2010

O. Marzocca, Perché il governo. Il laboratorio etico-politico di Foucault, Manifestolibri, Roma 2007, pp. 208, ISBN 978-88-7285-466-2

Negli studi di Foucault non si ritrovano solo teorie e posizioni riguardo a molte dimensioni della modernità, della società, della politica, della filosofia, ma sono contenuti anche una serie di concetti che costituiscono strumenti interpretativi, assai raffinati, che i ricercatori possono proficuamente introiettare nelle proprie analisi. Uno di questi concetti è "il governo degli uomini", ossia l'insieme delle modalità tramite cui gli uomini organizzano la propria esistenza, sia in termini etici che politici. Attorno a tale concetto il volume di Marzocca, da tempo attento studioso dell'opera foucaultiana, individua, come reca il sottotitolo del testo, un fervido " laboratorio etico-politico".

Dal punto di vista politico, infatti, il governo degli uomini riconduce alle questioni della biopolitica, del biopotere, della razionalità politica moderna e dei suoi nessi con il pensiero liberale e neoliberale. Dal punto di vista etico, invece, l'idea di governo degli uomini richiama l'importanza dell'ethos, sia come oggetto dell'esercizio del potere, sia come ambito dei tentativi di "autogoverno", nel senso di cura di se stessi.

Questi due aspetti di fondo vengono esplorati e discussi da Marzocca lungo sei capitoli.

Un primo ambito di analisi rispetto al tema del governo degli uomini è costituito dalla guerra, che, nel corso della vicenda della modernità, diventa, secondo Foucault, un momento transitorio, convertendosi in conflitto civile la cui finalità non è più la dominazione armata, ma la gestione della società intera all'interno della cornice definitiva dello Stato (p. 44).

Questa trasformazione è collegata ai concetti di biopolitica e biopotere, che hanno determinato un notevole dibattito tra gli studiosi, di cui Marzocca rende conto, soffermandosi in particolare sulle sue declinazioni in Italia in studiosi come Negri, Agamben e Esposito. Le idee di biopolitica e biopotere individuano, in Foucault, come è noto, la situazione per cui, a partire dal XVIII secolo, lo Stato si occupa costantemente della vita degli individui e della popolazione, perché essa costituisce una risorsa fondamentale per la conservazione e per la crescita della sua potenza. Perciò lo Stato moderno è attento sin dall'inizio, al benessere e alla salute collettiva e, a questo scopo, si avvale di precise tecniche e dispositivi di sapere che possiamo definire biopotere. Ora, secondo Marzocca, mentre Foucault assume che il rapporto tra biopotere e potere sovrano sia frutto di "una precisa operazione metodologica"(p. 82), in Negri, Agamben e Esposito questa ipotesi viene globalmente esclusa.

Attraverso il biopotere e la biopolitica muta, nel corso della modernità, la dimensione della razionalità politica, cui Marzocca dedica appunto un capitolo specifico, osservando come Foucault delinei il passaggio della ragion di Stato dalla sua connotazione di sovranità a quella di governo, che si attua attraverso il dispositivo diplomatico-militare e attraverso quello della polizia(p. 101).

L'insieme di questi temi (sovranità, governo, biopotere, potere pastorale) su cui Foucault lavora particolarmente nella seconda metà degli anni Settanta, trova un riscontro di riflessione anche rispetto alle vicende storiche di quegli anni. Infatti, Marzocca sostiene che è nel quadro del suo impegno di ricerca contro gli eccessi del potere che è opportuno anche considerare l'interesse di Foucault per quanto avveniva in Iran: qui, infatti, il filosofo francese individua un forte intreccio tra istanze politiche e etico-religiose, che rappresenta l'elemento principale dell'estraneità, ai canoni dell'Occidente contemporaneo, della rivolta in atto (p. 120).

Un ulteriore aspetto dell'analisi di Marzocca riguarda il ruolo del mercato e della scienza economica come nuovi elementi che influenzano le arti di governo. In tale ottica, quindi, il penultimo capitolo del libro si indirizza alle considerazioni di Foucault sul liberalismo e neoliberalismo. Si tratta di un discorso denso e interessante, perché mostra come Foucault operi una genealogia del governo liberale, delineandone le specificità nel modello inglese, derivante dalle dottrine dell'utilitarismo e nel modello francese, derivante invece dalla Rivoluzione del 1789; il filosofo francese arriva così a osservare come, nel Novecento, la dottrina liberale si biforchi poi in due tendenze teoriche: quella tedesca della Scuola di Friburgo e quella americana della Scuola di Chicago, entrambe accomunate dalla critica al keynesismo e dall'avversione al dirigismo e alla pianificazione economica. Frutto del liberalismo è stato, per Foucault, l'originarsi dell'homo oeconomicus, ovvero di una dimensione antropologica lontana sia dal meccanismo giuridico-politico di legittimazione del potere sovrano, tipico della modernità classica, sia dall'idea del sovrano come supervisore indiscusso della economia(p. 179). E' questo homo oeconomicus che conduce alla riorganizzazione liberale dell'arte di governo, determinando l'insorgere della dimensione-dispositivo della società civile. Il liberalismo, allora, delinea il problema del governo degli uomini, confrontandosi, da una parte con il nazionalismo e, dall'altra, con il socialismo e il marxismo (p.183).

In conclusione, l'esame dell'opera di Foucault mostra come, nella pratica di governo, attraverso le sue varie forme storiche di razionalità politica, gli uomini prendano sempre parte a relazioni di potere; quindi, è necessario praticare l'etica della libertà su un duplice fronte: quello della nostra libertà del governo di tutti e di ciascuno e quello della libertà degli altri dal potere irreversibile, che potrebbe esercitarsi pure attraverso di noi (p. 201). Notoriamente, per il filosofo francese, questa etica di libertà passava per l'idea della cura di sé, propria del mondo classico.

Il laboratorio teorico di Foucault, che Marzocca ha ricostruito mostrandone gli snodi, attraverso una articolata scansione in paragrafi degli argomenti trattati, abitua a pensare le istituzioni politiche come processi storico-sociali, contribuendo a evitare percezioni reificate della società e rinsaldando un rapporto tra etica e politica, scevro di implicazioni strumentali, ma semplicemente finalizzato, grazie a una accurata genealogia, a una conoscenza aperta, libera e non dogmatica. Resta naturalmente da valutare in che misura politologi, filosofi del diritto e filosofi politici riusciranno ad accogliere questa prospettiva che insidia, evidentemente, una parte del loro approccio, segnatamente quella legata a tradizioni comportamentiste, formaliste e normative.

Francesco Giacomantonio