2016
Sarah M. Grimké, «Poco meno degli angeli». Lettere sull’eguaglianza dei sessi,
a cura di Thomas Casadei, trad. it. di Ingrid Heindorf, con una nota
bibliografica di Serena Vantin, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 126.
Recensione
di Carlo Mercurelli (Univ. Nac. de San Luis, Argentina)
La prima edizione italiana di alcune delle lettere che Sarah
M. Grimké, nel corso del 1837, dedicò all’amica Mary S. Parker,
presidente della Boston Female Anti-Slavery Society, permette
al lettore di entrare in contatto con una significativa testimonianza
di impegno civile, in cui si coniugano sentimenti femministi (sarebbe
forse più appropriato parlare di “proto-femminismo”), radicalismo
cristiano e militanza attiva antischiavista.
Le Letters on the Equality of the Sexes and the Condition
of Woman, questo il titolo originale della raccolta, consentono di
ricostruire una parte dello straordinario percorso di operosa adesione
alla causa abolizionista e all’istanza di emancipazione delle donne,
intrapreso dall’intellettuale quacchera Sarah M. Grimké. Le nove
lettere raccolte nel libro, in una intensa trama di sentimenti e di
analisi, offrono un approccio alla duplice connotazione che
caratterizza l’opera dell’attivista della Carolina del Sud. Sarah,
infatti, negli anni a cavallo tra la prima e la seconda metà
dell’Ottocento, è stata in grado di congiungere pensiero e azione, nei
termini di un’ampia e quanto mai feconda riflessione di genere sulla
società e in un coerente impegno nel quadro del tessuto civile
statunitense.
In Sarah Grimké - così come per altre donne impegnate sui due
fronti, in questa particolare congiuntura della storia americana -
cardine di riferimento dell’azione abolizionista, da un lato, e di
rivendicazione dei diritti delle donne, dall’altro, è il richiamo alla
Bibbia e ad un cristianesimo ricondotto alle sue effettive istanze
cherigmatiche. Il messaggio che emerge dalle lettere mostra chiaramente
la fiducia che Sarah ripone nelle potenzialità rigeneratrici proprie
dell’ispirazione religiosa, la sola che, a partire da una corretta
interpretazione dei testi sacri, possa diffondere una cultura
dell’egualitarismo giuridico e di conseguenza contribuire a costruire
una società in grado di offrire ad ogni suo membro, indipendentemente
dalla razza e dal genere, la piena dignità.
Nella riflessione della scrittrice statunitense, attraverso
una rigorosa esegesi biblica -che le permette di sviluppare una attenta
analisi critica della società in cui vive- si delineano gli assi
tematici su cui ridefinire i caratteri del consesso civile. Nella
visione di Sarah Grimké il dato dell’eguaglianza di tutti gli esseri
umani registra, ad esempio, il tipico aspetto del radicalismo
cristiano, per cui ciascun individuo ricopre un valore infinito, in
quanto creatura di Dio. Nelle lettere alla violenza, alla disparità di
condizioni e alla discriminazione che impera nella società americana di
metà Ottocento, ella risponde con un linguaggio carico di fratellanza,
carità ed eguaglianza. Risulta perciò chiaro che lungo questo binario
la costruzione di una società giusta, nella visione della Grimké, non
può certo accettare l’edificio degli uomini bianchi, poiché
esso è stato costruito tanto contro le donne quanto contro i neri. Per
abbattere questo modello anticristiano ed erigerne uno in cui
l’inclusione e il pieno riconoscimento del valore di ciascuno siano
perni portanti del nuovo demos, il messaggio di Sarah invita
all’impegno pubblico e, in linea con il più genuino cristianesimo, ad
un protendersi continuo verso gli altri.
Le coordinate del cristianesimo dell’abolizionista di
Charleston risentono profondamente dell’adesione alla Society of
Friends, che per Sarah - così come per la sorella Angelina -
costituisce l’approdo di un percorso di ricerca interiore, che la porta
a voler sancire la più netta separazione dal suo ambiente d’origine,
quella South Carolina in cui perfino la Chiesa Presbiteriana accettava
il sistema schiavista. L’arrivo in Pennsylvania e la nuova affiliazione
religiosa aprono per la donna una nuova stagione, poiché nel nuovo
contesto potrà esprimere a pieno il suo sentimento cristiano di amore
verso il prossimo e dedicarsi, da un lato, a corrodere e combattere i
fenomeni di discriminazione razziale e i preconcetti maschilisti,
dall’altro, a sostenere le ragioni tanto dell’emancipazione giuridica
femminile quanto di quella dei neri.
I temi suddetti, insieme ad altri - quali, ad esempio
l’estensione del suffragio universale per le donne (pp. 112-113), la
considerazione della condizione femminile nelle relazioni sociali (pp.
39-42), l’esame del sistema di dominio maschile esercitato attraverso
le leggi (pp. 57-66), il matrimonio (pp. 67-79) e il ministero
pastorale (pp. 81-100) - sono prospettati, nel corso delle lettere, con
grande rigore analitico e con uno scrupoloso metodo d’indagine, che
permette alla scrittrice statunitense di risalire alle cause storiche e
contingenti che hanno determinato la soggezione delle donne.
