2007

A. Badiou, Le siècle, Seuil, Paris 2005, trad. it. Il secolo, Feltrinelli, Milano 2006, ISBN 88-07-10402-4

L'analisi di Alain Badiou sul secolo scorso segue la falsariga di tredici lezioni tenute dall'autore al Collège international de philosophie tra il 1998 e il 2001 e comincia con due domande fondamentali, ossia "quale sia l'istante eccezionale che cancella il XX secolo" (p. 9) e, "ammesso che si riesca a costruire il secolo e a porlo quale oggetto di pensiero", se sia possibile "davvero considerarlo un oggetto filosofico esposto a quel singolare volere che è il volere speculativo" (p. 10).

Ragionando sulla base degli avvenimenti storici, secondo Badiou, il secolo è riconducibile al cosiddetto secolo breve, che ha il suo centro nella parabola dell'Unione Sovietica, e va dalla Prima guerra mondiale fino al crollo del muro di Berlino. Esso però può essere interpretato anche come il secolo dei crimini, il che renderebbe l'arco temporale di riferimento ancora più breve, riducendolo al periodo che va dalla Rivoluzione russa alla morte di Mao, con un vero e proprio cuore nell'evento devastante della Shoah, fulcro del periodo storico che racchiude il regime hitleriano in Germania e quello staliniano in URSS. Riducendolo agli ultimi trenta anni si può infine pensare il Ventesimo secolo a partire dal suo risultato, e quindi in funzione del trionfo del capitalismo e del mercato mondiale.

Al di là dell'aspetto puramente storico, per proseguire la propria indagine, Badiou parte da una domanda che definisce provocatoria, ossia si chiede che cosa pensavano i nazisti. Ragionare sul nazismo solo in funzione di ciò che ha fatto è infatti un errore, visto che "affermare che il nazismo non è un pensiero o, più in generale, che la barbarie non pensa, equivale in realtà a una subdola procedura di assoluzione" (p. 12-3). Badiou definisce questo meccanismo come una delle forme tipiche del pensiero politico attuale, poiché si fonda sul sillogismo secondo cui se la politica è un pensiero e la barbarie non lo è, allora nessuna politica è barbara. Proprio partendo da tali presupposti sarebbe quindi al sicuro da ogni accusa anche quella che per l'Autore è la nuova barbarie, ossia l'attuale politica, che ha come propri elementi di riferimento il capitalismo e il parlamentarismo. Per chiarire meglio il proprio pensiero su questo punto Badiou parte dall'accusa che pensa possa essere rivolta alla sua tesi dai difensori del liberismo e dei sistemi politici parlamentari, ovvero che il nazismo, e così lo stalinismo, sono vere e proprie figure del male, ben più di quanto non sia il mercato; tuttavia l'autore de Il secolo si dichiara convinto che solo identificando la follia totalitaria come pensiero o politica sia possibile darsi gli strumenti reali per formulare una critica e un giudizio. Mantenere insomma la vecchia impostazione ontologica per cui il male coincide con il non essere, finirebbe per far coincidere il nazismo proprio con il non essere, il non pensiero e la non politica, e porrebbe tra l'altro (e secondo Badiou erroneamente) una distanza incolmabile tra il nazismo stesso e la democrazia, la quale si configurerebbe invece come unico e vero luogo del pensiero e dell'essere dal punto di vista politico. Ma tale divisione manichea è secondo Badiou fuori luogo e, a questo proposito, egli ricorda come l'azione delle democrazie alleate durante la Seconda guerra mondiale fosse lontana dal porre quale primo obiettivo la limitazione della Shoah e come, in tempi più recenti, la strategia delle cosiddette guerre umanitarie, dettata più che altro da ragioni di ordine economico, sia la più efficace rappresentazione del totale disinteresse delle democrazie occidentali nei confronti di problemi gravissimi che affliggono il terzo mondo, come la diffusione dell'AIDS in Africa.

Il problema che si pone è dunque il rapporto tra le democrazie e ciò che esse definiscono come l'altro da sé, ovvero la barbarie. L'obiettivo è invece quello di dissipare il meccanismo assolutorio che è possibile trovare alla base di tale visone del mondo. Per fare ciò Badiou cerca di analizzare il secolo attraverso le diverse visioni che alcuni autori hanno dato di esso ma, prima di entrare in argomento, lo stesso Badiou si chiede quale sia la traccia fondamentale che è possibile seguire per interpretare il XX secolo e trova una risposta nell'idea di rottura: il secolo scorso è stato infatti un secolo segnato dalla discontinuità dal punto di vista scientifico (la fisica quantistica e la relatività einsteiniana), artistico (le avanguardie), sessuale (la psicoanalisi) e, soprattutto a partire dalla Rivoluzione russa, anche dal punto di vista politico. Sia il comunismo che i fascismi avevano infatti in mente la creazione di un'umanità nuova, il che implicava necessariamente, se non la condanna, per lo meno la subordinazione dell'individuo a questo progetto grandioso. Ma oggi, si chiede Badiou, tutto ciò è finito? La risposta che egli fornisce è negativa, poiché l'idea dell'uomo nuovo continua a vivere in modo del tutto apolitico e privo di progetto nelle tecniche di manipolazione genetica asservite al capitale. Dai progetti grandiosi e terribili si è passati insomma agli automatismi del profitto e "ai criminali con nome e cognome subentrano criminali anonimi quali le società per azioni" (p. 19).

