2011

G. Martinico, O. Pollicino (eds.), The National Judicial Treatment of the ECHR and EU Laws. A Comparative Constitutional Perspective, Europa Law Publishing, Groningen 2010, pp. 511, ISBN 978-90-8952-069-2

Il volume raccoglie le relazioni presentate al convegno organizzato dallo Stals (Sant'Anna Legal Studies) sul tema National Judges and Supernational Laws: On the Effective Application of EU Law and the ECHR (Pisa, 15-16 gennaio 2010). In quell'occasione una ventina di giuristi provenienti da diversi paesi europei si erano riunititi per discutere una questione proposta dagli organizzatori del convegno, Giuseppe Martinico e Oreste Pollicino: se e in che misura sia oggi in atto una tendenza alla convergenza del diritto dell'UE e del diritto CEDU, tale per cui i giudici nazionali sarebbero sempre più disponibili ad attribuire alla CEDU la stessa efficacia del diritto dell'UE, o un'efficacia comparabile; se e in che misura persistono ancora elementi di importante diversità fra il "dialogo" che i giudici nazionali intrattengono con la Corte EDU e il dialogo con la Corte di giustizia. Secondo l'ipotesi di ricerca di Martinico e Pollicino, l'autorevolezza e la rilevanza della giurisprudenza di Strasburgo si sarebbe progressivamente accresciuta, cosicché oggi i giudici nazionali, in caso di conflitto fra diritto interno e CEDU, tenderebbero a utilizzare le stesse soluzioni adottate per il caso di conflitto con il diritto dell'UE, o soluzioni analoghe. Ricorrendo alla disapplicazione nel caso concreto del diritto nazionale confliggente, o al suo annullamento con efficacia erga omnes, o a strumenti di tipo ermeneutico (interpretazione adeguatrice del diritto nazionale, presunzioni di conformità, costruzione di principi del diritto comuni agli ordinamenti, ecc.), i giudici nazionali sempre più si mostrerebbero disponibili ad ammettere la prevalenza della CEDU e, quindi, l'autorità del suo interprete qualificato, la Corte di Strasburgo, in modo simile a quanto è avvenuto con il diritto dell'UE e con la giurisprudenza della Corte di giustizia.

Occorre dire che si tratta di un'ipotesi tutt'altro che singolare o eccentrica. Almeno dagli anni Novanta, si è diffusa nella cultura giuridica europea l'idea che la storia della Corte EDU sia la storia del suo costante progresso verso il meglio. Secondo questa narrazione, scrive Nico Krisch (The Open Architecture of European Human Rights Law, in "The Modern Law Review", 2008, pp. 183-216, p. 183),

la Corte EDU si sarebbe ampiamente liberata delle sue origini di tribunale internazionale e avrebbe cominciato a rassomigliare a una corte costituzionale sovranazionale, con un ancoramento negli ordinamenti giuridici nazionali sempre più forte e un generale riconoscimento della sua autorità quale ultimo arbitro delle controversie in materia di diritti umani in Europa. Così, la storia della Corte di Strasburgo ha iniziato a essere vista come parte della 'costituzionalizzazione' dell'Europa: la riuscita implementazione di un modello di modello costituzionale di politica, in cui il diritto formula le regole fondamentali della vita politica e dà loro applicazione attraverso organi giudiziari efficaci.

Come spesso avviene nelle scienze giuridiche, questa narrazione è in parte una descrizione, in parte un progetto. Se, cioè, è innegabile che la storia della Corte EDU sia anche la storia della sua progressiva affermazione come voce autorevole ed efficace nel discorso costituzionale europeo, è comunque chiara la componente normativa di questa narrazione. Secondo una prospettiva cosmopolita o federalista europea, si tratta della speranza che la Corte EDU diventi un giorno ciò che oggi sicuramente non è, e cioè un giudice competente a pronunciare l'ultima parola in materia di violazione dei diritti fondamentali, e un'ultima parola efficace (le corti costituzionali nazionali tendono a conservare per sé questo ruolo; di qui la possibilità di conflitti con la Corte di Strasburgo, quale quello deciso da BVerfG, 14 ottobre 2004, Görgülü, in BVerfGE, 111, 307, secondo cui la giurisprudenza della Corte EDU deve solo essere "presa in considerazione"). Secondo una prospettiva pluralista, si tratta invece dell'idea che la Corte EDU debba consolidare il suo ruolo costituzionale in modo tale da poter intervenire da una posizione quantomeno di pari dignità e autorevolezza nel dialogo con i giudici nazionali, la Corte di giustizia, i parlamenti e i governi nazionali, le istituzioni europee e internazionali.

