2008

F. Hartmann, Paix et châtiment. Les guerres secrètes de la politique et de la justice internationales, Flammarion, Paris 2007, ISBN 978-2-0812-0669-4

Paix et Châtiment è una testimonianza delle interferenze della politica internazionale nel lavoro dei tribunali penali internazionali, organismi creati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per "fare giustizia" dopo i conflitti degli anni Novanta in ex-Jugoslavia e in Ruanda.

Florence Hartmann è stata portavoce di Carla Del Ponte, procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, dal 2000 al 2006. I resoconti e le informazioni riportati in questo volume si fondano perciò sull'esperienza diretta dell'autrice, e su fonti spesso tanto più interessanti quanto meno controllabili, perché riconducibili a documenti riservati, trascrizioni di dialoghi e di incontri informali o a porte chiuse.

La prospettiva adottata da Hartmann suscita peraltro alcune perplessità. L'autrice propone infatti una visione manichea del funzionamento della "giustizia internazionale", come continuo scontro tra le logiche della politica da un lato, e le ragioni del diritto, impersonate da un procuratore indipendente e integerrimo, dall'altro. Come se i Tribunali penali internazionali, creati da un organo politico e gerarchico come il Consiglio di Sicurezza, non fossero per ciò stesso inevitabilmente espressione di una giustizia politica e strumentale. E come se proprio il procuratore, direttamente nominato - e all'occorrenza rimosso - dal Consiglio di Sicurezza, potesse essere il garante dell'indipendenza dei tribunali penali internazionali da interferenze e ingerenze politiche. D'altra parte la stessa Hartmann si contraddice su questo punto, citando i frequenti contatti tra l'ufficio del procuratore e le diplomazie occidentali e mostrando, come vedremo, che di fatto i tribunali si sono alla fine quasi sempre piegati alle esigenze della politica.

Al di là delle perplessità che suscita, Paix et Châtiment può essere dunque letto come una conferma proveniente dall'interno dei tribunali dell'ambiguità dell'atteggiamento delle potenze occidentali nei confronti del diritto internazionale penale.

La testimonianza di Hartmann smentisce anzitutto la retorica che vede nella creazione dei tribunali internazionali la riaffermazione degli interessi e dei valori della comunità internazionale, di cui il Consiglio di Sicurezza sarebbe interprete e garante. I tribunali sarebbero stati infatti creati per occultare le responsabilità politiche delle grandi potenze per la loro inerzia di fronte alle crisi jugoslava e ruandese, e avrebbero dovuto essere niente più che "tigri di carta", organismi di pura facciata privi di qualsiasi autonomia ed efficacia operativa.

Una volta creati i tribunali, le grandi potenze hanno cercato di condizionarne il lavoro, collaborando in modo intermittente, condizionato e strumentale ai loro interessi. Se questo atteggiamento è stato comune a tutte le grandi potenze, è stato però tanto più significativo, sostiene Hartmann, il ruolo giocato in questo senso dagli Stati Uniti. Da un lato, essi sono stati infatti i più attivi sostenitori della creazione dei tribunali, e del Tribunale per la ex-Jugoslavia in particolare, di cui sono i più importanti finanziatori; hanno messo a sua disposizione le truppe dell'Alleanza Atlantica per la cattura dei ricercati e hanno fornito al tribunale prove e consulenti. Dall'altro lato essi hanno però occultato prove e nascosto testimoni che potessero andare a loro svantaggio, e, come tutti i governi che hanno partecipato alle missioni Nato in Jugoslavia, hanno rifiutato di inviare i propri soldati a testimoniare di fronte al Tribunale.

Due esempi riportati da Hartmann illustrano in modo particolarmente efficace la dipendenza del Tribunale per la ex-Jugoslavia dalle congiunture politiche internazionali e dagli interessi delle grandi potenze. Il primo riguarda le vicende dell'incriminazione e dell'arresto dell'ex presidente serbo Slobodan Milošević, cui Hartmann dedica una parte consistente del volume. Il leader serbo, sottolinea Hartmann, è stato incriminato dal tribunale solo nel 1999, dopo l'inizio dei bombardamenti Nato sul Kosovo, nel momento cioè in cui era estremamente utile per le potenze occidentali, e per Stati Uniti e Gran Bretagna in primo luogo, demonizzare il nemico e legittimare le azioni militari contro la Serbia. Milošević, inoltre, è stato inizialmente accusato solo per i crimini relativi alla persecuzione dei kosovari albanesi, la cui denuncia era in quel momento funzionale a creare consenso per l'attacco militare della Nato, e non per le gravissime responsabilità nel massacro di Srebrenica e nell'assedio di Sarajevo. Queste due imputazioni sono state infatti avanzate e mantenute tra mille incertezze solo in un secondo momento. Nel volume sono presenti però, e non a caso per quanto detto sopra, solo rapidi cenni al rifiuto da parte dell'ufficio del Procuratore di aprire indagini sui bombardamenti della Nato sul Kosovo, fatti sui quali il tribunale avrebbe avuto in linea teorica piena giurisdizione.

Il secondo esempio riguarda due casi in cui le grandi potenze hanno usato la promessa dell'immunità dalla giurisdizione della Corte come strumento di negoziazione politica. Sono forse queste le parti del volume che hanno suscitato maggior interesse, perché riguardano due tra le personalità più gravemente implicate nell'organizzazione e attuazione della pulizia etnica in Bosnia e la cui latitanza è considerata uno dei più evidenti segni del fallimento del lavoro del tribunale. Si tratta di Radovan Karadzić e Ratko Mladić, entrambi sotto accusa al Tribunale per la ex-Jugoslavia per il genocidio di Srebrenica. L'impunità di Karadzić sarebbe stata negoziata secondo Hartmann in cambio del ritiro dell'imputato dalla vita politica e sarebbe garantita dagli Stati Uniti; mentre l'impunità di Mladić sarebbe stata accordata dalla Francia in cambio del rilascio di alcuni soldati francesi fatti prigionieri nel 1995.

Creati per eludere le responsabilità politiche delle grandi potenze, poi divenuti strumenti delle loro politiche, i Tribunali internazionali sono ormai considerati organismi inutili e dispendiosi. Il Consiglio di Sicurezza ne ha perciò decretato la chiusura dei lavori per il 2010, indipendentemente dal numero e dalla qualità dei processi che a quella data saranno stati celebrati.

Elisa Orrù