2010

M.Q. Zaman, Ulama in Contemporary Islam. Custodians of Change, Princeton University Press, Princeton 2007, ISBN 978-0-691-13070-5

1. L'originale libro di Muhammad Qasim Zaman (docente di Studi su Medio Oriente e Religione alla Princeton University), The Ulama in Contemporary Islam, introduce nel mondo occidentale un tema specifico di grande rilevanza, fin'ora sottovalutato: il ruolo degli Ulama e delle loro istituzioni educative, le madrase, nell'influenzare o addirittura determinare gli orientamenti delle società, dei gruppi e delle culture islamiche nei loro rapporti con il mondo non islamico.

Gli Ulama, studiosi dalla solida formazione teologica e sapienti ricchi di esperienza giuridica, si dedicano all'interpretazione e applicazione giurisprudenziale dei testi sacri islamici ed hanno da sempre riscosso grande rispetto nelle società di appartenenza come guardiani della tradizione religiosa islamica. L'emergere in epoca moderna di una società più istruita e dinamica ne ha offuscato l'immagine e appannato il ruolo, facendoli apparire sempre più spesso come soggetti che frenano il cambiamento e rifiutano ogni novità. Zaman ne riconsidera figura e ruolo, attraverso un'attenta lettura della loro attività giuridica e sociale che rivela come questa antica istituzione religiosa del mondo islamico abbia risposto ai cambiamenti verificatisi negli ultimi duecento anni e che permette di comprendere quali conseguenze siano scaturite dalle posizioni da essi assunte in questo lasso di tempo.

Il primo aspetto che Zaman sottolinea è quello relativo alla "tradizione islamica", intesa come "tradizione ragionata", ovvero come un discorso che sviluppandosi a partire dalla applicazione passata della norma cerca di stabilire, attraverso l'analisi dei suoi legami con altre pratiche, istituzioni e condizioni sociali del presente, come essa potrà essere applicata in futuro. Vengono così individuati stili, argomentazioni e modi di trasmissione della conoscenza che hanno caratterizzato l'istruzione islamica di alto livello e le istituzioni a cui era spesso associata, cioè le madrase.

Il secondo punto su cui Zaman focalizza la propria attenzione è appunto quello della riforma dell'educazione in India e Pakistan, sottolineando gli aspetti relativi alla riforma delle madrase. La descrizione del conflitto fra Ulama e istituzioni statali che in entrambi i Paesi è nato da questi interventi riformatori, consente di inquadrare correttamente il ruolo politico degli Ulama e comprendere come essi abbiano difeso la propria autorità giuridica e religiosa. Ne vengono fuori due direttrici di riflessione: la prima, relativa prevalentemente all'India, incentrata sul contrasto fra la cultura degli amministratori coloniali inglesi e quella tradizionale delle madrase, alle quali è affidata la garanzia di conservazione dell'identità religiosa e culturale musulmana della popolazione; l'altra invece, relativa al Pakistan, dove la preminenza politica dell'Islam assicurava già il mantenimento dell'identità, legata alla costituzione di uno Stato islamico al cui interno, tuttavia, l'autorità politica, sia con la riforma del 1962 che con quella operata dal generale Zia nel 1979, ha sempre tentato di esercitare uno stretto controllo sulle istituzioni religiose e di trasformare gli Ulama in servi fedeli del governo. Di conseguenza, i progetti di riforma sono stati percepiti in entrambi i casi dai leaders mussulmani come minacce all'identità della comunità, da rigettare in ogni modo.

Lo sforzo di preservare un Islam immutabile in un mondo che cambiava rapidamente ha richiesto una considerevole ridefinizione del suo significato, della sua collocazione nella società e delle strategie più idonee alla realizzazione dei suoi valori. Per gli Ulama pakistani tutto ciò ha significato riservare alla religione una sfera separata nella società, sottoposta esclusivamente alla loro autorità. Questo modo di concepire l'Islam ha generato tuttavia una inevitabile contraddizione rispetto all'aspirazione degli stessi Ulama di contribuire da protagonisti alla costruzione dello Stato islamico. Considerare il perseguimento di questo obiettivo come prioritario permette di comprendere, secondo l'autore, l'atteggiamento oscillante delle correnti di pensiero degli Ulama (in Asia come nel resto del mondo islamico), il sostanziale fallimento del loro progetto, la conseguente spinta verso un nuovo attivismo di base ed i suoi esiti finali.