Nell’esercizio ermeneutico operato sui passi biblici, Grimké riesce a
smentire la tesi per cui sussisterebbe una diseguaglianza morale tra i
sessi sia nei doveri che nei diritti. Nel richiamo costante al testo
sacro, come paradigma di riferimento, l’attivista può cogliere le
storture e le contraddizioni della società statunitense di metà XIX
secolo, giungendo così a poter rovesciare la radicata convinzione
dell’esistenza di una diseguaglianza tra uomo e donna.
Il punto su cui Grimké incentra la sua battaglia risiede nella
necessità di tutelare la dignità femminile, a partire dalla
rivendicazione della natura morale della donna. La questione
delle donne doveva essere affrontata con l’intento precipuo di
sovvertire la versione che delle stesse gli uomini per secoli avevano
imposto. Non più femmine poste accanto all’uomo, bensì persone dotate
di intelletto e con una spiccata sensibilità morale. Nella capacità di
riconoscere questo secolare sfregio operato dagli uomini, il genere
femminile avrebbe dovuto superare l’asimmetria e la disuguaglianza
presenti tra i sessi, rivendicando gli stessi diritti naturali di cui
l’uomo era soggetto e portatore. In questa cruciale sfida di genere,
Sarah si sforza di portare alla luce il sistema dell’oppressione
maschile, mostrando come esso nel corso dei secoli, attraverso tutta
una serie di norme, consuetudini e preconcetti, avesse sancito l’istituzionalizzazione
dell’inferiorità femminile.
Nel quadro delle lettere presenti nell’opera, il lettore potrà
addentrarsi nella trama del pensiero dell’intellettuale quacchera, che
passa in rassegna tutti quegli istituti giuridici che umiliano e
mortificano la donna. In relazione al matrimonio, per esempio, la
Grimké sottolinea come l’unione coniugale coartasse oltremodo le donne,
rendendole ancor più sottomesse all’altro sesso (cfr. p. 69). Il
contratto matrimoniale, infatti, sanciva la subordinazione della donna,
che, non avendo la possibilità di tutelarsi autonomamente in sede
legale e di stipulare alcun tipo di contratto, vedeva ulteriormente
aggravata la sua condizione di minorità, nei ceppi di un paternalismo
che la angariava in pastoie sempre più umilianti. In ragione di ciò lo status
della donna era assimilabile a quello dello schiavo, poiché entrambi,
seppur attraverso prassi differenti, erano etero-diretti, dalla nascita
alla morte, dovendo rinunciare a quella dimensione soggettiva che
qualifica ogni essere vivente (cfr. p. 63).
Per liberarsi dal quadro di questa insostenibile vessazione,
Grimké, nel corso della sua esperienza di militante, attraverso
scritti, pubbliche discussioni ed iniziative, ha sottolineato la
necessità, per le donne, di uscire dalla condizione di minorità in cui
versavano e di sollevarsi dall’oscurità delle tenebre in cui erano
state rinchiuse per secoli. Facendo uso della propria ragione, ella
denuncia la sottomissione femminile, mira a sensibilizzare le donne,
nell’intento di renderle consapevoli dell’ingiustizia che vivono, e
sollecita il loro impegno affinché possano raggiungere l’agognata meta
del suffragio universale, base minima che permetterebbe loro di essere
considerate autentici soggetti di diritto e portatrici di valori.
Il significato ultimo dell’opera potrebbe essere rintracciato
proprio nel messaggio di autocoscienza femminile che la testimonianza
di Grimké ha prodotto per le successive generazioni di donne, che con
caparbietà hanno lottato per la tutela della propria condizione: di lì
a pochi anni, infatti, verrà redatta la Convenzione di Seneca Falls, da
più parti considerata il vero atto di nascita del movimento femminista
(si veda, in proposito, il saggio introduttivo di Thomas Casadei, Le
radici bibliche dell’argomentazione femminista, pp. 5-15, che pone
opportunamente l’autrice anche in relazione con Mary Wollstonecraft: in
part. pp. 12-15). Tuttavia credo che il rilievo dell’azione della
scrittrice quacchera vada ben oltre l’aver costituito il sostrato
culturale di riferimento per quelle donne che, dopo di lei, hanno
cercato di dar vita ad una profonda trasformazione qualitativa della
società. Il suo messaggio, infatti, a mio giudizio, riveste una
ulteriore importanza. Sarah M. Grimké, con il suo esempio, ha mostrato
come far uscire la riflessione spirituale e religiosa dall’interiorità
e dal solipsismo, con l’intento di coniugarla criticamente ai problemi
che attanagliano la società. Il suo è stato, in sostanza, un appello a
tutti i cristiani affinché, attraverso la propria carica spirituale e
il loro impegno sociale, partecipassero alla vita della collettività. E
questo suo appello all’azione è una risorsa dalla quale si potrà
continuamente attingere, dal momento che i diritti civili, politici e
sociali sono una conquista e come tutte le conquiste possono - una
volta ottenute - anche essere perdute.