Diritti e politica negli Stati liberal-democratici

2016

Diritti e politica negli Stati liberal-democratici. Riflessioni intorno a L’orientamento sessuale. Cinque domande tra diritto e filosofia di Gianfrancesco Zanetti.

Recensione di Lucia Re



In L’orientamento sessuale. Cinque domande tra diritto e filosofia[1] Gianfrancesco Zanetti ricostruisce il dibattito teorico che si è svolto negli Stati Uniti, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, a proposito del trattamento giuridico dell’orientamento sessuale. La discussione affonda le radici nella riflessione filosofica e giuridica inglese in tema di rapporto fra diritto e morale, a partire dalla nota distinzione fra “self-regarding actions” e “other-regarding actions” teorizzata da John Stuart Mill in On Liberty. Sul tema sono intervenuti, direttamente o indirettamente, grandi filosofi e filosofe del diritto e della politica contemporanei. Si pensi in primo luogo alla contrapposizione fra Herbert L. A. Hart[2] e Sir Patrick Devlin, che, nell’Inghilterra della metà del Novecento, difese la repressione penale degli atti omosessuali fra adulti consenzienti, appellandosi alla c.d. “disintegration thesis”: quegli atti, in quanto contrari alla “morale comune”, erano per Devlin possibili fattori di disintegrazione della coesione sociale[3].

Ad avere avuto un impatto diretto sul dibattito statunitense in tema di trattamento giuridico dell’orientamento sessuale sono poi state le riflessioni sul liberalismo e sul rapporto fra diritto e giustizia di filosofi quali Ronald Dworkin, John Rawls, Martha C. Nussbaum e John M. Finnis. L’analisi filosofica si è strettamente intrecciata con una serie di vicende processuali, consentendo il progressivo formarsi di una giurisprudenza favorevole al riconoscimento dei diritti degli omosessuali, secondo una traiettoria che muove dalla sentenza Bowers v. Hardwick del 1986 – nella quale la Corte Suprema sancì la legittimità della legge della Georgia che puniva la sodomia – fino al pieno riconoscimento a livello federale dell’uguaglianza fra matrimonio omosessuale e matrimonio eterosessuale avvenuto nel 2015 con la sentenza Obergefell et al. v. Hodges.

Nel libro, Zanetti limita consapevolmente la sua analisi ad alcuni aspetti di questo dibattito filosofico e giuridico anglosassone e struttura la sua esposizione intorno a cinque tesi, riformulate come altrettante domande, che idealmente possono essere fatte proprie anche da chi non condivide le posizioni assunte sulle diverse questioni affrontate. Si tratta di una scelta strategica che consente all’argomentazione di svilupparsi secondo un disegno coerente, senza perdersi nei dettagli della ricostruzione storica, soffermandosi sulle questioni più rilevanti dal punto di vista giusfilosofico.

La tesi di partenza è, del resto, quella dello specifico rilievo assunto dalla riflessione filosofico-giuridica sui problemi posti dall’orientamento sessuale. “L’orientamento sessuale – scrive Zanetti – è il problema classico relativo alla coercizione giuridica della morale” [4]. Esso emerge come problema tipico riguardante la relazione fra diritto e morale in rapporto alle discriminazioni delle minoranze[5]. Il riconoscimento dei diritti delle minoranze sessuali è collegato inoltre alla interpretazione dei principi di uguaglianza e non discriminazione. Non a caso, l’autore mette in luce, sin dalle prime pagine, come la questione del trattamento dell’orientamento sessuale in ambito statunitense possa considerarsi analoga alla questione del riconoscimento dei diritti degli afro-americani.

La vicenda ricostruita nel libro si è svolta in tre fasi (ed è questa la seconda tesi che viene enunciata nel testo), le quali “sono collegate fra loro in una successione genetica, non assolutamente cronologica”[6]: “ogni fase costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente per l’attivazione della fase successiva”[7] (quarta tesi).

Come si è accennato, nella prima fase la discussione ha riguardato la rilevanza penale dei comportamenti omosessuali fra adulti consenzienti. Si sono confrontate la tesi che sosteneva l’illegalità di tali comportamenti e quella che ne difendeva la legalità, in primo luogo per rispetto del principio liberale di non punibilità dei comportamenti privi di offensività, i cosiddetti victimless crimes. Tale opposizione è espressa nel libro con riferimento alla coppia concettuale legal/illegal. Si tratta, com’è noto, di un dibattito molto complesso – centrale per la filosofia del diritto – che riguarda il rapporto fra diritto e morale e che, sul piano giuridico, ha interessato principalmente il diritto penale.

