2005

G. Preterossi, L'Occidente contro se stesso, Laterza, Roma-Bari 2004

Che cosa sopravvive dell'Occidente dopo la serie di 'guerre umanitarie' decise dalle potenze occidentali negli ultimi quindici anni, culminate nella 'guerra preventiva' contro l'Iraq? Questo è l'interrogativo centrale dei saggi che Geminello Preterossi ha raccolto sotto il titolo L'Occidente contro se stesso. Che cosa resta dei valori, delle istituzioni, della identità storica dell'Occidente? Preterossi non ha dubbi: siamo in presenza di un processo di autodistruzione, in nome dell'Occidente, della 'legittimità' stessa della cultura politica e giuridica occidentale. E' il tramonto di una civiltà fondata sul diritto e sulla garanzia delle libertà individuali, sulla tolleranza religiosa, sulla libertà della ricerca scientifica, sulla democrazia.

L'idea di Occidente, ricorda Preterossi, nasce tra Settecento e Ottocento come una proiezione ed espansione politica dello spazio europeo nella direzione dell''emisfero occidentale' americano. Sia per Hegel che per Carl Schmitt - due filosofi pur così lontani l'uno dall'altro - l'Occidente tende a identificarsi con il 'nuovo mondo' che incorpora e porta a compimento la modernità europea, che ne universalizza i valori e le tensioni interne. Il 'nuovo mondo' americano è lo sviluppo estremo e la sintesi vitale di una tradizione che include la filosofia greca, il diritto romano, il cristianesimo, la Riforma. L'America è un 'Occidente senza confini' rispetto al quale l'Europa resta il vecchio 'Occidente', ancorata com'è alla dimensione mediterranea: una cultura del limes, del multilateralismo, del mare fra le terre, estranea alla dimensione cosmopolitica delle potenze oceaniche.

Secondo Preterossi è merito di Carl Schmitt l'aver tracciato, in Nomos der Erde, la genesi dell'uso politico globale - atlantico e oceanico - della nozione di Occidente. Quest'uso si afferma a partire dalla proclamazione, nel 1823, della 'dottrina Monroe' da parte degli Stati Uniti d'America. Nasce in questo modo un'idea di Occidente che mette in questione le linee eurocentriche della rappresentazione globale del mondo. L'Europa perde il suo primato e la sua centralità. Essa è parte dell'emisfero occidentale ma in una posizione periferica rispetto al dominio assoluto e impenetrabile che gli Stati Uniti rivendicano sul 'grande spazio' del continente americano. E l'Europa subisce inesorabilmente l'egemonia degli Stati Uniti quando la nuova grande potenza occidentale è in grado di attribuire alla 'dottrina Monroe' una dimensione universalistica ed espansionistica. In questo senso l'Occidente che oggi conosciamo nasce quando dall'idea originaria di un Grossraum panamericano, particolaristico e difensivo, gli Stati Uniti passano a forme di intervento espansionistico, ben oltre l'area caraibica e sud-americana. Questa proiezione universalistica e globalistica della dottrina Monroe troverà la sua massima espressione teorica nell'idealismo wilsoniano e la sua applicazione pratica nelle guerre mondiali del Novecento.

Questo processo evolutivo si conclude quando gli Stati Uniti, dopo la fine della guerra fredda e il crollo dell'impero sovietico, raggiungono un'assoluta supremazia militare sul mondo intero e si erigono a potenza imperiale di dimensioni planetarie. Essi si mostrano in grado di promuovere un radicale mutamento della guerra stessa, che da 'guerra moderna' fra Stati sovrani diviene 'guerra globale'. Come ha scritto Schmitt, se la forza militare è in modo evidente impari, muta la nozione stessa di guerra: l'avversario diviene soltanto oggetto di coazione e l'ostilità assume forme così aspre da non poter essere sottoposta ad alcuna limitazione o regolazione. Solo chi si trova in condizioni di irrimediabile inferiorità si appella al diritto internazionale contro lo strapotere dell'avversario. Chi invece gode di una completa supremazia militare fa della sua invincibilità il fondamento della sua justa causa belli e tratta il nemico come un bandito e un criminale. Su questo punto, come Preterossi ricorda, Schmitt ha usato parole profetiche:

la discriminazione del nemico come criminale e la contemporanea assunzione a proprio favore della justa causa vanno di pari passo con il potenziamento dei mezzi di annientamento e con lo sradicamento spaziale del teatro di guerra. Si spalanca l'abisso di una discriminazione giuridica e morale altrettanto distruttiva. [...] Nella misura in cui oggi la guerra viene trasformata in azione di polizia contro turbatori della pace, criminali ed elementi nocivi, deve essere anche potenziata la giustificazione dei metodi di questo police bombing. Si è così indotti a spingere la discriminazione dell'avversario in dimensioni abissali (*).

Per Preterossi sta in questa lettura schmittiana dell'imperialismo statunitense la chiave per intendere sia le strategie unilaterali, sempre più aggressive, che gli Stati Uniti hanno elaborato e messo in pratica nell'ultimo decennio del secolo scorso e, in una ininterrotta escalation, nelle guerre contro l'Afghanistan e contro l'Iraq, scatenate in nome della guerra contro il terrorismo globale. Entro questa cornice concettuale acuta e originale è la critica che Preterossi rivolge all'ideologia neocons, in autori come I. Kristol, R. Pearle, P. Wolfowitz e in particolare Robert Kagan. Kagan è l'autore che nel modo più esplicito e brutale ha contrapposto l''altro Occidente' - la potenza militare degli Stati Uniti - alla 'Vecchia Europa', impotente e imbelle, idealisticamente devota al diritto internazionale: un'Europa incapace di usare la forza in un mondo anarchico nel quale la guerra al terrorismo (di matrice islamica) è divenuto il compito primario delle nazioni democratiche, esemplarmente assolto dagli Stati Uniti.

La guerra contro l'Iraq, interpretata in questa chiave, non è dunque soltanto l'espressione di una radicale negazione dei valori occidentali da parte della massima potenza occidentale. E' un conflitto epocale fra il nuovo e il vecchio Occidente. O, formulato più chiaramente, è un conflitto fra l'estrema propaggine geopolitica dell'Occidente e il suo originario spazio europeo: è un conflitto fra l''altro Occidente' - ormai orientato ad essere il solo Occidente - e l'Europa. Un progetto di pacificazione del mondo non passa sicuramente attraverso un rafforzamento dell'alleanza atlantica che rinsaldi l'unità dell'Occidente in nome della guerra contro il global terrorism, della democratizzazione forzata del mondo e dell'espansione globale dell'economia di mercato. Passa per la capacità della 'vecchia Europa' di riaffermare, contro l'egemonia imperiale degli Stati Uniti, i suoi valori originari, la sua vocazione mediterranea, la sua capacità di dialogo con le altre culture e civiltà, a cominciare da quella arabo-islamica. La pace dipende dalla capacità dell'Europa di ritrovare una sua nuova centralità strategica come soggetto politico autonomo, orientato a svolgere una funzione di equilibrio strategico in un mondo policentrico e multipolare. Il futuro dipende dalla capacità dell'Europa di essere sempre meno 'occidentale' e sempre più 'europea'.

Danilo Zolo

*. Cfr. C. Schmitt, Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus publicum Europaeum, Berlin, Duncker und Humblot, 1974, trad. it. Milano, Adelphi, 1991, p. 430.