2005

B. Pastore, Per un'ermeneutica dei diritti umani, Giappichelli, Torino 2003, ISBN 88-348-3465-8

Con questo libro, l'Autore intende offrire un contributo al dibattito odierno sul fondamento dei diritti umani dal punto di vista dell'ermeneutica giuridica. Una siffatta prospettiva assume l'idea della dignità umana nella sua forza intuitiva e nella sua risonanza transculturale, richiedendo l'attenzione ai modi di trattamento di ogni persona, nella concretezza della condizione esistenziale e delle relazioni sociali. I diritti umani forniscono il modo di parlare di 'ciò che è giusto' da una speciale angolatura: il punto di vista dell'altro, a cui qualcosa (compresa, inter alia, la libertà di scelta) spetta o è dovuta e a cui verrebbe fatto un torto se gli venisse negata. Tali diritti costituiscono un nucleo di senso che si articola come «norma di base della coscienza collettiva» e come «unità di misura dell'azione pubblica». La cultura filosofica post-moderna assume come dato caratteristico la negazione dell'universalità dei diritti umani, che porta a una enfatizzazione della contestualità e della contingenza come criteri orientativi. In ambito etico, in particolare, si va imponendo l'idea per cui dal fatto che ogni soggetto, società, cultura, adotta propri stili di vita, visioni del mondo, criteri di verità e valori, deriva che non vi è alcun sistema di riferimento comune. È pertanto possibile identificare una prospettiva anti-fondazionista, di cui si fa precursore Norberto Bobbio, che vede il fallimento della fondazione dei diritti umani, perché: a) indeterminabili, b) relativi, c) eterogenei, d) antinomici. Secondo tale concezione, necessaria e sufficiente, per una loro attuazione non è la loro fondazione, ma la loro protezione. L'approccio ermeneutico-dialogico, invece, 'ravviva' il problema del fondamento dei diritto umani, in quanto esso riemerge necessariamente nella fase interpretativo-applicativa degli stessi. In particolare, va rilevato che il disaccordo non verte sui diritti umani, ma sulla priorità degli uni rispetto agli altri. Il conflitto tra diritti rimanda allora al fondamento, poiché questo può contribuire a individuare i criteri per risolverlo. Pastore, dopo aver analizzato in modo dettagliato la posizione anti-fondazionistica dei diritti umani - concezione che definisce 'convenzionalista e scettica' - vi contrappone una concezione ermeneutica. Con questa tenta di individuare il fondamento e la giustificazione dei diritti umani in senso ontologico, in senso gnoseologico, e con riferimento alla ragion pratica, intesa come uso della ragione nella prassi, nell'agire, che ha un carattere possibile e probabile, in quanto la ragione esiste per noi solo come reale e storica.

L'universalità dei diritti umani è storicamente e culturalmente condizionata dai nostri modi di pensare e di riflettere. Pertanto, secondo l'A., l'universalità è un obiettivo da raggiungere e non un principio di partenza. Tale universalità rimanda alla capacità comunicativa tra soggetti e culture che, senza perdere la loro identità, si fanno intendere dagli altri, interagendo significativamente con essi. L'universalismo viene quindi riconfigurato come «l'orizzonte d'intesa» di più particolari: un orizzonte che può sussumere dentro di sé l'idea di una pluralità di punti di vista particolaristici, talché il consenso sui diritti umani dovrà avvenire attorno a un insieme aperto e pluralistico di percezioni etiche essenziali, che partono dagli specifici, particolari contesti culturali, ma che tendono a trascenderli, nella prassi della interazione comunicativa. Tale universalismo risulta connesso alla proprietà che uno standard (un criterio normativo) ha di poter proiettare un qualche genere di cogenza al di là dei limiti del contesto in cui si origina, cioè di essere effettivamente pertinente per attori che operano in altri contesti, e non solo di essere ritenuta pertinente dai membri del contesto di origine. In questa direzione, si può pensare all'impegno fondativo come a un processo integrato, interculturalmente condotto e intersoggettivamente condiviso. I diritti umani si configurano come la legge comune dei nostri tempi, e in una situazione come quella attuale, caratterizzata da un radicato pluralismo riguardo alle concezioni del mondo, della vita, dell'uomo, il riconoscimento di tali diritti esprime un accordo tendenzialmente universale su un ensamble minimo di valori (variamente ruotante intorno all'idea della dignità umana) relativo alle modalità della coesistenza. Pertanto, l'accordo sui diritti umani esprime, secondo Pastore, la convergenza pratica delle più diverse ideologie e delle più svariate tradizioni, mentre il dialogo costruttivo intorno al fondamento di tali diritti costituisce un modo per rafforzare la loro protezione ed è un servizio reso alla causa del rispetto degli esseri umani e alla pace.

Alessandra Callegari