2011

M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano 2009, ISBN 978-88-07-10448-0, pp. 416

La vicenda del capitalismo occidentale è uno dei temi su cui, maggiormente, la tradizione di sociologia, filosofia sociale e filosofia politica tende a soffermarsi.

In questa densa tradizione va a collocarsi il volume di Mauro Magatti, che esamina l'evoluzione più recente del modello capitalista sostanzialmente dagli anni Ottanta ad oggi, delineandone le nuove caratteristiche, i complicati meccanismi del suo operare, le sempre più ambigue conseguenze sulla vita sociale e politica.

Punto di partenza del discorso di Magatti è ciò che egli definisce il "capitalismo societario" (pp. 47-53), ossia la configurazione sociale che caratterizzava Europa e Nord America nel secondo dopoguerra. Questo modello si basa sulla priorità dell'istituzione sull'individuo e sul carico di contenuti di cui venivano investite le istituzioni sociali: esso coincide, in pratica, con la fase della diffusione dei sistemi di welfare.

Il capitalismo societario, proprio per queste sue connotazioni fortemente istituzionali e quindi rigide, era destinato ad entrare in crisi, così che, nei decenni più recenti, l'autore è portato a ritenere che esso sia stato soppiantato da ciò che egli denomina "capitalismo tecno-nichilista". Le motivazioni della crisi del capitalismo societario e del suo superamento vengono individuate nella rottura del rapporto di equilibrio all'interno di alcune categorie sociali moderne, che esso aveva precedentemente mantenuto: il rapporto tra logos e pathos, la relazione tra immanenza e trascendenza, quella tra libertà e controllo.

Sul piano politico-economico, il neoliberalismo è la risposta alla crisi culturale e strutturale del capitalismo societario. Parallelamente, la penetrazione della tecnica nelle diverse sfere della vita e la sua estensione su scala planetaria "aprono una nuova fase nel processo di razionalizzazione" (p. 69). Ora, questi due processi, secondo Magatti, si realizzano grazie al "macrosistema tecnico" e alla "sfera istituzionale standardizzata", ossia grazie agli apparati tecnici e alle istituzioni, che operano in modo da aumentare la controllabilità delle azioni umane e la prevedibilità di quanto accade. Tali operazioni comportano effetti sociali rilevanti. In primo luogo osserviamo "la generalizzazione dell'esperienza estetica" (p. 80): in tutti i ceti sociali, gran parte delle attività si svolgono con particolare cura al lato estetico e questa esperienza estetica si intreccia, in modo sempre più fitto, allo sviluppo tecnico.

Vi è poi la "rispazializzazione della vita quotidiana" (p. 81), per cui qualunque mondo sociale diventa penetrabile da contenuti simbolici esterni ed estranei, con la conseguenza che è sempre più difficile depositare significati culturali in qualsivoglia luogo, istituzione, gruppo.

E' in queste condizioni che il capitalismo societario viene soppiantato dal capitalismo tecno-nichilista, di cui il testo esplora, nella sua seconda parte, le variegate strutturazioni. Esso sembra, infatti, agire su più piani: culturale, esistenziale, epistemologico, etico, politico, economico.

Il capitalismo tecno-nichilista determina una separazione tra funzioni e significati, sancendo così la "reversibilità del senso" (p. 97): la vita viene fatta consistere in una ricerca non del significato delle cose, ma della varietà dell'esistente. Non esiste più la verità, ma solo la varietà. Dal punto di vista epistemologico, assieme alle teorie della complessità, si affermano le prospettive di Popper e Wittgenstein che conducono alla diffusione di un modello decostruzionista, riducendo la conoscenza ad un ammasso di significanti, e sospettando di ogni metateoria e di ogni narrazione troppo estesa. La stessa organizzazione economica viene gestita sulla base di un'etica della mobilità continua (p. 115) e si incentra non più, come nel capitalismo societario, su lavoro e offerta, ma su consumi, servizi, domanda: il parametro di riferimento diventa, come mostrato da Žižek, il semplice godimento. Si entra, quindi, nella "bioeconomia" (p.142-144), in cui è la vita che viene messa in produzione, agendo sui criteri, le procedure, gli standard dell'esistenza.

