2006

F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 145, ISBN 88-420-4820-8

L'associazione tra determinate aree territoriali e particolari forme di pensiero è un'ipotesi che può vantare rilevanti paternità nel panorama intellettuale europeo, si pensi a testi come Geofilosofia dell'Europa (Adelphi, Milano, 1994) di Cacciari o Il nomos della terra (Adelphi, Milano, 1991) di Schmitt. Questo libro di Franco Cassano, tuttavia, molto più che una forma di geofilosofia applicata alle dimensioni del Mediterraneo, delle zone peninsulari e del Sud, si può considerare come il risultato di un percorso interpretativo variegato che ha condotto l'autore dagli sguardi epistemologici, sociologico cognitivi e fenomenologici, frequentati negli studi precedenti, a una particolare visione politica.

Il discorso di Cassano si apre con una premessa fondamentale, quella della lentezza, dell'analisi misurata e tranquilla di ciò che ci circonda, in contrasto con la velocità estrema che caratterizza il vivere quotidiano di molti uomini della società contemporanea. Partendo da questa idea, l'autore si impegna a spiegare il valore e il significato che il Mediterraneo ha nella cultura e nella società occidentale. Questo mare ha, infatti, avuto un ruolo cruciale nel determinare la forma di civiltà della Grecia antica da cui discende tutta la vicenda dell'Occidente. Il Mediterraneo si limita a separare le terre e non fissa distanze smisurate come gli oceani, permettendo quindi rapporti tra i popoli. La Grecia è il luogo fisico in cui questa tendenza del Mediterraneo si manifesta maggiormente: nella polis gli stranieri sono subito cittadini e l'unità è più difficile e richiede tempi più lunghi, il sapere non si ferma mai in pensiero definitivo e il potere non si fissa nell'immobilità. È proprio nel complesso rapporto tra Grecia, Mediterraneo e Europa che affonda le sue origini la crisi e la crescita del pensiero. Cassano, a tal proposito, delinea un parallelismo tra personaggi come Heidegger, Nietzsche e Ulisse da una parte e elementi come terra, mare e Mediterraneo dall'altra. Il pensiero di Heidegger si oppone al mare, esalta il valore del popolo tedesco circondato dalla terra, ricerca una dimensione profonda e essenziale che lo porta a una polemica con la società mercantile. Il pensiero di Nietzsche, al contrario, esalta il mare, quel mare che coincide con l'infinita apertura, la partenza senza ritorno e senza rimpianto. Tuttavia, pur nella loro grandezza filosofica, sia Nietzsche che Heidegger appaiono poveri rispetto al sistema di sapere nato nella Grecia e nel Mediterraneo, perché essi conoscono un solo movimento: Heidegger solo quello del riaccentramento, Nietzsche solo quello dell'esodo. La figura di Ulisse perciò rappresenta una soluzione più complessa, perché racchiude un moto doppio, andare e tornare, terra e mare: nella sua tensione si trova un equilibrio.

Queste suggestioni non sono fini a se stesse, perché permettono all'autore (e al lettore) di considerare con maggiore lucidità dimensioni come la frontiera, i confini, gli integralismi. È, infatti, molto importante impostare il rapporto tra culture evitando il condizionamento negativo della più forte sulla più debole, evitando cioè il fenomeno della "deculturazione" di cui parla Serge Latouche. La forma oggi dominante di deculturazione è quella che coincide con l'imposizione del valore "sviluppo economico". Questa deculturazione può affermarsi attraverso due modalità. La prima si manifesta quando una società tenta continuamente di conformarsi alla forza esterna di un'altra, con il risultato della prostituzione della cultura che è subalterna; la seconda tendenza coincide, invece, con l'integralismo che è una reazione tesa a salvaguardare l'identità della cultura subalterna. Per tali ragioni bisogna, secondo Cassano, tentare di smitizzare il modello occidentale del possesso, del mercato, del consumo, così che le culture altre non debbano, nell'ambito della globalizzazione, essere obbligate a scegliere, in modo egualmente improduttivo, tra rinuncia alla propria identità e la demonizzazione dell'Altro.

Nella terza e conclusiva parte del testo, l'autore considera due possibili figure che sono emblematiche del nuovo modo di porsi che il pensiero meridiano sostiene: Camus e Pasolini. In Camus vi è l'idea della natura umana intesa come capace di frenare la corsa sempre più irresistibile della storia. Vi è poi il riconoscimento della finitezza umana e della fraternità nella colpa che gli uomini hanno. La natura umana è, dunque, parte di una natura più grande, è parte del mondo. Camus parla esplicitamente di "pensiero meridiano" perché ne riconosce il valore e il suo senso di onore.

Anche Pasolini può essere considerato un pensatore meridiano, per l'ossimoro esistenziale che la sua vicenda contiene. Questa dimensione di ossimoro si evidenzia a diversi livelli. Per Pasolini stare nell'ossimoro vuol dire molto più che vivere inchiodato alla propria diversità condannandosi alla sua infinita ripetizione; significa esaltare le diverse forme dell'antitesi e della contraddizione. Nella diversità di Pasolini c'è anche il rifiuto del padre, inteso anche come scontro frontale con le convenzioni, le tradizioni e l'autorità. Ma questa rivolta contro il padre è, al contempo, condannata, quando diventa non più un azione di pochi, rischiosa e autenticamente liberatoria, ma un esercizio di massa con cui occultare le responsabilità dei figli. Infine, un altro ossimoro di Pasolini sta nell'affermazione del sacro che diventa motivo ispiratore di una critica, di un uso della tradizione contro il potere. La tutela del senso del sacro non è un ingenuo ritorno a una candida e impossibile sottomissione; è solo il desiderio di indicare ciò che, sottraendosi all'ideologia dello sviluppo, possa costituire materia per fargli da argine.

Il pensiero meridiano desta certamente un dibattito intorno a categorie e concetti, come Sud e meridione, forse per troppo tempo cristallizzati ideologicamente. È un pensiero che può alimentare critiche e che alcuni possono considerare antimodernista. In realtà, è un pensiero che contiene una valutazione più articolata del moderno che pone in discussione gli integralismi e l'Homo currens e che, per questo, con misura ed equilibrio, si presenta al tavolo intellettuale dell'Occidente.

Francesco Giacomantonio