Badiou, dopo il denso saggio introduttivo, si volge poi all'analisi di diverse tematiche legate al XX secolo. Il secolo scorso e l'idea di storia in esso dominante vengono innanzitutto paragonati ad una bestia la cui ferinità è perfettamente rappresentata da una poesia di Mandel'štam intitolata proprio Il secolo. Dal testo di Mandel'štam, a cui si uniscono suggestioni nietzscheane, Badiou trae i principali elementi interpretativi del XX secolo: se infatti il XIX secolo è stato quello della promessa dell'uomo nuovo, il XX è invece quello in cui l'uomo nuovo (che fosse l'uomo proveniente da una tradizione ancestrale dei fascisti o l'uomo totalmente da costruire dei comunisti) si faceva storia ed agiva concretamente, secondo quella che Badiou chiama, vedendo in essa la principale matrice interpretativa del secolo scorso, "passione del reale" (p. 46). Proprio la passione del reale agisce però nell'ottica di una duplicità di elementi difficilmente conciliabili: la percezione della fine (e quindi il nichilismo di fondo) e una possente volontà creatrice di matrice dionisiaca, possibile fondamento di un nuovo inizio. Proprio tali elementi e la loro difficile interazione sono alla base di quella che Badiou ritiene la seconda grande categoria interpretativa del XX secolo, ossia la guerra, la crudeltà (che Badiou descrive attraverso alcuni versi de L'ode marittima di Pessoa e un brano de La linea di condotta di Brecht) e la violenza, declinata soprattutto attraverso l'idea di una grande guerra che sarà la fine di tutte le guerre. Insomma, "nel XX secolo la legge condivisa dal mondo non è né l'Uno, né il Multiplo: è il Due" (p. 50). Non vi è un assoluto di riferimento né una policentricità capace di creare un equilibrio, ma una divisione adialettica, incapace cioè di arrivare ad una sintesi reale.

Figura capitale del XX secolo è, secondo Badiou, quella dell'anabasi (in greco letteralmente significa "il salire"), che è possibile ritrovare sia negli anni '20 del Novecento nelle poesie di Saint-John Perse che nelle composizioni degli anni '60 di Paul Celan, anche se con due significati differenti l'uno dall'altro e complementari. Anabasi è allo stesso tempo "una risalita verso l'origine, una faticosa costruzione della novità, un'esperienza esiliata dell'inizio" (p. 97) e nelle poesie di Perse e Celan acquisisce il senso rispettivamente di un nichilismo attivo e creatore, specchio fedele delle tendenze dei primi decenni del secolo e di un interrogativo appassionato sul senso del cammino da intraprendere, che deve esserci, ma è rimasto ben nascosto dopo la mattanza nazista. Il problema che si pone insomma nelle diverse descrizioni dell'anabasi in Perse e Celan è quello del rapporto io-noi nell'ambito del XX secolo, poiché ad un 'noi' che si faceva soggetto divenendo 'io', tracciando così il proprio cammino, nella seconda metà del secolo si è sostituito un noi incapace di essere io e, secondo Badiou, ancora alla ricerca di un senso da dare a se stesso.

Nell'ultimo saggio contenuto ne Il secolo, Badiou cerca di offrire un'interpretazione dei primi anni del XXI secolo, partendo dalle categorie di diritti umani e di ritorno del religioso. Oggi, dopo un momento di smarrimento, le vecchie opposizioni brutali che avevano segnato il secolo precedente sembrano infatti essersi reincarnate nella lotta tra l'Occidente, che si presume portatore di problematici diritti umani, e i fondamentalismi religiosi, incarnati in particolare nell'Islam. Da ciò risulta, in Occidente, che "la politica coloniale dello stato di Israele è un avamposto della civiltà democratica e l'esercito americano l'ultimo garante di un mondo accettabile" (p. 184). La posizione di Badiou sui fondamenti di questa nuova presunta grande narrazione è tuttavia di estremo scetticismo. Egli ritiene infatti che il Dio dei monoteismi sia morto senza appello "da almeno duecento anni" e che "l'uomo dell'umanismo non è sopravvissuto al XX secolo" (p. 184). Insomma, in quest'ottica, "la guerra delle civiltà, il conflitto tra democrazie e terrorismo, la lotta mortale tra i diritti dell'uomo e i diritti dei fanatismi religiosi, la promozione dei significati razziali, storici, coloniali o vittimari quali 'arabo', 'ebreo', 'occidentale', 'slavo', non sono che un teatro di ombre ideologiche dietro il quale si svolge l'unico vero dramma: la dolorosa, dispersa, confusa e lenta sostituzione dei comunismi defunti con un'altra via razionale dell'emancipazione politica di vaste masse umane oggi abbandonate al caos" (p. 184).

L'analisi del XX secolo, che Alain Badiou imposta a partire dalle diverse tematiche-chiave del secolo stesso, e quindi soprattutto attraverso una scelta di testi letterari significativi, è un'idea interessante, sebbene l'esposizione complessiva finisca per risultare frammentaria. Esempio di ciò è soprattutto la prima parte dell'ultimo saggio: se infatti appare convincente l'idea di fondo, secondo cui nel XXI secolo, sulla base dei diritti umani e della religione, si sta tentando, con scarso successo, di ricostituire almeno una parvenza di grande narrazione, Badiou, nel dare per scontata la lettura di suoi testi precedenti cui si riferisce ellitticamente, finisce per lasciare nel lettore qualche perplessità derivante da un'argomentazione i cui nodi sono più sottesi che esplicati.

Valerio Martone