Il parametro di riferimento di questo nuovo capitalismo è, dunque, "la frammentazione" (p. 148) che Magatti delinea, mettendo in campo l'ampio ventaglio di studi sociologici e filosofico-sociali che l'hanno diagnosticata. La frammentazione è evidente nelle culture che vanno "in polvere" (Appadurai), nella radicalizzazione del pensiero analitico, che porta all'idea che più si riesce a isolare una cosa dalle altre più si è potenti su di essa, nella caduta dei valori che conduce a un' "etica spezzata" (p. 154), nella disgregazione dell'opinione pubblica (Habermas), nella dislocazione dei territori (il riferimento è all'eterotopia di Foucault, ripresa anche da Bauman), nella liquefazione dei rapporti sociali (ancora Bauman), fino alla disintegrazione del sé, dei ruoli, delle biografie (Beck) e addirittura della psiche (l'Io svanisce tra neuroscienze, prospettive decostruzioniste Lacaniane, e sua relatività diagnosticata dai cultural studies) e del corpo (che perde la sua inviolabilità diventando un fatto bio-tecnico, modificabile, alterabile, integrabile).

Il capitalismo tecno-nichilista, a causa di tutte queste frammentazioni, è il regno dell'evento, dell'istante. "Abbattute le fonti tradizionali dell'autorità, abbandonate le ideologie del Novecento, travalicati i confini della società nazionale, non ci può essere altro senso se non quello che viene stabilito nella singola contingenza" (p. 213): il senso e il non-senso perdono la loro centralità ontologica, poiché diventano qualcosa pertinente all'istante, e, quindi, momentanei e sempre reversibili.

Ora, l'ampia analisi sociologica di Magatti non si configura solo come una puntuale descrizione di tutti i fenomeni sociali del capitalismo tecno-nichilista; essa, infatti, giunge a cogliere il profondo significato politico di questo nuovo capitalismo.

Una delle interpretazioni più accreditate del concetto di politica è quella per cui filosofi politici, politologi e sociologi la descrivono come ambito dei rapporti di potere. Il potere, ricorda Magatti, indugiando opportunamente sulla lezione classica di Weber, è la condizione per cui una attività viene permessa, entro certi limiti legittimi; ma, nel capitalismo tecno-nichilista, i limiti vengono continuamente travalicati e, anzi, il loro stesso status ontologico, come abbiamo visto, è pesantemente relativizzato e/o decostruito, per cui, nell'epoca attuale, la politica è formata sempre più da rapporti non di potere, ma di potenza, ovvero di un potere non limitato. Questa potenza viene artatamente sganciata dai suoi vincoli e inserita in un sistema capace di sfruttarla sistematicamente. Su quali assi, allora, si poggia la politica nel capitalismo tecno-nichilista?

Attingendo ancora una volta ad una ricca bibliografia (Galimberti, Cacciari, Agamben, Bauman, Negri), che mostra il passaggio dalla potenza alla prepotenza, Magatti coglie un primo asse nella ridefinizione del rapporto tra cittadini e stato-nazione: lo stato può prendersi cura solo di coloro che prendono parte attivamente alla produzione della ricchezza. Un secondo asse riguarda il rapporto tra diversi gruppi sociali, territorio e accesso ai diritti: tutti coloro che non servono alla produzione rischiano di essere banditi pur conservando la titolarità formale dei diritti (p. 263).

In definitiva, la prepotenza politica si manifesta in forme di esclusione e marginalizzazione di particolari gruppi sociali non integrabili nel modello tecno-nichilista.

Giungiamo così al cuore politico del volume, che ruota attorno all'idea di libertà, o meglio intorno alla questione su quale libertà si configuri nel capitalismo tecno-nichilista, in cui il legame sociale si configura in una "società orizzontale" (p. 276), caratterizzata dallo slittamento dal rapporto di fiducia a quello di fidelizzazione, dalla confusione e dalla contaminazione, dalla rivalità e dalla violenza latente.

