2005

W. Kymlicka, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights, Oxford University Press, Oxford 1995, trad. it. La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna 1999, ISBN 88-15-07106-7

La raccolta di saggi "La cittadinanza multiculturale" consiste in una estesa riflessione sulla diversità culturale e i diritti delle minoranze. L'autore intende coniugare la documentazione empirica, tesa a ricostruire le specificità geo-politiche che le diverse tradizioni culturali implicano, con un approccio teorico volto a portare ordine in un dibattito largamente confuso e percorso da posizioni che spesso hanno rischiato più di mistificare che di analizzare i termini reali dei problemi.

Kymlicka distingue il pluralismo culturale secondo due modelli in stati multinazionali e stati polietnici. I primi risultanti «dall'assorbimento in uno stato più ampio di culture territorialmente concentrate che in precedenza si governavano da sole», i secondi in cui la diversità culturale si origina a partire dal confluire di diversi gruppi migranti in un medesimo stato.

Kymlicka mostra come alcuni teorici liberali abbiano contrapposto appartenenza culturale e nazionalità senza tener conto di questa semplice distinzione, attribuendo alla diversità culturale un significato unilaterale incapace di valorizzarne le sfumature. Ugualmente l'a. rifiuta quelle critiche che considerano l'atomismo sociale come un fondamento teorico imprescindibile per tutte le concezione liberali dell'individuo. Ritiene infatti errato che da questo elemento si possa trarre la conclusione di una congenita incapacità del liberalismo a fornire paradigmi utili per comprendere l'appartenenza dell'individuo alla comunità. Al contrario, la concezione dei diritti soggettivi, tipica della tradizione liberale, può essere utilizzata secondo l'autore «per sostenere un ampio ventaglio di rapporti sociali».

Questi due modelli permettono quindi di distinguere tra diversi tipi di diritti in funzione della appartenenza di gruppo. In particolare:

  1. I diritti di autogoverno, che oscillano da forme di autonomia politica dei diversi gruppi nazionali all'interno di uno stato federato, all'autodeterminazione come soluzione riconosciuta dalla Carta delle Nazioni Unite ad ogni popolo.
  2. I diritti polietnici, che «hanno lo scopo di aiutare i gruppi etnici e le minoranze religiose ad esprimere la loro particolarità e orgoglio culturale» impedendo che tali specificità comportino «effetti negativi sulla loro riuscita nelle istituzioni economiche e politiche della società dominante».
  3. I diritti di rappresentanza speciale, tramite i quali si cerca di ovviare al deficit di rappresentanza politica dei gruppi emarginati creando speciali diritti per arginare questi svantaggi. Tali diritti sono esercitati nei casi in cui gli svantaggi dovuti all'appartenenza ad un gruppo minoritario vengono ritenuti sistematici.

Un'ulteriore chiarimento concettuale è offerto da Kymlicka rispetto alla coppia diritti individuali-diritti collettivi, mostrando come la critica liberale ai diritti collettivi sia spesso immotivata. Questi diritti, si dice, rischiano di mettere in crisi i fondamenti stessi del liberalismo, costruito, almeno in via teorica, sull'affermazione sovrana dei diritti soggettivi. Per uscire da questa impasse è necessario, secondo l'a., distinguere due forme politiche di tutela dei diritti collettivi e cioè le restrizioni interne e le tutele esterne. Le prime consistono in una legittimazione dell'ingerenza del gruppo o della comunità sul singolo volta a limitarne la libertà di scelta, mentre le seconde consistono in politiche atte a tutelare il gruppo "dall'impatto" di alcune decisioni politiche ed economiche della maggioranza: «Le tutele esterne conferiscono all'individuo il diritto di mantenere il suo modo di vivere qualora lo desideri; le restrizioni interne impongono all'individuo il dovere di mantenere il suo modo di vivere, anche quando non avrebbe deciso di farlo volontariamente». Soltanto distinguendo, quindi, tra queste due forme di diritti differenziati, si renderà giustizia alle politiche multiculturali orientate nella maggior parte dei casi verso la diffusione di questo secondo genere di tutele.

Nel quarto capitolo si mostra come la tradizione liberale sia percorsa al proprio interno da posizioni varie e discordanti a riguardo delle minoranze nazionali e come questo possa essere un elemento di versatilità politica a favore di questa tradizione, mentre dal versante socialista il rapporto con le minoranze nazionali sia stato fondamentalmente segnato da una scarsa sensibilità al riconoscimento delle minoranze. A questo riguardo le analisi di Kymlicka ci sembrano un po' affrettate. La fiducia nella varietà delle posizioni liberali rischia di celare aspetti ugualmente fondamentali che, come il colonialismo, hanno contribuito alla sua diffusione su scala mondiale. Allo stesso modo ci sembra che riguardo alla tradizione socialista (anche questa del resto difficilmente uniformabile in un unico blocco) egli rischi di confondere il piano dell'analisi dei fondamenti teorici del pensiero socialista con le politiche, spesso repressive, che il socialismo reale ha attuato ai quattro angoli del mondo.

Un aspetto di notevole interesse del libro di Kymlicka è la sua capacità di sottrarre la questione dei diritti delle minoranze dalla paternità indiscussa della tradizione liberale, pur rivendicando la conciliabilità di questa tradizione con suddette problematiche. Così nell'ottavo capitolo del libro dedicato al tema della tolleranza egli mostra come da un lato le concezioni liberali implichino «la libertà all'interno del gruppo minoritario e l'eguaglianza fra i gruppi minoritari e quello maggioritario» e ugualmente si sofferma su pratiche che in altre tradizioni, come il sistema "millet" nell'impero ottomano, hanno creato condizioni di libertà religiosa a partire da presupposti diversi da quelli su cui è costruita l'idea di tolleranza occidentale.

L'ultimo capitolo è infine dedicato ad un'analisi dei possibili effetti disgreganti che una cittadinanza differenziata potrebbe avere sul vincolo civile. Su questo punto la riflessione di Kymlicka, pur non concedendo spazio alle interpretazioni che vedono nella cittadinanza differenziata «una contraddizione in termini», si fa più cauta. Da un lato rileva infatti come l'insistenza esasperata sulla stabilità nazionale celi spesso un'ideologia tesa all'esclusione e all'intolleranza. Dall'altro, invece, si mostra sensibile al mantenimento dell'unità sociale tanto da concludere aporeticamente riguardo a questo punto: «La dottrina liberale non è ancora riuscita a precisare la natura di questo sentimento particolare». Se quindi il merito del libro di Kymlicka sta nel suo tentativo di sottoporre il dibattito multiculturalista al vaglio della verifica empirica, questo approccio manifesta però la propria debolezza nell'incapacità, esplicitata in questa frase sottaciuta in altre parti del libro, di trovare un corrispettivo critico nei propri fondamenti teorici.

Nicola Marcucci