Una volta affermato che i comportamenti omosessuali fra adulti consenzienti non dovevano essere puniti, in quanto “self-regarding actions”, si è aperta la discussione circa il valore che lo Stato è tenuto ad accordare all’orientamento omosessuale. Se la sessualità e l’affettività omosessuali sono dotate di valore, lo Stato si deve infatti fare carico di tutelarle da possibili discriminazioni. Tale questione è riassumibile nella dicotomia “dotato di valore”/“non dotato di valore” (valuable/non valuable) e investe in via prioritaria il diritto civile.

Infine, quando si è giunti a riconoscere valore all’orientamento omosessuale, ci si è chiesti se fosse opportuno conferire sul piano pubblicistico a tale orientamento un valore pari a quello attribuito all’orientamento eterosessuale, garantendo l’accesso degli omosessuali all’istituto del matrimonio civile. L’opposizione riguarda qui direttamente l’interpretazione del principio di eguaglianza e, secondo Zanetti, il suo pieno riconoscimento negli ordinamenti liberal-democratici. Essa può essere sintetizzata dalla coppia concettuale equal/unequal.

Nonostante il rilievo teorico generale degli argomenti affrontati, la riflessione filosofico-giuridica sull’orientamento sessuale in ambito anglosassone “non si è svolta attraverso una serie di paradigmi teorici che vengono prima elaborati e poi calati nel mondo concreto del diritto”[8], ma si è originata “dal basso”, “a partire da specifiche, concrete questioni”[9], comportando l’elaborazione di argomentazioni “che sono poi risultate concettualizzabili in una loro conquistata autonomia teorica”[10]. È questa la terza tesi sostenuta da Zanetti.

L’ultima tesi enunciata nel libro è invece che, in virtù della connessione genetica fra le diverse fasi in cui si è svolta la riflessione filosofico-giuridica anglosassone sull’orientamento sessuale, è prima facie possibile assumere posizioni diversificate sulle diverse questioni discusse di volta in volta[11]. Tratto distintivo dell’argomentazione sviluppata da Zanetti risiede, del resto, nel “prendere sul serio” tutte le posizioni emerse nel dibattito, anche quelle più conservatrici, secondo uno stile argomentativo che ricorda da vicino proprio quello della Corte Suprema statunitense, la quale assurge a protagonista della vicenda ricostruita nel libro. Se la riflessione teorico-giuridica anglosassone sull’orientamento sessuale si è svolta dal basso, a partire da questioni concrete e concentrandosi su specifici documenti giuridici, è infatti anche perché essa è stata anche, se non soprattutto, una riflessione nata intorno al diritto giurisprudenziale. Essa è dunque per lo più stata attivata da claims, da rivendicazioni, individuali.

Fra gli autori italiani più esperti di teorie critiche[12], Zanetti, in questo libro sembra muovere proprio dall’idea che la filosofia parte dall’ascolto delle rivendicazioni. Il tema del trattamento giuridico dell’orientamento sessuale è di grande attualità, in particolare in Italia dove nel maggio del 2016 è stata approvata una legge che per la prima volta riconosce le unioni civili omosessuali[13], ma il saggio di Zanetti è non un instant book redatto per intervenire nella discussione odierna, bensì il risultato di ricerche e riflessioni svolte nel corso degli ultimi anni. Del resto, come avverte lo stesso autore, il dibattito ricostruito nel libro non solo è utile per comprendere la traiettoria che ha condotto al pieno riconoscimento dei diritti dei gay e delle lesbiche negli Stati Uniti, ma illumina anche questioni di ordine generale, relative alla interpretazione delle nozioni di uguaglianza e di libertà negli ordinamenti liberal-democratici (anche se al tema della libertà è dedicato uno spazio minore nella trattazione). Tale dibattito mostra inoltre come la teoria filosofica – e in particolare la teoria filosofico-giuridica e filosofico-politica – sia in grado di dare alla discussione democratica, alla formazione della cosiddetta “ragione pubblica”, un contributo particolarmente rilevante. La critica è infatti – sostiene Zanetti – essa stessa “pratica di eguaglianza”.

Il libro parte dunque da una concezione di filosofia come “filosofia pratica” che muove dall’esperienza secondo un approccio bottom-up. Si tratta di un’idea che ha trovato consacrazione nelle filosofie politiche e giuridiche femministe, le quali hanno teso a rifiutare le diverse forme di grand theory per porre al centro della riflessione filosofica – anche filosofico-giuridica – l’esperienza concreta dei soggetti. Fra le autrici cui si può ascrivere questa concezione vi sono, ad esempio, Martha A. Fineman[14] e Iris Marion Young[15].

