2005

Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000, trad. it. Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. XXII+272, ISBN 88-420-6514-5

È raro ormai trovare in Italia una libreria che non dedichi un'intera sezione del suo spazio alla globalizzazione. Se non proprio d'una parola-feticcio, cui ricorrere di volta in volta per evocare benefici, disagi e rischiose novità della trasformazione in corso, di certo si tratta d'una parola che si sta logorando rapidamente, tanto che qualcuno già si affretta a scriverne la genealogia o persino il necrologio. Con ogni probabilità, una volta pubblicato in Inghilterra (2000) e tradotto in Italia (2002), Modernità liquida di Zygmund Bauman è apparso proprio alla voce "globalizzazione". Eppure questo saggio è un riuscito esempio di come si possa scrivere una storia del presente articolata e coerente senza incorrere nella parola sospetta e nel retrogusto ambiguo che essa lascia dietro di sé.

Come sempre, non è solo una questione di parole. Bauman concepisce la sociologia come una critica posta al servizio di un interesse, quello per l'emancipazione, che nella "società degli individui" non può mai venir meno. È quest'idea che assimila il sociologo al discorso della modernità più che a quello della globalizzazione. L'alternativa tra i due discorsi non è formulata esplicitamente ma emerge già dalla struttura del saggio: le cinque categorie che danno il titolo alle sezioni gravitano intorno al problema dell'autonomia ricostruendo, nell'ordine, le minacce cui essa è attualmente esposta (Emancipazione e Individualità), le radici di tali minacce (Tempo/spazio e Lavoro) e le sue correnti forme sostitutive (Comunità). Secondo Bauman la modernità di una forma di vita associata risiede innanzitutto nel fatto che i singoli e la società intera devono poter mettere in discussione, se lo ritengono necessario, le regole del gioco entro cui vivono. Ciò è richiesto dal modo, tipicamente moderno, di intendere l'individualità come compito di "individualizzazione" e non come qualcosa di già dato: il discorso della modernità si costituisce per sostenere tale compito, decostruendo costantemente i vigenti regimi di potere e di verità in rapporto alle esigenze individuali e collettive di autonomia. La globalizzazione e il suo discorso tendono invece a credere che le leggi dell'attuale sistema-mondo non possano esser riviste e che ogni azione (sia essa pro-, no- o new-global) debba innanzitutto assumere quest'orizzonte come intrascendibile.

Modernità liquida mette in luce le insidie di una prospettiva tutta interna alla costituzione economico-politica del presente. Si dà il caso, infatti, che il nomadismo con cui il capitale mondiale ricatta attualmente la stanzialità degli stati-nazione e della forza lavoro si riproduca, assoggettando le libertà (il plurale è d'obbligo) che gli individui hanno conquistato nelle lotte dei decenni passati; e che la pratica della flessibilità e la retorica dell'individuo self-made costituiscano i due volti della medesima strategia, ossia che l'attuale abbattimento dei costi di organizzazione e controllo sia stato ottenuto facendo delle soggettività stesse, dei loro desideri di consumo e del loro lavoro immateriale la principale fonte di ricchezza.

Bauman non poteva coniare metafora migliore della liquidità per rendere palpabile il paradosso di una simile società, in cui la rigidità dell'ordine è il prodotto e il sedimento della libertà degli agenti umani. È nell'elemento sfuggente di un potere che conosce "l'arte del vivere nel labirinto" ma pensa bene di non condividerla, veloce nel disimpegnarsi a livello sovranazionale e abile nel sedurre a livello intrasoggettivo, che si disputa la partita moderna dell'autonomia. Il problema di fondo è che l'attuale "economia politica dell'incertezza" non si limita a rendere poco più che formale il diritto di autoaffermazione: essa mira a rendere da subito il disagio del singolo non cumulabile in una causa comune. In questo modo scongiura la costruzione di alternative a se stessa, spingendo l'autonomia sul binario morto del "fai da te".

Chiunque voglia mettere in discussione il nuovo (dis)ordine globale deve partire da quest'impulso a "risolvere biograficamente le contraddizioni sistemiche", denunciandone l'inevitabile esito fallimentare e facendo i conti con le sue cause più profonde. In uno dei capitoli cruciali del saggio, Bauman mostra come sulla scorta delle tecnologie della rete sia stato rivoluzionato il nesso tempo/spazio affermatosi dalla società neolitica in poi. Per certi gruppi e in certe zone del mondo, le distanze spaziali e la resistenza del tempo sono state annullate: in potenza ogni punto dello spazio è rapidamente e ugualmente raggiungibile da ogni altro. In un simile contesto è l'istantaneità, e non più la durata, a orientare le nostre esperienze facendo paradossalmente diminuire la nostra "presa sul presente". La moderna ricerca dell'identità tende così ad assumere le sembianze degradate dello shopping ansiogeno, dei talk-show senza pudori, dell'ossessione per la cura del corpo, del bisogno di comunità e sicurezza, della paura e della criminalizzazione delle diversità.

Come si vede le analisi di Bauman attingono ampiamente a un lessico post-fordista ma con varianti significative, specialmente a livello di conclusioni. Indubbiamente l'impostazione da critica della cultura propria del sociologo polacco finisce per enfatizzare soprattutto i lati più cupi di questo paradigma e lascia programmaticamente senza risposta la domanda più urgente: non tanto "che cosa si deve fare?" ma "chi potrà farlo?". È anche vero, però, che la sociologia non può sostituire la politica, può solo avvertire tutti gli individui che vogliano esser tali de facto e non solo de jure di non fare il gioco della modernità liquida.

Federico Oliveri