2005

T. Todorov, Le nouveau désordre mondial, Paris 2003, trad. it. Il nuovo disordine mondiale. Riflessioni di un cittadino europeo, Garzanti, Milano 2003, pp. 83, ISBN 8811600359

La straordinaria densità tematica che caratterizza Il nuovo disordine mondiale, fa esclamare nella prefazione a Stanley Hoffman: «Così tante cose in così poche pagine!». In effetti, in appena ottanta pagine, Todorov, confermandosi uno tra i pochi grandi maîtres à penser europei, affronta, attraverso una prosa invidiabile per semplicità e pregnanza, le problematiche principali della situazione geopolitica mondiale, non mancando di offrire diagnosi e prescrivere terapie.

Dalla prospettiva orgogliosa di un «cittadino europeo», come recita il sottotitolo, Todorov prende posizione rispetto alla "guerra preventiva" in Iraq, alle dottrine e ai comportamenti imperiali degli Stati Uniti, al ruolo dell'Europa, conducendo un'accurata operazione di demistificazione dei principali luoghi comuni e paradossi che affollano la retorica politica contemporanea.

"Guerra umanitaria", "imperialismo liberale", "nazionalismo universalista", "lotta del bene contro il male", sono solo le più note fra le espressioni coniate dai difensori della politica americana, e che vengono classificate da Todorov come straordinari «capolavori» di quella Neo-lingua a cui alludeva Orwell nei suoi romanzi.

Interpretando acutamente l'attuale crisi internazionale come il frutto di uno scontro entro le civiltà, e non tra di esse, l'autore affronta direttamente il nemico interno dell'Occidente: i Neocons, che forse sarebbe più opportuno chiamare, come suggerisce lo stesso Todorov, Neofondamentalisti: "fondamentalisti perché si richiamano a un Bene assoluto che vogliono imporre a tutti; neo- perché questo Bene è costituito non più da Dio, ma dai valori della democrazia liberale" (p. 20).

Dopo aver inserito l'attuale strategia statunitense di esportazione armata della democrazia in una linea che va dall'esportazione napoleonica delle idee della rivoluzione francese sulla punta delle baionette dei battaglioni di Francia, all'esportazione della rivoluzione russa grazie all'apporto dell'armata rossa, Todorov ricorda gli obblighi che contraddistinguono una democrazia liberale dai regimi totalitari o imperiali. In particolare, rammenta come il vero liberalismo politico nasca dal principio che, sebbene «siamo convinti che la nostra religione sia la migliore, rinunciamo di imporla agli altri con la forza» (p.16). Dopodichè, senza alcuna esitazione, Todorov prende le difese del pluralismo, della diversità, della lentezza, contro ogni forma di universalismo vorace e uniformante e contro la tentazione a risolvere velocemente le controversie attraverso il ricorso imperiale all'uso della forza.

La scelta della forza aggressiva come mezzo per realizzare i propri fini è l'elemento che rende illegittima l'attuale politica statunitense. La differenza tra democrazie liberali ed imperi risiede proprio nel fatto che «le prime utilizzano le forze armate a scopo di legittima difesa, i secondi per cambiare il resto del mondo» (p. 24). Se i difensori della politica americana si riallacciano direttamente alla tradizione machiavelliana per sostenere che la nobiltà del fine (la libertà!) giustifica il ricorso a qualsiasi mezzo per realizzarlo, Todorov rievoca quella linea di pensiero che, da Montesquieu a Tocqueville fino a Camus, ha sempre ritenuto che «il fine nobile non giustifica mai i mezzi ignobili», e, anzi, che «i mezzi utilizzati possono annullare lo scopo perseguito» (pp. 22-23).

Di conseguenza, non sono tanto le considerazioni morali, quanto una serie di valutazioni realistiche collegate al loro interesse nazionale, a raccomandare agli Stati Uniti di abbandonare il loro «approccio radicalmente nuovo all'autodifesa». Favorendo la crescita globale di sentimenti antiamericani, impoverendo il paese a causa delle crescenti spese militari, indebolendo le garanzie interne alla stessa democrazia statunitense, la ricerca unilaterale da parte del governo Bush dell'egemonia globale attraverso guerre preventive, non sembra affatto il miglior mezzo per garantire la propria sicurezza e i propri interessi.

