2005

T. Sandler, Global Collective Action, Cambridge University Press, New York 2004, pp. xiii-299, ISBN 0 521 83477 5 (hardback), 0 521 54254 5 (paperback)

Immaginiamo che il prossimo vertice del G8 crei una International Financial Facility che, indebitandosi sui mercati, possa convogliare risorse adeguate verso i paesi più poveri del pianeta. Come potrebbe essere rifinanziato il debito contratto? Come si potrebbe garantire la stabilità nel tempo del flusso di risorse? Supponiamo che sia introdotto il prelievo di un dollaro su ogni biglietto aereo acquistato: ne vengono emessi tre miliardi all'anno. Aggiungiamo il prelievo di un centesimo su ogni sms inviato: sono centinaia di milioni al giorno. Concludiamo col prelievo di dieci centesimi su ciascun pagamento effettuato nel mondo con carta di credito. Quello che abbiamo realizzato non è una tassa, bensì un accordo privato tra le compagnie aeree, tra gli operatori della telefonia mobile, tra i gestori di carte di credito. Le immani difficoltà che incontrerebbe qualsiasi forma d'imposizione internazionale sarebbero evitate. I governi nazionali dovrebbero soltanto esentare da prelievi fiscali i fondi così raccolti. Si tratterebbe di misure impercettibili per chi le subisce, e quindi tali da non alterare il funzionamento dei mercati. Esse genererebbero un flusso rilevante e duraturo di risorse, rendendo generale ed automatica la fonte d'approvigionamento per il contrasto alla povertà. Infine, una simile operazione non esigerebbe il consenso preventivo di tutti le imprese coinvolte, né di tutti i paesi del Nord del pianeta. Potrebbe bastare l'accordo iniziale tra, ad esempio, le cinque maggiori compagnie telefoniche, oppure un avvio dell'esenzione fiscale da parte della sola Unione Europea, per sollecitare una probabile adesione di altri. Se infatti si soppesano da un lato i ridotti vantaggi competitivi che un'impresa o una nazione ricaverebbe dal non partecipare all'iniziativa; e, dall'altro lato, il potere negoziale e la positività d'immagine che essa riscuote dall'adesione, ci si rende conto come spesso la bilancia inclini a favore dei ... più nobili sentimenti umanitari.

Questa proposta è stata, più o meno nei termini che precedono, formulata di recente da Jacques Chirac (ho seguito l'esposizione di Marco Panara). La sua logica è quella su cui s'impernia l'intero libro di Todd Sandler. L'autore è un economista di grande fama, autore di alcuni dei contributi analiticamente più raffinati alla teoria dei beni pubblici, dei beni di club e delle esternalità. Il suo prestigio è poi lievitato negli ultimi anni come pioniere dell'analisi economica del terrorismo transnazionale. Ma Sandler è soprattutto il più brillante allievo di Mancur Olson, la cui Logica dell'azione collettiva costituisce una delle opere di scienza sociale più influenti dello scorso secolo. In estrema sintesi, qual è l'operazione che Sandler effettua rispetto al contributo del maestro? Olson collocava il formarsi dell'azione collettiva entro uno schema d'interdipendenza noto come dilemma del prigioniero. Immaginiamo un bene pubblico e dieci potenziali contribuenti. Ciascuna unità del bene fornisce 10 euro di benefici sia a chi la finanzia sia, dato il requisito d'indivisibilità del bene, a quelli che non la finanziano. Se ogni unità del bene richiede 15 euro di contributo, il guadagno netto della partecipazione di un solo soggetto è - 5 (10 - 15) euro, mentre il guadagno netto dell'astensione degli altri nove soggetti è pari a 10 euro per ciascuno. Indipendentemente da quanti soggetti contribuiscono, chi si astiene risparmia 5 euro e quindi s'avvantaggia. Se tutti i dieci soggetti sono nella stessa situazione, a nessuno conviene contribuire, il bene pubblico non viene prodotto e il benessere collettivo non migliora. Se invece tutti partecipassero al finanziamento, ognuno guadagnerebbe 85 euro derivanti dai 100 euro di benefici espressi dalle dieci unità di bene pubblico, meno i 15 euro del proprio versamento. La razionalità collettiva suggerisce a tutti di collaborare, mentre la razionalità individuale valuta più economica la defezione. Dentro questo schema, un esito cooperativo spontaneo non è possibile. Sandler obietta che possiamo invece prendere le mosse da schemi strategici differenti. Due, in particolare, possono essere così presentati. Immaginiamo, come nell'assurance game, che due paesi debbano decidere se produrre un bene pubblico comune. Ognuno riceverebbe dalla produzione del bene un vantaggio pari a 12, affrontando un costo pari ad 8. Il suo beneficio netto sarebbe dunque di 4. Ma questo bene è tale che la sua produzione minima è di due unità. Se dunque un paese ne produce una sola unità, il beneficio ricavato è 0 e la perdita -8. Ne segue che quando un paese coopera, all'altro conviene cooperare; mentre quando l'uno si astiene, anche l'altro ha ragione di astenersi. Oppure supponiamo, come nel chicken game, che due paesi debbano decidere se salvaguardare o meno un bene pubblico comune già esistente: l'aria pulita. Il contributo di ciascuno per ridurre l'inquinamento costa 8 e fornisce un beneficio di 6. Se invece un paese dovesse fruire dello sforzo isolato dell'altro, otterrebbe 6 senza pagare nulla. Quando entrambi i soggetti s'impegnano, ricavano ognuno un vantaggio netto di 4 (= 6 x 2 - 8). Ma la novità significativa riguarda la situazione eventuale in cui i due paesi dovessero astenersi: la conseguenza non sarebbe stavolta la semplice mancata produzione del bene pubblico, bensì il deteriorarsi della qualità dell'aria respirata da tutti (con un danno pari, supponiamo, a -5). Lo status quo appare pertanto a ciascun paese peggiore rispetto al finanziare da solo il disinquinamento. L'impegno verso il bene pubblico emerge come l'opzione più conveniente: meglio perdere -2 agendo individualmente, che sopportare - 5 defezionando.

