2007

L. Scuccimarra, I confini del mondo. Storia del cosmopolitismo dall'Antichità al Settecento, Bologna, il Mulino 2006, pp. 453, ISBN 88-15-10997-8

Il tema del cosmopolitismo è tornato, in anni recenti, di grandissima attualità. Esso è al centro di un dibattito in cui si confrontano sostenitori ed avversari della globalizzazione contribuendo, ciascuno col proprio punto di vista, ad allargare i confini della discussione oltre l'orizzonte concettuale dei singoli ambiti disciplinari. Sociologi, politologi, storici e filosofi si incontrano così sempre più frequentemente all'interno di uno stesso ambito tematico ed incrociando differenti metodi di indagine e di ricerca apportano i loro differenziati contributi ad un lavoro di interpretazione in cui l'esigenza di contribuire a comprendere il presente appare palese fino alla trasparenza. L'urgenza con la quale viene percepito il compito di dare significato al mondo attuale e di offrire risposte sul suo futuro non è tuttavia in relazione diretta ed immediata con l'attendibilità scientifica dei risultati. Spesso, anzi, l'imperatività delle questioni all'ordine del giorno contribuisce ad una frettolosa rubricazione dei problemi piuttosto che ad una loro attenta indagine, sacrificandone la complessità ad un'esigenza di sistematizzazione nemica di ogni tentativo di problematizzazione.

Il lavoro di Luca Scuccimarra si sottrae a questa tentazione. Nelle oltre 400 pagine che compongono il testo il tentativo di afferrare in un unico sguardo d'insieme gli imperativi del presente e la lezione della storia, declinandola nelle sue diverse componenti storiche e concettuali, si presenta come un efficace antidoto ad ogni pensabile semplificazione. Prendendo lo spunto dall'analisi della composita e varia caratterizzazione dei contenuti della categoria concettuale del cosmopolitismo, Scuccimarra propone una lettura complessa della sua storia, analizzandone la variazioni di significato succedutesi nel corso del tempo e ricercandone però anche, allo stesso tempo, le diverse componenti semantiche. Il percorso attraverso il quale l'autore conduce il lettore si dipana dagli albori della civiltà occidentale fino alla fine del '700, ripercorrendo la storia del cosmopolitismo a partire dalla civiltà classica per giungere, oltre la cesura della modernità, a rappresentare quei paradossi dell'Illuminismo che costituiscono materia di sempre attuale riflessione per il presente. Il cosmopolitismo, parola-chiave del terzo millennio, perde così necessariamente parte della sua scontata attualità per recuperare quella polisemia di significati che può arricchire la riflessione sul presente senza appiattirlo nell'ambito di un'unica ed incontrovertibile dotazione di senso.

Punto di partenza dell'autore è, senza dubbio, l'idea di un'impossibilità: l'impossibilità di cercare nel territorio, nello spazio geografico, il vero e profondo senso del sé, costruendo una concezione territoriale dell'identità tanto fallace quanto indesiderabile. Il punto di arrivo è quello del riconoscimento della complessità semantica del concetto di cosmopolitismo e della straordinaria tenuta, nel corso della storia concettuale, di quel topos occidentale della "società umana" che, dopo essere stato tipico dello stoicismo, giunge a pur diversa definizione nell'universalismo morale del modello illuministico. In questo passaggio la societas hominum descritta nel De Officiis di Cicerone si svincola dai contenuti che essa aveva rivestito in quel modello in quanto complesso graduato di rapporti sociali capace di tenere insieme interessi particolaristici e istanze universalistiche in una composizione variegata e non contraddittoria di relazioni multiple, in cui le appartenenze particolari concorrono a rafforzare l'universale. La "grande società del genere umano" viene investita, nel corso del '700, da quell'etica illuministica della politica che rende più complesso ed articolato quel gioco di incroci tra universale e particolare sul quale aveva riposato "l'ideale ciceroniano di una rigida gerarchia deontologica fondata sul livello di prossimità intersoggettiva" (p. 416).

L'universalismo morale dell'Illuminismo e la sua conseguente enfasi sui precetti di un'etica della solidarietà universale convivono infatti, più o meno adeguatamente riconciliati, con la sopravvivenza di un particolare ethos, che fa della patria lo spazio politico della libertà e della felicità individuale. Questo tentativo di riconciliazione tra il generale dovere di benevolenza che lega indistintamente gli esseri umani e il rispetto delle diverse specificità geografiche e - soprattutto - politiche, si traduce, nel corso del '700, in un percettibile svuotamento dei contenuti dell'universalismo morale illuministico e incontra, da ultimo, le opposte e speculari critiche di Voltaire e di Rousseau.

Su questa soglia si arresta la ricostruzione di Scuccimarra, che da questo versante della storia interroga il cosmopolitismo contemporaneo. Non con il cosmopolitismo sociologico egli interloquisce, pur prendendo lo spunto dalle analisi di Ulrich Beck e dall'affermazione secondo la quale è la realtà stessa, oggi, ad essere diventata cosmopolitica. L'interesse di Scuccimarra è, piuttosto, rivolto alla valenza giuridico-politica del concetto nonché alle sue ricadute nella sfera filosofico-normativa. Non può pertanto sottrarsi al compito di tenere implicitamente presente quell'interrogativo che aleggia in ogni ricostruzione storico-politica disposta a fare seriamente i conti con la filosofia: davvero l'universalismo cosmopolitico costituisce una tradizione di pensiero che è esclusivamente occidentale e che solo paternalisticamente può essere suggerita ad altri popoli e contesti?

La domanda, che nel libro di Scuccimarra non appare mai formulata nei termini di una alternativa secca di affermazione o di diniego, costituisce implicitamente lo sfondo problematico dell'intera trattazione. Nel rileggere in una prospettiva diacronica di storia del pensiero il nucleo semantico che caratterizza il concetto di cosmopolitismo, l'autore ne amplia e ne diversifica lo spazio interno, arricchendone i contenuti con il racconto delle molteplici posizioni che possono esservi rappresentate. Con ciò, come scrive nella premessa, Scuccimarra intende "dare un contributo allo sforzo di autoriflessione che oggi, più che mai, impegna la cultura occidentale" e "contribuire a far emergere le molte alternative pratico-politiche che, oggi come sempre, danno corpo alla irriducibile complessità del presente" (p. 8).

Con questo lavoro Scuccimarra si confronta pertanto con un tema di grande rilevanza, restituendoci quella complessità storica e semantica che appare a volte sacrificata nelle numerose e attualizzanti trattazioni della contemporaneità. Non con un solo ed univoco concetto di cosmopolitismo il lettore è alla fine costretto a confrontarsi, ma con una pluralità di posizioni più o meno cosmopolite, capaci di combinarsi variamente con altre tradizioni di pensiero che non si presentino, a loro volta, come blocchi monolitici chiusi a qualunque riflessività.

Maria Pia Paternò