2009

L'esempio dei diritti umani

Luca Baccelli

Nel suo ultimo libro, La forza dell'esempio, Alessandro Ferrara arricchisce ulteriormente la sua versione del "paradigma del giudizio", elaborata nei precedenti Giustizia e giudizio e Autenticità riflessiva (1) e presentata come una via per affrontare il problema della fondazione dei principi nell'epoca della crisi del fondazionalismo. A differenza di quanto avviene in molta filosofia politica e giuridica contemporanea, alla ricerca di "assoluti morali", di "verità etiche oggettive" e di "fondazioni ultime", Ferrara prende sul serio la crisi dei fondamenti e dei principi universali che ha segnato il pensiero del Novecento. In un passo che vale la pena di citare, Ferrara pone agli esponenti delle "nuove forme di naturalismo" basate sui risultati delle neuroscienze, dell'informatica, della genetica, della sociobiologia, critici della svolta linguistica, domande di questo tipo:

avete voi un'argomentazione convincente per affermare, contro Wittgenstein, che possiamo guadagnarci una conoscenza elaborata e non solo immediatamente sensibile del mondo fuori dai quadri semantici di un qualsiasi linguaggio? Avete voi, contro Wittgenstein, un modo indipendente dal riferirsi a una prassi inclusa in una forma di vita, per accertare se una regola sia stata seguita? Conoscete voi la maniera, contro Quine, per ri-tracciare con precisione la linea che separa ciò che è vero in virtù di uno stato del mondo da ciò che è vero in virtù del significato dei termini con cui lo descriviamo? Siete voi in grado di negare, contro Weber, che tutte le forme di conoscenza comportano un momento selettivo in cui si isola ciò che riteniamo importante conoscere in un oggetto, e che tale attribuzione di importanza si collega al perseguimento di valori spesso rivali e non riconducibili a una gerarchia unica e incontestabile? Non avete risposte esaurienti a queste domande? E allora l'orizzonte postmoderno aperto dalla svolta linguistica è ancora tutto davanti a voi, insuperato, e lo rimarrà finché non sarete capaci di misurarvi con queste sfide (2).

Dunque Ferrara riconosce che ci troviamo entro "l'orizzonte della critica mossa dalla svolta linguistica a tutte le versioni del fondazionalismo moderno"; ma egli intende "disinnescare le implicazioni relativiste che finora, riduttivamente, sono state tratte dalle premesse e dalle tesi principali della svolta linguistica" (3). A questo scopo Ferrara si rivolge più tarda produzione teorica di Hannah Arendt; in essa, come è ormai ampiamente noto, si prospettava l'applicazione all'ambito della politica della teoria del "giudizio riflettente" elaborata da Kant nella Critica della facoltà di giudizio (4). Il giudizio riflettente collega la validità all'autenticità di un'identità individuale, collettiva o simbolica e in tal modo permette di rendere conto del fatto del pluralismo. Ferrara vede la "soggettività autentica" espressa nei modelli della "congruenza di una storia di vita" e della "congruenza dell'opera d'arte riuscita". In questa ottica l'universalismo va inteso in senso thin, come "la proprietà di un enunciato o di una norma di poter proiettare un qualche genere di cogenza al di là dei limiti del contesto in cui si origina" (5): non si può dunque risalire a prima di Wittgenstein alla ricerca di un linguaggio neutrale. Questa "universalità sui generis" rimanda a un senso di validità basato "sulle intuizioni intorno a ciò che Kant chiamerebbe [...] l''agevolazione e intensificazione della vita' [Beförderung des Lebens]". Si tratta per Ferrara di "un genere di universalità esemplare che non può imporsi su di noi come farebbe un conquistatore ma che nondimeno ci attrae come un seduttore. Un conquistatore può sconfiggerci indipendentemente da chi noi siamo, un seduttore non può sedurci indipendentemente da chi noi siamo [...]" (6).

L'universalismo viene così rivisitato dal punto di vista del giudizio e del concetto di validità esemplare. In questa prospettiva Ferrara opera un'interessante messa a punto del tema della ragionevolezza, propone una sua interpretazione del repubblicanesimo - visto che una corrente teorica particolarmente affine all'approccio giudizialista - e affronta la questione del male radicale. Sulla base di questo schema, prende in considerazione i temi caldi della crisi della sovranità statale nell'epoca della globalizzazione, della definizione di un'identità europea, del rapporto fra religione e politica. Ed elabora un modello di giustificazione dei diritti umani, sul quale mi soffermo brevemente.

