2018

Michele Saporiti (a cura di), Norberto Bobbio: rigore intellettuale e impegno civile, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 213.

Recensione di Alessandro Di Rosa

Il volume, già a partire dal titolo, si pone l’obiettivo programmatico di svolgere un’indagine su due aspetti che caratterizzano gli studi di Norberto Bobbio: quella del rigore intellettuale, che ne segue l’atteggiamento di profonda attenzione all’esercizio della ragione, e quella dell’impegno civile, determinante la propensione del filosofo torinese alla militanza e all’attivismo nella sfera pubblica. La chiave di lettura dell’opera mira ad attirare, sin dalle prime pagine, anche il lettore non specialista: “Per le nuove generazioni, non meno che per quelle più risalenti, Bobbio rappresenta un felice esempio dei frutti che una sincera militanza intellettuale e civile può produrre” (p. 7). La costante tensione, in Bobbio, tra i due elementi è misurata in tutti i saggi; i contributi si occupano di diversi aspetti del suo pensiero e ne delineano una figura “a tutto tondo”, concludendo pressoché all’unanimità sull’impossibilità di una netta separazione tra le due dimensioni. Si comprende immediatamente, dunque, che Bobbio non può essere letto se non tenendo costantemente presente la sua persistente oscillazione tra riflessione filosofica e vita activa. Allo stesso modo, non si può non tenere a mente che egli stesso si definì un «pensatore volpe» (il che richiama il suo interesse “su più fronti” e l’impossibilità di schematizzazione del suo pensiero entro confini precisi, in contrapposizione, secondo la nota distinzione di Isaiah Berlin, al «pensatore riccio», p. 14) e se, da un lato, si possono individuare nelle sue riflessioni alcuni fili conduttori, dall’altro esistono contraddizioni e discordanze che le colorano di molteplici sfumature. Ciò è ben esemplificato dall’individuazione, nel saggio di Alfonso Ruiz Miguel, di dieci “paradossi bobbiani”, come quelli del “socialista liberale” (p. 17), del “positivista inquieto” (p. 20) e del “realista insoddisfatto” (p. 23), attraverso i quali si ricostruiscono la vita e il pensiero dell’autore. La scelta di Bobbio per la “filosofia del diritto dei giuristi” (p. 30), che assegna alle riflessioni giusfilosofiche un compito critico modulato su una pluralità di micro-temi, in contrapposizione alla “filosofia del diritto dei filosofi”, praticata da coloro che ritengono di poter ricavare soluzioni sistematiche e definitive dall’analisi del reale, è ricondotta, nel saggio di Patrizia Borsellino, all’adesione al metodo teorico kelseniano. Quest’ultimo insiste sulla distinzione tra fatti e valori e si combina con un approccio analitico-linguistico frutto anche dell’appartenenza alla Scuola analitica di Filosofia e Teoria generale del diritto di Torino, animata da un approccio giuspositivistico (cfr. pp. 34-37). È in tal modo che la avalutatività e la scientificità del metodo di Bobbio si pongono come contraltare di una scelta che invece, a livello ideologico, non rinuncia mai ad attribuire alla filosofia un ruolo anche prescrittivo (esemplificato dall’adesione, tra gli anni Sessanta e Settanta, al divisionismo, che fornisce le ragioni per incardinare la teoria bobbiana del diritto entro un panorama di positivismo metodologico). Argomentando a favore di un’interpretazione dell’opera di Bobbio che non percepisca una tensione conflittuale tra la metodologia analitica e la filosofia militante, Fabrizio Mastromartino illustra gli elementi che ne scolpiscono una “equilibrata combinazione, una loro armonica integrazione” (p. 50), ponendo l’accento su quella «terza via», nel rapporto tra politica e cultura (studiato da Bobbio nell’omonima opera pubblicata nel 1955), che rifiuta sia la cultura apolitica sia quella politicizzata. Proprio su questo fronte, infatti, Mastromartino aiuta a comprendere l’idea del filosofo torinese sul ruolo degli intellettuali, che a livello biografico si gioca anche nel tentativo di mediazione tra le istanze liberali e quelle socialiste. Nel complesso i diversi saggi, pur affrontando molti dei temi di cui si occupò Bobbio nella sua vastissima produzione, si intersecano con buon equilibrio, ricalcando vari aspetti topici. Tra questi, il tema della politica della cultura diviene una delle chiavi di volta dell’opera. È grazie al contributo di Alessio Panichi che si comprende appieno il “debito” di Bobbio nei confronti di Benedetto Croce, sulla falsariga del quale il filosofo torinese fa leva sul ruolo di responsabilità degli intellettuali nei confronti della società (p. 194). Non solo: è studiando il pensiero di Croce che Bobbio giunge all’assunto per il quale le istituzioni liberali sono altro dall’ideologia che le ha fatte nascere, tanto da affermare che le prime sono, in realtà, adattabili ad ideologie anche non strettamente liberali. È questo il nodo che scioglie il “paradosso” del Bobbio “socialista liberale”, gettando le basi per il suo tentativo di sintesi tra il valore della libertà e quello dell’eguaglianza. Proprio sui valori di libertà ed eguaglianza, Mauricio Maldonado Muñoz mira a rischiarare, grazie al metodo bobbiano della distinzione, le confusioni terminologiche e contenutistiche cui essi sono soggetti. Se la democrazia dei moderni è dal Bobbio “intellettuale rigoroso” concepita solo in senso