2005

R. Ragionieri, O. Schmidt di Friedberg (a cura di), Culture e conflitti nel Mediterraneo, Asterios, Trieste 2003, pp. 422, ISBN 88-86969-62-7

L'approccio di questo volume, che ospita quattordici interventi, si muove tra le relazioni internazionali, la storia della cultura, la storia politica, e l'economia. Ma se il periodo storico oggetto della ricerca è agevolmente definito dalla fine della guerra fredda, dal frazionamento della Jugoslavia e dalla seconda guerra del Golfo, volontariamente indecise e plastiche restano invece altre questioni. Innanzitutto, cosa sia da intendere con la idea stessa di Mediterraneo: ed è questo il primo dei compiti che i due curatori del volume si sono assunti nell'introduzione, attraverso la quale essi collocano teoricamente e metodologicamente la ricerca nel suo insieme.

Il Mediterraneo viene così trattato come «un'area di confine tra regioni diverse, sia dal punto di vista culturale sia da quello strettamente politico-internazionale». Un'area (che non si può propriamente definire una "regione") dai confini pur sempre mobili, elastici, e nella quale oggi si distinguono due complessi di sicurezza: l'Europa e il Medio Oreinte-Nord Africa.

Dal punto di vista interpretativo, la ricerca prende le distanze dalle cosiddette «tentazioni»: quella del «culturalismo», che vuole leggere e spiegare difficoltà e conflitti dell'area sulla base di «una supposta 'non adattabilità' culturale delle rispettive società». Una soluzione che non affronta i problemi dell'impatto dell'ordine economico e politico internazionale sui paesi del "Terzo Mondo", con la difficoltà per questi paesi di adeguarsi ai vincoli economici e politici imposti dal contesto internazionale. Un'altra rilevante tentazione, sovente impiegata dagli studiosi, consiste nell'applicazione un po' meccanica di categorie tratte dalla sociologia del potere weberiana. Con la conseguenza di illuminare tratti importanti delle società mediterranee (come, ad esempio, le tendenze cesaristiche, o i rapporti clientelari) senza però offrire spiegazioni generali soddisfacenti. Ed anche la tendenza a declinare in chiave evoluzionistica questi strumenti sociologici ha finito per distorcere la realtà storica del Mediterraneo, postulando un progresso da una condizione premoderna verso l'affermarsi della democrazia e del libero mercato.

Pur riconoscendo che non esiste una spiegazione unica dei conflitti nel Mediterraneo, i curatori della ricerca hanno tuttavia scelto una prospettiva teorica che privilegia l'analisi dei percorsi di costruzione dello Stato nell'area insieme a quella dei rapporti Stato-società, partendo dalla constatazione che le zone conflittuali sono quelle per molti secoli assoggettate al dominio ottomano oppure al potere coloniale. Anche se 'culture' e 'conflitti' di questa ampia regione sono in continua fibrillazione, il volume (promosso dal 'Forum per i problemi della e della guerra') riesce a fotografarne tratti ed evoluzione almeno per quanto riguarda gli anni '90.

Su queste basi, gli interventi sono stati suddivisi in quattro sezioni: la prima colloca la regione nel quadro della politica internazionale contemporanea, dopo la panoramica di ampio respiro sulle culture e le polarità dell'area arabo-musulmana offerta dal saggio d'apertura. Al suo interno, è stato dato rilievo anche alle reazioni alla seconda guerra del Golfo. Ne emergono, fra l'altro, tanto la frammentazione dell'area dopo il 1991 che il fallimento dei tentativi di stabilire un ordine internazionale.

La seconda sezione affronta invece fenomeni come lo sviluppo, le migrazioni e l'impatto del processo di integrazione europea, mettendo in evidenza la complessità della dipendenza economica dei paesi del sud e dell'est del Mediterraneo. Tenendo quale punto di riferimento la Dichiarazione di Barcellona del 1995 (atto costitutivo dell'attuale partnerariato tra l'Europa e gli altri paesi dell'area), si coglie l'incertezza dell'Unione Europea nel dar seguito effettivo alle politiche di sviluppo inizialmente sbandierate. Ed è evidente il profilo prettamente economico, e modestamente politico, dell'intervento europeo.

Nella terza sezione vengono sottoposte ad analisi alcune tendenze dei conflitti in atto, riferite ai Balcani, al Maghreb ed al Vicino Oriente, con un intervento dedicato anche al ruolo regionale cruciale della Turchia. Bisogna constatare che nel corso degli anni '90 nessuno dei conflitti del Vicino Oriente è giunto a soluzione. Nella quarta sezione, infine, sono state prese in considerazione le modalità di soluzione dei conflitti, ricostruendo l'azione delle organizzazioni internazionali e dei processi di cooperazione.

Nicola Casanova