vacanza

54,1

Quando lavoro, interrompo la scuola

2,9

nd

0,5

Totale

100

Retribuzione


Guadagno

48,2

Non guadagno

50,5

nd

1,3

Totale

100





Fonte: FDV – StC



Circa 55.000 minori - 1 su 5 dei minori che hanno qualche esperienza lavorativa - fanno un ‘lavoro continuativo’: sono quei lavori che coinvolgono i minori per almeno 3 mesi all’anno, almeno una volta a settimana e almeno 2 ore al giorno. La continuatività di queste esperienze, in quanto significa maggiore intensità di tempo dedicato, espone maggiormente un minore al disinvestimento rispetto al proprio percorso scolastico-formativo e agli spazi del tempo libero, dello sport, della socializzazione extra-scolastica con il gruppo dei pari.

Una misura soggettiva del rischio di questo disinvestimento è data dall’analisi delle percezioni e dei vissuti in relazione alle proprie esperienze di lavoro. Oltre il 60% non avverte dei problemi nel lavorare e studiare insieme. Un minore su 3 percepisce una qualche difficoltà nel conciliare queste due attività: di media intensità (è stancante), di forte intensità (l’impegno è troppo, qualche volta mi dedico solo al lavoro). Inoltre i ragazzi che lavorano segnalano di avere meno tempo per divertirsi, stare con gli amici, fare sport o semplicemente riposare. Alcuni indicano come un po’ pericoloso il lavoro che svolgono. I ragazzi lavorano soprattutto per aiutare le famiglie nella loro attività di lavoro, coerentemente con il fatto che la maggior parte di loro lavora per e nelle famiglie. Un ragazzo su 2 segnala comunque ragioni personali, come quella di avere soldi propri o perché gli piace. Nel riportare cosa pensano i propri genitori delle esperienze di lavoro svolte, i ragazzi restituiscono una pluralità di opinioni, quasi tutte in chiave positiva.

Circa 28.000 ragazzi – l’11% dei minori che oggi lavorano – sono coinvolti in un’attività definibile ‘a rischio di sfruttamento’, lavorano cioè in fasce orarie notturne (dopo le 22.00) e/o svolgono un lavoro continuativo e indicano almeno due delle seguenti condizioni: lavoro nelle ore serali (dalle 20.00 alle 22.00), il lavoro crea un’interruzione nella frequenza scolastica, il lavoro interferisce con lo studio, il lavoro non lascia tempo per il divertimento con gli amici e per riposare, il lavoro viene percepito moderatamente pericoloso[13].

In confronto al complesso delle esperienze di lavoro analizzate, quelle a rischio si caratterizzano per i seguenti aspetti (tab. 4).

  • In quasi la totalità dei casi sono lavori continuativi (di contro al 21% di tutte le esperienze).
  • Elevata è la quota della attività svolte tutti i giorni (65% dei casi, quasi tre volte di più rispetto all’insieme delle esperienze di lavoro) o in modo regolare, cioè da oltre 6 mesi nell’anno (il 67% di contro al 127), con un calo molto significativo delle attività occasionali (il 9% rispetto al 44% delle esperienze di lavoro nel loro complesso) e di quelle saltuarie (2,1% rispetto al 30%).
  • Sono attività svolte spesso di sera (34% dei casi rispetto al 12%).
  • Tra di loro si concentrano le attività che impegnano i minori di notte (dalle 22.00), praticamente assenti nell’insieme delle esperienze svolte dai 14-15enni (14% rispetto all’1,6%).
  • L’interferenza con la scuola riguarda a livello di frequenza cinque volte di più un minore con un’esperienza a rischio rispetto a quelli coinvolti in attività in tutte le altre attività (16% rispetto al 3%); a livello di studio un po’ più del doppio dei ragazzini (21,6% rispetto al 9%).
  • Vengono percepite come un’attività pericolosa da oltre il 35% dei minori rispetto al 14% di chi svolge un lavoro non a rischio.
  • Non differiscono significativamente con le esperienze di lavoro non a rischio sul versante dell’interferenza con il tempo libero e sul fatto di ricevere una retribuzione.

