2008

E. Rigo, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata, Meltemi, Roma 2007, ISBN 88-8353-527-8

Nel suo recente Welcome to Schengenland. Per un'analisi critica dei nuovi confine europei (in S. Mezzadra, a cura di, I confini della libertà. Per un'analisi politica delle migrazioni contemporanee, Roma, Deriveapprodi, 2004, pp. 51-80) William Walters ha mostrato come nel dispositivo confinario allestito nello spazio dell'Europa di Schengen si sovrappongano vecchie e nuove strategie di controllo governamentale la cui razionalità programmatica è finalizzata ad uno scopo comune: quello biopolitico di regolare produttivamente la presenza della popolazione migrante all'interno dello spazio politico europeo secondo una duplice direttrice. In primo luogo, con un sapiente lavoro di setaccio, si tratta di limitare al minimo gli elementi eccedenti, e cioè quelle che Zygmunt Bauman ha chiamato le "vite di scarto" che abitano le nostre città; al contempo, praticando l'antica arte dell'imbrigliamento, occorre mettere al lavoro il desiderio di emancipazione che aveva inizialmente spinto i migranti a partire. Il loro desiderio di libertà, convertito in forza-lavoro, dovrà essere funzionalizzato al potenziamento dell'economia di un'Unione Europea intesa come area nevralgica dell'economia globale.

Richiamando l'analisi di Walters, anche Enrica Rigo nei suoi recenti lavori (ad esempio in Ai confini dell'Europa. Cittadinanze post-coloniali nella nuova Europa allargata, in S. Mezzadra, a cura di, I confini della libertà. Per un'analisi politica delle migrazioni contemporanee, Roma, Deriveapprodi, 2004) concepisce i nuovi confini d'Europa come un complesso dispositivo di potere-sapere attivato sul territorio europeo con il fine di supportare e legittimare un determinato ordine gerarchico. Con un'ottica particolarmente attenta agli aspetti giuridici, alla mobilità agita dai migranti e alle nuove modulazioni pratiche e teoriche della cittadinanza e della governamentalità, Rigo indaga la funzione produttiva del confine. Innanzitutto evidenzia come i processi di deterritorializzazione dei confini europei incrinino l'unità tra legge e sovranità che ha contraddistinto l'intera vicenda del moderno stato-nazione: ora le modalità del potere sovrano si riconfigurano assegnando un ruolo parzialmente inedito ad attori sia pubblici che privati. Come tutti i dispositivi confinari, i nuovi confini d'Europa determinano l'assetto immediato dei rapporti sociali, stabilendo una forte asimmetria tra chi abita lo spazio-Schengen e chi ne sta al di fuori. Proprio per questo, per Rigo, è importante mostrare come i confini costituiscano il punto di fragilità delle ambizioni universalistiche che la nuova Europa, continuando a prospettare un modello di appartenenza fondato sui diritti universali, eredita in forme diverse dallo Stato moderno. A ben vedere, infatti, l'esito più o meno universalistico di quella che Zygmunt Bauman ha recentemente definito l' "avventura europea" (L'Europa è un avventura, Roma-Bari, Laterza, 2006) dipenderà anche dalla partita che si gioca sui confini: il modo in cui verrà edificato il dispositivo confinario sarà infatti decisivo per stabilire il discrimine tra chi godrà dei diritti di cittadinanza e chi, pur risiedendo sul territorio europeo, ne resterà escluso.

In Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata, Rigo si propone di investigare le dinamiche trasformazioni dello spazio politico europeo a partire dalla dialettica tra l'estensione del composito ordinamento giuridico comunitario - fondamentale per l'indirizzo che concretamente assumono le legislazioni e le giurisprudenze nazionali - e la persistenza degli ordinamenti nazionali, il cui superamento non è affatto all'ordine del giorno - con buona pace delle retoriche sulla fine dello stato-nazione. A partire dalle metamorfosi del diritto - là dove questo si rivela importante per la trasformazione dei rapporti sociali e delle gerarchie - e del suo ruolo nelle politiche europee di controllo dell'immigrazione, Rigo indaga le dinamiche aperte del processo europeo di costituzionalizzazione materiale dell'Europa attualmente in corso. Rendendo conto di come il recente allargamento dell'Ue incida sulla sua Verfassung, l'autrice cerca di descrivere le vesti nuove della cittadinanza europea, intesa come un dispositivo di inclusione/esclusione che porta in sé la cifra degli effetti prodotti dal funzionamento dei confini esterni di "Schegenland". Rigo ricorda che quello della cittadinanza è un dispositivo oltremodo complesso, niente affatto modellato sul solo schema della cittadinanza nazionale. A tale proposito, citando gli importanti lavori di Rainer Bauböck, sottolinea che, anche se per il Trattato di Maastricht è cittadino dell'Unione solo chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro, la cittadinanza europea mostra di possedere una capacità inclusiva che può parzialmente prescindere dall'appartenenza nazionale. Alcuni diritti, infatti, sono fruiti anche da chi non è formalmente cittadino: sia pure in modo limitato, i migranti regolarmente residenti possono, ad esempio, circolare all'interno dello spazio Schengen e per i cittadini dei paesi terzi residenti da lungo in uno dei paesi membri è stato recentemente esteso il diritto a stabilirsi in un diverso paese dell'Unione.

