2017 Diritti negati, Diritti tutelatiI diritti dei bambini e delle bambine: percorsi di analisi e buone pratiche Università
degli Studi di Modena e Reggio Emilia Game over - Il lavoro minorile in Italia a cura di Anna Teselli
In questo contributo
vengono presentati i principali risultati di un’indagine sul lavoro
minorile in Italia, condotta dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil
L’ipotesi alla base dell’indagine è che il
lavoro minorile sia un fenomeno tutt’altro che scomparso nei Paesi
avanzati e che stia assumendo nuove forme da analizzare. Come indicato
nella Relazione tematica sul lavoro minorile curata dal Cnel, occorre
implementare un Sistema di statistiche sul lavoro minorile “che preveda
indagini a valenza nazionale e a cadenza periodica sulle diverse
componenti del lavoro minorile nel Paese”, dal momento che “il bisogno
conoscitivo sul fenomeno è ampio, ma i metodi e le fonti di
informazione ancora non sono in grado di tenere conto di un fenomeno
così articolato” In tal modo si punta ad individuare gli
eventuali legami di questo fenomeno con la dispersione
scolastico-formativa, con i rischi di esclusione e marginalizzazione
sociale, con le questioni di un inadeguato investimento delle famiglie
e dei territori sul capitale socio-individuale di bambini e ragazzi,
tematica rilanciata anche in sede europea attraverso la Child
Centred Social Investment Strategy La questione, allora, non è ‘se e quanto il lavoro minorile sia buono o cattivo’ – affermazione per certi versi indecidibile – piuttosto riguarda in che modo decifrare di questo fenomeno le dimensioni che ne fanno un’esperienza difficilmente reversibile per un individuo e fortemente condizionata da una specifica eredità sociale. In tal senso, i lavori minorili apparirebbero come i tasselli di corsi di vita in qualche modo predestinati precocemente dalle culture familiari e territoriali di riferimento, siano esse legate a condizioni di arretratezza economica e sociale e quindi a forme di povertà, oppure regolate da sistemi valoriali non re-interpretati alla luce dei rapidi cambiamenti in atto nelle società avanzate e dei requisiti complessi richiesti al loro interno per evitare marginalizzazione ed esclusione sociale.
1.1 Le caratteristiche delle esperienze di lavoro minorile in Italia Nell’indagine Game over, è stata
ricostruita una mappatura ex ante delle diverse intensità di
rischio di lavoro minorile che caratterizzano le aree del nostro Paese L’analisi ha individuato cinque livelli di rischio di lavoro minorile (fig. 1):
Fig. 1 – Il rischio del lavoro precoce nelle Province italiane Fonte: FDV – StC
Dalla mappa è evidente la nota spaccatura del nostro Paese in due parti: nel sud e nelle isole c’è la maggiore concentrazione del rischio di diffusione del lavoro precoce, il nord e il centro sono le aree meno esposte, anche se non del tutto protette. Anche in queste aree, si registrano zone meno ampie, ma comunque con un’esposizione medio-alta al fenomeno. Sempre a partire dai dati forniti dall’indagine
Game over, i minori tra 7 e 15 anni con una qualche
esperienza di lavoro sono stimabili in circa 340.000: quasi il 7% della
popolazione in età. Confermando quanto emerso anche da precedenti
indagini sul tema Tra i minori che oggi lavorano Prevalentemente le esperienze di lavoro vengono
svolte in quattro ambiti: quello della ristorazione, il settore
agricolo, il commercio e l’artigianato
Tabella 3- Tempi di lavoro e retribuzione delle esperienze di lavoro attuali dei 14-15enni
Fonte: FDV – StC
Circa 55.000 minori - 1 su 5 dei minori che hanno qualche esperienza lavorativa - fanno un ‘lavoro continuativo’: sono quei lavori che coinvolgono i minori per almeno 3 mesi all’anno, almeno una volta a settimana e almeno 2 ore al giorno. La continuatività di queste esperienze, in quanto significa maggiore intensità di tempo dedicato, espone maggiormente un minore al disinvestimento rispetto al proprio percorso scolastico-formativo e agli spazi del tempo libero, dello sport, della socializzazione extra-scolastica con il gruppo dei pari. Una misura soggettiva del rischio di questo disinvestimento è data dall’analisi delle percezioni e dei vissuti in relazione alle proprie esperienze di lavoro. Oltre il 60% non avverte dei problemi nel lavorare e studiare insieme. Un minore su 3 percepisce una qualche difficoltà nel conciliare queste due attività: di media intensità (è stancante), di forte intensità (l’impegno è