La posizione di Magatti sulla libertà contemporanea è molto esplicita; essa è descritta come una dimensione immaginaria: "l'individuo contemporaneo ama fantasticare circa la propria libertà, rifuggendo il confronto con la realtà così come esiste, considerandola nient'altro che l'espressione di una qualche forma di autorità, che per principio, va rifiutata" (p. 353), dal momento che vige una situazione di (pre-) potenza diffusa. In effetti, la possibilità di scelta nel capitalismo tecno-nichilista, si presenta, in molti casi, molto alterata: il contesto socio-politico appare come un mondo bio-politico, bi-polarizzato, in cui si verificano incomunicabilità profonde tra sfera della ragione (logos) e sfera emotiva (pathos), tra individuo e gruppo, tra movimento e trascendenza, tra eccesso di stimoli e dispersione del Sè, tra performance e inadeguatezza. "Il capitalismo", afferma efficacemente Magatti, "scrive una nuova tappa della sua storia cercando di costruire un'alleanza tra uno sviluppo tecnico straordinario e una cultura nichilista che accetta la polverizzazione di qualunque significato. Ne dovrebbe derivare il regno della libertà. Ma così non è, perché il gusto viene educato, l'emozione provocata, il corpo sanitarizzato. E così l'Io contemporaneo, che si pretende indiscutibilmente libero nell'inseguire il proprio desiderio (che non conosce), si trova invischiato in sabbie mobili che sfuggono alla sua comprensione" (p. 352).

Quella del capitalismo tecno-nichilista è, dunque, una libertà immaginaria, perché priva di elementi fondamentali come la compiuta soggettività, la spiritualità e l'autonomia collettiva. Senza tali elementi non c'è creazione di senso, poiché questa dipende, come ha insegnato Castoriadis (altro riferimento importante che attraversa tutto il volume), da una creazione collettiva e non individuale di significati.

Esistono possibilità di andare oltre i limiti del capitalismo tecno-nichilista e della sua libertà immaginaria? Si può accedere a un nuovo immaginario di libertà? L'autore prova, nella parte conclusiva, a fornire alcune tracce, alcuni percorsi, all'interno dei quali si può pensare di arrestare la reversibilità del senso del mondo attuale. Egli sottolinea, quindi, la dimensione della sofferenza (pp. 362-366) e la sua possibilità di determinare un prendersi cura, un commuoversi, un compatire, un partecipare; richiama il valore del dialogo e del confronto tra dimensione individuale e "gruppale" (pp. 366-374); invita a recuperare il linguaggio simbolico come elemento di rimodulazione del rapporto tra immanenza e trascendenza (pp. 374-379). È da questi percorsi che possono tornare a essere valorizzate dimensioni della libertà come quelle della fede, della responsabilità, del perdono, che la logica tecno-nichilista ha occultato.

Capace di spaziare tra tutti i principali dibattiti sociologici contemporanei, nei loro aspetti politici, epistemologici, etico-filosofici (dei cui numerosi referenti in questa recensione è stato possibile rendere conto solo sommariamente), il volume di Magatti costituisce una lettura che fornisce - attraverso concetti chiari, precisi e rigorosi, senza ricadere in posizioni ideologiche- in egual misura, contenuti istruttivi e spunti di riflessione e rielaborazione personale per il lettore. E' un'analisi che si iscrive nel filone di una sociologia riflessiva e critica e che è di non trascurabile interesse anche per la filosofia politica, poiché mostra che, pensare oggi le categorie di governo, potere, libertà, Stato, cittadinanza, eludendone le implicazioni sociologiche e assorbendole in dinamiche puramente analitico-normative, può costituire una triste disattenzione. O, forse, se si preferisce, l'ennesima esplicitazione di un pensiero tecno-nichilista.

Francesco Giacomantonio