L'analisi dell'allargamento permette a Rigo di mettere a fuoco la complessità del processo di costituzionalizzazione materiale dell'Europa, in cui l'elemento sovranazionale e quelli statuali giocano un ruolo complementare. In altri termini l'autrice mostra come l'Europa che viene, espandendosi territorialmente, continui significativamente a comprendere e a portare con sé i confini degli Stati. L'allargamento, infatti, non ha solo ridefinito le frontiere esterne, ma ha anche rafforzato i confini nazionali proprio in virtù delle riforme delle singole legislazioni in materia di immigrazione, ridefinendo completamente, ad esempio, il regime dei visti. Per il nuovo regime normativo, infatti, i cittadini dei paesi terzi devono possedere un visto non solo per entrare nell'area dell'Ue, ma anche per varcare il confine dei paesi candidati. Ne è seguita una chiusura dei confini a cui molti dei paesi interessati hanno reagito con l'adozione delle cosiddette "leggi di status". Su base sostanzialmente etnica, queste garantiscono alle proprie minoranze residenti in paesi stranieri uno status di semi-cittadinanza nei paesi d'origine. E' quanto accade, ad esempio, agli ungheresi di Romania o Ucraina, per i quali era divenuto molto difficile muoversi tra le nuove frontiere. Pur non essendo direttamente riconducibili al diritto comunitario, secondo Rigo le leggi di status sono leggi europee poiché, pur dimostrando che i processi di europeizzazione non prevedono necessariamente un indebolimento di quelli che edificano le nazioni, "«reagiscono» ai meccanismi di governo della circolazione dello spazio europeo" (p. 94).

Rigo sottolinea anche che quello dell'Europa non è uno spazio meramente territoriale e che la sua comunità giuridica non è rigidamente riterritorializzata da criteri super-nazionali: lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo, istituito con il Trattato di Amsterdam del 1999 (con il quale peraltro gli accordi intergovernativi di Schengen hanno acquisito il titolo di legge comunitaria), non equivale alla semplice somma dei territori nazionali. L'autrice lo definisce "uno spazio di circolazione e circolato" che prende forma attraverso la comunitarizzazione delle politiche migratorie e la creazione di un diritto comune per chi vi entra dal suo esterno. La sua efficacia politica dipende sì parzialmente da quella degli Stati membri, che continuano ad esempio a fissare le quote d'ingresso per i lavoratori stranieri, ma anche e soprattutto dal modo in cui un esercizio del potere sovrano condiviso tra attori diversi posiziona la spazialità europea rispetto a quella che lo circonda. Citando la ratio programmatica del Consiglio Europeo di Siviglia del 2002, in cui si enfatizza il ruolo delle migrazioni tra Sud e Sud, Rigo osserva che uno degli obiettivi principali di questo spazio di circolazione è quello di gestire la mobilità del lavoro migrante nei paesi, e tra i paesi, in cui l'Unione europea ha gli interessi più significativi, soprattutto quelli confinanti. A tal fine viene costituito un dispositivo di spazi di circolazione gerarchizzati che permette ai paesi centrali di governare dinamicamente i flussi migratori. Non si tratta di bloccare o reprimere i movimenti dei migranti ma, al contrario - poiché lo spazio governato dall'Europa è lo stesso che i migranti definiscono con i loro attraversamenti -, di modellare lo spazio politico e giuridico europeo proprio a partire dalla loro esistenza e dalla libertà che puntualmente agiscono attraversando i confini: con Michel Foucault, Rigo sostiene la tesi secondo la quale il potere si esercita governando produttivamente la libertà. Il potere del confine, cioè, è innanzitutto la produttiva capacità di dirigere e funzionalizzare la mobilità e le condotte dei viventi.