troppo, qualche volta mi dedico solo al lavoro). Inoltre i ragazzi che lavorano segnalano di avere meno tempo per divertirsi, stare con gli amici, fare sport o semplicemente riposare. Alcuni indicano come un po’ pericoloso il lavoro che svolgono. I ragazzi lavorano soprattutto per aiutare le famiglie nella loro attività di lavoro, coerentemente con il fatto che la maggior parte di loro lavora per e nelle famiglie. Un ragazzo su 2 segnala comunque ragioni personali, come quella di avere soldi propri o perché gli piace. Nel riportare cosa pensano i propri genitori delle esperienze di lavoro svolte, i ragazzi restituiscono una pluralità di opinioni, quasi tutte in chiave positiva. Circa 28.000 ragazzi – l’11% dei minori che
oggi lavorano – sono coinvolti in un’attività definibile ‘a rischio di
sfruttamento’, lavorano cioè in fasce orarie notturne (dopo le 22.00)
e/o svolgono un lavoro continuativo e indicano almeno due delle
seguenti condizioni: lavoro nelle ore serali (dalle 20.00 alle 22.00),
il lavoro crea un’interruzione nella frequenza scolastica, il lavoro
interferisce con lo studio, il lavoro non lascia tempo per il
divertimento con gli amici e per riposare, il lavoro viene percepito
moderatamente pericoloso In confronto al complesso delle esperienze di lavoro analizzate, quelle a rischio si caratterizzano per i seguenti aspetti (tab. 4).
Tabella 4 – Alcuni confronti tra esperienze di lavoro a rischio e non
Fonte: FDV – StC
Tra i ragazzi coinvolti in esperienze di lavoro a rischio è più alta la quota di chi ha avuto altre esperienze in passato: 1 su 2 rispetto a 1 minore su 4 che ha svolto una qualche esperienza di lavoro. Infine, confrontando i minori con esperienze di lavoro e quelli senza, sono stati individuati alcuni fattori che tendono ad esporre maggiormente al rischio di esperienze di lavoro minorile. § I maschi rappresentano una maggioranza dei minori con esperienze di lavoro, soprattutto nel gruppo classificato a rischio. § L’evento critico della bocciatura è molto più frequente per i minori con esperienze di lavoro, ancor più se a rischio. § Il 50% dei minori a rischio ha un giudizio di licenza media sufficiente contro il 19% di tutti gli altri (la media nazionale dei licenziati con la sufficienza negli ultimi tre anni scolastici è circa 30%). § Nel caso di minori con esperienze di lavoro il numero dei licenziati con la votazione più alta si dimezza rispetto alla media nazionale. § L’idea di un futuro investito nel mondo del lavoro e non a scuola è il criterio che orienta la prospettiva di vita dei ragazzini che cominciano presto a lavorare.
Tabella 5- Idee sul proprio futuro dei 14-15enni, che lavorano e non, iscritti al biennio di scuola secondaria superiore
Fonte: FDV – StC
1.2 In conclusione…
L’indagine Game over ha stimato che i minori tra 7 e 15 anni con una qualche esperienza di lavoro siano circa 340.000, con una concentrazione delle esperienze di lavoro precoce tra i preadolescenti ed in particolare tra i 14-15enni, tra chi, cioè, sta transitando dall’istruzione secondaria inferiore a quella superiore. L’indagine, infatti, ha messo a fuoco, i legami potenziali tra le esperienze di lavoro prima dei 16 anni e il fenomeno dei giovani che abbandonano il percorso formativo secondario, i cosiddetti Early School Leavers, sapendo che i giovani senza diploma o qualifica professionale sono una specificità molto italiana rispetto al resto dei Paesi europei. Non si tratta tanto di puntare l'attenzione su una fotografia del fenomeno che non appartiene ai Paesi cosiddetti avanzati: quella dei minori sfruttati in forme di lavoro facilmente identificabili come nocivi alla crescita e legate a condizioni di arretratezza e povertà, tratti che largamente rappresentano il lavoro minorile in altre zone del mondo. Occorre invece evidenziarne il legame con quell'ampia fetta di giovani italiani che non hanno un titolo di scuola secondaria superiore o un qualifica professionale, quel 15% di dispersi che secondo l'Europa dovrebbero calare nettamente, perché per loro è alto il rischio di un inserimento debole nel mercato del lavoro, caratterizzato da bassi salari, mansioni non specialistiche, scarso apprendimento di contenuti professionali. Da questo punto di vista, il lavoro minorile concorrerebbe ad immettere nel mercato del lavoro quote di cosiddetti poor workers, aprendo una questione che ha a che fare con il futuro del nostro Paese, che ci interroga su come integrare politiche di rinnovamento del nostro sistema educativo e politiche di crescita economica dei territori e di sostegno alle famiglie, non solo dal punto di vista di integrazione del reddito, ma in particolare sul versante dello sviluppo di modelli e stili culturali capaci di scommettere per i propri figli sui percorsi formativi superiori e sulla ricerca di ‘un buon lavoro’ anche sul lungo periodo. Le esperienze di lavoro precoce nascono,