Lo Stato preso a campione dei tentativi di islamizzazione è di nuovo il Pakistan, concepito proprio come Stato islamico al momento della separazione dall'India. Gli Ulama moderni hanno un'ampia visione dei poteri dello Stato che deve essere guidato da esperti giuridici e religiosi (tesi sostenuta anche dagli sciiti iraniani e che sta alla base della rivoluzione khomeinista, nella quale l'autorità suprema dei giuristi è in ultima analisi l'autorità dello Stato). In questa visione, che certamente non favorisce la riconciliazione fra Islam e democrazia, gli organi elettivi hanno il potere di promulgare leggi, ma solo gli studiosi di diritto islamico oppure gli Ulama possono indicare quali contenuti sono realmente in accordo con la legge islamica. Il concetto affermato è quindi che lo Stato è islamico nella misura in cui essi hanno un ruolo importante al suo interno.

Tuttavia, guidati dal timore di essere asserviti ai fini dello Stato e decisi nel mantenere la propria autonomia, gli Ulama hanno verso lo Stato un atteggiamento ambivalente che non ha loro consentito di arrivare al controllo delle istituzioni, ma ha permesso loro di continuare ad esercitare pressione sul potere politico per la realizzazione dello Stato islamico, dando contemporaneamente vita ad un attivismo sociale e politico che, estendendo gradualmente l'ambito delle loro attività alle radici della società ne ha rafforzato l'autorità nei confronti delle masse popolari.

Nell'analisi di Zaman l'attivismo degli Ulama è anche il modo con cui essi sono riusciti a preservare la loro funzione in molte società islamiche. Le madrase, sia sunnite che sciite, sono infatti cresciute di numero in tutto il mondo e ciò ha contribuito senza dubbio a rafforzare il ruolo pubblico e politico degli Ulama. L'Autore ritiene che la spiegazione di questo fenomeno vada ricercata nel rapporto fra le pratiche religiose della campagna e quelle degli studiosi e delle istituzioni religiose nelle città. Emerge qui il legame fra l'attivismo politico degli Ulama e le sue basi sociali ed economiche. L'affiliazione ai due fronti fondamentalisti è socialmente e territorialmente trasversale, ma si basa sulle classi rurali, e le classi medie urbane di origini rurali, la cui consistenza è cresciuta notevolmente dalla metà degli anni '70 fino alla metà degli anni '80, a causa del rientro in Pakistan di molti lavoratori emigrati verso il Medio oriente e rimasti nei paesi ospitanti per 4-5 anni. Le organizzazioni fondamentaliste hanno saputo dare risposta alle necessità di molti rimpatriati che avevano bisogno di riconoscersi come comunità a parte; per essi l'identità religiosa ha rappresentato un mezzo attraverso il quale essere accompagnati e forse anche facilitati nel processo di trasformazione in una nuova "classe media".

Il ruolo assunto dagli Ulama nel processo di consolidamento delle organizzazioni fondamentaliste è stato quello della creazione di un network di moschee e madrase che supportano l'uno o l'altro movimento che, insieme al sostegno dato alla proliferazione di pubblicazioni e cellule locali dei partiti, hanno contribuito alla formazione di una comunità settaria, con radici profonde nel territorio e di ampie dimensioni, i cui membri possono relazionarsi e reagire agli attacchi e alle difficoltà degli affiliati, indipendentemente dal contesto nel quale essi operano. Gli Ulama di alto rango, che guidano o insegnano nelle grandi madrase, hanno sia sul piano politico che su quello religioso posizioni più o meno radicali, più o meno prone alle autorità civili, ma in ogni caso, e al di là della loro appartenenza a questa o quella scuola di pensiero, condividono una ineliminabile dose di fondamentalismo che trova nutrimento e seguito nelle masse popolari meno integrate nelle società di riferimento e con forti problemi identitari (va tuttavia sottolineato che se questo era ancora vero nei primi anni 2000, soprattutto per il fondamentalismo che nasceva nelle terze e quarte generazioni di immigrati in occidente e in una parte degli occidentali convertiti, analisi più recenti rivelano come attualmente il fondamentalismo e l'attività terroristica ad esso legata sia sempre più la manifestazione di élites economico-sciali islamiche, avulse dalla realtà dei Paesi nei quali nascono e si sviluppano).

Il risultato è, secondo Zaman, la crescita dell'influenza degli Ulama, poiché la necessità di ritrovare la propria identità religiosa ha rafforzato ed esteso la loro sfera di influenza e la loro audience sociale.

