2005

Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 147, ISBN 88-420-6354-1

In questi ultimi anni notevole è stata la partecipazione e il contributo teorico di Zygmunt Bauman al dibattito sulla globalizzazione. Dopo aver analizzato accuratamente l'era post-moderna e le conseguenze della globalizzazione sugli individui (su cui si veda il volume Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1999), in questo volume Bauman si concentra, in particolare, sulla dimensione collettiva di tale processo: sugli attuali limiti e le difficoltà realizzative cui va incontro la richiesta di una comunità vivibile tra gli uomini; una richiesta da considerare tuttavia come un'esigenza e un bisogno fondamentali. Bauman vuole mostrarci l'avvenuta dissoluzione delle "vere" comunità (contadine, artigianali, di commercianti, ecc.) e il tormento e supplizio (alla maniera di Tantalo) di dover vivere attanagliati dall'insicurezza, anelando però sempre, come i discendenti di Adamo ed Eva, alla comunità ideale, sognata. In questa ricerca, tuttavia, è come se fossimo condannati a creare sempre dei surrogati della comunità. Nel momento in cui le comunità non sono più naturali (il "cerchio caldo" di cui parla Rosenberg o la "reciproca comprensione" dei membri di Tönnies), nel momento, cioè, in cui delle comunità "se ne parla", esse diventano artificiali. La comunicazione passa da "interna" ad "esterna" alla comunità; svanisce l'identicità, soprattutto con l'avvento dell'informatica; e a questo punto l'omogeneità andrà ricreata, ovvero ricercata ed estratta a forza. Si inventa, a tal scopo, la categoria della identità, che per Bauman è appunto un surrogato della comunità, in quanto divide e separa. Contrariamente alle comunità naturali, poi, questi surrogati non riescono a risolvere la dicotomia libertà/sicurezza, anzi la acuiscono. È proprio questo rapporto che l'a. intende indagare: se è vero che la comunità dà sicurezza, essa richiede un certo sacrificio della libertà. Bauman, invece, vorrebbe tentare di conciliare proprio libertà e sicurezza, nell'ambito di un ripensamento del concetto e del senso stesso di comunità.

L'individualismo moderno ci rende sempre più insicuri, proprio perché offre (e non a tutti) libertà in cambio di sicurezza. E la stessa insicurezza di cui soffre l'individuo nell'era della globalizzazione genera assenza di comunità. Bauman ripercorre le tappe fondamentali degli "sradicamenti" degli individui dalle comunità naturali e dei "reimpiantamenti" in comunità fittizie che li privarono in tutto e per tutto della libertà (dalla rivoluzione industriale ai "villaggi modello" e alla "fabbrica fordista", ovvero tutte le tecniche di ingegneria sociale). L'epoca attuale, poi, ha fatto il resto: all'insegna del disimpegno, della flessibilità e dell'outsourcing (anche nella gestione del potere) ha distrutto completamente una seppur precaria sicurezza e un sistema minimo di certezze. Non ci sono più, infatti, punti di orientamento che indichino un ambiente sociale "stabile", e avanza così la tendenza a non mettere le radici in nessun dove: una strana forma moderna di "cosmopolitismo" che nega a priori la comunità e che produce l'"élite globale", un fenomeno generato a seguito di quella che Reich chiama la "secessione dell'uomo affermato". In realtà, secondo Bauman, anche i nuovi cosmopoliti avvertono l'esigenza di "comunità", solo che, ovviamente, tendono a ricreare comunità flessibili e "a tempo", che si possano smontare facilmente e che facciano leva unicamente sui loro sogni e desideri. Sono, queste, ad esempio le moderne comunità estetiche, create dall'industria dello spettacolo e fondate sugli idoli, ovvero quelle che Bauman chiama "comunità-gruccia", sulle quali la gente appende insieme le proprie preoccupazioni altrimenti vissute individualmente. Mai, però, figureranno, in tutte queste forme comunitarie, delle responsabilità etiche e degli impegni a lungo termine, necessari invece per un ripensamento del "discorso comunitario". Lo stesso slogan moderno dei "diritti umani", ovvero il diritto al riconoscimento, viene criticato da Bauman se inteso solo ed esclusivamente come "trasgressione emancipatrice". Il pericolo è infatti quello del "settarismo": creare le differenze, scavare trincee, moltiplicare i confini al fine di costruire comunità blindate. Per l'a. occorre, invece, legare la domanda di riconoscimento a quella di redistribuzione, di giustizia sociale; solo così si potrà creare vera integrazione, in quanto è garantita l'uguaglianza sociale.

In questo ambito Bauman esamina la questione delle "minoranze etniche" e del "multiculturalismo", mettendo i "particolaristi" in guardia dal pericolo di un eccessivo conservatorismo ed esclusivismo, a fronte del richiamo (che fa sempre comodo) al vecchio principio del divide et impera fatto dai governanti e dagli stessi ricchi che da sempre ottengono profitti dagli scontri intercomunitari (sovente intrapresi dai poveri). Accanto a ciò si situa la ricerca sfrenata di un ambiente sociale sicuro e iperprotetto, e la comunità diventa lo strumento preferito di quanti credono che "identicità" significhi solo esclusione dell'altro in quanto diverso. La "comunità sicura" diventa perciò un "ghetto volontario". Tutto questo non fa altro che alimentare meccanismi di segregazione e di esclusione che si autoperpetuano e si autoalimentano. Lo stesso "multiculturalismo" sembra essere, agli occhi di Bauman, una soluzione-non soluzione a tutti questi problemi; una sorta di rassegnazione e indifferenza che ha colpito soprattutto le classi colte che si sforzano solo di ridefinire in continuazione le ineguaglianze esplicando così una forza essenzialmente conservatrice. Gli intellettuali moderni hanno scelto la strada del disimpegno e hanno rinunciato a coadiuvare i legislatori e a "illuminare la gente" nell'opera di costruzione di una 'società ordinata'. E accanto a tale disimpegno, Bauman denuncia l'eccessiva deregolamentazione normativa e il trionfo dei poteri dell'eccesso: l'immagine, creata dall'a., di tanti sciami di api è emblematica in tal senso. La società si è ormai "ritirata" e il riconoscimento del diritto alla differenza rischia di degenerare nel riconoscimento del diritto all'indifferenza. A fronte di tutto ciò, Bauman esorta a considerare il riconoscimento di una varietà culturale come l'inizio, e non come la fine, della questione, come "il punto di partenza di un lungo e forse tortuoso, ma alla fine proficuo, processo politico". In tale processo bisognerà mediare tra diritti comunitari e diritti individuali, garantendo però preliminarmente l'individuo/cittadino sia dalle pressioni comunitarie sia da quelle anticomunitarie. L'universalità della condizione di cittadino e, contestualmente, il carattere universale dell'umanità vengono posti da Bauman come prerequisiti fondamentali per una politica del riconoscimento significativa. Solo così le comunità potranno aprirsi e comunicare tra loro evitando l'isolamento totale; e solo così si potrà davvero cominciare a produrre sicurezza.

Bauman ha in tal modo cercato di conciliare libertà e sicurezza senza dover negare lo spirito e la voglia di comunità. Il tutto, anzi, è trasformato in una esigenza che traspare da ogni pagina del libro. I riferimenti storici, mitologici e uno stile di scrittura accattivante completano la buona riuscita di un saggio che ha cercato soprattutto di porsi al di sopra di posizioni radicali che non vengono negate ma solo riconciliate ad un livello più alto.

Ilario Belloni