2005

C. Schmitt, Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung, Reclam, Leipzig 1942, trad. it. Terra e mare, Adelphi, Milano 2002, ISBN 88-459-1743-6

Nicolaus Sombart ha sostenuto che Terra e mare è il libro "più bello, anzi, più importante" di Carl Schmitt. Anche se non si condividesse il giudizio del figlio del celebre sociologo Werner, è difficile non ammettere che Terra e mare è una delle opere che meglio rappresenta la complessità teorica del pensiero schmittiano.

Come risulta dal sottotitolo dell'edizione originale - Eine weltgeschichtliche Betrachtung - il saggio schmittiano vuole essere un tentativo di reinterpretazione della storia universale. Terra e mare è sicuramente opera di un giurista, ma dal contenuto tutt'altro che esplicitamente giuridico. Chi conosce anche solo marginalmente la personalità di Schmitt non rimane sorpreso né dalle finalità del saggio, né dal fatto che l'autore abbia cercato di esprimere il senso della storia umana in cento pagine scarse e - per di più - in forma di racconto alla figlia Anima, che nel 1942 - anno della prima edizione tedesca del testo - era appena undicenne.

Il fascino di Terra e mare va ricercato nell'abilità con cui Schmitt tenta di interpretare la storia del mondo attraverso categorie 'elementari'. Convinto che la Weltgeschichte non possa essere compresa per mezzo di concetti 'occasionali' - la cui validità è limitata in senso sia spaziale sia temporale - Schmitt si serve di ciò che la filosofia presocratica aveva individuato come "le radici di tutte le cose": terra, acqua, fuoco e aria.

In Terra e mare Schmitt sostiene che "la storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare". È alla luce della contrapposizione tra questi due elementi, biblicamente rappresentati dai mostri Leviathan e Behemoth, che Schmitt rilegge le grandi dicotomie della storia umana: amico e nemico, ordine e disordine, guerra e pace, paura e sicurezza, bene e male. L'uomo è per natura un "essere terrestre, un essere che calca la terra". Ma egli è anche "un essere che non si riduce al suo ambiente", conoscendo "non solo la nascita, ma anche la possibilità di una rinascita". Se la contrapposizione tra terra è mare è dunque una costante della storia umana - Atene versus Sparta, Roma versus Cartagine - è però solo con l'età moderna che l'uomo 'rinasce' quale 'figlio del mare'. Secondo l'ipotesi schmittiana, a rendere possibile il completamento della trasformazione dell'esistenza umana da terrestre a marittima è l'evento che segna l'inizio della modernità: la scoperta di un 'nuovo mondo'. In un racconto che preferisce le figure eroiche del baleniere e del pirata a quelle dei Colombo e dei cercatori d'oro, Schmitt descrive la definitiva presa di coscienza da parte del genere umano della 'globalità' di un pianeta che apparve allora improvvisamente 'più grande' per la scoperta di un nuovo continente, ma anche 'più piccolo', per la conquista degli oceani e le possibilità di collegamento che ne derivavano.

Nella ricostruzione schmittiana la modernità ha inizio con la "rivoluzione spaziale planetaria" innescata dalla scoperta del 'nuovo mondo'. Una Raumrevolution che spazzò via le concezioni geografiche, ma anche politiche, economiche e culturali dell'antichità e del medioevo. Schmitt ritiene che fu l'Inghilterra ad intuire per prima - e a sfruttare - le enormi potenzialità che scaturivano della nuova visione globale. Da 'isola' essa si trasformò in 'pesce': come una nave o un pesce essa poteva raggiungere via mare qualsiasi altra parte del pianeta, "centro mobile di un impero mondiale frammentariamente diffuso in tutti i continenti". Nella scelta a favore di un'esistenza marittima Schmitt vede la chiave della vittoria inglese - e calvinista - sulle potenze cattoliche europee e la premessa della creazione di un impero mondiale.

La scoperta di un nuovo mondo da conquistare aveva reso possibile una comunità dei popoli europei, "cristiani e civilizzati", contrapposta al resto del mondo. L'ordinamento di tale "famiglia delle nazioni" era basato sul reciproco riconoscimento della statualità e della sovranità dei soggetti che ne facevano parte. Questo jus publicum europaeum riuscì a limitare - anche se non ad eliminare - i conflitti civili e di religione che infuriavano in l'Europa, dando forma alla guerra (terrestre), ossia regolandola come scontro tra Stati, e quindi tra eserciti, con l'esclusione della popolazione civile dalle ostilità. Ma la scoperta delle Americhe aveva reso possibile anche l'apertura del "vaso di Pandora" in cui terra e mare erano stati fino ad allora contenuti, mostrando la reale portata del conflitto tra i due elementi. Come nella Bibbia il Leviathan lotta con il Behemoth serrandogli la bocca ed il naso, e dunque affamandolo e togliendogli il respiro, così la "nuova guerra" (marittima) non è più rappresentata dalla battaglia navale classica - quale era stata ancora la battaglia di Lepanto -, ma è condotta invece attraverso strumenti come il blocco marittimo, che non distingue tra combattenti e popolazione civile, e che - criminalizzandolo e discriminandolo moralmente - "assolutizza" il nemico.

Nella nuova contrapposizione elementare tra terra e mare Schmitt vede il pericolo di una guerra totale. Cancellate le "linee di ostilità" alla base della distinzione tra amico e nemico, ed insieme ad esse i concetti classici di guerra e di pace, Schmitt avverte dei pericoli legati alle aspirazioni universalistiche di una grande potenza emergente - la "isola maggiore" statunitense - che invece di essere kathecon, forza frenante, di un possibile "conflitto civile mondiale", rischia di esserne l'acceleratore, il Beschleuniger. Come avrebbe dimostrato il conflitto mondiale, a complicare il quadro sarebbe intervenuta l'entrata in scena di due nuovi elementi, l'aria e il fuoco, destinati a ridisegnare il rapporto tra terra e mare e quindi a creare le premesse di una nuova rivoluzione spaziale. La conquista dello spazio aereo ed un progresso tecnologico senza precedenti segnano la fine del nomos della terra assicurato dallo jus publicum europaeum. Ma a chi vede solo morte e distruzione, il disordine o la fine del mondo, Schmitt risponde che "anche nella lotta più accanita fra le vecchie e le nuove forze nascono giuste misure e sensate proporzioni".

In un'analisi che risente più della lettura di Melville che di quella di Burckhardt, Schmitt intesse un racconto che spazia dallo storico al giuridico, dal mistico al mitico. Frutto di un interesse già manifestato per la contrapposizione tra terra e mare - basti ricordare il saggio Staatliche Souveränität und freies Meer (Sovranità dello Stato e libertà dei mari) - Land und Meer è la tappa decisiva del percorso teorico che portò Schmitt dalla Großräumetheorie degli ultimi anni '30 all'elaborazione della teoria del nomos di cui Der Nomos der Erde, con le sue intuizioni geopolitiche, sarà la più riuscita esposizione.

Stefano Pietropaoli