Tabella 4 – Alcuni confronti tra esperienze di lavoro a rischio e non


Esperienze di lavoro nel loro complesso (%)

Esperienze di lavoro a rischio (%)




Giorni di lavoro nell’anno



Attività occasionali di brevissima durata (fino a10 gg. nell’anno)

17,7

4,5

Attività occasionali di breve durata (fino a un mese nell’anno)

26,4

4,7

Attività di durata intermedia (da 31 giorni a 6 mesi)

26,9

23,9

Attività regolari (da oltre 6 mesi nell’anno)

26,8

66,9




Frequenza del lavoro



Attività svolte non più di una volta a settimana

7,3

1,4

Attività svolte qualche volta a settimana

35,9

31,5

Attività svolte più o meno tutti i giorni

26,2

65,0

Attività svolte in modo saltuario (una volta al mese, qualche volta durante l’anno)

30,3

2,1




Continuatività del lavoro



Lavori continuativi

21,6

90,7




Fasce orarie



Attività svolte solo di mattina

16,3

15,0

Attività svolte solo di pomeriggio

62,9

36,4

Attività svolte di sera (20.00-22.00)

11,6

34,2

Attività svolte di notte (dalle 22.00)

1,6

14,4




Compenso



Ricevo una retribuzione

48,2

46,5




Interferenza con la frequenza scolastica



Interrompo la scuola per lavorare

2,9

16,0




Interferenza con lo studio



Sì, riesco a studiare senza problemi

64,7

46,9

Non sempre riesco a studiare, talvolta il lavoro mi impegna troppo

9,2

21,6




Interferenza con il tempo libero



Avere meno tempo per lo svago e il divertimento

30,1

45,2

Avere meno tempo per attività sportive

9,3

6,1

Avere meno tempo per riposare

27,2

22,1

Avere meno tempo per vedere gli amici

19,0

14,7




Percezione della pericolosità



Il lavoro è un po’ pericoloso

Il lavoro è molto pericoloso

14,2

0,2

34,3

2,1




Altre esperienze di lavoro in passato



Lavori in passato

26,5

51,1







Fonte: FDV – StC


Tra i ragazzi coinvolti in esperienze di lavoro a rischio è più alta la quota di chi ha avuto altre esperienze in passato: 1 su 2 rispetto a 1 minore su 4 che ha svolto una qualche esperienza di lavoro.

Infine, confrontando i minori con esperienze di lavoro e quelli senza, sono stati individuati alcuni fattori che tendono ad esporre maggiormente al rischio di esperienze di lavoro minorile.

§ I maschi rappresentano una maggioranza dei minori con esperienze di lavoro, soprattutto nel gruppo classificato a rischio.

§ L’evento critico della bocciatura è molto più frequente per i minori con esperienze di lavoro, ancor più se a rischio.

§ Il 50% dei minori a rischio ha un giudizio di licenza media sufficiente contro il 19% di tutti gli altri (la media nazionale dei licenziati con la sufficienza negli ultimi tre anni scolastici è circa 30%).

§ Nel caso di minori con esperienze di lavoro il numero dei licenziati con la votazione più alta si dimezza rispetto alla media nazionale.

§ L’idea di un futuro investito nel mondo del lavoro e non a scuola è il criterio che orienta la prospettiva di vita dei ragazzini che cominciano presto a lavorare.


Tabella 5- Idee sul proprio futuro dei 14-15enni, che lavorano e non, iscritti al biennio di scuola secondaria superiore