Per giustificare i diritti umani, sostiene Ferrara, occorre assumere il "punto di vista dell'umanità" - la communitas di tutti coloro che hanno condiviso, condividono e condivideranno la condizione umana - come un presupposto logico per il confronto fra diverse culture e diverse concezioni dei diritti umani, evitando di farne una proiezione della cultura occidentale. Su questa base, "anche noi occidentali [...] abbiamo titolo a far valere la nostra idea di cosa possa voler dire per l'umanità realizzare se stessa" (7) e ad opporci a concezioni che legittimano genocidio, pulizia etnica, eliminazione sistematica degli oppositori politici. A questo punto occorre "argomentare la tesi [...] secondo cui l'anticipazione di un'identità ideale dell'umanità che includa i diritti umani è in grado di portare l'umanità a una realizzazione più completa rispetto ad altri ideali etici che non includono, relativizzano o addirittura negano i diritti umani esplicitamente" (8). Ciò non significa che la cultura occidentale abbia l'accesso privilegiato della visione ultima che permette la migliore autorealizzazione dell'umanità; ma può legittimamente pretendere di difendere la possibilità che "una visione della realizzazione dell'umanità centrata sui diritti umani [...] non sia messa a repentaglio da crimini che possono marcare l'identità dell'umanità in modo irreversibile" (9). In questo modo sarebbe possibile conferire ai diritti umani "una autorità indiscutibilmente giuridica e non solo morale" e così definire "quali violazioni dei diritti umani costituiscono motivo per un legittimo intervento militare" (10) Allo scopo di favorire questo tipo di universalismo Ferrara propone una riduzione del catalogo dei diritti umani vigenti ad un nucleo di diritti umani "fondamentali" (11).

Il modello del giudizio si ricollega con la prospettiva di una "normatività situata" che Ferrara riprende dalla Filosofia del diritto hegeliana. Come la Sittlichkeit deve trovare una ancoramento istituzionale, così l'attribuzione di un'identità all'umanità nel suo complesso richiede una giuridicizzazione dei diritti umani e lo sviluppo di istituzioni in grado di proteggerli, un "nesso fra la giustizia globale internazionale e l'insorgere di istituzioni cosmopolitiche come un nesso costitutivo" (12). Che poi le concrete istituzioni cui si può far riferimento - dalle Nazioni Unite al FMI, dalla ICC al WTO - siano criticabili almeno quanto lo Stato prussiano era criticabile come realizzazione dell'eticità è un'altra questione.

Credo che il modello del giudizio offra un contributo importante per impostare il tema del confronto interculturale sui diritti umani. Tuttavia ho l'impressione che nell'applicazione di Ferrara alla giustificazione dei diritti umani emergano alcune possibili ambivalenze di tale modello, e non vengano viceversa messe a frutto alcune delle sue potenzialità. Ferrara propone un catalogo minimo di diritti umani fondamentali come candidato per esprimere esemplarmente la Beförderung des Lebens dal punto di vista dell'umanità (passata, presente e futura) e in questo modo ritiene che si possa fondare una loro giuridicizzazione cosmopolitica e definire i casi in cui è legittimo l'enforcing militare. Potrebbe bastare quest'ultimo riferimento ad interrogarsi quanto lo schema proposto in sede di definizione del paradigma del giudizio sia poi effettivamente seguito: in condizioni non patologiche il seduttore, nel suo corteggiamento, fa un ricorso molto limitato alla violenza ed alla punizione. Ma soprattutto ci si può chiedere se il punto di vista dell'umanità sia adeguato come punto di partenza. L'umanità è un concetto ambivalente, che si presta ad essere declinato in forme differenziate, che può ammettere la distinzione fra situazioni e soggetti che la esprimono pienamente ed altri che esprimono un'umanità incompleta, o solo potenziale (come i barbari natura servi della tradizione aristotelica e scolastica). D'altra parte emerge qui la problematicità della nozione di sensus communis (cosa è esemplare, e per chi? Si pensi alla figura del "martire" che compie un attentato suicida) e si finisce per avere l'impressione che ciò che crea problema nel dibattito interculturale sta prima, sotto o oltre il sensus communis cui Ferrara fa riferimento.