Vi sono pochi dubbi sulla frammentazione dell'autorità religiosa nell'Islam contemporaneo, come sulla autorità acquisita dai nuovi intellettuali religiosi. Tuttavia essi giocano un ruolo che per essere compreso necessita di un esame attento degli effetti del loro attivismo che punta a conferire rilievo politico della tradizione religiosa islamica. Gli Ulama sostengono che c'è una autorità morale delle idee fondamentaliste che non può essere spiegata al di fuori di queste idee. Essi si attribuiscono il ruolo di guardiani della tradizione e di una continua vivente eredità che unisce passato e presente. In un'epoca in cui identità, autenticità culturale e autorità religiosa sono concetti cruciali non solo nel mondo musulmano, ma nel contesto di una nuova rilevanza della religione nella sfera pubblica, la loro pretesa di rappresentare l'autentica tradizione islamica nella sua ricchezza, profondità e continuità è diventata la più significativa base del loro rilievo nella sfera pubblica. Secondo Zaman, anche se la loro azione non sembra essere il prodotto di un grande modello o di un solido progetto, e non è riconosciuto necessariamente dagli stessi Ulama come cambiamento, in effetti essa è in ogni caso il risultato di una "contaminazione" con la modernità che li costringe ad una continua ridefinizione di se stessi, delle loro istanze e delle loro risorse intellettuali, con una molto più flessibile comprensione del mondo e dell'islam di quel che è spesso riconosciuto, non solo dall'esterno, ma dagli Ulama stessi. La loro insistenza nel mantenere un continuo legame con questa tradizione è anche la base del ruolo politico da essi svolto nell'Islam contemporaneo.

2. Le relazioni col mondo islamico sono uno dei grandi temi della società e della politica contemporanee. In occidente, in tempi come quelli attuali di grandi migrazioni, i mussulmani rappresentano un problema che i vari Paesi europei e occidentali affrontano in modi a volte assai differenti. Ciò dipende da più variabili: la cultura, le tradizioni, la storia del Paese ospitante, i suoi pregressi legami con i Paesi dai quali provengono gli immigrati, la tradizione diplomatica e i suoi rapporti internazionali.

Un fattore dal quale nessun Paese, che voglia porre a base di queste relazioni la pacifica convivenza fra le varie componenti della nuova società, può prescindere è la conoscenza del mondo islamico e delle sue innumerevoli varianti. La superficialità con cui fino ad ora molti Paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno affrontato questo tema, lo ha trasformato in un grande problema e persino, a volte, in un'emergenza di ordine pubblico.

L'Islam conosciuto in Europa è prevalentemente quello legato all'immigrazione, e nell'Europa continentale soprattutto quello di provenienza nordafricana (fa eccezione, ovviamente, la Gran Bretagna, destinazione "naturale" degli emigranti islamici provenienti dalle sue ex colonie, India e Pakistan in particolare). Tuttavia la conoscenza dell'Islam fra gli studiosi dell'Europa continentale è condizionata dalla permanenza di un grave pregiudizio, dovuto alla tradizione culturale occidentale e forse in parte anche all'immagine che l'Islam propone di sé stesso nei paesi ospitanti; ci riferiamo all'idea che esso sia qualcosa di sostanzialmente unitario e monolitico, ispirato solo al suo libro sacro, il Corano, e che del Corano sia diano costantemente interpretazioni e applicazioni rigide e coerenti.

Il libro di Zaman dimostra ampiamente che non è così. Finanche in un contesto culturalmente relativamente omogeneo, come può essere quello indo-pakistano, esistono innumerevoli varianti dell'Islam, spesso anche di grande rilevanza, legate alla tradizione islamica e all'interpretazione dei testi sacri e dei commentari. La consapevolezza, e quindi lo studio approfondito di queste variabili, è estremamente importante nel nostro continente, dove la società e le istituzioni politiche si trovano a fronteggiare una immigrazione "di massa", proveniente prevalentemente dal mondo islamico, che fin'ora hanno dimostrato di maneggiare e governare abbastanza malamente.

L'insufficiente percezione della vivacità del mondo islamico, come appena segnalato, dipende anche da come gli immigrati stessi si presentano: raramente, infatti, le comunità di immigrati costituiscono strutture o istituzioni che li rappresentino nel loro specifico. La scarsa conoscenza e la sospettosa accoglienza riservata a queste comunità dagli Stati ospitanti spinge anche coloro che aderiscono all'Islam in modo superficiale o semplicemente per tradizione culturale del paese di provenienza, ad aggregarsi nelle uniche comunità evidenti, quelle religiose che si formano intorno alle moschee, mortificando la propria diversità o addirittura la propria laicità culturale, nel tentativo di ritrovare una base identitaria. La recente immigrazione nei paesi occidentali europei non beneficia ad esempio di quelle strutture del movimento operaio che nell'Ottocento accompagnarono e sostennero i migranti nel Nord America.

Certamente il libro di Zaman coglie solo un aspetto di questa complessità, quello delle istituzioni religioso-educative (le madrase) e degli studiosi che le guidano e/o aderiscono alle scuole di pensiero che esse rappresentano (gli Ulama). Ma ne mostra anche la particolare rilevanza per i giuristi, stante la vocazione "naturale" di queste strutture, da un lato, a cercare di mantenere la propria autonomia nell'ambito religioso e, dall'altro, a usare lo Stato come strumento di governo e controllo religioso. Azzardando un parallelo, si potrebbe paragonare l'atteggiamento degli Ulama con quello delle Chiese in Europa in certi periodi della loro storia, quando esse utilizzarono il braccio secolare dello Stato per imporre una "uniformità religiosa" a loro gradita e contemporaneamente reagirono ad ogni ingerenza statale che ne limitasse l'autonomia.