Bisogna solo aggiungere che a volte questa narrazione ha accenti polemici verso l'"altra costituzione" dell'Europa, per così dire, quella sicuramente in vigore: la costituzione comunitaria, costituzione economica basata sul mercato interno. Ne risulta così una contrapposizione fra la costituzione dei diritti incentrata sulle garanzie individuali e la costituzione dei mercati incentrata sulle quattro libertà di circolazione fondamentali (delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali). Naturalmente è possibile sostenere che l'una e l'altra costituzione vadano di pari passo e a braccetto e che il problema principale, nella prospettiva "interna" del partecipante (in quanto distinta dalla prospettiva esterna, eventualmente critica, dell'osservatore) sia quello della creazione di un quadro istituzionale abbastanza complesso da gestire i "conflitti fra diritti" (e fra poteri) dello spazio giuridico liberal-democratico.

Ad ogni modo, sia che si voglia ravvisare una contrapposizione fra Europa dei mercati ed Europa dei diritti, sia che si voglia sottolineare la solidarietà fra i due lessici fondamentali del costituzionalismo europeo, l'interesse della questione sollevata dagli organizzatori del convegno di Pisa è evidente e non è solo di tipo tecnico-giuridico. Se la CEDU avesse cessato di essere un trattato internazionale privo di particolari caratteristiche distintive quanto a efficacia e livello di integrazione nel diritto statale, avremmo infatti buone ragioni per sostenere che l'Europa sta iniziando a sviluppare elementi di una seconda "costituzionalizzazione", dopo la costituzionalizzazione del diritto comunitario; si potrebbe sostenere, cioè, che la CEDU si sta affermando come chiave di volta di una possibile costituzione dell'Europa - una costituzione dei diritti, quindi, non più solo una costituzione economica. Verificare o falsificare l'ipotesi di una convergenza significa pertanto esaminare lo stato odierno dei processi di costituzionalizzazione sovranazionale nell'area europea e dare così concretezza alla controversa e ambigua formula del "pluralismo giuridico".

A tale scopo, gli organizzatori del convegno hanno chiesto ai partecipanti di rispondere a una serie di domande relative alla posizione del diritto dell'UE e della CEDU nel sistema nazionale delle fonti, alla giurisprudenza nazionale in tema di rapporti con il diritto dell'UE e con la CEDU, all'impatto delle decisioni della Corte di Giustizia e della Corte EDU, all'opinione diffusa nella comunità giuridica nazionale e fra i giuristi accademici circa l'importanza dei Trattati UE e della CEDU. Il risultato è "una prospettiva costituzionale comparata", come recita il sottotitolo del volume in recensione, sul trattamento giudiziario del diritto dell'UE e della CEDU. La comparazione per semplice giustapposizione che risulta dalla serie di reports nazionali è ingrata con alcuni contributi di sintesi e rielaborazione teorica (da segnalare l'introduzione di Giuseppe Martinico, le conclusioni di Oreste Pollicino e il saggio di Robert Harmsen, The Transformation of the ECHR Legal Order and the Post-Enlargement Challanges Facing the European Court of Human Rights).