Ma il paradigma del giudizio potrebbe forse essere sviluppato in un'altra direzione. I diritti umani potrebbero essere assunti come esempio "per noi", nel senso che acquistano valore esemplare data la loro congruenza con il modo in cui esprimono (il meglio) dell'esperienza giuridica occidentale moderna. Più precisamente, esprimono una corrente dell'esperienza culturale occidentale, che affonda le sue radici nell'antichità classica, nel diritto romano, nel cristianesimo antico e medievale, nell'umanesimo e nell'illuminismo (ed ha dovuto superare enormi difficoltà per ottenere un'affermazione sempre rimessa in questione, da Guantánamo ai campi Rom). In quanto esemplarmente radicati in una vicenda culturale, storica e sociale i diritti umani possono esercitare attrattiva (corteggiare e sedurre) entro altre esperienze culturali e d'altra parte aprirsi alla contaminazione di altri modelli esemplari. D'altronde, l'esemplarità della Scuola di Atene di Raffaello parla un linguaggio diverso dall'esemplarità di Tagliente nel morbido di Kandinskij ma proprio perciò è esemplare. In questo senso, ridurre i diritti umani ad un esemplare nucleo minimo (in ipotesi, tutelabile con interventi militari) mi sembra perdere un'occasione per sfruttare al meglio le potenzialità del paradigma del giudizio. Fra l'altro, ci si dovrebbe chiedere che cosa c'è di esemplare nei diritti umani: soltanto i contenuti normativi in essi espressi o anche la forma giuridica in cui sono espressi, il linguaggio che permette di affermarli, l'esperienza storico-sociale soggiacente? E d'altra parte, le proposte minimaliste di riduzione ad un nucleo fondamentale di diritti si risolvono molto spesso nella riproposizione delle tradizionali libertà negative della tradizione liberale, che rischia a sua volta di rendere i diritti umani assai meno seduttivi per molti potenziali partecipanti al dialogo.


Note

1. Cfr. A. Ferrara, Autenticità riflessiva. Il progetto della modernità dopo la svolta linguistica, Milano, Feltrinelli, 1999; Id., Giustizia e giudizio. Ascesa e prospettive del modello giudizialista nella filosofia politica contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2000. Ricordo che questi tre testi sono stati pubblicati in una prima versione in lingua inglese, fatto non consueto per la nostra comunità nazionale di politologi, storici del pensiero e filosofi giuridici e politici.

2. Ferrara, La forza dell'esempio, cit., p. 23).

3. Ivi, p. 21.

4. Cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft in Werke, hrsg. von der Königlich, Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin, De Gruyter, 1910 ss. (trad. it. di E. Garroni, H. Honegger, Critica della facoltà di giudizio, Torino, Einaudi, 1999). Alla trattazione della facoltà di giudizio Arendt doveva dedicare l'ultima parte di The Life of the Mind (New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1978 [trad. it. La vita della mente, Bologna, il Mulino, 1987]); ne parlò comunque nelle Lectures on Kant's Political Philosophy (Chicago, Chicago University Press, 1982 [trad. it. Teoria del giudizio politico, Genova, Il melangolo, 1990]); sul tema cfr. le introduzioni di A. Dal Lago e P. P. Portinaro alle due opere arendtiane e: E. Vollrath, Die Rekonstruktion der politischen Urteilskraft, Stuttgart, Klett, 1977; R. Beiner, Political Judgment, London, Methuen, 1983; B. Henry, Il problema del giudizio politico fra criticismo e ermeneutica, Napoli, Morano, 1992; M. Passerin d'Entreves, The Political Philosophy of Hannah Arendt, London-New York, Routledge, 1994; S. Forti, Vita della mente e tempo della polis. Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano, Franco Angeli, 1994.

5. A. Ferrara, Autenticità riflessiva. Il progetto della modernità dopo la svolta linguistica, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 31.

6. Ferrara, La forza dell'esempio, cit., pp. 242-43.

7. Ivi, p. 175.

8. Ivi, p. 176.

9. Ivi, p. 177.

10. Ivi, p. 163.

11. Cfr. ivi, pp. 186-202.

12. Ivi, p. 185.