Al modello statunitense della «potenza militare», Todorov preferisce, non perché più morale ma proprio perché più vantaggiosa per gli interessi nazionali, il modello della "potenza tranquilla", la cui base di legittimità è rappresentata anzitutto dalla disponibilità ad autolimitare il proprio potere attraverso il diritto e la stipulazione di accordi internazionali.

A questo punto, viene chiamata in causa l'Europa. Nonostante sia oggi politicamente debole, perché militarmente debole, l'Europa, se adottasse le giuste riforme, potrebbe incarnare un «modello inedito di potenza», che si colloca a metà strada tra imperialismo ed impotenza.

Anzitutto, agli occhi di Todorov è indispensabile che il vecchio continente accresca il suo potenziale militare affinché il progetto di una difesa europea comune diventi realtà. L'esercito europeo, in ottemperanza ai principi di un «uso calmo della potenza», dovrebbe svolgere una funzione di difesa o di solidarietà militare verso i propri partner privilegiati (Stati Uniti in testa).

Per il resto, un potenza tranquilla - concetto che si avvicina molto alla nozione di «potenza civile» avanzata da Mario Telò - deve "rispettare militarmente l'ordine internazionale, per quanto imperfetto sia, e le sovranità nazionali, per quanto detestabili siano i regimi che se ne fanno scudo, ma cercare anche di trasformarli con mezzi pacifici che a loro volta non sono privi di potenza" (p. 43).

Ma lo scopo principale della neo-forza armata europea è difendere quella identità europea, il cui nucleo normativo principale è rappresentato dalla straordinaria sensibilità alla differenza. Puntualmente si rimarca come l'identità europea non sia un mero dato storico o geografico (l'a. ricorda come sul territorio europeo, più o meno equivalente per estensione a quello della Cina o degli Stati Uniti, convivano una quarantina di Stati autonomi anziché uno solo), bensì un aggregato di valori la cui "sorgente è locale" e il cui "appello è universale". I sei valori politici costitutivi della nostra identità di europei, che Todorov elenca in maniera non strutturata e forse eccessivamente schematica, sono: razionalità, giustizia, laicismo, tolleranza, democrazia e libertà individuale.

Todorov conclude delineando le riforme istituzionali auspicabili per realizzare lo "spirito dell'Europa futura". La "ristrutturazione" della nuova Europa potenza tranquilla dovrebbe procedere seguendo uno schema a "cerchi concentrici" - e non a velocità diverse! Il primo cerchio sarebbe formato dalla difesa comune; il secondo coinciderebbe in linea di massima con l'attuale forma dell'UE, i cui criteri di appartenenza sono, come è ben noto, un certo livello di sviluppo economico, di garanzie giuridiche e un regime politico di stampo democratico-liberale; il terzo infine sarebbe rivolto oltre e riguarderebbe i rapporti di buon vicinato che l'Europa dovrebbe intrattenere a Sud e a Est con i paesi confinanti. Questa ristrutturazione dovrebbe essere accompagnata da un rafforzamento democratico delle attuali istituzioni centrali.

Last but not least, Todorov propone la creazione di una giornata europea di festa, indicando come data possibile l'8 o il 9 Maggio, giorni in cui finì la Seconda guerra mondiale e l'Europa iniziò dalle sue stesse ceneri a costituire il proprio progetto futuro.

In tempi dominati dalla "smania d'impero" e dal pensiero unico, questo libro rappresenta un autorevole quanto indispensabile "elogio del pluralismo" - "il pluralismo è preferibile all'unicità" (p.57); "molti partiti sono meglio di uno solo, anche se è il migliore di tutti" (p. 41) - capace di offrirci una via alternativa alla "ricerca della salvezza nell'unità", sia essa rappresentata da un ipotetico governo mondiale, o dalla superpotenza statunitense. Infine, insegnandoci a resistere alla tentazione più grande, ovvero alla "tentazione del Bene", questo libricino ha tutte le carte in regola per diventare un vademecum per ogni cittadino europeo.

Alessandro Calbucci