2005

M.O. Padis, T. Pech, Les multinationales du cœur. Les ONG, la politique et le marché, Seuil, Paris 2004, trad. it. Le multinazionali del cuore. Le organizzazioni non governative tra politica e mercato, Feltrinelli, Milano 2004, pp. 100, ISBN 880771020X

Il crescente interesse generale suscitato dalle emergenze umanitarie diffuse quotidianamente dalle televisioni di tutto il mondo è seguito, come un'ombra, dall'idolatria dell'umanitarismo da parte dell'opinione pubblica. Tuttavia, dopo una fase di assoluta devozione, negli ultimi anni si sta aprendo una riflessione disincanta e critica sul mito dell'umanitarismo, e più in particolare sui suoi protagonisti principali: le Ong.

A questa operazione di 'demitizzazione' degli attori umanitari contribuisce con sintetica chiarezza anche il recente lavoro di Thierry Pech e Marc-Olivier Padis. A differenza di analisi à la Rieff, tese a evidenziare i paradossi dell'umanitarismo, questo libro ha il dichiarato obiettivo di svelare la realtà che si cela dietro la sbandierata retorica della "castità politica" e dell'"astinenza economica" delle Ong, considerate ormai anacronisticamente dal diritto come soggetti "né con lo stato né con il mercato". Il problema cruciale, sostengono gli autori, consiste proprio nel chiedersi "perché queste organizzazioni seguitano a sostener un'immagine di sé sempre più sfalsata rispetto alla loro effettiva attività" (p. 16).

L'alterità rispetto agli stati e l'indipendenza nei loro confronti rappresentano indiscutibilmente i connotati principali da cui le organizzazioni non governative traggono la loro credibilità agli occhi dell'opinione pubblica. Di conseguenza, per capire la natura delle Ong di "terza generazione" - quelle cioè operanti dopo la caduta del muro di Berlino - è decisivo anzitutto prendere in considerazione il loro rapporto con gli stati.

Nel primo capitolo, gli autori intendono confutare l'"opinione largamente diffusa secondo cui le Ong agiscono in modo indipendente o senza l'aiuto degli stati o addirittura contro di essi" (p. 17). La classica opposizione Ong/stato non rispecchia più la prassi vigente. Dalla "guerriglia contro gli stati" si è passati ormai al "partenariato". Cosicché, non è più l'antagonismo ideologico, bensì la "complementarietà operativa" a costituire la cifra dominante dell'umanitarismo contemporaneo. Oggi, dietro la tradizionale opposizione tra Ong e attori pubblici si nascondono in realtà "differenti formule di collaborazione nelle quali si sperimentano nuove strategie di azioni pubbliche nel campo dello sviluppo e dell'aiuto umanitario" (p. 15).

Secondo gli autori, le grandi Ong internazionali non possono più esser considerate organizzazioni apolitiche, né tanto meno contro la politica. Piuttosto, esse "aspirano ad un allargamento del campo della politica invece che ad una forma di antipolitica" (p. 57). Non deve stupire, quindi, che "le grandi Ong [siano] al tempo stesso presenti ai vertici e ai controvertici" divenendo, proprio in virtù di questo legame ambivalente con il potere, potenziali obbiettivi dello sguardo attento e sospettoso delle altre parti della società civile. In definitiva, le Ong dei nostri giorni costituiscono in certi casi un prolungamento della politica statale con altri mezzi, una "testa di ponte dell'aiuto umanitario statale nel contesto della solidarietà internazionale" (p. 23).

Nel secondo capitolo viene analizzata la "dimensione internazionale" di queste organizzazioni e viene 'svelato' in particolare il reciproco gioco di legittimazione tra Ong e istituzioni internazionali. In questo caso, non si tratta più di semplice complementarietà come con gli stati, ma di una vera e propria complicità, se non addirittura di una "tacita alleanza".

In una "situazione ibrida delle relazioni internazionali", in cui gli stati perdono progressivamente la loro centralità decisionale, ma in cui un nuovo attore mondiale, una sorta di world polity, non compare nemmeno all'orizzonte, le Ong e le istituzioni internazionali inscenano una "paradossale fraternizzazione" con lo scopo preciso di "alimentare un movimento irreversibile di internazionalizzazione della politica" (p. 55). Ong e istituzioni internazionali sono come "due corpi vacillanti che, appoggiandosi l'uno all'altro, si sostengono reciprocamente" (p. 58), in particolare nella "coproduzione di una legittimità internazionale" (p. 15). Le Ong rappresentano così il forum democratico necessario alle istituzioni internazionali solitamente tacciate di essere "senza radici", mentre le istituzioni internazionali costituiscono il potere contro cui le Ong possono esercitare la loro azione.