Come si può intuire dai cenni fatti, il proposito di Sandler è di cogliere e analizzare quelle situazioni nelle quali la cooperazione può insorgere non dal contributo attivo di tutti, bensì dalla convenienza adeguata di pochi, al limite di uno soltanto. Tali situazioni gli appaiono quelle che possono sbloccare l'impasse nell'offerta e nell'allocazione dei beni pubblici globali. Nel capitolo finale del libro, l'autore ci informa che da alcuni anni ha scelto d'insegnare soprattutto Relazioni internazionali, importando in questa disciplina il suo bagaglio di economista. E che i suoi nuovi colleghi gli hanno spiegato che il suo approccio merita l'appellativo di "realista". Le nazioni rimangono infatti gli agenti principali. Occorrerebbe per Sandler limitarsi a creare un'infrastruttura sovranazionale che possa facilitare il coordinamento internazionale. Alcuni degli ingredienti essenziali di questa infrastruttura già esistono: l'Onu provvede una sede per gli incontri tra le parti, mentre Intelsat e altri networks uniscono il mondo sotto il profilo della comunicazione. Andrebbero aggiunte:

  • Una forza transnazionale permanente di peacekeeping.
  • Un'autorità fiscale che provveda, direttamente o meno, al finanziamento e all'offerta di beni pubblici globali. Le nazioni tendono a salvaguardare la loro sovranità fiscale; dunque questa è un'istituzione non facile da edificare. Nondimeno, proprio l'esplicita specificità dei suoi compiti può renderla attuabile. Inoltre, come si è visto all'inizio, possiamo introdurre forme di prelievo automatiche e privatamente pattuite.
  • Un Tribunale internazionale dei diritti umani. Esso giudicherebbe casi che la maggioranza della comunità internazionale reputa importanti. Il verdetto dovrebbe essere reso obbligatorio per la parte perdente, anche mediante una forza militare (quella considerata al primo punto). Più adeguata sarà tale forza, minori saranno le occasioni in cui utilizzarla: rappresenterà infatti una minaccia credibile.
  • Un istituto di ricerca multidisciplinare, incaricato di monitorare con continuità i problemi ambientali, della salute e della sicurezza. I fondi di finanziamento di tale istituto devono essere indipendenti dalle pressioni politiche e nazionali.

Qui mi fermo. Non è stata mia intenzione discutere i pro e i contro dell'importante libro di Sandler, bensì unicamente di introdurre qualche motivo per stimolarne una lettura diretta.

Nicolò Bellanca