infatti, molto spesso come forma di sostegno alle attività
professionali delle famiglie, all’interno quindi del mondo delle
piccole e piccolissime imprese a gestione familiare; esperienze
sostenute da famiglie convinte della funzione di responsabilizzazione
svolta dal lavoro, o con esigenze educative e di contenimento non
pienamente svolte dalla scuola verso i propri figli, o ancora convinte
di essere famiglie ‘non portate’ per lo studio, in cui si ritiene
meglio imparare velocemente un mestiere e andare a lavorare. Nello
stesso tempo, sappiamo che il mondo delle micro imprese, spesso a
gestione familiare, ha risposto alla crisi economico-finanziaria,
partita nel 2008, puntando spesso su una domanda di labour intensive
di scarso contenuto professionale, sulla frammentazione dei rapporti di
lavoro, sulla riduzione dei salari, più che sullo sviluppo di
competenze e capitale umano L’indagine Game over, mettendo a fuoco come il lavoro minorile risulti un universo ampio, vario e di difficile generalizzazione, richiama ad una cautela nel considerare tutte le esperienze di lavoro svolte in famiglia come un’esperienza ‘buona’, così come sostengono alcuni esperti e policy makers impegnati sul tema. Di certo, non sono poche quelle che nascono sotto le migliori intenzioni, per sostenere momenti di corresponsabilizzazione alla vita familiare, per sviluppare un giusto senso del dovere verso la comunità di appartenenza, familiare e non, per contribuire allo sviluppo di competenze e regole proprie del mondo del lavoro. Specialmente quelle che vengono svolte in modo occasionale e saltuario, qualche giorno nell’anno, qualche ora durante la settimana, senza interferenze con la scuola, possono portare un valore aggiunto al percorso di un ragazzo, aiutandolo a sperimentare le proprie abilità e capacità più legate al fare, e quindi orientandolo nelle fasi di prima o seconda scelta rispetto al proprio futuro. Ma non va sottovalutato il rischio che alcune famiglie che si percepiscono meno ‘portate’ per lo studio tendano a non investire neanche per i propri figli su un percorso scolastico a medio e lungo termine. Oppure che alcune famiglie, per mantenere imprese marginali, mettano in campo strategie di autosfruttamento, in cui sono coinvolti anche i propri figli. L’indagine, infatti, ha individuato lavori di tipo continuativo, svolti da ragazzini con meno di 16 anni, e attività definibili ‘a rischio di sfruttamento’, che spesso avvengono nei contesti familiari. Nell’influenza che le famiglie di provenienza, le loro condizioni economiche e i modelli culturali di riferimento possono esercitare sulla scelta di un ragazzino di fare un’esperienza di lavoro precoce, non sembrano esercitare un grande peso condizioni di partenza legate a forme di povertà economica. Contano di più un insieme di risorse immateriali – percezioni, convinzioni, motivazioni – che formano uno stile e un clima familiari meno propensi ad investire sull’istruzione superiore e sulla ricerca di un buon lavoro ‘da grandi’. Nello stesso tempo, non vanno sottovalutati i noti meccanismi di espulsione del nostro sistema educativo: una scuola che non sa appassionare i propri ragazzi, che non sa trattenere ‘i più difficili’, che non differenza la propria offerta formativa in funzione delle tante e diverse intelligenze individuali. I fenomeni spia dell’insuccesso scolastico sono più diffusi tra i minori con una qualche esperienza di lavoro: vengono bocciati con più facilità, hanno votazioni basse nel giudizio di licenza media, pochi si licenziano con il massimo dei voti. È difficile stabilire se le esperienze di lavoro precoce siano gli effetti dei meccanismi espulsivi scolastici o viceversa siano a monte di un progressivo allontanamento dai percorsi formativi. In ogni caso l’idea di un futuro prossimo investito nel mondo del lavoro e non a scuola è il criterio che orienta principalmente la prospettiva di vita dei ragazzini che lavorano. Un dubbio legittimo resta: che non sia troppo presto?
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