2005

J. Lobe, A. Olivieri (a cura di), I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 171, ISBN 88-07-71016-1

I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani raccoglie alcuni dei più importanti saggi, articoli di giornale, lettere aperte al Presidente, dei più autorevoli intellettuali e funzionari che, con tutte le loro specifiche differenze, si riconosco o sono riconosciuti come appartenenti a un movimento, una lobby, un gruppo, oggi particolarmente influente nel determinare la politica estera e di sicurezza statunitense, che viene definito neoconservatore. Gli articoli e saggi pubblicati riguardano cinque tematiche chiave della loro dottrina neoconservatrice: 1) il ruolo geostrategico degli Stati Uniti, 2) la nuova dottrina militare, 3) gli Stati Uniti e la comunità internazionale, 4) Medio Oriente e guerra al terrorismo, 5) la Cina. Un'analisi di questi saggi è utilissima non solo alla comprensione della dottrina neoconservatrice, ma anche a svelare i presupposti ideologi e il fondamento teorico dell'attuale Dottrina Bush, così come espressa in numerosi interventi del Presidente, dai Discorsi sullo Stato dell'Unione (gennaio 2002, 2003, 2004) al Documento sulla strategia sulla sicurezza nazionale (settembre 2002). Questa dottrina affonda le sue radici nel pensiero dei neoconservatori, e ricalca progetti e proposte già avanzate da istituzioni come l'American Enterprise Institute (Aei) o il Project for the New American Century (Pnac), punte di diamante dei think tank neoconservatori, e i cui membri ricoprono cariche di primo piano nei settori strategico-militari e politici dell'amministrazione Bush.

L'espressione 'neoconservatori' o 'neocon' ricorda come molti dei rappresentanti di questo gruppo, a differenza dei conservatori tradizionali, provengono da un passato liberal o di sinistra. Ma questa etichetta è troppo sintetica per fotografare una realtà più complessa. I neoconservatori sono un gruppo di intellettuali, accademici, analisti e funzionari politici, lobbysti dell'industria militare, incredibilmente compatto ma al tempo stesso variegato. Al primo nucleo di intellettuali ebrei americani che a seguito che conflitto arabo-israeliano del 1967 e al successivo isolamento internazionale di Israele si erano allontanati dall'ala liberal e dal Partito democratico per fondare l'ideologia neoconservatrice, si sono uniti i rappresentati di un parte del partito repubblicano, con stretti legami con l'industria della difesa e caratterizzati da forte impronta ideologico-religiosa di matrice puritana, che affonda le sue radici nel senso di missione civilizzatrice dei primi pellegrini, missione oggi intesa come dovere-potere degli Stati Uniti di espandere nel mondo i 'valori americani', libertà individuale e democrazia.

Durante la guerra fredda i neoconservatori hanno criticato la politica di distensione e di equilibrio sostenuta dagli esponenti della scuola 'realista' e da amministrazioni come quella di Jimmy Carter, ed hanno invece promosso e favorito la «strategia di militarismo aggressivo mirata a far ritirare il nemico (roll-back strategy) appoggiata dall'idea che 'non esiste alternativa' (There Is Not Alternative o Tina) al modello americano di liberalismo di mercato» (p. 15) promossa dall'amministrazione Reagan (prima di aderire al piano di reciproco disarmo intrapreso col Presidente Gorbaciov osteggiato da molti neoconservatori).

La caduta del muro di Berlino, il progressivo declino della ex Unione Sovietica, con la conseguente fine della guerra fredda, segnano un passaggio chiave nell'elaborazione della dottrina neoconservatrice. Con la caduta di quello che per quarant'anni era stato il nemico, lo spettro del comunismo, contro cui armarsi e da cui proteggersi, la dottrina neoconservatrice doveva sviluppare una nuova visione geostrategica che guidasse la politica estera statunitense nel ventunesimo secolo. Con la fine della guerra fredda si apriva uno scenario geopolitico completamente nuovo nel quale gli Stati Uniti giocavano per la prima volta nella storia il ruolo di unica super potenza mondiale. Charles Krauthammer, fotografò questo scenario con una espressione particolarmente efficace parlando di «momento unipolare».

Di fronte al nuovo ruolo degli Stati Uniti come unica super potenza, i conservatori si divisero riguardo alle strategie future. Da una parte l'ala tradizionalmente conservatrice (i 'paleoconservatori') come Pat Buchanan difesero una riduzione netta degli impegni stranieri degli Stati Uniti e si opposero con forza alla Guerra del Golfo del 1991 contro l'Iraq, individuando in una politica isolazionista la via maestra per tutelare al meglio gli interessi nazionali. Dall'altra i neoconservatori, proprio a partire dalla vittoria statunitense nella Guerra del Golfo, e dalla supremazia poltico-militare dagli Stati Uniti, evidenziarono «l'eccezionale opportunità di rimodellare il mondo alla luce dei propri interessi e valori» (p. 16), sostenendo esplicitamente che «l'obiettivo della politica estera americana avrebbe dovuto essere la trasformazione di quello che Charles Krauthammer aveva definito 'momento unipolare' in una 'era unipolare'» ed estendere un ordine internazionale compatibile sia con i nostri interessi materiali sia con i nostri principi» (p. 50).