Con il suo taglio originale, e confrontando attentamente il ruolo delle madrase e degli studiosi religiosi in India e Pakistan con quello svolto dalle stesse istituzioni in Egitto e Arabia Saudita, Zaman sottolinea anche le profonde differenze della cultura, religiosità e interpretazione dei testi religiosi nel mondo islamico, mostrando contemporaneamente la grande flessibilità degli Ulama ad adattarsi alle più diverse situazioni. Viene messa in evidenza la loro capacità di tessere una rete di legami internazionali, di coinvolgere con il loro attivismo socio-politico anche le classi medie e rurali più incolte, di dare spazio alla radicalizzazione di un conflitto tutto interno all'Islam, quello fra Sciiti e Sunniti, che ne valorizza il ruolo e consente almeno ad una parte di loro di supportare anche il fondamentalismo e le sue azioni a livello internazionale, senza per questo perdere, anzi guadagnando in considerazione e capacità di controllo delle politiche del mondo islamico. Emergono tuttavia i contrasti, le profonde differenze che hanno spinto molte scuole coraniche e Ulama di primo piano ad assumere atteggiamenti più moderati, a considerare in primo luogo come valore l'autonomia della religione rispetto allo Stato, e a tenere conto del conflitto fra le diverse concezioni dello Stato che sono tutt'ora vive nel mondo giuridico e religioso dell'Islam.

E' questa ricchezza che può essere usata dal mondo occidentale, ed in particolare dall'Europa, per confrontarsi correttamente con l'immigrazione islamica, riconoscendone e valorizzandone le differenze, in un contesto pubblico statale, laico e pluralista. Ciò, però, può avvenire solo a condizione che le differenze del mondo islamico siano studiate e conosciute più di quanto oggi accada. Mentre l'area culturale britannica ha dovuto da sempre confrontarsi con le variabili dell'Islam asiatico, con risultati che hanno consentito per un lungo periodo di tempo di mantenere la pace sociale tra le comunità immigrate (la stabilità e la configurazione delle comunità migranti nell'area culturale britannica è oggi messo in discussione dalla capacità di sviluppare all'interno delle comunità immigrate una lettura autonoma e contestualizzata dell'Islam capace di rapportarsi positivamente nel contesto territoriale nel quale si trova), l'Europa continentale occidentale non si è dimostrata altrettanto capace di comprendere e interpretare l'Islam dei migranti. Non solo rispetto all'immigrazione nord e centro africana (che non è tutta islamica e in cui l'Islam ha solo in parte connotazioni arabe), ma anche rispetto all'Islam dell'est europeo: più moderato, più laico, più aperto a contaminazioni e soprattutto perfettamente integrato in società di tipo occidentale (se poi si guarda all'approccio avuto fin'ora dall'Italia a questo problema, non si può che rammaricarsi della scarsa sensibilità dei nostri governi che, sul presupposto di una semplificazione di problematiche complesse e semi-sconosciute, ha creato dall'alto una consulta priva di poteri e persino di capacità rappresentative del mondo islamico immigrato in Italia).

Un approccio maturo alle sfide proposte dall'Islam che agisce in Europa comporta che si tenga conto delle significative differenze che separano questa o quella comunità, ma anche che si consideri la struttura articolata su cui esse si fondano. L'Islam è per sua natura pluralista al suo interno e quindi ne vanno conosciute e rispettate le diverse articolazioni. Non può più essere trascurato, ad esempio, il ruolo svolto dagli esperti giuridico-religiosi nell'evoluzione del diritto islamico e nella formazione del corpus di regole che effettivamente guidano la vita dei musulmani d'Europa. L'azione degli Ulama va inquadrata in questo contesto e le politiche dei Paesi islamici vanno ripensate anche alla luce della loro influenza e attivismo, di cui Zaman sottolinea tre aspetti: ci ricorda la variegata composizione della sfera pubblica islamica; attira la nostra attenzione sulla complessità delle posizioni degli Ulama nelle società contemporanee; suggerisce la rilevanza della tradizione religiosa nella politica contemporanea del mondo islamico.

La lettura di questo libro offre un quadro dei molteplici volti dell'islam e può rappresentare un buon punto di partenza, sia dal punto di vista delle informazioni che metodologico, per un nuovo modo di studiare e capire i diversi "mondi islamici" contemporanei.

Marta Torcini