2011

A. Simone, I corpi del reato. Sessualità e sicurezza nella società del rischio, Mimesis, Milano 2010, pp. 96

Come la norma giuridica costituisce e disciplina il genere? Come essa organizza la distribuzione dei corpi nello spazio, regolando la circolazione della popolazione sul territorio e fissando le regole per l'uso dello spazio pubblico? Il volume di Anna Simone, I corpi del reato. Sessualità e sicurezza nelle società del rischio, s'interroga su tali questioni cruciali offrendoci un acuto punto di vista sulla realtà italiana degli ultimi anni. Sono tre i dispositivi giuridici oggetto dell'analisi di Simone: la regolazione della violenza sessuale; le ordinanze sindacali sull'uso dello spazio pubblico, la detenzione amministrativa dei migranti. Partendo da tali casi di studio, l'autrice cerca di mostrare come, nelle cosiddette società del rischio, il sistema giuridico si sia trasformato in un cruciale dispositivo di sicurezza che agisce quale strumento di definizione, costruzione e regolazione del pericolo. La tesi di fondo del volume si colloca dunque sulla scia di un ormai cospicuo filone di ricerca che ha ampiamente sottolineato il paradosso delle società liberali, le quali "quanto più si dicono aperte al rischio, tanto più utilizzano strumenti illiberali per gestire gli stessi rischi da ess(e) prodotti" (p. 10). L'originalità ed il valore del contributo di Simone non risiede tanto nella particolare prospettiva teorica adottata, bensì nell'analisi empirica che propone. I tre casi di studio offrono un esempio cristallino del progressivo "orientamento al rischio" dei sistemi giuridici, per usare una felice espressione di Niklas Luhmann (cfr. Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1996), mostrando come la dinamica dei meccanismi di controllo sociale sia ispirata da una logica securitaria che ne amplifica il carattere poliziesco.

Nel primo caso, quello della regolazione giuridica della violenza di genere, l'analisi di Simone illustra quanto le categorie di rischio e pericolo finiscano per incidere sul funzionamento del dispositivo giuridico della responsabilità penale, piegandola ad altri fini. La disciplina penale della violenza sessuale è stata un terreno classico di lotta attraverso il diritto da parte del movimento femminista, un terreno che tuttavia si è rivelato fortemente scivoloso e aperto a facili strumentalizzazioni frutto della particolare costruzione del genere e della sessualità delle donne operata dal sistema giuridico moderno. Simone illustra come la donna oggetto di violenza sessuale sia storicamente entrata nel processo penale priva della piena soggettività giuridica attribuita al maschio-adulto, assumendo al contrario uno status fortemente connotato dal punto di vista di genere. Il suo status è sempre stato quello del soggetto portatore di rischio, da sottoporre ad una tutela particolare che in qualche misura possiede un effetto, al contempo, di de-responsabilizzazione ed iper-responsabilizzazione. Da un lato, secondo un'antica prospettiva perbenista e patriarcale, la donna è portatrice di rischio nella misura in cui essa è provocatrice, stimola la sessualità maschile agendo sui suoi impulsi primordiali e per ciò stesso de-responsabilizza l'uomo per la sua condotta sessuale. Dall'altro lato, secondo una prospettiva affermatasi successivamente ai movimenti di emancipazione femminile nelle moderne società neo-liberali (cfr. T. Pitch, La società della prevenzione, Carocci, Roma 2007), la donna è portatrice di rischio nella misura in cui essa è un soggetto debole esposto al pericolo di aggressione e per ciò stesso iper-responsabilizzata rispetto alle necessità di prevenzione, chiamata ad organizzare la propria condotta ed il proprio stile di vita in base al rischio di cui è costitutivamente portatrice. L'evento violenza sessuale finisce in ogni caso per essere costruito giuridicamente come il portato del coefficiente di rischio associato al genere femminile, sia esso legato ad una sessualità indisciplinata o a un deficit di precauzioni, rispetto al quale la risposta del sistema giuridico finisce inevitabilmente per essere quella della tutela in qualche misura paternalistica e poliziesca.

Dalla discussione che Simone sviluppa sulla disciplina penale della violenza sessuale emerge però la figura di un altro soggetto portatore di rischio, fortemente connotato etnicamente. Il discorso sulla violenza di genere è infatti diventato nell'Italia berlusconiana un potente veicolo di razializzazione, finendo per rafforzare ulteriormente il discorso sulla pericolosità sociale degli immigrati: soggetti imprevedibili e incapaci di controllare i propri impulsi, da sottoporre anch'essi ad una rigida forma di tutela poliziesca. L'argomento costituisce un ponte ideale per l'analisi degli altri due casi di studio: le ordinanze sindacali in materia di ordine e sicurezza pubblica e la detenzione amministrativa degli immigrati. Si tratta di due dispositivi centrali nel controllo delle nuove "classi pericolose" che funzionano entrambi al di fuori del diritto penale, nella sfera del diritto amministrativo di polizia e si fanno carico, come più volte sottolinea Simone, del compito di gestire determinate persone più per il potenziale di rischio che esse sono supposte rappresentare, che per una loro condotta penalmente rilevante. Quello che tuttavia qualifica tali dispositivi rispetto ai classici strumenti di sicurezza è il fatto che entrambi cerchino di svolgere la loro funzione di governo della pericolosità sociale per mezzo di una distribuzione della stessa nello spazio. Le ordinanze sindacali svolgono tale funzione forse meno direttamente, essendo formalmente dirette alla disciplina dell'uso dello spazio pubblico. Tuttavia tale disciplina ha, negli ultimi anni, acquisito un'esplicita funzione di controllo sociale delle nuove "classi pericolose", finendo per diventare un fondamentale strumento di zonizzazione poliziesca della città volto ad eliminare dalla scena sociale le condotte, gli stili di vita e le strategie di sopravvivenza tipiche dei soggetti marginali. La detenzione amministrativa, al contrario, agisce più direttamente sui diritti degli immigrati irregolari, puntando all'immobilizzazione in un luogo specifico, come i centri di detenzione che sono proliferati negli ultimi decenni anche in Italia, di soggetti che sono percepiti come pericolosi proprio perché altamente mobili sul territorio e capaci di sfuggire alle maglie del controllo poliziesco.

I corpi del reato di cui parla Simone eccedono dunque costitutivamente la forma giuridica classico-moderna proprio perché essa è calibrata sulla figura di normalità del maschio-adulto-proprietario. Quando al contrario si tratta di governare soggetti che non rispondono a tale paradigma di normalità, le donne, i minori, i marginali, non possono essere i meccanismi giuridici dell'imputazione e della sanzione, tipici del sistema penale, a venire messi in campo, ma il governo del potenziale di rischio rappresentato da tali soggettività percepite come imprevedibili e pericolose deve essere gestito per mezzo di strumenti amministrativi come le ordinanze e le misure di polizia. Il volume di Anna Simone, pur scontando un parziale deficit di elaborazione teorica, possiede l'indiscutibile merito di illustrare la centralità di tali dispositivi di sicurezza nelle strategie di controllo dell'Italia contemporanea.

Giuseppe Campesi