Zanetti nel suo saggio sembra però muovere anche dalla convinzione espressa da una filosofa attenta alla elaborazione di concetti analitici astratti e di argomenti normativi come Martha Nussbaum. Nel suo Women and Human Development, ella sostiene che la teoria critica ha:

un grande valore pratico per la gente comune non dedita alla filosofia, a cui offre sia una cornice in cui inquadrare ciò che sta loro accadendo, sia un insieme di concetti con cui criticare abusi che altrimenti rimarrebbero nell'ombra e senza nome sullo sfondo della vita[16].

Per Nussbaum, gli argomenti sistematici offerti dalla teoria filosofica svolgono una importante funzione pratica: consentono “la selezione dei nostri pensieri confusi, criticando realtà sociali ingiuste e prevenendo quel tipo di razionalizzazione autoillusoria che ci rende spesso complici dell'ingiustizia”[17]. Molte decisioni pubbliche e private sono prese sulla base di presupposti filosofici impliciti, talora inconsapevoli. I punti di vista che guidano le deliberazioni pubbliche sono spesso la sintesi di diversi “frammenti teorici assai generali derivati dalla consuetudine, dalla religione o dalle scienze sociali”[18]. In mancanza di un confronto che espliciti i presupposti filosofici, “i punti di vista più influenti saranno probabilmente quelli sostenuti semplicemente dalle persone più potenti o retoricamente più efficaci”[19]. La filosofia richiede invece una deliberazione pubblica basata su un'argomentazione chiara che espliciti i presupposti del discorso. Essa tenta di dare peso all'argomentazione che ha maggiore coerenza e chiarezza invece che a quella sostenuta dai proponenti più rumorosi[20].

Il lavoro di Zanetti mi pare presupporre questa idea della filosofia e l’impegno affinché essa possa influenzare il confronto politico democratico. Oltre che pratica di uguaglianza, la stesura, la lettura e la discussione pubblica di questo libro[21] sono dunque un esercizio di democrazia. Un esercizio quanto mai opportuno in un momento, come quello attuale, in cui – nella maggior parte dei paesi occidentali – l’impressione è che lo spazio democratico sia schmittianamente diviso fra amici e nemici, sia un’arena nella quale le posizioni liberal si scontrano con concezioni del bene comune ancorate a indiscutibili verità metafisiche o a doxae inconfutabili, fondate su una “epistemologia dell’ignoranza”[22]. Queste concezioni pretendono sovente, alla lettera, di “dettare legge” e, proprio con riferimento agli omosessuali, contribuiscono a creare un clima omofobico[23] nel quale maturano, anche in Occidente[24], persecuzioni quotidiane e crimini gravissimi, come la terribile strage compiuta a Orlando in un locale notturno frequentato soprattutto da persone LGBTI, il 12 giugno del 2016, per la quale il cordoglio espresso a livello globale nei social e nei mass media è stato sensibilmente minore rispetto a quello manifestato in occasioni analoghe, quando le vittime non erano in maggioranza appartenenti a minoranze sessuali[25].

Il dibattito teorico-giuridico statunitense ricostruito da Zanetti appare allora molto significativo perché mostra la fatica che la teoria critica deve compiere per intaccare i pregiudizi e, al contempo, mette a fuoco una tensione tipicamente liberal-democratica fra la “logica della legge” – dettata dalla maggioranza parlamentare – e la “logica dei diritti fondamentali” – sottratti alla disponibilità delle maggioranze politiche, attraverso la tutela offerta dal potere giurisdizionale nell’ambito dello Stato di diritto. Si tratta di una tensione antica – rilevata, com’è noto, in modo molto chiaro già da Alexis de Tocqueville ne La democrazia in America – e che negli Stati di diritto contemporanei – come ha ben messo in luce Emilio Santoro nel suo libro Diritto, diritti. Lo Stato di diritto nell’era della globalizzazione[26] – si fa ancora più forte poiché è inserita in un orizzonte globale caratterizzato da intergiuridicità[27]. Anche questa dimensione – quella cioè della intergiuridicità e della progressiva importanza del dialogo di costituzionalismo fra le Corti nazionali e fra queste e le Corti sovranazionali – si palesa nella vicenda anglo-americana ricostruita da Zanetti, nella quale la Corte Suprema è giunta a vietare le leggi che punivano penalmente i comportamenti omosessuali fra adulti consenzienti richiamando esplicitamente la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani in Lawrence v. Texas (2003).