Cosa pensi di fare nei prossimi anni

Non ha mai lavorato

%

Lavora oggi e/o ha lavorato

Lavora oggi a rischio

%

Totale






Proseguire gli studi e fare l’Università

64,3

56,4

22,1

61,4






Frequentare un corso di formazione

8,3

8,7

8,7

8,4






Continuare a fare il lavoro che faccio

-

8,1

13,4

2,6






Continuare a lavorare, cambiando lavoro

-

7,2

11,3

2,0






Cercare quanto prima un lavoro

25,6

17,8

42,2

24,2






nd

1,3

1,8

2,2

1,4

Totale

100

100

100

100

Fonte: FDV – StC



1.2 In conclusione…


L’indagine Game over ha stimato che i minori tra 7 e 15 anni con una qualche esperienza di lavoro siano circa 340.000, con una concentrazione delle esperienze di lavoro precoce tra i preadolescenti ed in particolare tra i 14-15enni, tra chi, cioè, sta transitando dall’istruzione secondaria inferiore a quella superiore. L’indagine, infatti, ha messo a fuoco, i legami potenziali tra le esperienze di lavoro prima dei 16 anni e il fenomeno dei giovani che abbandonano il percorso formativo secondario, i cosiddetti Early School Leavers, sapendo che i giovani senza diploma o qualifica professionale sono una specificità molto italiana rispetto al resto dei Paesi europei. Non si tratta tanto di puntare l'attenzione su una fotografia del fenomeno che non appartiene ai Paesi cosiddetti avanzati: quella dei minori sfruttati in forme di lavoro facilmente identificabili come nocivi alla crescita e legate a condizioni di arretratezza e povertà, tratti che largamente rappresentano il lavoro minorile in altre zone del mondo. Occorre invece evidenziarne il legame con quell'ampia fetta di giovani italiani che non hanno un titolo di scuola secondaria superiore o un qualifica professionale, quel 15% di dispersi che secondo l'Europa dovrebbero calare nettamente, perché per loro è alto il rischio di un inserimento debole nel mercato del lavoro, caratterizzato da bassi salari, mansioni non specialistiche, scarso apprendimento di contenuti professionali.

Da questo punto di vista, il lavoro minorile concorrerebbe ad immettere nel mercato del lavoro quote di cosiddetti poor workers, aprendo una questione che ha a che fare con il futuro del nostro Paese, che ci interroga su come integrare politiche di rinnovamento del nostro sistema educativo e politiche di crescita economica dei territori e di sostegno alle famiglie, non solo dal punto di vista di integrazione del reddito, ma in particolare sul versante dello sviluppo di modelli e stili culturali capaci di scommettere per i propri figli sui percorsi formativi superiori e sulla ricerca di ‘un buon lavoro’ anche sul lungo periodo.

Le esperienze di lavoro precoce nascono, infatti, molto spesso come forma di sostegno alle attività professionali delle famiglie, all’interno quindi del mondo delle piccole e piccolissime imprese a gestione familiare; esperienze sostenute da famiglie convinte della funzione di responsabilizzazione svolta dal lavoro, o con esigenze educative e di contenimento non pienamente svolte dalla scuola verso i propri figli, o ancora convinte di essere famiglie ‘non portate’ per lo studio, in cui si ritiene meglio imparare velocemente un mestiere e andare a lavorare. Nello stesso tempo, sappiamo che il mondo delle micro imprese, spesso a gestione familiare, ha risposto alla crisi economico-finanziaria, partita nel 2008, puntando spesso su una domanda di labour intensive di scarso contenuto professionale, sulla frammentazione dei rapporti di lavoro, sulla riduzione dei salari, più che sullo sviluppo di competenze e capitale umano[14]. In questo contesto nell’indagine Game over sono state rilevate la maggior parte delle esperienze di lavoro minorile, funzionali quindi ad un apparato produttivo, che già prima della crisi presentava debolezze strutturali e che oggi in certi suoi settori sopravvive in modo marginale senza tentare un riposizionamento strategico. Non appare ideologico, quindi interrogarsi sul rischio che queste esperienze possano contribuire ad un inserimento debole nel mercato del lavoro, esponendo una quota di giovani adolescenti ad un probabilità più alta di essere i poor workers del futuro, con profili professionali poco qualificati, bassi salari e poche risorse per contrattare un buon posizionamento nel mondo del lavoro.

