2005

F. Raimondi, M. Ricciardi (a cura di), Lavoro migrante. Esperienza e prospettiva, DeriveApprodi, Roma 2004, ISBN 88-88738-33-9

"Chi fa le pulizie fa lavoro pesante, nocivo. Senza guanti, senza mascherine. Sì, è una cosa che capita spesso. Non sa i suoi diritti. Gli altri gli dicono: "lascia perdere". C'è anche sempre paura. Ci sono tanti lavoratori con contratti di sabato e di domenica, hai capito, soltanto di sabato e di domenica. Cosa fai con sabato e domenica ... otto ore, sette ore. Sono contratti precari. Sono tanti, 14 ore, 28 ore, 35. Noi siamo vecchi, allora abbiamo 40, facciamo quello che vogliamo, ma gli altri no. Se vai contro il capo non lavori tutti i giorni, 40 ore. Fai il contratto ma non arrivi a fine mese. E' un tipo di minaccia [...]" (p. 30).

Uscita nell'aprile del 2004 per DeriveApprodi questa collezione di testi è dedicata al tema del lavoro dei migranti, che viene descritto in differenti realtà italiane. La varietà di approcci, anche tra loro contraddittori, e di situazioni considerate costituisce una caratteristica apprezzabile del volume. In più, quello che sembra il suo aspetto di maggior interesse è il racconto, di sapore quasi etnografico, di diverse storie e di diversi punti di vista, il calarsi nelle differenti realtà italiane, il respirare lo sfruttamento dei deboli e le contraddizioni del lavoro.

Il titolo rivela però una pretesa più ampia, esposta dai curatori nell'introduzione: quella di definire un nuovo concetto di lavoro che è esso stesso migrante. Giocando sulla possibile doppia lettura dei termini, il lavoro dei migranti diviene il paradigma del nuovo lavoro che migra, ormai sradicato dalle garanzie della cittadinanza. Un lavoro flessibile, precario e ricattabile, modello del lavoro contemporaneo. In questa affinità di situazioni e posizioni nei confronti del lavoro tra migranti e non migranti i curatori sembrano rintracciare, o meglio auspicare, una solidarietà ed una lotta comune dei lavoratori che, indipendentemente dalle loro appartenenze etniche, si trovano a patire la medesima situazione di sfruttamento.

Il lavoro migrante sperimenta l'"eccedenza" (sul concetto si può vedere Alessandro De Giorgi, Il governo dell'eccedenza) rispetto al sistema capitalistico che lo ospita. Sostengono Raimondi e Ricciardi: "L'eccedenza prodotta dall'andamento della produzione economica viene così "smaltita" attraverso l'espulsione, cioè "ripulita" di tutti i diritti acquisiti (per quanto pochi fossero) e riportata al punto di partenza, cioè nei campi di raccolta della forza-lavoro migrante gestiti dalle mafie internazionali, che organizzano i "viaggi" sulle carrette del mare o gli esodi transfrontalieri attraverso i varchi a Est, pronta per rientrare in Italia clandestinamente (dato che il provvedimento di espulsione interdice l'entrata regolare per dieci anni)" p. 16.

Le norme dettate dalla legislazione italiana (da ultimo la legge Bossi-Fini) ed europea creano e ricreano tale eccedenza. Il "contratto di soggiorno" è l'istituto giuridico che serve a far funzionare il meccanismo attraverso il quale i migranti sono continuamente riprodotti come tali.

Il volume si compone di dieci testi, otto dedicati a ricerche svolte in differenti realtà italiane e due all'immigrazione nel contesto europeo e globale. Il Gruppo ricerca lavoro migrante Torino (Dalla "città fabbrica" alla fabbrica della città) avvicina la questione dei lavoratori migranti inquadrandola nella tematica più generale della "città che cambia". Torino è una città che, contrariamente alla tendenza generale, ha migliorato il suo tasso di occupazione negli ultimi anni e che attrae i migranti, nonostante la crisi dei suoi principali settori di produzione industriale. E' una città piena di cantieri che ne stanno cambiando il volto. In questi cantieri lavorano moltissimi migranti, italiani del sud ed extracomunitari. I migranti sono presenti inoltre come operai nelle piccole e medie manifatture, come manodopera generica nel terziario dei servizi dequalificati (es. trasportatori). Sono in crescita come lavoratori domestici e nei servizi di cura alle persone. Il testo ci offre le cifre dell'immigrazione nel capoluogo piemontese ma soprattutto le voci degli attori coinvolti, prevalentemente migranti.