In Italia, la giurisprudenza ha svolto a lungo un ruolo di supplenza in materia di tutela delle famiglie non tradizionali, ruolo che probabilmente dovrà continuare a svolgere anche in seguito all’approvazione della legge sulle unioni civili[28]. Non solo, ma la giurisprudenza, europea e costituzionale, è stata dirimente nel convincere le forze politiche a trovare comunque un compromesso per il riconoscimento delle unioni omosessuali[29]. Anche per questo aspetto la vicenda statunitense ricostruita da Zanetti è paradigmatica, poiché è stato il ricorso alla giurisdizione che ha consentito di superare l’impasse del dibattito politico democratico.

Zanetti – con questo libro – sembra dirci però che c’è bisogno di entrambe le cose: della tutela dei diritti da parte della giurisdizione, chiamata a sviluppare un’argomentazione che deve soddisfare alcune condizioni di asseribilità poste dalla comunità degli interpreti[30] e non può dunque ricorrere ad argomenti di tipo perfezionista, ma anche di una democrazia deliberativa nella quale tutti – e l’autore sembra dirci anche gli intolleranti – possano fare sentire la propria voce in condizioni di parità. Una democrazia in cui possa cioè formarsi quello che Iris Marion Young ha chiamato un “pubblico eterogeneo”[31] e le istituzioni prendano decisioni che possono essere argomentate razionalmente, sulla base di riferimenti empirici, rifiutando l’appropriazione dello spazio pubblico da parte di gruppi di pressione che promuovono orientamenti fondamentalisti.

Se la tutela dei diritti fondamentali da parte della giurisdizione appare – anche in Italia – come un punto fermo, questo spazio democratico è invece un obiettivo a cui tendere o, forse meglio, al quale non rinunciare in partenza. Esso può essere creato – sembra suggerire Zanetti – anche grazie alle ricadute che le argomentazioni sviluppate in sede giurisprudenziale possono avere sull’opinione pubblica e sul dibattito politico. A rafforzare questa convinzione è la vicenda statunitense del movimento per i diritti civili degli afro-americani. Il ragionamento che Zanetti sviluppa nel libro si fonda infatti sull’idea – anche questa riconducibile a Iris Marion Young – che non si debba avallare una “politica delle identità”, finalizzata a riconoscerle, cristallizzandole e creando una opposizione fra identità concorrenti (come hanno fatto alcune teorie multiculturaliste). Si deve piuttosto prendere atto che sono le strutture sociali (e giuridiche) a creare i gruppi, attraverso una eterodesignazione che determina una oppressione sociale, ma che può essere assunta da chi è assegnato a un gruppo per lottare contro quella stessa oppressione. In questo senso, il riconoscimento del matrimonio omosessuale non è solo una questione di uguaglianza formale, ma implica un mutamento della norma sociale sulla base della quale sono state strutturate storicamente le società patriarcali. Attribuire alle unioni omosessuali lo stesso valore che si accorda a quelle eterosessuali significa infatti scardinare quello che Monique Wittig ha identificato come il “privilegio eterosessuale”[32], con un’espressione non a caso simile a quella usata per la “bianchezza” della pelle da autrici riconducibili alla Critical Race Theory, come Cheryl I. Harris[33] e Barbara Flagg[34].

Come la “bianchezza”, così l’eterosessualità rappresenta nelle nostre società un privilegio che si collega a uno status. È un privilegio poco visibile, ma al quale sono legate precise aspettative che nel tempo sono state affermate, legittimate e protette dalla legge (richiamo qui le parole usate da Harris a proposito della “bianchezza”[35]). Ecco allora che il riconoscimento del matrimonio omosessuale – come hanno ben capito i suoi oppositori, in particolare in Italia dove è stato creato un “ghetto giuridico”[36] per le unioni civili omosessuali considerate come “specifica formazione sociale” e private del requisito della fedeltà[37] – può essere visto non come il punto di arrivo di una politica dell’identità (benché in Italia esso appaia ancora lontano), ma come una tappa intermedia di una “politica della differenza posizionale”[38] che mette in discussione la norma sociale eterosessuale, ovvero l’idea che l’eterosessualità sia la regola e l’omosessualità sia l’eccezione/devianza.

Riconoscere le unioni civili fra persone dello stesso sesso è allora un primo timidissimo passo verso l’uguaglianza. Istituire il matrimonio omosessuale è una conquista di uguaglianza e determina la messa in discussione della norma sociale eterosessuale[39]. Riflettere su questo conduce però, a mio avviso, a interrogarsi su almeno due questioni che Zanetti ha volutamente lasciato in ombra per dispiegare la sua efficace strategia argomentativa: il tema della genitorialità omosessuale – del suo riconoscimento ma anche dei problemi che la genitorialità omosessuale maschile può porre se forgiata sul modello della famiglia nucleare – e quello, collegato, della opportunità di continuare a fare della coppia fondata su un legame sessuale – di quella che Martha Fineman ha chiamato la sexual family[40] – la cellula-base della società, attraverso la quale lo Stato alloca risorse materiali e accorda riconoscimento sociale.