Per visualizzare i lineamenti fondamentali dell'intero processo, Rigo ne indaga alcune fasi a partire dall'ingresso di dieci nuovi paesi nell'area dell'Ue avvenuto nel 2004 e sceglie di analizzare i casi di Polonia e Romania, nonché quello della Bulgaria, il cui ingresso nell'Unione risale al 2007 ed è successivo al suo studio. La scelta degli esempi dipende dalla loro capacità di mostrare come i confini d'Europa si spingano, anche geopoliticamente, oltre la loro demarcazione territoriale convenzionale. Ma quei casi permettono anche di esemplificare la dialettica tra il livello giuridico comunitario e quello nazionale e di visualizzare al meglio il processo di diffusione ed esportazione dei confini europei. Entrando a far parte dello spazio sicuritario europeo, quei paesi hanno recepito l'acquis Schengen nelle loro legislazioni in materia di controllo della mobilità migratoria, riproducendo così la logica escludente dei confini d'Europa entro i propri ordinamenti nazionali, come già gli altri stati membri avevano fatto in precedenza. Hanno infatti dovuto armonizzare l'autorizzazione all'ingresso, al soggiorno e al lavoro e introdurre un regime amministrativo per espulsioni, rimpatri e detenzione. Del resto, il recepimento dell' acquis Schengen è solo l'ultimo passo di un ben più lungo processo attraverso cui, sin dagli accordi di Schengen e Dublino, gli Stati di confine sono stati attivamente integrati al nuovo concetto di "frontiere comuni". In cambio di un più favorevole regime dei visti per i propri cittadini, quei paesi sono stati da subito forzati a limitare il transito dei migranti sui propri territori, a riammettere quelli respinti dagli Stati membri e a farsi carico, come "paesi terzi sicuri", di gran parte dei rifugiati e richiedenti asilo che cercavano di penetrare all'interno dell'area Schengen.

L' europeizzazione delle politiche migratorie di questi paesi, ma anche di quelli della sponda sud del Mediterraneo, coincide insomma con un grande processo di esternalizzazione dei dispositivi di governo delle migrazioni e, in ultima analisi, con una forte spinta alla deterritorializzazione dei confini d'Europa. I confini si fanno mobili e vengono deputati alla messa in forma e alla difesa del nuovo ordine europeo, spesso in nome di una sicurezza nazionale e comunitaria che, a seconda dei bisogni del sistema, apre e chiude spazi al diritto di libera circolazione. E lo fa secondo la logica reticolare e coordinata di Schengen, per cui i concetti di "ordine pubblico" e di "sicurezza" attivati da alcuni stati membri vengono progressivamente trasferiti in ciascuno degli altri: anche in Polonia, Romania e Bulgaria - per tornare ai casi di studio presentati nel volume -, che nelle loro legislazioni nazionali hanno recepito la nozione comunitaria di "stranieri indesiderati", vero e proprio negativo su cui viene misurata la positività di ogni nuovo ordine interno. Per Rigo questo è un nitido esempio di come quello europeo non sia uno spazio giuridico semplicemente post-nazionale: pur sottraendo "i confini dell'appartenenza europea [...] all'ambito geografico che perimetra gli stati membri", deterritorializzandoli, esso infatti "si presenta come il precipitato dei diversi livelli nazionali" (ivi, p. 129). In altri termini, negli anni '90, con il principio dei paesi terzi sicuri, gli accordi di riammissione, i rimpatri in massa di irregolari e asilanti, la polizia a distanza del sistema dei visti, il principio della condizionalità migratoria (sulla base del quale vengono riservate quote di ingressi legali ai paesi che collaborano nella lotta alle migrazioni "clandestine" e al rimpatrio dei migranti in transito) si è avuto un irrigidimento delle politiche migratorie europee. Questo si è presto diffuso a domino nei paesi dell'Europa centro-orientale e in quelli con essi confinanti, che sono entrati a far parte di una zona cuscinetto sorta principalmente per respingere richiedenti asilo e migranti in transito. Si è così costituito un dispositivo transnazionale a cerchi concentrici per l'espulsione degli stranieri: un dispositivo che ha come terminali intermedi i paesi dell'Europa centro-orientale e che produce vincoli per paesi collocati ben aldilà dei confini ufficiali dell'Ue. Simili dinamiche mostrano come il confine non sia più un semplice limes ma diventi il luogo di una sovranità condivisa, in virtù della quale la capacità di gestione e regolazione della circolazione viene fortemente accresciuta. E se è vero che sono i migranti ad attivare il dispositivo confinario con la rivendicazione e la pratica del diritto alla mobilità - una mobilità materialmente agita -, lo è anche che il confine permette il successivo recupero di quella stessa istanza soggettiva di mobilità: "i confini consentono una «messa a valore» della mobilità delle persone" (p. 139).

