2008

S. Pollo, La morale della natura, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 170, ISBN 978-88-420-8731-1

Qual è la rilevanza della filosofia per la discussione pubblica? A leggere l'ultimo libro di Simone Pollo si potrebbe rispondere che il ruolo della riflessione filosofica dovrebbe essere quello di portare chiarezza concettuale nei dibattiti correnti presso l'opinione pubblica. Peccato che nei fatti le cose vadano altrimenti e che anche i prodotti accademici che si impegnano a tematizzare in modo rigoroso gli argomenti che provengono dalla cronaca non abbiano quasi mai la risonanza e l'incidenza che meritano. Questa breve premessa si giustifica perché il volume di Pollo costituisce, a mio avviso, un modello di come la filosofia dovrebbe contribuire alla discussione pubblica. Pollo assume un tema ricorrente nel dibattito mediatico, la presenza di una morale "insita" nella natura, ed esamina puntualmente le diverse accezioni che l'appello alla natura come fondamento della morale può assumere, mettendo in risalto anche l'uso, più o meno consapevole, più o meno distorto, che di queste accezioni viene fatto nell'ambito del discorso pubblico. Dopo aver segnalato le debolezze di queste strategie argomentative, espone sinteticamente quale ruolo la natura può rivestire in etica e quali conseguenze normative ne discendono. Il tutto con estrema chiarezza e con riferimenti appropriati alla letteratura più recente.

Dopo un primo capitolo introduttivo, il secondo capitolo è dedicato al mito del "buon selvaggio". Pollo lo ripercorre a partire dalle sue formulazioni più note: Rousseau e Thoreau. Il mito del buon selvaggio assume che gli uomini siano naturalmente capaci di comportamenti morali e che la propensione verso questo tipo di azioni sia messa a repentaglio dalla civilizzazione. A questa tesi Pollo opportunamente oppone le seguenti considerazioni: se l'esempio del buon selvaggio possiede carattere empirico, se cioè coloro che ne ripropongono il mito davvero stanno sostenendo che nelle fasi primitive della storia umana gli individui si comportavano in modi moralmente più apprezzabili, questa assunzione è smentita dalle informazioni che possediamo sulla vita dei popoli primitivi; se, invece, il mito costituisce la proposizione di un ideale morale - questa, per inciso, sembra essere la forma in cui un certo settore dell'etica ambientale utilizza l'appello all'autenticità della natura - si può osservare come "i desideri e le preferenze che realmente manifestano gli esseri umani vanno perlopiù in una direzione diversa da quella della ricerca di esperienze selvagge e non civilizzate" (p. 24). L'ideale morale della vita selvaggia, in definitiva, può servire al massimo come ispirazione per un'esperienza personale ed elitaria.

Passando alle strategie in cui si cerca di giustificare norme e giudizi ricorrendo all'idea di natura, Pollo riconosce tre tipologie principali. All'esame di queste tipologie sono dedicati i capitoli quattro, cinque e sei mentre il terzo capitolo ospita alcuni caveat preliminari, tra i quali, particolarmente rilevante mi sembra l'invito a considerare che il concetto di natura è esso stesso artificiale, corrisponde a una costruzione variabile nel tempo e nello spazio, che non possiede quelle caratteristiche di stabilità che spesso coloro che ricorrono a essa vorrebbero attribuirgli.

Il primo esempio di appello alla natura consiste nell'argomento secondo il quale la natura ci propone i paradigmi della normalità, dai quali non ci si deve discostare. A questo mini-argomento, si può rispondere, sottolinea Pollo, seguendo due direttrici principali. Da un lato, non è difficile vedere che il concetto di normalità non può spingersi oltre la rilevazione di regolarità statistiche - in che senso, per esempio, la famiglia mononucleare eterosessuale può essere considerata normale, quando la storia testimonia l'esistenza e spesso la compresenza, di una pluralità di forme familiari, dalla famiglia patriarcale a quella poligamica, passando per le famiglie composte da donne che crescono da sole i propri figli?; dall'altro, l'argomento della naturale normalità, come tutte le derivazioni di principi normativi da premesse fattuali, viola la legge di Hume - rectius: la tesi di Hume - e quindi risulta formalmente invalido.