Sotto il primo profilo, appare chiaro infatti che istituire il matrimonio omosessuale significa, non tanto sul piano logico, quanto sul piano della battaglia giurisprudenziale che può seguirne, aprire la strada al pieno riconoscimento delle c.d. “famiglie arcobaleno”. Mettere in questione la norma sociale eterosessuale equivale cioè a sancire la fine di un meccanismo di controllo della sessualità e, ancor più, di definizione dei confini della riproduzione legittima. È su questo punto che in Italia si è avuto lo scontro più acceso in tempi recenti ed è un punto sul quale pare profilarsi di nuovo la tensione fra “logica della legge” e “logica dei diritti”.

Si tratta di un tema molto delicato perché coinvolge i diritti dei minori, in primo luogo di quelli che già vivono nelle “famiglie arcobaleno”, ma investe anche il modo di intendere la genitorialità: è in gioco il pieno riconoscimento della “genitorialità sociale” – degli omosessuali e degli eterosessuali – ma anche la necessità di un dibattito etico, oltre che giuridico, approfondito sulla “gestazione per altri” e sulla concezione della genitorialità come diritto o come responsabilità[41].

La messa in discussione della centralità della “famiglia sessuale”, ovvero della famiglia nucleare fondata su un legame di tipo sessuale fra i coniugi, potrebbe allora essere una via per riconoscere le diverse forme che possono assumere i legami affettivi, compresi quelli genitoriali, per affrontare molte delle questioni legate alla cura nelle società contemporanee[42] e, probabilmente, anche per cercare migliori strategie di contrasto alla violenza di genere[43]. Questo non significa, necessariamente, militare per la cancellazione dell’istituto matrimoniale (eterosessuale o omosessuale), né negare che in quel vincolo molte e molti abbiano trovato una fonte di gioia e un orizzonte di senso, beni cui gli omosessuali devono poter accedere. Significa però sottolineare la natura escludente dell’istituto matrimoniale nel momento in cui esso è posto come base organizzativa della società. Forse, almeno al livello della riflessione filosofica e sociologica, possiamo allora porci questa domanda: perché dobbiamo continuare a dare questa importanza al vincolo sessuale? Nelle società contemporanee le concezioni della sessualità sono molteplici, la famiglia basata sul vincolo sessuale fra gli sposi eterosessuali è stata riconosciuta come un luogo anche di grande violenza e di frequente subordinazione delle donne e dei minori agli uomini. Non è allora opportuno battersi per un maggiore riconoscimento di altre forme di vincolo sociale, affettivo, solidale, etc.? Possiamo immaginare di togliere alla unione basata sul vincolo sessuale il ruolo di dispositivo produttore dell’ordine sociale? Possiamo rinunciare a un’immagine idealizzata della “famiglia naturale”, e anche alla sua rivisitazione in chiave omosessuale, per regolare la realtà sociale a partire da ciò che essa è, da come, piaccia o non piaccia, essa si è trasformata?

In questa ottica mi pare significativo come nella sentenza Obergefell vs. Hodges la Corte suprema, nel riconoscere, nel 2015, il matrimonio omosessuale, abbia sostenuto che “marriage is a keystone of the Nation’s social order”[44]. Ed è in effetti ancora così dal punto di vista del diritto, benché probabilmente non lo sia più dal punto di vista sociale[45]. L’obiettivo del riconoscimento del matrimonio omosessuale ha dunque un valore importante, in primo luogo per mettere fine alla discriminazione di un gruppo sociale, inaccettabile nelle società liberal-democratiche. Al contempo, tuttavia, si dovrebbe forse pensare di accostare a “strategie affermative”, come quelle volte al riconoscimento del matrimonio omosessuale, delle “strategie trasformative”[46], di più difficile realizzazione, ma che la critica può tenere presenti come un orizzonte cui tendere: strategie che mettano in discussione la centralità della sexual family all’interno del nostro modello (occidentale) di organizzazione sociale, privilegiando piuttosto il riconoscimento delle diverse relazioni di cura[47].



[1] Gf. Zanetti, L’orientamento sessuale. Cinque domande fra diritto e filosofia, Bologna, il Mulino, 2015.

[2] Cfr. H.L.A. Hart, Law, Liberty and Morality, Stanford, Stanford University Press, 1963.

