2008

J. Habermas, Zwischen Naturalismus und Religion. Philosophische Aufsätze, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005, trad. it. Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. XII+292, ISBN 88-420-7882-4

Da oltre un decennio la produzione di Habermas è venuta sempre più saldando l'analisi teorica a temi di grande attualità, particolarmente dibattuti anche al di fuori dei contesti prettamente accademici. Possiamo ricordare i suoi libri sulla globalizzazione, sul multiculturalismo, sulla politica internazionale, sull'Europa e l'Occidente. Da ultimo, in questo testo, egli giunge ad affrontare la questione del rapporto tra scienza e fede nella società contemporanea e delle sue implicazioni politiche.

Habermas sostiene che le grandi religioni rientrano nella storia stessa della ragione e ritiene irragionevole emarginarle, dal momento che esse difendono dall'oblio le dimensioni della convivenza sociale e personale. Di qui l'idea di una articolazione tra scienza e fede che rende possibile, nella sfera pubblica, "una reciproca relazione autoriflessivamente illuminata" (p. 49).

Coerentemente con l'ormai lungo percorso del suo pensiero, Habermas si pone rispetto alla fede in posizione dialogica. Ciò è particolarmente evidente quando egli declina la relazione tra fede e scienza, considerando il dibattito su libertà e determinismo ad essa legato. Da questo punto di vista Habermas propugna un "naturalismo morbido" (p. 55), in base a cui è reale tutto ciò che può venir rappresentato in enunciazioni vere, ma la realtà non si esaurisce nelle enunciazioni vere delle scienze sperimentali. In effetti, il riduzionismo che riconduce tutto a influssi causali tra cervello e ambiente, sembra procedere non meno dogmaticamente dell'idealismo che in tutti i processi naturali vede all'opera la potenza dello Spirito. La nostra conoscenza del mondo, invece, dipende dal fatto che gli uomini sono al contempo osservatori e partecipi delle pratiche comunicative e sociali.

Il modo in cui si delinea il confine corretto tra scienza e fede viene elaborato attraverso la filosofia kantiana, che aleggia sempre nel pensiero habermasiano. L'ottica kantiana dà infatti la possibilità ad Habermas di appropriarsi del retaggio ermeneutico della tradizione religiosa senza cancellare la distinzione tra l'universo della fede e quello del sapere (pp. 111-148). Le prospettive centrate su Dio o sull'uomo non si possono trasferire l'una nell'altra; Kant ha mostrato l'importanza di una distinzione tra fede e scienza, che presuppone "la rottura con la totalizzante pretesa gnoseologica della metafisica" (p. 145). Secondo Habermas, oggi, la limitazione della ragione al suo impiego pratico, operata dalla filosofia della religione kantiana, riguarda non tanto l'infatuazione religiosa, quanto una filosofia visionaria che sfrutta la soteriologia per sottrarsi al rigore del pensiero discorsivo. Oggi dobbiamo cioè temere le forme di "filosofia religiosa" (p. 148).

L'insieme di questi assunti, che il sociologo tedesco pone sulla religione, comporta specifiche ricadute politiche sui temi della tolleranza, dello stato di diritto e del liberalismo, che vengono esplorati nella parte conclusiva del libro.

Qui si mette in pratica una prospettiva dialettica e comunicativa: la garanzia di pari libertà etiche richiede la laicizzazione dell'autorità statale ma vieta la "sovrageneralizzazione politica" (p. 211) della visione laicistica del mondo. I cittadini laicizzati non possono negare in linea di principio un potenziale di verità alle immagini religiose del mondo, né contestare il diritto dei concittadini religiosi di offrire contributi in linguaggio religioso ai pubblici dibattiti.

Il pluralismo delle visioni del mondo e la battaglia per la tolleranza religiosa non sono solo state le forze che hanno favorito la nascita dello stato costituzionale democratico, ma, ancora oggi, danno l'impulso al suo coerente sviluppo, che, secondo Habermas, dovrebbe orientarsi in chiave cosmopolita. Questo punto, già trattato, in varia misura, in diversi suoi libri (si vedano L'inclusione dell'altro, Feltrinelli, Milano 1998; La costellazione postnazionale, Feltrinelli, Milano 1999; Tempo di passaggi, Feltrinelli, Milano 2004), torna nel capitolo conclusivo di questo studio ed è considerato uno snodo sempre più cruciale. Per Habermas rinunciare al progetto cosmopolita significa accontentarsi di "un'interpretazione sociologicamente disincantata degli Stati di diritto e delle democrazie, di cui rimangono in piedi soltanto le facciate" (p. 234).

Le posizioni teoriche così delineate mirano a una nuova definizione della triade religione-scienza-politica. Nell'epoca attuale, in effetti, saper ricollocare correttamente la dimensione della fede può divenire un presupposto importante per evitare le derive del senso esistenziale. O, perlomeno, rimane un esercizio non trascurabile in una fase in cui troppe filosofie assumono carattere dogmatico: del resto, i fondamentalismi religiosi proliferano già abbastanza e un modo per combatterli, forse, è evitare i fondamentalismi filosofici. Polarizzare ideologicamente scienza e fede, al contrario, non fa che alterare la convivenza nella comunità dei cittadini e mostrare, ancora una volta, i limiti di immaginazione politica di questo inizio secolo.

Francesco Giacomantonio