La conclusione della ricerca comparativa a prima vista è piuttosto deludente. Poiché i risultati delle relazioni sono contraddittori e le diverse esperienze nazionali restano, appunto, diverse e sotto questo profilo disomogenee, la conclusione della ricerca è che non ci sono sufficienti elementi per arrivare a una conclusione definitiva. È vero che in alcuni nei paesi ex comunisti la CEDU ha subito in questi ultimi anni una notevole rivitalizzazione, al punto che può parlarsi di una "costituzionalizzazione de facto della Convenzione, in termini che almeno sino ad ora sono stati privi della qualità dialogica riscontrata nel caso degli Stati membri occidentali" (Robert Harmsen, p. 48). Si sarebbe trattato, infatti, di una recezione della giurisprudenza di Strasburgo a volte entusiastica ma spesso passiva da parte di giudici - soprattutto giudici costituzionali e corti supreme - in cerca di una legittimazione esterna per il "processo di europeizzazione" in corso dopo il crollo del comunismo. È vero anche che di una tendenza alla convergenza può parlarsi con riguardo ad alcune "democrazie consolidate" nelle quali la giurisprudenza si mostra sempre più disponibile a riconoscere la supremazia della CEDU, o quantomeno la sua prevalenza in caso di conflitto con la legge ordinaria. Tale è, per certi aspetti, il caso italiano, in cui le note sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale si lasciano interpretare come una reazione della Corte alla giurisprudenza di "alcuni giudici comuni sovversivi" che avevano iniziato a trattare la CEDU come se fosse diritto dell'UE (Pollicino, p. 505). E tuttavia, sul punto della convergenza fra diritto UE e CEDU le relazioni non sono conclusive, e anzi spesso escludono che una tendenza del genere sia in atto con riguardo all'ordinamento nazionale preso in esame (si vedano, ad esempio, i casi della Germania, Austria, Ungheria, Paesi Bassi, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Grecia). I risultati delle varie relazioni sono così discordanti fra loro che, adeguatamente selezionati, potrebbero essere utilizzati per argomentare una tesi opposta a quella avanzata dai curatori del volume: e cioè che, anziché di una convergenza dei vari paesi europei verso il consenso costituzionale interpretato dalla Corte di Strasburgo, si debba invece parlare di una convergenza sulla piattaforma "sovranista" espressa in più occasioni dalla Corte costituzionale tedesca. Il fatto è che un minimo comun denominatore delle diverse esperienze costituzionali prese in esame nel volume sembra essere la riluttanza a sancire formalmente la supremazia del diritto "esterno" e, quindi, la tendenza da parte della corti supreme nazionali a conservare, nonostante il favore per l'integrazione europea e l'apertura alla cooperazione internazionale, rilevanti poteri di controllo sull'interpretazione e l'applicazione di tale diritto.

Ma questa sarebbe una lettura del volume in recensione parziale e, tutto sommato, deformante: se dalla lettura delle relazioni non è possibile trarre alcuna conclusione definitiva circa una tendenza verso l'armonizzazione, l'integrazione e la convergenza delle tradizioni costituzionali dei paesi presi in esame, lo stesso deve dirsi circa la loro perdurante autonomia, separatezza, sovranità. Emerge appieno, invece, l'accentuato pluralismo dello spazio giuridico europeo - l'irriducibile compresenza di una molteplicità di pretese di sovranità che a volte confliggono, a volte convergono e sempre cercano una qualche forma di accomodamento o bilanciamento reciproco. La molteplicità di pretese di sovranità si riflette nella accentuata varietà dei contenuti normativi sostanziali da esse espressi. Così, per quanto riguarda i temi affrontati nel volume, la varietà costituzionale esistente oggi in Europa risulta dal fatto che vi sono costituzioni che attribuiscono uno status particolare al diritto dell'UE, costituzioni che attribuiscono uno status particolare ai trattati internazionali sui diritti umani, e costituzioni che non distinguono fra diritto internazionale e diritto dell'UE; a seconda degli Stati, alla CEDU è riconosciuto un rango costituzionale, superlegislativo o legislativo; ovunque è ammessa la prevalenza del diritto dell'UE sul diritto legislativo interno, ma la soluzione degli eventuali conflitti con il diritto costituzionale interno spesso è incerta.

Sembrerebbe tuttavia che, a una lettura attenta delle relazioni, sia possibile rintracciare alcuni elementi di convergenza, ma questi vadano ricercati altrove. Tre, in particolare, meritano di essere qui segnalati.

In primo luogo, la centralità dell'interpretazione giudiziale. Generalmente la prevalenza della CEDU è assicurata nella giurisprudenza nazionale attraverso l'ampio ricorso a presunzioni di conformità e a tecniche interpretative che non implicano - e che anzi essenzialmente sono dirette a evitare - una subordinazione formale del diritto interno al diritto CEDU. Questa sembra una caratteristica costitutiva del pluralismo giuridico, ciò che fa sì che questa espressione così in voga e ambigua riesca effettivamente a interpretare un tratto importante della cultura giuridica interna di molti stati membri dell'UE e del Consiglio d'Europa: la creazione di stabili gerarchie normative fra diritto interno e diritto "esterno" (diritto dell'UE e diritto CEDU) viene evitata mediante l'adozione di un approccio che lascia ampi margini di flessibilità e di adeguamento alle caratteristiche peculiari del caso concreto e alla diversa costellazione di interessi nazionali e sovranazionali che possono trovarsi a convergere, o a confliggere, su una determinata questione.