Senza un competitor alla loro altezza nello scenario internazionale gli Stati Uniti esercitano di fatto una supremazia globale: «sulla base di qualsiasi metro politico, economico, militare, culturale, ideologico, di potere nazionale, gli Stati Uniti non hanno rivali, non solo oggi nel mondo, ma si potrebbe sostenere, nella storia umana» (p. 73). Così gli Stati Uniti, per i neoconservatori, hanno il dovere e la missione di mantenere la pace nel mondo e di esportare i propri valori di libertà e democrazia. Ma Who is the Enemy? (pp. 124 sgg.), chi è il nemico nell'era post guerra fredda? Apparentemente «il messaggio dell'undici settembre è forte e chiaro, senza lasciare spazio ad ambiguità: il nemico è l'Islam militante» (p. 127). In realtà nel progetto di supremazia globale neoconservatrice i nemici sono molti. Sono tutti quei paesi e quei popoli che vantano ragioni politiche, ideologiche, culturali, reali o potenziali, per opporsi alla supremazia statunitense. Particolarmente sprezzanti sono gli attacchi di alcuni intellettuali neoconservatori contro la 'Vecchia Europa', e in particolare la Francia (p. 60), colpevole, come nel caso della guerra in Iraq, di aver tentato di riportare l'agenda politica internazionale all'interno del foro del Consiglio di Sicurezza (istituzione del tutto superata per i neoconservaori. Cfr. pp. 100-101), trattando così da pari gli Stati Uniti e minacciando lo spettro del diritto di veto. Nemici sono la maggior parte dei paesi arabi musulmani, la Siria, l'Iran, l'Iraq, la Libia, il Sudan, lo Yemen, il Libano, e i gruppi di musulmani militanti che operano non solo in tutti paesi arabi, anche quelli politicamente più vicini agli Stati Uniti, dall'Arabia Saudita all'Egitto al Pakistan, ma anche nel resto del mondo, Europa e Stati Uniti compresi. Ma nemici dichiarati, e citati espressamente negli articoli e nelle lettere aperte al Presidente di istituzioni come il Pnac e l'Aei, sono anche le potenze asiatiche che cominciano a minacciare direttamente l'economia e la supremazia politico-militare statunitense, in particolare la Cina e la Corea del Nord, ma con una attenzione vigile anche sull'India e sulla Russia. Gary Schmitt, direttore esecutivo del Pnac, afferma tranquillamente che «la verità è che gli Stati Uniti non possono rimandare troppo a lungo il confronto con la Cina. In fondo, sono le ambizioni della Cina a rendere un conflitto inevitabile» (p. 147).

Paradossalmente, con la fine della guerra fredda i nemici (reali o potenziali) degli Stati Uniti sono aumentati (qualche miliardo di persone circa). Per questo uno degli imperativi dei neoconservatori è, dopo i tagli dell'amministrazione Clinton, la necessità di un aumento costante dei fondi destinati alla difesa e alla sicurezza nazionale (intanto la Cina aumenta le spese militari del 17% ogni anno. Cfr. p. 146), aumenti prontamente concessi dall'amministrazione Bush.

Nell'era del terrorismo post 11 settembre, dell'Asse del Male e dello scontro di civiltà contro l'estremismo islamico, l'alleato più fedele degli Stati Uniti, fortemente appoggiato dall'influente lobby ebraica aderente ai think tank neoconservatori, è lo Stato di Israele, e lo scontro - di cui la guerra in Iraq è solo una premessa, quasi un avvertimento - si gioca nell'area geostrategica mediorientale. Ma la prospettiva neoconservatrice è proiettata su una supremazia globale e in primo luogo sull'Asia.

Nella dottrina neoconservatrice, le istituzioni come le Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, e la Corte penale internazionale, rappresentano un ostacolo all'implementazione di questo progetto di egemonia politico-militare globale, frutto di una vecchia strategia dell'equilibrio e dei rapporti multilaterali che nell''era unipolare' non ha più senso e utilità conservare. Nell'era unipolare non sono necessari né fori di discussione multilaterale (le Nazioni Unite) né arbitri che sanzionino le infrazioni (la Corte penale internazionale). Alleanze occasionali, «coalizioni di volenterosi», possono comunque essere utili a fornire appoggio logistico e legittimazione politica ad interventi militari statunitensi, ma non sono assolutamente necessari (come dimostra la guerra in Iraq, sia nel 1991 che nel 2003). C'è un'unica potenza, un unico giocatore, un unico arbitro, rappresentante dell'Asse del bene, che decide chi sono i nemici, e come e quando punirli (perfino preventivamente, perché, come ha insegnato l'esperienza dell'Olocausto, non bisogna aspettare che il male si realizzi, bisogna prevenirlo: «un attacco preventivo contro Hitler ai tempi di Monaco avrebbe comportato una guerra immediata, piuttosto che la guerra che è scoppiata successivamente. Dopo è stato molto peggio». L'egemonia globale è un dovere per gli Stati Uniti, sia per la propria supremazia militare, che per la propria supremazia culturale, incarnata nei valori di libertà e democrazia che l'America rappresenta.

Il ruolo e l'influenza dei neoconservatori sull'amministrazione Bush è determinante. Il bilancio dei costi/benefici - non solo del conflitto iracheno, ma di tutta la dottrina neoconservatrice, con il suo interventismo militare, la guerra preventiva, la rottura del multilateralismo propria delle Nazioni Unite, l'attacco alla Corte penale internazionale - determinerà le fortune o l'eclissi di questo particolare gruppo di pressione politica, strategica, militare, definito neoconservatore. Ma come ricorda Pat Buchanan il movimento neoconservatore è come una marea, che «ha la capacità di riemergere, spesso a distanza di anni, sulla scena della politica estera america» (p. 41).

Enrico Tirati