L’indagine Game over, mettendo a fuoco come il lavoro minorile risulti un universo ampio, vario e di difficile generalizzazione, richiama ad una cautela nel considerare tutte le esperienze di lavoro svolte in famiglia come un’esperienza ‘buona’, così come sostengono alcuni esperti e policy makers impegnati sul tema. Di certo, non sono poche quelle che nascono sotto le migliori intenzioni, per sostenere momenti di corresponsabilizzazione alla vita familiare, per sviluppare un giusto senso del dovere verso la comunità di appartenenza, familiare e non, per contribuire allo sviluppo di competenze e regole proprie del mondo del lavoro. Specialmente quelle che vengono svolte in modo occasionale e saltuario, qualche giorno nell’anno, qualche ora durante la settimana, senza interferenze con la scuola, possono portare un valore aggiunto al percorso di un ragazzo, aiutandolo a sperimentare le proprie abilità e capacità più legate al fare, e quindi orientandolo nelle fasi di prima o seconda scelta rispetto al proprio futuro.

Ma non va sottovalutato il rischio che alcune famiglie che si percepiscono meno ‘portate’ per lo studio tendano a non investire neanche per i propri figli su un percorso scolastico a medio e lungo termine. Oppure che alcune famiglie, per mantenere imprese marginali, mettano in campo strategie di autosfruttamento, in cui sono coinvolti anche i propri figli. L’indagine, infatti, ha individuato lavori di tipo continuativo, svolti da ragazzini con meno di 16 anni, e attività definibili ‘a rischio di sfruttamento’, che spesso avvengono nei contesti familiari.

Nell’influenza che le famiglie di provenienza, le loro condizioni economiche e i modelli culturali di riferimento possono esercitare sulla scelta di un ragazzino di fare un’esperienza di lavoro precoce, non sembrano esercitare un grande peso condizioni di partenza legate a forme di povertà economica. Contano di più un insieme di risorse immateriali – percezioni, convinzioni, motivazioni – che formano uno stile e un clima familiari meno propensi ad investire sull’istruzione superiore e sulla ricerca di un buon lavoro ‘da grandi’.

Nello stesso tempo, non vanno sottovalutati i noti meccanismi di espulsione del nostro sistema educativo: una scuola che non sa appassionare i propri ragazzi, che non sa trattenere ‘i più difficili’, che non differenza la propria offerta formativa in funzione delle tante e diverse intelligenze individuali. I fenomeni spia dell’insuccesso scolastico sono più diffusi tra i minori con una qualche esperienza di lavoro: vengono bocciati con più facilità, hanno votazioni basse nel giudizio di licenza media, pochi si licenziano con il massimo dei voti. È difficile stabilire se le esperienze di lavoro precoce siano gli effetti dei meccanismi espulsivi scolastici o viceversa siano a monte di un progressivo allontanamento dai percorsi formativi. In ogni caso l’idea di un futuro prossimo investito nel mondo del lavoro e non a scuola è il criterio che orienta principalmente la prospettiva di vita dei ragazzini che lavorano.

Un dubbio legittimo resta: che non sia troppo presto?




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Teselli A., Dispersione scolastica e lavoro minorile: percorsi di vita e analisi complesse, in Benvenuto G., Sposetti P. (a cura di), Contrastare la dispersione scolastica, Anicia, Roma, 2005

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Testa F., I cento mestieri dei ragazzi di Napoli. Lavoro minorile ed evasione scolastica, Napoli, 1983.



[1] Già IRES e Associazione Bruno Trentin.

[2] Cfr. Per approfondimenti cfr. Teselli A., Scannavini K. (a cura di), Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia, Ediesse, Roma, 2014. L’indagine è stata realizzata con la supervisione di un Comitato scientifico composto delle principali istituzioni nazionali con competenze sul tema: Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Banca d’Italia, CNEL, Conferenza delle Regioni, International Labour Office (ILO), International Organization for Migration (IOM), ISTAT, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L'indagine si è articolata in una parte quantitativa e in una qualitativa. L’indagine quantitativa, basata su un campione probabilistico, è stata realizzata nelle scuole: sono stati intervistati oltre 2.000 minori iscritti al biennio della scuola secondaria superiore in 15 province italiane campione – del Nord, Centro, Sud e Isole – e in quasi 80 scuole campione, licei e istituti tecnici e professionali. L'indagine qualitativa si è basata sulla realizzazione di focus groups e interviste in alcune città italiane. Sono state condotte anche due ricerche partecipate, per ricostruire il punto di vista dei ragazzini sul lavoro precoce e sul loro coinvolgimento in queste attività.

