2005

A. Loomba, Colonialism-postcolonialism, Routledge, London-New York 1998, trad. it. Colonialismo/postcolonialismo, Meltemi, Roma 2000, ISBN 88-8353-022-5

Il volume di Loomba (docente di Letteratura inglese all'Università dell'Illinois) è una introduzione chiara e ben articolata a quel campo di ricerche aperto e piuttosto complesso, sia nella forma sia nei contenuti, che ha preso il nome di "studi postcoloniali". Le difficoltà di una definizione del campo d'indagine degli studi postcoloniali dipendono, in primo luogo, dalla nozione complessa e plurale di differenza, al centro del dibattito; innanzitutto la differenza storica tra l'epoca coloniale e quella post-coloniale. Sintetizzando brutalmente la questione, potremmo dire che l'età postcoloniale si caratterizza per il definitivo (per quanto non ancora completo) divenire-uno del mondo, ovvero per il processo tendenziale di globalizzazione; in tal senso, l'aggettivo postcoloniale indicherebbe una situazione che, pur essendo stratificata e differenziata al proprio interno, tuttavia si caratterizzerebbe per un immediato riferimento, quantomeno formale, al mondo come orizzonte unitario. In un senso solo apparentemente paradossale, è proprio l'unicità del riferimento globale a far emergere in tutta la sua potenza la pluralità delle differenze locali. L'Autrice stabilisce in maniera sicura la propria ricerca all'interno di quest'orizzonte, molteplice perché univoco, contestando fin dall'inizio quelle critiche agli studi postcoloniali che provengono da "punti di vista conservatori e, come dire, parrocchiali" (p. 9). È in conseguenza di questa presa di posizione chiara che il libro può articolare, a volte anche in minimi dettagli, i problemi sollevati dagli studi postcoloniali, nonché le critiche (a volte anche molto aspre) ad essi rivolte. Il fatto che gli studi postcoloniali nascano interdisciplinari, si sviluppino cioè all'incrocio tra storia, sociologia, letteratura, psicoanalisi, filosofia politica, rende ancora più complessa e affascinante la ricostruzione del loro ambito generale.

Il libro di Loomba è costituito da tre capitoli. Nel primo si analizzano i termini più controversi: colonialismo, neocolonialismo, imperialismo, postcolonialismo; considerandoli sia dal punto di vista dei processi materiali, sia dal punto di vista delle pratiche discorsive (istituzionali, letterarie etc.). Nel secondo capitolo si entra nel vivo della problematica postcoloniale, trattando dei soggetti che giocano, e vengono giocati da quei processi e quelle pratiche, e mettendo in luce le differenze (di razza, di cultura, di sesso e di classe) che li attraversano e li costituiscono. Nel terzo capitolo si indaga la relazione tra il processo di decolonizzazione e le forme della resistenza anticoloniale, cercando di articolare la questione che G. Spivak ha sintetizzato nella seguente domanda provocatoria: "i subalterni possono parlare?". In quest'ultima parte è soprattutto il problema del nazionalismo anticoloniale a venire in primo piano. Prendendo questo tema come esempio del modo in cui Loomba elabora le questioni essenziali, possiamo dire che l'Autrice assume quasi sempre un punto di vista descrittivo o neutrale. Non prende posizione, cioè, né a favore di coloro che pensano la resistenza nazionalistica dei popoli coloniali come una resistenza mimetica, che deriva cioè il proprio carattere dall'ideologia del nemico, né a favore di coloro che ritengono quest'ultimo un discorso intellettualistico (per non dire snobistico), ritenendo che il nazionalismo anticoloniale sia stato l'unico fattore in grado di scalfire davvero il potere del colonizzatori.

La caratteristica più interessante e originale di questo volume è forse l'attenzione dedicata alla differenza sessuale nella strutturazione delle identità coloniali e postcoloniali. Scrive, per esempio, Loomba - a proposito dell'impari lotta delle "donne nere": "per richiamare l'attenzione sulla loro posizione complessa, le femministe nere e postcoloniali e le attiviste hanno dovuto sfidare sia i pregiudizi razziali fra le femministe sia la cecità nei confronti della differenza fra i sessi dei movimenti antirazzisti o anticoloniali" (p. 164). Ma aggiunge anche che è necessario fare molta attenzione per non cadere nell'ulteriore ipostatizzazione di un soggetto, la donna nera, appunto, che finisce per obliterare a sua volta "l'enorme varietà di differenze culturali, razziali o di location che costituiscono questa categoria" (p. 167). In linea con tale esempio, possiamo dire che la strategia complessiva dei discorsi postcoloniali sia quella di moltiplicare le differenziazioni per impedire la formazione di stereotipi ideologici che, da qualunque parte provengano, lavorano sempre a favore dei poteri dominanti. Interpretando in tal senso anche la necessità metodologica, espressa da Dipesh Chakrabarty, di "provincializzare l'Europa", Loomba conclude che se gli studi postcoloniali avranno un futuro "sarà perché sapranno occuparsi più direttamente del mondo contemporaneo e delle circostanze locali in cui le idee e le istituzioni coloniali assumono la forma delle diversissime pratiche culturali e sociologiche che definiscono la 'globalità' contemporanea" (p. 247).

Paolo Godani