[3] Devlin formulò questa tesi esprimendo una posizione minoritaria all’interno della commissione incaricata dal governo inglese di affrontare la questione delle c.d. “Homosexual Offences” previste dall’ordinamento penale. Il lavoro che condusse alla pubblicazione, nel 1957, del Report of the Departmental Committee on Homosexual Offences and Prostitution, meglio conosciuto come Wolfenden report, è ricostruito accuratamente nel libro di Zanetti.

[4] Cfr. Gf. Zanetti, L’orientamento sessuale, cit., Prefazione (Edizione Kindle).

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Ibid.

[8] Ibid.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Ibid.

[12] Com’è noto egli ha curato il volume Filosofi del diritto contemporanei, Milano, Cortina, 1999, che ancora oggi è punto di riferimento per chi voglia accostarsi al pensiero filosofico-giuridico tardo-novecentesco e, con Kendall Thomas, Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, volume che ha fatto conoscere in Italia gli autori riconducibili a questa importante corrente giusfilosofica statunitense.

[13] Legge 20 maggio 2016, n. 76 sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, entrata in vigore il 5 giugno 2016.

[14] Cfr. M. A. Fineman, N. S. Thomadsen, a cura di, At the Boundaries of Law. Feminism and Legal Theory, New York, Routledge, 1991.

[15] Cfr. I. M. Young, Justice and the Politics of Difference, Princeton, Princeton University Press, 1990.

[16] M. C. Nussbaum, Women and Human Development. The Capabilities Approach, Cambridge, New York, Cambridge University Press, 2000; tr. it. Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Bologna, il Mulino, 2001, p. 54.

[17] Ibid.

[18] Ivi, p. 359.

[19] Ibid.

[20] Cfr. Ibid.

[21] L’autore si è impegnato in molte presentazioni e discussioni pubbliche dell’opera. Una di queste è stata organizzata da Jura gentium con il Dottorato di Scienze giuridiche dell’Università degli studi di Firenze il 19 maggio 2016 e ha visto la partecipazione attenta di dottorandi studiosi di diverse discipline giuridiche (cfr. http://www.juragentium.eu/jg/i_Seminari/Voci/2016/5/19_LORIENTAMENTO_SESSUALE._UNA_RICOGNIZIONE_DELLA_GIURISPRUDENZA_E_DEL_DIBATTITO_ANGLOSASSONE.html).

[22] Sulla “epistemologia della ignoranza”, volta a tracciare i confini fra ciò che si deve sapere e ciò che si può escludere dagli oggetti di conoscenza, cfr. B. Casalini, “Ingiustizia epistemica: note su un dibattito di teoria politica”, in A. Simone, F. Zappino, a cura di, Fare giustizia. Neoliberismo, diseguaglianze sociali e desideri di buona vita, Milano, Mimesis, 2016, pp. 129-141.

[23] Su quella che è stata definita State-sponsored Homophobia a livello globale, cfr. A. Caroll, State Sponsored Homophobia 2016. A world survey of sexual orientation laws: criminalisation, protection and recognition, Geneva, ILGA, 2016, http://ilga.org/downloads/02_ILGA_State_Sponsored_Homophobia_2016_ENG_WEB_150516.pdf.

[24] Come il libro di Zanetti, così queste mie riflessioni, si limitano a ciò che avviene nei paesi liberal-democratici c.d. occidentali. Il quadro delle leggi e delle pratiche omofobiche a livello globale è infatti molto complesso e non si può qui darne conto. Basti ricordare che, come ha evidenziato il rapporto pubblicato da ILGA (A. Caroll, State Sponsored Homophobia 2016, cit.), sono ancora molti gli Stati che prevedono la detenzione - e anche l’ergastolo - per i comportamenti omosessuali fra adulti consenzienti e ben 13 Stati membri delle Nazioni Unite prevedono la pena di morte. Nessuno di questi Stati è uno Stato occidentale.

[25] Segnalo che il 14 giugno (un giorno dopo la strage, avvenuta la notte del 12) i maggiori quotidiani italiani online hanno derubricato la notizia, pubblicandola solo dopo quelle riguardanti l’operazione chirurgica affrontata da Silvio Berlusconi, la vittoria dell’Italia nella prima partita degli Europei di calcio 2016, la possibile uscita della Gran Bretagna dalla UE a seguito del referendum del 23 giugno, l’uccisione di una coppia di poliziotti a Parigi rivendicata da un giovane che ha sostenuto di appartenere all’Isis (cfr. http://www.repubblica.it/; www.corriere.it; http://www.lastampa.it/ consultati il 14 giugno 2016).