E' ciò che appare chiaramente se si analizza quella che Rigo definisce la "funzione di differenziazione" svolta dai confini interni dell'Europa, entro i quali prende forma una gestione sempre più amministrativa delle posizioni giuridiche degli stranieri, a discapito delle garanzie offerte dal diritto penale e dal controllo giurisdizionale delle procedure. I migranti, così, rivestono uno status differenziato rispetto a quello dei locali. Analizzando le legislazioni polacche, rumene e bulgare, Rigo mostra come la logica giuridica che si sta espandendo a macchia d'olio nello spazio dell'Ue sia quella che sottopone chi trasgredisce le norme sui confini alla detenzione amministrativa e all'espulsione. Siamo di fronte ad un'estensione progressiva dell'uso della tipica sanzione applicata ai non-cittadini: il bando dall'ordine sociale e il marchio della non appartenenza differenziano ormai costituzionalmente i migranti dagli europei. Per Rigo, infatti, in questo modo ciò che viene punito non è una trasgressione della legge, ma il fatto di essere fuori posto rispetto all'ordine giuridico. E in questo senso, il confine europeo fa davvero la differenza. Una differenza che si dà a vedere anche nella condizione di transitorietà indefinita nella quale, con modalità diverse, si trova a vivere ogni migrante. L'attesa per l'autorizzazione all'ingresso nel paese ospite; il tempo necessario per ottenere la residenza; il margine necessario per la successiva naturalizzazione; le persistenti norme che limitano i diritti di cittadinanza di chi proviene dai paesi candidati: sono tutte regole che parlano di come i confini continuino a limitare anche temporalmente l'accesso alla cittadinanza europea, imponendo ai migranti di viverla come una meta da raggiungere solo dopo una fase transitoria dalla durata speso indefinibile. In altri termini, anche temporalmente, sono le biografie di donne e uomini dalla mobilità limitata a portare con sé i confini nel cuore dell'Europa. E ciò perché le vite dei migranti vengono marcate da confini temporali e tempi di attesa che definiscono il loro status giuridico secondo una transitorietà che tende a non terminare.

Anche questo però avviene secondo una logica da "sala di attesa" che differenzia diacronicamente le posizioni dei singoli gruppi di migranti. Rigo sottolinea infatti che, in seguito ai vincoli che continuano a limitare la loro libertà di circolare nell'Ue per motivi di lavoro, i cittadini dei nuovi paesi membri possono essere considerati semi-cittadini. Ma osserva anche che i membri dei paesi candidati all'allargamento hanno già qualche privilegio in più dei cittadini di paesi non europei. Con le cosiddette leggi di status, poi, è stato attivato un altro, seppur labile, livello dell'appartenenza europea. L'attivazione dei confini europei all'interno dell'area dell'Ue dà insomma forma ad un dispositivo che assegna "a ogni status differenziato dell'appartenenza europea [...] una posizione in un ordine gerarchico di relazioni" (p. 153). E' in questo senso che, sulla scia delle importanti analisi di Etienne Balibar, Rigo può affermare che la costruzione e il funzionamento dei confini d'Europa non sono esclusivamente relative ai suoi margini ma riguardano la ridefinizione della sua prassi di governo. Diventa allora chiaro come il confine, colto nei processi che segnano la sua progressiva deterritorializzazione, debba essere considerato un dispositivo centrale della nuova governamentalità europea. Il confine è quella macchina inclusiva e differenziante, oltre che escludente e discriminatoria, tramite cui i limiti esterni della cittadinanza vengono piegati ed iscritti all'interno dei territori, dove prende forma il partage tra cittadini e sudditi.

