2005

M. Tarchi, Contro l'americanismo, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. X-203, ISBN 88-420-7234-6

Il volume di Marco Tarchi è composto da quattordici brevi saggi: fatti salvi i primi due, che risalgono al 1987 ed al 1999, tutti gli altri sono stati scritti (e pubblicati su tre differenti periodici) tra la primavera del 2001 e la fine del 2003. I numerosi atti di terrorismo compiuti nel mondo in questi anni, e le guerre condotte dagli Usa in Afghanistan e in Iraq hanno spinto Tarchi a estendere l'oggetto della sua analisi, senza tuttavia modificare in profondità l'impostazione dei saggi precedenti al 2001.

Tarchi critica duramente il modello culturale americano e la politica estera degli Stati Uniti e denuncia l'esistenza di un disegno egemonico globale consapevole in via di realizzazione da parte degli Stati Uniti (p. 163). L'autore predilige un approccio di tipo geopolitico e lascia in secondo piano l'analisi degli aspetti economici della situazione mondiale attuale, ponendo l'accento sull'esistenza di una contrapposizione sempre più marcata fra Stati Uniti ed Europa. Secondo Tarchi si può affermare l'«assoluta inesistenza di un'identità comune - di valori e di interessi - fra Europa e Usa» (p. 79). Significativa è anche la frequente attenzione di Tarchi per la sociologia delle élites, espressa nei rilievi sul ritorno delle figure dei collaborazionisti e sul ruolo strumentale degli intellettuali.

Sul versante propositivo, l'autore si colloca tra i convinti sostenitori di un'autonomia politica e culturale dell'Europa, continente chiamato dalla Storia a una nuova challenge, nel senso di Toynbee. Tarchi è un fautore del pluralismo interno, del differenzialismo culturale, e probabilmente di un modello policentrico nel quale grandi unità politiche trovino un equilibrio nel rispetto delle specificità culturali. Ed è, lo si avverte, fautore di una concezione agonale e dinamica della politica e della storia. Non è un caso che spesso se la prenda con le già dimenticate tesi di Fukuyama sulla ormai prossima 'fine della Storia'. Colpisce inoltre un passaggio in cui Tarchi adombra l'idea che gli Stati Uniti potrebbero trasformarsi nel nemico comune degli europei (pp. 164-165). Questa sua sensibilità per una politica di tipo agonale si coglie anche nella rivendicazione per un trattamento linguistico non diffamatorio del nemico, come quando pretende (a ragione) che la guerriglia irachena venga chiamata 'resistenza' e non 'terrorismo' (p. 188). Ancor di più, il battersi di Tarchi per la pari dignità fra i contendenti traspare quando egli in qualche modo offre una legittimità al terrorismo definendolo la sola risorsa di una parte politica enormemente inferiore sul piano militare convenzionale (pp. 171-172).

In alcune circostanze, mi sembra che Tarchi svolga operazioni concettuali che lasciano un po' perplessi: ad esempio, quando parla di democrazia, cerca di ripotenziare la funzione popolare dimenticando il tema del mandato libero, oppure liquidandolo in due parole come una conseguenza dell'ideologia liberale (p. 179). E ancora: Tarchi si mostra spesso sensibile agli argomenti del realismo politico, ma non concede agli Stati Uniti il 'diritto' di applicare un vecchio principio realistico: che le regole (ad esempio quelle democratiche) che valgono all'interno di un'unità politica possano essere sospese nei rapporti internazionali. Infine, l'autore si fa beffe di una certa destra che assume «uno schema culturale tipicamente di sinistra: il culto del Progresso» (p. 44). Eppure il progresso è stato anche una grande aspirazione liberale. Ma forse è sbagliato chiedere a Tarchi di sopprimere quel che non può mancare allo stile del pamphlet: la veemenza, il coraggio e una certa indifferenza per i distinguo che affievoliscono l'ardore di un'idea.

Nicola Casanova

Replica di Marco Tarchi