[26] E. Santoro, Diritto, diritti. Lo Stato di diritto nell’era della globalizzazione, Torino, Giappichelli, 2008.

[27] Sulla nozione di “interlegality” cfr. B. De Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense, London, Butterworths, Lexis Nexis, 2002.

[28] Ne è prova la sentenza emessa dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione nel giugno 2016, a pochi giorni dall’entrata in vigore della legge che regolamenta le unioni civili fra persone dello stesso sesso, con la quale è stata confermata la correttezza dell’orientamento giurisprudenziale emerso negli ultimi anni in tema di riconoscimento agli omosessuali della possibilità – da valutare caso per caso - di adottare il figlio del partner, in funzione del superiore interesse del minore (sentenza n. 12962 del 2016). Cfr. in questo numero il contributo di Luca Giacomelli. Il tema è stato affrontato anche da Antonio Gorgoni nel suo intervento al seminario sul libro di Zanetti organizzato da Jura gentium e dal Dottorato in Scienze giuridiche dell’Università degli studi di Firenze, il 19 maggio 2016. Fra le pubblicazioni recenti in tema è da segnalare M. Cavallo, Si fa presto a dire famiglia, Roma-Bari, Laterza 2016.

[29] Mi riferisco in particolare alla sentenza della Corte europea dei diritti umani, sez. IV, del 21 luglio 2015, Oliari et al. c. Italia e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 2014.

[30] Cfr. E. Santoro, op.cit., cap. 4.

[31] Cfr. I. M. Young, Justice and the Politics of Difference, cit., in particolare cap. 4.

[32] Cfr. M. Wittig, The Straight Mind and Other Essays, Boston, Beacon Press, 1992.

[33] C. I. Harris, La bianchezza come proprietà, in K. Thomas, Gf. Zanetti, a cura di, op. cit., pp. 85-109.

[34] B. Flagg, Ero cieco, ma ora vedo, in K. Thomas, Gf. Zanetti, a cura di, op. cit., pp. 79-84.

[35] C. I. Harris, La bianchezza come proprietà, cit., p. 85.

[36] Riprendo questa espressione da F. Zappino, “Sovversione dell’eterosessualità”, Effimera, 31 marzo 2016, http://effimera.org/sovversione-delleterosessualita-federico-zappino/ (ultima consultazione 13 giugno 2016).

[37] Cfr. Legge 20 maggio 2016, n. 76.

[38] Cfr. I. M. Young, “Structural Injustice and the Politics of Difference”, in G. Craig, T. Burchardt, D. Gordon, a cura di, Social Justice and Public Policy. Seeking Fairness in Diverse Societies, Bristol, Policy Press, 2008, pp. 77-104. Cfr. anche Ead., Justice and the Politics of Difference, cit., in particolare cap. 6. Il confronto fra questa concezione di Iris Marion Young e quella multiculturalista di Taylor è sintetizzato da Brunella Casalini in B. Casalini, L. Cini, Giustizia, uguaglianza e differenza. Una guida alla lettura della filosofia politica contemporanea, Firenze, Florence University Press, 2012, cap. 12.

[39] Sulla eteronormatività sociale, oltre a Wittig, si possono vedere le opere di autrici ormai “classiche” del femminismo come Carla Lonzi e Adrienne Rich, nonché la complessa riflessione filosofica di Judith Butler.

[40] M. A. Fineman, “The Sexual Family”, in M. A. Fineman, J. E. Jackson, A. P. Romero, a cura di, Feminist and Queer Legal Theory: Intimate Encounters, Uncomfortable Conversations, London, Ashgate, 2009, Emory Public Law Research Paper, No. 09-74, disponibile su http://ssrn.com/abstract=1516635.

[41] Il tema della “gestazione per altri” ha occupato il dibattito pubblico italiano in occasione della discussione della legge sulle unioni civili omosessuali. Il modo in cui tale questione è stata sollevata strumentalmente per non consentire agli omosessuali l’adozione del figlio del partner è certamente da condannare; sarebbe però – mi pare – azzardato rimuovere i problemi etici e giuridici – problemi in parte distinti e che potrebbero trovare soluzioni diversificate – che la “gestazione per altri” porta con sé, in nome della battaglia per i diritti degli omosessuali.