Per Emilio Quadrelli (Operai. Lavoro salariato e culture immateriali a Genova) parlare del lavoro operaio, della condizione di esistenza dei migranti nelle metropoli occidentali e della condizione di esclusione e marginalità significa necessariamente confrontarsi con le retoriche culturali diffuse nell'attuale società. All'interno di tali retoriche la classe operaia sembra scomparsa, sostituita da altre entità quali la gente, i cittadini, i consumatori, le moltitudini. Tale scomparsa è da collegare al diffondersi dell'idea di immaterialità del lavoro, ma la questione fondamentale è indicata nel grado di legittimazione sociale, in discesa, della figura del lavoratore salariato. Dalle medesime retoriche i migranti sono strettamente associati alla criminalità, per difendersi dalla quale la società ha il diritto di organizzare forme di controllo e di esclusione (Quadrelli cita qui come esempio emblematico le politiche della Tolleranza Zero messe in atto dall'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani). In contrapposizione a tale invisibilità dei lavoratori Quadrelli descrive, attraverso le parole di un operaio edile italiano, le condizioni del lavoro operaio a Genova e il gran numero di migranti impiegati al nero e con bassi salari nel settore edile.

Il migrante sembra incarnare, sostiene ancora Quadrelli, la figura del produttore ideale: su di esso agiscono pratiche repressive e disciplinari (il riferimento è a Foucault) che ne fanno un corpo docile, incapace di resistenza, solidarietà, agire collettivo. Eppure è nella lotta per i propri diritti particolari che s'intravede una possibile via d'uscita.

E ancora si parla delle modificazioni del mercato del lavoro nella provincia di Brescia, letta attraverso la prospettiva della presenza dei lavoratori migranti e delle conflittualità sindacali da questi sviluppate (Felice Mometti. Il laboratorio Brescia). Si racconta di uno sciopero contro la legge Bossi-Fini, promosso dai tavoli dei migranti dei social forum della provincia di Vicenza e largamente partecipato dagli stessi migranti, e delle questioni che questo ha sollevato all'interno del sindacato (Tavolo migranti dei social forum del vicentino. The story is always the same. Lo sciopero senza ricomposizione di Vicenza).

Un'esperienza di partito è raccontata da Paolo Benvegnù e Daniela Ruffini (Il percorso di costruzione della Rete del lavoro migrante tra Padova, Venezia e Rovigo) che narrano di come Rifondazione Comunista abbia organizzato l'opposizione alla legge Bossi-Fini e concludono, con linguaggio di partito, con un giudizio negativo sulle pratiche di trattativa con le questure per il rilascio dei permessi e sulla ricerca di interpretazioni restrittive delle norme.

Il rifiuto della vittimizzazione dei migranti e la qualificazione della migrazione come scelta sono i presupposti da cui parte la Libera Università Contropiani (L'eccezione regolare. Lavoro migrante nelle piccole-medie imprese e nelle cooperative dl bolognese) nella conduzione di una 'inchiesta militante' tra i lavoratori delle cooperative del bolognese, lavoratori che, in quanto scelgono, sono considerabili come soggetti politici.

Ed ancora le condizioni di vita dei migranti impiegati nelle raccolte di pomodori nel Sud (Vito Aita e Alfonso De Vito. Il tempo della raccolta tra Campania e Puglia) e la specializzazione lavorativa su base 'etnica' dell'esperienza siciliana (Maurizio Avola e Sara Giorlando. Modelli di specializzazione etnica locale. L'immigrazione mauriziana e senegalese a Catania).

Il saggio di Saïd Bouamama (Globalizzazione, ricomposizione del capitale e immigrazione) opera un confronto tra il ruolo svolto dall'immigrazione nelle economie nazionali prima del processo di globalizzazione e quello acquisito successivamente ad esso. Bouamama identifica come globalizzazione 'il risultato dello sfruttamento dei nuovi margini di libertà che possiede il capitale dopo la fine del contrappeso costituito dai paesi dell'Est' (p. 118). L'immigrazione, nel mondo globalizzato, serve ad assecondare la perdita di sicurezze dei lavoratori ed a spingerli verso una nuova proletarizzazione.

L'interessante saggio conclusivo, di Serhat Karakayah e Vassilis Tsianos (Il governo delle migrazioni in Germania) ripercorre la storia istituzionale della immigrazione lavorativa in Germania dal secondo dopoguerra ad oggi e focalizza l'attenzione su come il governo delle migrazioni modelli una gerarchia razzista delle chances di vita. Dai visti concessi dalle ambasciate dei paesi di provenienza degli immigrati, dalla metà degli anni '50 del secolo scorso in poi, che servivano ad eludere gli accordi ufficiali sull'immigrazione in cui agli immigrati si garantiva lo stesso minimo contrattuale previsto per i cittadini tedeschi, all'attuale (progetto di) legislazione sull'immigrazione che riforma il regime giuridico degli stranieri abolendo il permesso di soggiorno indeterminato e limita l'ingresso ai lavoratori altamente qualificati, si delinea uno "Stato nazional-sociale". Tale modello 'consiste nello stabilire un governo delle migrazioni, che renda possibile la ricostruzione delle classi dominate come classi disorganizzate' (p. 141). Il fondamento di questa disorganizzazione si trova nel collegamento dei diritti sociali con la cittadinanza e nella configurazione, come conseguenza, di una parte di lavoratori come priva di cittadinanza sociale.

Katia Poneti