Nel capitolo conclusivo viene esaminato l'ultimo 'antagonismo di facciata', quello tra Ong e mercato: "il lessico dello scontro con i 'potentati privati' rende conto solo parzialmente della reale interazione tra Ong e imprese" (p. 64).

I "ruggenti anni novanta" sono caratterizzati anche dalla "scoperta delle logiche di mercato" da parte delle Ong. Questa scoperta è dovuta anzitutto al mutamento del capitalismo: dal 'capitalismo statalistico' del dopo guerra, in cui lo stato aveva un notevole ruolo regolatore del mercato, al recente "capitalismo globalizzato", segnato dalla "migrazione del potere statale verso le multinazionali, dal pubblico al privato" (p. 62). Inoltre, un fattore determinante nella 'svolta' delle strategie delle Ong è rappresentato anche dall'emergere di una "nuova critica del capitalismo", incentrata non tanto sulla sua condanna 'in quanto tale', ma piuttosto della sua 'insostenibilità' a livello ambientale e sociale. Il fulcro di questa critica si basa sull'estensione di una responsabilità delle imprese giuridica oltre che sociale, in altre parole "sul rimettere il capitalismo in società".

Il nuovo sistema d'interazione tra Ong e mercato si può riassumere in due grandi tipologie di iniziative da parte delle Ong. Le prime coincidono con le "tradizionali tecniche d'intervento e di rivendicazione" tese ad affermare la "precedenza dei diritti dell'uomo sui diritti del business", ed è proprio grazie alla loro straordinaria capacità di manipolare l'arma mediatica che le grandi Ong si sono guadagnate il rispetto delle multinazionali. Tuttavia, la vera novità è rappresentata dall'invenzione di strategie più integrate con il mercato: dallo sviluppo dei "mercati della virtù" alla stipula di accordi bilaterali con le imprese. Queste nuove strategie integrate - questa la tesi centrale del libro - "sottolineano il fatto che le grandi Ong si inseriscono sempre più in una dinamica di regolazione negoziata" (p. 76) nel tentativo di "trasformare il capitalismo dall'interno".

Questa metamorfosi, che agli occhi delle organizzazioni più radicali risulta come una sorta di "patto col diavolo", pone un problema complesso riguardo alla fonte di legittimità delle Ong: "avendo barattato una morale fatta di principi con una più pragmatica", d'ora in avanti le Ong trarranno la propria giustificazione non più dalla loro virtù, bensì dai risultati.

Senza rimpiangere nessuna "innocenza perduta", né sconfinare nella sponda dei detrattori, gli autori salutano con equilibrato entusiasmo i miglioramenti nati dalla nuova interazione tra Ong da un lato e sfera politica e sfera commerciale dall'altro, e non evitano di riconoscere a queste organizzazioni il merito di aver saputo ridefinire la loro "azione morale con un'aggiunta di pragmatismo che ha aperto loro la strada della cultura dell'efficienza, della contrattazione e del compromesso" (p.84). Tuttavia, non evitano nemmeno di rimarcare come di questa "promiscuità" si discuta assai poco. In verità, dietro questo silenzio imbarazzato, si cela proprio il problema principale: le grandi Ong sono attraversate dalla contraddizione tra il principio dell'azione e quello di partecipazione" e "fanno sempre più fatica a rendere coerenti pratiche dominate dal principio dell'azione con una comunicazione pubblica determinata dalla ricerca del consenso" (pp. 86-7).

La coerenza tra l'immagine che propongono di sé e la reale attività che svolgono è l'unica strategia possibile, secondo gli autori, per far uscire le Ong dal vicolo cieco in cui si trovano. Il rischio è comunque grande: "rivendicando la propria scelta di strategie più disponibili alla contrattazione e più professionali, le Ong corrono il rischio di vedersi detronizzare nel primato di virtuosa resistenza dai nuovi movimenti sociali" (p. 87). Di conseguenza, accordare l'immagine con la pratica, senza perdere il proprio potenziale partecipativo, è la grande scommessa che esse dovranno affrontare nel futuro prossimo.

Alessandro Calbucci