Il secondo elemento è strettamente collegato al primo. Dalla lettura delle varie relazioni emerge che è corale la consapevolezza del ruolo centrale delle corti nella scrittura del diritto costituzionale europeo. Tale ruolo è il portato di un processo di giuridificazione o, meglio, giudiziarizzazione (judicialisation) della politica, che ha fatto sì non solo che le corti di numerosi paesi riconoscessero la forza costituzionale o quasi-costituzionale della CEDU pur in assenza di una espressa decisione in tal senso del costituente, ma che addirittura utilizzassero la CEDU come strumento per interpretare la costituzione nazionale prima ancora che la Convenzione venisse ratificata dal legislatore e incorporata nell'ordinamento interno (questo è il caso di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania).

Il terzo elemento che accomuna molte relazioni raccolte nel volume è un approccio alla giustizia costituzionale e ai processi di integrazione giuridica sovranazionale che potremmo definire anti-dogmatico, contestuale, realista. Le corti non sono concepite tanto come custodi di una legalità che preesiste alla decisione e che le vincola nell'esercizio della funzione giurisdizionale, quanto come istituzioni titolari di poteri in grande misura discrezionali, attori strategici portatori di una propria politica del diritto.

Così, ad esempio, ci viene detto che la Corte di Strasburgo gradua la dottrina del margine di apprezzamento (cioè il riconoscimento di un certo margine di autonomia dei legislatori nazionali nell'interpretazione degli standard posti dalla CEDU) in modo da consentire deroghe ed eccezionali restrizioni dei diritti fondamentali purché limitate nel tempo alla fase della transizione verso la democrazia liberale - ad esempio, per quanto riguarda l'esclusione del diritto di elettorato attivo degli ex membri del partito comunista lettone o il divieto per i membri della polizia ungherese di iscriversi a partiti politici. Secondo Robert Harmsen, se nei confronti dei paesi centrali ("democrazie consolidate") la Corte EDU si limita generalmente a raffinare la protezione dei diritti fondamentali mediante il ricorso a un'interpretazione evolutiva volta ad adeguare il diritto costituzionale vivente alla mutata realtà sociale, nei paesi periferici (stati in transizione verso la democrazia liberale e stati che mostrano difficoltà strutturali nel rispetto degli standard della CEDU) il ruolo della Corte è più attivo e la disponibilità a recepirne gli orientamenti da parte dei giudici nazionali è più accentuata. Tuttavia la Corte tornerebbe ad essere cauta, persino pavida, nei procedimenti che riguardano situazioni di conflitto eccezionale (quale la guerra in Cecenia): il suo ragionamento si fa allora "piuttosto cauto e formulare", giacché la Corte "concede agli Stati una ampia, sebbene non illimitata, discrezionalità" (p. 42), dimostrando così una certa consapevolezza realistica del fatto che i "limiti del diritto" non sono solo quelli che il diritto pone a se stesso, ma anche quelli concessi dalla politica e dalla realtà sociale.

Ma si tratta solo di un esempio perché, ripeto, la consapevolezza realistica del ruolo in senso lato politico della giurisdizione è condivisa da molte relazioni, così come è condivisa la tendenza a formulare spiegazioni dell'evoluzione giurisprudenziale anti-formaliste, perché di tipo essenzialmente sociologico, psicologico, pragmatico. In questo modo, il volume offre una fotografia aggiornata e completa non solo del panorama costituzionale europeo quanto ai rapporti fra diritto interno, CEDU e diritto UE, ma anche della cultura giuridica che su tale panorama riflette. Il libro merita perciò di essere segnalato come un utile strumento sia per il giurista interessato alla comparazione, sia per il teorico del diritto interessato ai processi di costituzionalizzazione e alle trasformazioni contemporanee della cultura giuridica.

Giulio Itzcovich