Né migliore fortuna sembra arridere al secondo argomento discusso da Pollo, che procede dall'assunzione dell'esistenza di un ordine naturale dalla rottura del quale bisogna attendersi ogni genere di sventure. Infatti, l'idea di ordine naturale presuppone un genere di teleologismo incompatibile con l'eredità dell'evoluzionismo darwiniano. Pollo ha quindi giuoco facile nello smontare gli argomenti consequenzialisti di quanti temono una catastrofe ambientale a seguito della diffusione delle biotecnologie: mancando un ordine intrinseco alla natura non è detto che l'intervento dell'uomo debba per forza comportare conseguenze nefaste. Inoltre, non manca di notare come i prodotti dell'evoluzione stessa possano essere considerati al massimo come risultati subottimali dell'adattamento all'ambiente, di modo che, anche da questo punto di vista, possono venire tacitate le obbiezioni di coloro che tendono a sopravvalutare l'efficienza dei meccanismi seguiti dalla selezione naturale.

Con il sesto capitolo giungiamo finalmente alla dottrina storicamente e filosoficamente più illustre tra quelle che promuovono una fondazione naturale dei principi normativi. Si tratta, ovviamente, della teoria del diritto naturale. In termini generali, la dottrina della legge di natura asserisce che le norme morali fondamentali possono essere ricostruite razionalmente a partire dall'organizzazione che Dio ha attribuito al mondo. Ci sono però alcune differenze non secondarie tra la versione neotomista della dottrina - si tratta della versione accolta dalla chiesa cattolica e sostenuta da autori come Maritain e, ai nostri giorni, Ralph McInerny (vedi R. McInerny, 1997, Ethica Thomistica: The Moral Philosophy of Thomas Aquinas, Catholic University of America Press, Washington) - e quella cosiddetta "neoclassica" - legata ai nomi di Germain Grisez, John Finnis e Martin Rhonheimer (vedi G. Grisez, The First Principle of Practical Reason: A Commentary on the Summa Theologiae I-II, question 94, article 2, «Natural Law Forum», 10, 1965, pp. 168-20; J.M. Finnis, Natural Law and Natural Rights, Oxford University Press, Oxford, 1980, trad. it. Legge naturale e diritti naturali, Giappichelli, Torino, 1996; M. Rhonheimer, Natur als Grundlage der Moral. Die personale Struktur des Naturgesetzes bei Thomas von Aquin: eine Auseinandersetzung mit autonomer und theologischer, Tyrolia, Innsbruck, 1987, trad. it. con un nuovo «Postscriptum» Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell'autonomia morale, Armando, Roma, 2001) -, differenze che Pollo trascura - salvo un avvertimento a p. 79. Il risultato è una sorta di "mix" tra le due versioni, che alterna il lessico finalista della enciclica Humanae vitae alla nozione neoclassica di "razionalità pratica". In ogni caso, questa semplificazione - probabilmente necessaria per contenere la trattazione - non ha ripercussioni sul tipo di critica che Pollo sviluppa - è noto che la versione neotomista della legge naturale ma non quella neoclassica può essere criticata perché viola la tesi di Hume. Pollo, infatti, mette sotto accusa la concezione di natura umana presupposta dai teorici della legge naturale - in entrambe le sue versioni - in quanto questa concezione è caratterizzata da una stabilità, uniformità e astrattezza che mal si concilia con la visione scientifica dell'evoluzione umana.

Con il settimo capitolo, terminata la rassegna delle modalità tradizionali in cui si chiama in causa la natura come fondamento delle norme morali, Pollo intraprende una nuova esplorazione nei territori dell'etica naturalizzata. In questo capitolo viene preso in considerazione il contributo che la biologia evoluzionistica e, in particolare, l'etologia - a questo proposito, avrei preferito che Pollo ricordasse, accanto al primatologo olandese Frans de Waal, l'opera del fondatore dell'etologia Konrad Lorenz e del suo allievo Irenäus Eibl-Eibesfeldt - possono offrire alla ricostruzione di una genealogia naturalistica della morale; nel capitolo successivo, invece, Pollo espone alcuni significativi risultati della "neuroetica", la nuova disciplina che si propone di affrontare l'etica dal punto di vista delle neuroscienze. La conclusione di questa nuova ricognizione è una conferma del ruolo della riflessione morale. Anche se le scienze possono offrirci dei dati importanti sui quali meditare, non ci sono motivi per ritenere che la naturalizzazione dell'etica possa spingersi sino al punto di rendere superflua l'argomentazione morale. I risultati delle scienze non sono irrilevanti per l'etica - come alcuni filosofi di orientamento razionalista vorrebbero - ma nemmeno la privano di significato.

