2006

G. Kepel (a cura di), Al Qaeda dans le texte, PUF, Paris 2005, pp. 446, ISBN 9782130547716

Estrema razionalità o estrema follia? È la domanda che viene da porsi leggendo Al-Qaeda dans le texte, un'antologia che raccoglie gli scritti e le dichiarazioni di Osama bin Laden, Abdallah Azzam, Ayman al-Zawahiri e Abu Mussab al-Zarqawi, recentemente pubblicata da PUF, sotto la direzione di Gilles Kepel. È un modo per entrare nella rappresentazione che di questa guerra dà il nemico, per capire come i leader del jihad globale mettano in scena la loro azione e la loro missione. Perché estrema razionalità? Perché a leggere al-Zawahiri, per esempio, ci si rende conto di quanto sia "realistico" il suo approccio al jihad.

Tanto per cominciare, si tratta di un nuovo jihad, incomprensibile alla luce della dottrina classica della guerra santa. Diversamente da gran parte della tradizione islamica, l'islamismo radicale (Qutb, Faraj) considera la guerra santa come un dovere individuale (fard 'ayn), e non soltanto come un dovere collettivo (fard kifâya) cui adempiere in caso di aggressione. Fino alla prima metà degli anni novanta, inoltre, la priorità dei militanti resta quella di combattere il nemico vicino (o interno), cioè le tirannie mediorientali che hanno corrotto o rinnegato l'islam; mentre a partire dal 1996-1998, i jihadisti di al-Qaeda cambiano radicalmente la loro priorità strategica, indirizzando la guerra santa contro il "nemico lontano" (o esterno), e cioè lo straniero che ha occupato e umiliato i due luoghi santi (la Mecca e Medina): 'l'alleanza giudeo-crociata guidata dagli Stati Uniti', come la chiama al-Zawahiri. Questa estensione planetaria del jihad è difficilmente conciliabile con la concezione 'difensiva' e 'territoriale' della guerra santa, e non a caso è oggi fortemente dibattuta (e combattuta) anche all'interno dell'islamismo radicale.

Perché portare la guerra santa dal nemico vicino a quello lontano? Al-Zawahiri e Bin Laden risponderebbero così: si tratta prima di tutto del modo più efficace per forare l'embargo mediatico cui è stata sottoposta la lotta di liberazione portata avanti dagli islamisti a livello globale. Le azioni condotte da al-Qaeda tra il 1992-1996 - nella periferia dell'islam o entro i confini del 'nemico interno' - non sono riuscite a produrre quell'impatto emotivo su scala mondiale che invece hanno scatenato le spettacolari azioni compiute nel cuore del nemico esterno - gli Stati Uniti e l'Europa. In secondo luogo, estendere il jihad al nemico lontano significa guadagnare il sostegno delle 'masse dei credenti' (l'umma). Al-Zawahiri, infatti, rammenta che i jihadisti hanno "assunto una posizione centrale alla testa dell'umma quando hanno fatto proprio lo slogan della liberazione nazionale contro il nemico straniero" (p. 293), trasfigurandola in una lotta tra l'islam e gli empi. In questa prospettiva, dopo la seconda intifada, la questione palestinese acquista una dimensione simbolica centrale. "La verità innegabile - scrive al-Zawahiri - è che la causa palestinese non solo è capace di riunire tutta l'umma dopo oltre cinquant'anni, dal Marocco all'Indonesia, ma è anche la sola causa che riunisca tutti gli arabi, credenti o empi, buoni o malvagi" (ibid.).

Quanto agli attentati suicidi - le 'operazioni-martirio', come le chiamano i leader qaedisti - si tratta di una vera e propria tecnica. La loro legittimazione popolare, secondo i leader di al-Qaeda, si è imposta con l'intifada di al-Aqsa (l'intifada 'benedetta'). Le operazioni-martirio organizzate da al-Qaeda in Occidente, quindi, vanno interpretate sia come una risposta 'razionale' all'embargo mediatico sia come una conseguenza dell'islamizzazione del conflitto in Palestina.

L'argomentazione di al-Zawahiri è un'ulteriore conferma di quella razionalità strategica del 'terrorismo suicida' di cui lo studioso americano Robert Pape ha offerto una dimostrazione illuminante. In primo luogo si tratta di "gesti supremi" (p. 307) che attirano la simpatia dei musulmani; quindi "sono le operazioni più adatte a infliggere perdite al nemico e le meno costose in termini di mujahidin" (p. 305); infine sono percepite dall'Occidente come l'espressione di una violenza cieca e fanatica - mentre in realtà, si tratta di una "messa in scena della violenza cieca" (p. 304, nota 72), di una rappresentazione spettacolare impiegata per imporsi all'attenzione dei media. Quest'ultimo punto è particolarmente importante: il fanatismo che attribuiamo al 'terrorismo suicida' - senza darci pena di distinguere tra il pensiero degli strateghi e quello degli esecutori materiali - è esattamente il tipo di percezione che i jihadisti intendono provocare in noi con lo spettacolo di una violenza irrazionale. Solo questo genere di violenza attira la nostra attenzione, irrompe nelle nostre case, ci lega ai teleschermi, ci pone di fronte all'esistenza di un nemico con un nome e un volto. È come se al-Zawahiri stesse dicendo: "conosciamo ciò che vi colpisce e stiamo manipolando abilmente la vostra percezione degli eventi".

Il libro offre moltissimi altri spunti di riflessione, come la critica degli islamisti-jihadisti al principio democratico (fondata su un'affermazione radicale del dogma del tawhid, l'unicità divina), o la loro concezione della storia (tutta concentrata sul gesto supremo della lotta contro i 'crociati'), o infine l'ecumenismo del loro discorso, che risponde a ovvie esigenze di legittimazione politica e religiosa. Ma leggere i testi di al-Qaeda, ci permette soprattutto di cogliere quei processi profondi di semplificazione linguistica e concettuale implicati e alimentati - su entrambi i fronti - dalle nuove guerre. Basti pensare che, a parte le ovvie differenze di contenuto e di valore, il discorso jihadista presenta non poche affinità formali con la prospettiva dei neoconservatori americani. In sostanza, l'intenzione di al-Zawahiri è quella di rispondere in modo chiaro e semplice a tre domande - Chi siamo noi? Chi è il nostro nemico? E qual è il modo più razionale per combatterlo? Le stesse domande cui aveva risposto Daniel Pipes in un celebre articolo del 2002: "Who is Enemy?".

Pietro Montanari