La figura e la vita dei migranti, però, non sono riducibili a una simile oggettivazione, prodotta da quella che nella sua bella prefazione al volume Etienne Balibar definisce una "macchina di differenziazione". Come si è detto, infatti, per Rigo i migranti sono parte integrante del processo di edificazione dei nuovi confini europei: non sono collocabili al suo esterno, ne rappresentano invece la critica vivente. Nell'Europa postcoloniale il ruolo dei migranti nella definizione della cittadinanza è perciò centrale. Oltre a mantenere viva la memoria del dominio europeo, infatti, contestano quelle sue nuove forme che proprio i confini tendono a naturalizzare sancendo l'inclusione differenziale dei migranti - il loro "posto" - nell'ordine politico, giuridico e simbolico dell'Europa. Quel "posto" viene rimesso in discussione proprio dal gesto di attraversamento continuo dei confini che, con l'esercizio della libertà di movimento - una libertà tutta europea -, manifesta le implicite dinamiche di potere connesse al modo di produzione del nuovo ordine europeo. Di quel nomos il gesto di chi migra rifiuta implicitamente le norme, esibendo al contempo la richiesta di "giocare secondo quelle stesse regole di diritto" - scrive Rigo - che sanciscono il limes della cittadinanza europea.

A maggior ragione ciò vale per i cosiddetti clandestini, che l'autrice definisce con felice paradosso "cittadini illegali". Anche se sono oggettivati attraverso un sapiente processo di clandestinizzazione all'interno del mercato del lavoro europeo come lavoratori inclusi di fatto, ma sempre passibili di espulsione qualora cessi la loro funzionalità sistemica, essi esercitano infatti una libertà di movimento che rappresenta una critica materiale delle norme che demarcano sia gli spazi sociali dei nazionali e degli stranieri, sia gli assetti giuridici ordinari della cittadinanza europea in costruzione. Quello che con la loro semplice presenza i migranti, regolari o clandestini che siano, mettono in discussione è un "monopolio performativo della cittadinanza [che] ha, come suo corollario, l'esclusione dei non cittadini" (p. 70-71). La logica di quel monopolio vuole che gli elementi disfuzionali siano eliminati dal diritto che - come Rigo sostiene sulla scia del Luhmann de I diritti fondamentali come istituzione - si impone qui come norma preposta a stabilire confini e ad escludere l'eccedenza.

I "cittadini illegali", allora, danno forma empirica e concreta ad un'evidenza giuridica sistematicamente misconosciuta: nessun uomo è illegale, nemmeno quando diviene irrilevante per i dispositivi di potere-sapere. E' un'evidenza che sta al cuore delle campagne di rivendicazione dei diritti che negli ultimi decenni hanno interessato lo spazio politico europeo dando forma di mobilitazione a quell' esercizio illegittimo della cittadinanza in nome del quale vengono sottoposte a critica sia le norme sull'ingresso nel territorio comunitario, sia la discriminazione politica e giuridica tra i cittadini e i migranti. Poiché con la loro presenza evidenziano la valenza discriminatoria del confine, e poiché varcandolo si fanno largo entro lo spazio europeo, i migranti non si limitano ad una contestazione reattiva dei confini, ma richiedono di rinegoziarli: letteralmente li superano, trasgredendone il tracciato e modificando le regole del gioco. Proprio perché "illegali" - scrive Rigo -, i migranti sono "cittadini dell'Europa che ne contestano le regole: le regole e le gerarchie degli spazi di circolazione" (p. 216). Infatti essi accampano la pretesa di condividere lo spazio politico europeo rivendicando la titolarità dell'esercizio del diritto di avere diritti, richiedendo implicitamente - e talvolta esplicitamente - la modificazione in senso progressivo della macchina giuridica, rimettendo così in discussione ogni sua successiva chiusura riterritorializzante.

Ad essere in gioco nella prassi reiterata della cosiddetta clandestinità è dunque il modo in cui le istituzioni comunitarie, gli stati ed altri soggetti pubblici e privati stanno ri-configurando i confini e la cittadinanza in Europa. Quest'ultima non è affatto già data. Al contrario si configura come una posta in gioco, un dispositivo in fieri che è al contempo un terreno su cui agire la critica e la domanda di riconoscimento. La sua costituzionalizzazione è in corso e prende forma in un processo ovviamente determinato dai reali rapporti di forza. Ma, in ogni caso, gli abiti nuovi della cittadinanza europea dipenderanno anche dai movimenti dal basso dei migranti e dei cittadini illegali.

Alessandro Simoncini