[42] Su questi problemi si può vedere ad esempio A. Sciurba, La cura servile, la cura che serve, Pisa, Pacini, 2015. Sul tema specifico delle relazioni di cura oltre l’orizzonte della “sexual family” cfr. B. Casalini, “Care Relationships Beyond the “Natural-Sexual” Family”, intervento alla Conferenza internazionale su “Critical care: advancing an ethic of care in theory and practice”, University of Brighton, 13-14 settembre 2012, inedito. Per un’analisi degli aspetti problematici della cura anche dal punto di vista di chi è chiamato a fornirla (per lo più si tratta di donne), cfr. E. Kittay, Love’s Labor. Essays on Women, Equality and Dependency, New York, Routledge, 1999.

[43]I sempre più frequenti femminicidi illustrano chiaramente – almeno in Italia – che la coppia eterosessuale e la famiglia nucleare sono spesso strutturate su rapporti di potere asimmetrico e sulla violenza nei confronti di chi tenta di sfuggire al modello normativo tradizionale della sottoposizione della donna all’uomo. La letteratura sociologica e filosofica in tema è copiosa. Oltre agli scritti di teoriche femministe come Carla Lonzi e Catharine MacKinnon, si può vedere L. Melandri, Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, Milano, Bollati Boringhieri, 2011.

[44] http://www.supremecourt.gov/opinions/14pdf/14-556_3204.pdf

[45] In “The Sexual Family” (cit.) Fineman cita una indagine del Census Bureau degli Stati Uniti dalla quale emergeva che la percentuale delle donne che vivevano senza un marito negli Stati Uniti era nel 2005 pari al 51% del totale delle donne adulte. La crescente percentuale di matrimoni che si concludono con la separazione e il divorzio e l’aumento delle madri single nella maggioranza dei paesi occidentali indicano che la realtà sociale non ha più nel matrimonio la sua pietra angolare, ma questa immagine tende a permanere negli ordinamenti giuridici (nonostante anch’essi registrino via via dei cambiamenti; si pensi, in Italia, alla recente legge n. 55 del 2015 che ha istituito il c.d. “divorzio breve”).

[46] Per questa distinzione fra “strategie affermative” e “strategie trasformative”, anche con specifico riferimento alla questione del riconoscimento del matrimonio omosessuale, cfr. N. Fraser, “Giustizia sociale nell’era della politica dell’identità: redistribuzione, riconoscimento e partecipazione”, in N. Fraser, A. Honneth, Redistribuzione o riconoscimento? Una controversia filosofico-politica, Roma, Meltemi, 2007, pp. 15-134, vedi in particolare pp. 55 e ss. e pp. 96 e ss.

[47]La critica alla famiglia tradizionale, al matrimonio e alla coppia eterosessuale è ricorrente nel pensiero filosofico, non solo contemporaneo, ed è stata al centro della riflessione femminista della seconda metà del Novecento. Essa ha ispirato esperienze sociali di vario genere, volte a individuare nuove forme di organizzazione in grado di superare il modello antropologico-politico fondato sulla fedeltà coniugale, la norma eterosessuale, la difesa della sfera affettiva come sfera esclusivamente privata, ecc. La tesi di Fineman, che io riprendo qui, mira tuttavia non a riproporre questi “modelli critici” che sono spesso, a loro volta, fortemente normativi, ma a mettere in evidenza il ruolo che lo Stato può giocare nel garantire riconoscimento alle relazioni di cura esistenti di fatto, relazioni che possono anche non essere il frutto di scelte individuali, come avviene per molte madri single o nei casi in cui qualcuno, o, più probabilmente, qualcuna si trovi a fornire assistenza a persone anziane, disabili ecc. Non posso in questa sede dare conto delle diverse proposte che promuovono una nuova politica della cura. Mi limito a rinviare, per il tema in genere, a J. C. Tronto, Moral Boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care, New York, Routledge, 1993, di cui Alessandra Facchi ha curato l’edizione italiana: J. C. Tronto, Confini morali. Un argomento politico per l’etica della cura, Reggio Emilia, Diabasis, 2006. Di Tronto si è occupato anche Gianfrancesco Zanetti in Id., “L'etica della cura e i diritti”, Ragion pratica, 23, 2004, pp. 523-529. Per un’analisi della relazione fra politiche della cura e modello della famiglia nucleare rinvio invece a M. A. Fineman, The Neutered Mother, the Sexual Family and other Twentieth Centuries Tragedies, New York, Routledge, 1995 e Ead., The Autonomy Myth. A Theory of Dependency, New York, The New Press, 2004; cfr. anche con riferimento specifico al tema discusso da Zanetti in L’orientamento sessuale, N.D. Polikoff, Beyond (Straight and Gay) Marriage. Valuing All Families under the Law, Boston, Beacon Press, 2008. Per una discussione di questi e di altri testi sul tema, cfr. B Casalini, Care Relationships Beyond the “Natural-Sexual” Family, cit.