[3] I riferimenti normativi sono: 1) la legge n. 977del 1967, che norma, tra l’altro, l’età minima di accesso al lavoro e le eventuali eccezioni (come il lavoro nello spettacolo); 2) la norma finanziaria del 2006, in cui l’obbligo scolastico è stato innalzato a 16 anni (a partire dall’a. s. 2007-2008) e si è conseguentemente spostata l’età minima di accesso al lavoro dai 15 ai 16 anni.

[4] “Il lavoro minorile […] è un fenomeno estremamente complesso e composito, […] lo è nelle società a economia avanzata nelle quali lo sviluppo sociale ed economico sembrerebbe non legittimare l’inserimento precoce nel lavoro”. Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, L’eccezionale quotidiano. Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2006, p. 327.

[5] La relazione, dal titolo Il Lavoro minorile: esperienze e problematiche di stima, è a cura di Giuliana Coccia e Alessandra Righi dell’Istat ed è scaricabile dal portale del Cnel. Cfr. Relazione infra p. 27.

[6] Liebel M., Il lavoro minorile in Germania, in Bambini ed adolescenti che lavorano, Quaderno n. 30 del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2004.

[7] Questa strategia è stata promossa, tra gli altri, da Esping-Andersen G. (Why we need a New Welfare State, Oxford University Press, 2002), che ha messo in evidenza come un adeguato capitale sociale, culturale e cognitivo si può sviluppare soltanto se fin dall’infanzia e dalla pre-adolescenza le famiglie e le società investono in modo determinante sullo sviluppo dell’individuo. Il rischio è di far maturare gap cognitivi e svantaggi sociali difficilmente colmabili in seguito.

[8] Sulla questione della mobilità sociale tra generazioni, cfr., tra gli altri, Checchi D. (a cura di), 2010, Immobilità diffusa, Il Mulino, Bologna.

[9] La mappatura è stata realizzata con il metodo dell’Analisi delle Componenti Principali (ACP). Per la realizzazione della mappatura, sono stati utilizzati cinque indicatori, che sintetizzano le caratteristiche territoriali ritenute particolarmente rilevanti per individuare le zone ad elevato rischio di lavoro minorile:

• la demografia → % di 14-15enni sul totale della popolazione residente

• la ricchezza pro-capite →PIL pro-capite

• la composizione della struttura produttiva → % degli occupati in agricoltura, comemrcio, settore alberghiero e ristorazione

• il tessuto socio-culturale →% di ragazzi (10-18 anni) a rischio di abbandono della scuola, quota di donne over 24 con titolo universitario

L’ACP ha generato in ciascuna provincia una componente principale che è stata definita rischio del lavoro minorile.

[10] Nell’indagine Istat del 2002, l’incidenza di esperienze di lavoro è risultata dello 0,5% per i bambini tra i 7 e i 10 anni, del 3,7% per quelli tra gli 11 e i 13 anni, dell’11,6% per i 14enni.

[11] Nell’indagine le caratteristiche principali del lavoro minorile nel nostro Paese sono state ricostruite analizzando le esperienze di lavoro svolte dai 14-15enni.

[12] In questo ambito i minori collaborano come barista, cameriere, aiuto cuoco, aiuto in pasticceria o nei panifici, etc.; nel settore agricolo fanno attività come la raccolta, l’aiuto nell’allevamento o nel maneggio; nell’artigianato collaborano come manutentore, meccanico, parrucchiere, aiuto elettricista o aiuto calzolaio e così via.

[13] Come è noto, nel nostro Paese non è ancora stato stilato un catalogo dei lavori più pericolosi per i minori. Ad oggi il riferimento principale su questi aspetti è la Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile dell’ILO (1999), che definisce tra le forme peggiori, oltre al lavoro forzato, le forme di schiavitù, prostituzione ed altre attività illecite, qualsiasi attività di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischia di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore”.

[14] Cfr. Galossi E., Teselli A., 2012, Le piccole e medie imprese al tempo della crisi, Ediesse, Roma.