giuridico-istituzionale come un insieme di norme, seguendo un approccio formale-procedurale, è il Bobbio “militante” a sottolineare l’esistenza di un’altra concezione della democrazia, di tipo sostanziale (o etico-materiale), fondata sulla necessità di attuazione dei principi di eguaglianza e libertà (cfr. pp. 83-89). Per ciò che concerne l’approccio formale, fa notare Bobbio, è bene intendersi: esso si basa su una regola, quella della maggioranza, soggetta a limiti di validità e di applicazione, dipendenti anche dall’esistenza dei diritti (cfr. pp. 89-95); è proprio l’esistenza di tali limiti che, come nel gioco degli scacchi, consente di “distinguere chi sta giocando da chi sta, invece, barando” (p. 96). Tuttavia, come è ben rilevato nel contributo di Federica Martiny, l’osservanza di tali regole “non rende di per sé uno Stato realmente democratico, ma l’inosservanza anche solo di una basta a renderlo non-democratico” (p. 71). Postulando come dato di partenza l’impossibilità di un ritorno alla democrazia diretta, impraticabile negli Stati moderni, Bobbio si schiera dunque per la democrazia rappresentativa “del mezzo buono”, che fonda la bontà del risultato a partire dall’adozione di procedure corrette (cfr. pp. 75-78). Di grande rilievo è poi l’attenzione che Bobbio dedicò al tema del pacifismo giuridico, tant’è che egli viene individuato da Federico Olivieri come “il primo che negli anni della Guerra fredda ha inserito a pieno titolo questo punto nell’agenda della filosofia giuridica e politica italiana” (p. 97). Mettendo a fuoco le dimensioni epistemologica, metodologica, normativa e socio-culturale nella sua elaborazione, Olivieri ci presenta un Bobbio non solo moralmente contrario alla guerra, bensì anche propositivo rispetto ai contenuti di diritto internazionale volti all’inquadramento delle relazioni tra Stati come nello “stato di natura” e alla limitazione, a livello normativo, del fenomeno bellico internazionale. L’interprete non condivide però alcuni degli esiti della riflessione bobbiana, poiché aprirebbero alla creazione di un “super-Stato” nella comunità internazionale come rimedio alle insufficienze del modello delle Nazioni Unite (p. 110). Lo sguardo al panorama internazionale apre alla questione dei diritti umani, che portò Bobbio ad una profonda riflessione sull’universalità dei diritti e alla ricerca del loro fondamento, individuato nel «consensum omnium gentium» più che in un principio di carattere assoluto. Con la “rivoluzione copernicana” (p. 122) che si apre in seguito alla positivizzazione dei diritti umani (grazie alla Dichiarazione del 1948), si pone in essere un importante passaggio, nel rapporto tra governanti e governati, ad una prospettiva «ex parte populis»; tuttavia ciò non risolve il problema dell’adozione di un punto di vista occidentale ed imperialistico (come ha rilevato, tra gli altri, Danilo Zolo: p. 128), ciò che porta Marianna Nobile a mettere a confronto il pensiero di Bobbio con la «thin theory» di Michael Ignatieff, riproponendo le critiche avanzate al minimalismo dei diritti. In ogni caso l’accordo sui contenuti dei diritti umani, evidenzia Michele Zezza, si raggiunge in Bobbio con l’adozione di una neutralità etica come metodo (p. 141), ritornando a quella separazione tra essere e dover essere prospettata a livello filosofico dalla legge di Hume: ciò permette di cogliere, ancora una volta, la distinzione tra scienza e ideologia che richiama la duplice dimensione, intellettuale e civile, del pensiero di Bobbio. A continuazione del ragionamento sul metodo, Natalina Stamile propone una riflessione sul razionalismo etico, nel quale Bobbio individua sia una ragione teoretica sia una pratica che permette di accedere all’elemento morale (p. 165); tuttavia, nel caso concreto, è arduo scindere queste due componenti, giustificandosi così nuovamente l’adozione di un metodo analitico che, nella scelta tra i giudizi di valore e quelli di validità (sulla falsariga del modello kelseniano), dà mandato al giurista di propendere per i secondi a scapito dei primi. A carattere più tecnico sono le riflessioni sviluppate nei contributi sulla logica giuridica in Bobbio. Federico Faroldi si oppone alla tesi della norma-proposizione, illustrando come propendere per l’adozione di un criterio di esistenza e normatività come non-proprietà della norma giuridica, in correlazione alla scelta per l’astrattezza, spieghi meglio alcuni caratteri delle norme stesse (p. 174). Sul fronte della legge generale di validità del ragionamento per analogia (p. 179), invece, Emil Mazzoleni riapre la querelle di Amedeo Giovanni Conte che, in opposizione a Bobbio, propendeva per la definizione dell’analogia quale mezzo interpretativo che determina un’identità di effetti giuridici e non di fattispecie normative. Pur divergendo sugli esiti, si rileva, anche in questo caso, il rigore bobbiano nel tentativo di ricostruzione degli argomenti e delle giustificazioni teoriche adottate dalla logica giuridica per distinguere tra analogia e interpretazione estensiva. In conclusione, si può affermare che l’obiettivo dell’opera di una ricostruzione dei principali elementi del rigore intellettuale e dell’impegno civile in Bobbio è pienamente raggiunto, così come quello di fornire buoni argomenti per invitare anche i più giovani alla lettura dei suoi scritti.