Nel breve epilogo Pollo tira, in un certo modo, le somme del percorso affrontato, schizzando la traccia per un argomento a favore del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Possiamo schematizzare questo argomento come segue: (i) nel contesto delle società liberali vale il principio enunciato da John Stuart Mill secondo il quale sono ammesse solo quelle restrizioni che sono necessarie per impedire un danno ad altri; (ii) il riconoscimento delle unioni omosessuali non produce alcun danno - anche se può risultare offensivo per le credenze religiose di alcuni - anzi, è la negazione di questo diritto che si risolve in una discriminazione ingiusta e quindi in un danno; (iii) per questo motivo lo Stato deve riconoscere giuridicamente le unioni fra persone dello steso sesso. A questo argomento, sostiene ancora Pollo, ci si può opporre solo invocando la contrarietà delle unioni omosessuali alle leggi naturali - secondo una delle strategie argomentative enucleate nei capitoli precedenti. Ma questo tipo di appello alla natura è, come si è visto, da respingere, dunque l'argomento in favore del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali è valido.

Nel complesso il libro di Pollo rappresenta un ottimo bilanciamento tra esigenze di rigore scientifico e apertura al pubblico non professionale: è questo che ne fa, a mio avviso, un modello di come la filosofia dovrebbe cercare il proprio spazio all'interno del discorso pubblico e rende veramente auspicabile che esso raggiunga il maggior numero di lettori. Tuttavia, non si può tacere che, a parte i rilievi minori che ho già formulato, il capitolo meno convincente è proprio quello che dovrebbe trarre le fila del discorso svolto nelle pagine precedenti. Ciò che mi sembra criticabile è la scelta di contestualizzare l'argomento a favore del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali in riferimento alle società liberali contemporanee. Possiamo notare, infatti, in primo luogo, che anche fra i teorici liberali sono sempre più numerosi gli autori che esprimono insoddisfazione per il principio secondo il quale le argomentazioni che fanno leva su premesse religiose - come possono essere le credenze intorno all'immutabilità della natura umana o all'esistenza di leggi naturali conoscibili per via razionale - vanno automaticamente bandite dalla discussione pubblica, sostenendo che esse, invece, possono trovare il loro posto accanto alle argomentazioni interamente basate su premesse "secolari" (in proposito si può vedere l'utile survey di Chris Eberle e Terence Cuneo, Religion and Political Theory, in E. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopaedia of Philosophy, winter 2008 edn.). Simili scelte non vanno viste come espressione di spirito anti-illuministico. Cerco di spiegarmi: sotto molti aspetti le nostre società contemporanee non sono più società liberali classiche. Se si vuole applicare a esse la cornice di pensiero liberale bisogna tenere presente che si tratta di società liberali multiculturali. Questa circostanza come minimo ridimensiona la portata normativa dei principi liberali tradizionali come quelli relativi alla composizione dei conflitti ideologici in seno alla società. Nelle società multiculturali bisogna ricercare nuovi strumenti per gestire il pluralismo e questa massima non può che applicarsi sia al caso del pluralismo culturale che a quello "domestico" del pluralismo fra credenti e "laici". Per questo motivo, l'idea di fare riferimento ai principi della tradizione liberale come premesse in un argomento a favore del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali mi sembra sbagliata: nelle società multiculturali contemporanee è necessario reinventare i principi del dialogo tra i sottogruppi che compongono la società senza fare affidamento su criteri che sono così chiaramente connotati come quelli tratti dalla tradizione liberale. Ciò non significa che l'argomento sviluppato da Pollo non abbia valore: semplicemente, si tratta di un argomento "di parte" che non può essere fatto valere contro chi in partenza non ne condivida le premesse "secolari".

Leonardo Marchettoni