2005

M. Hardt, A. Negri, Empire, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2000 (trad. it. Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002)

Il volume Empire, scritto a quattro mani da Michael Hardt e Toni Negri, si è progressivamente affermato, nel dibattito teorico e filosofico-politico sulla globalizzazione come una delle riflessioni più interessanti, ricche ed originali degli ultimi anni. Il testo approfondisce, attraverso un percorso storico e teorico, la genealogia del mondo contemporaneo, cercando di offrire un'interpretazione coerente dei mutamenti che caratterizzano la nostra epoca. Da un punto di vista metodologico, una prima indicazione preziosa sottolineata dai due autori riguarda l'importanza di interpretare la globalizzazione tenendo presente lo sviluppo storico dell'economia, del diritto, della politica a partire almeno dalla prima modernità.

L'analisi di Hardt e Negri risulta particolarmente efficace per evitare le opposte "trappole" di un assoluto continuismo (la globalizzazione come telos della modernità, inscritta sin dall'inizio nel suo codice genetico) e di una drastica rottura (la globalizzazione come fenomeno del tutto spontaneo e privo di legami storici e causali col mondo moderno). In questo senso i due autori parlano dell'"Impero" come di un quadro storico, politico ed economico post-coloniale e post-imperialista. L'impegno teorico è rivolto alla comprensione delle caratteristiche e dei significati di una struttura di potere che sostituisce i precedenti conflitti tra potenze coloniali. L'"Impero" non è l'estensione semplice e lineare dell'imperialismo, così come il post-moderno non è inscritto sin dall'inizio nei canoni della modernità.

Nella prima parte del volume gli autori si concentrano sulla descrizione della "costituzione politica del presente". Questa non può essere riassunta nell'immagine banale di un'unica potenza mondiale, come potrebbero essere gli Stati Uniti, che domina indisturbata il mondo, al vertice di una piramide gerarchica rigidamente strutturata. Sembra più appropriato parlare, per descrivere l'attuale situazione mondiale, di una rete di poteri, di una serie di istituzioni che si appropriano progressivamente della sovranità dei vecchi stati nazionali, trasformandola in profondità. Una struttura senza un unico centro, dove il concetto stesso di "centro" e di "periferia" sembra superato e che rivela come perfino l'opposizione tra locale e globale sia in qualche modo fuorviante.

Riprendendo le analisi di Foucault sul biopotere e sulle società di controllo, così come la produzione teorica di Deleuze e Guattari, gli autori insistono sul carattere prodotto e nient'affatto naturale delle differenze e del significato dell'opposizione tra locale e globale. Entrambi i regimi producono identità e differenze, omogeneizzazione e differenziazione, rendendo ormai impossibile - ma soprattutto indesiderabile - una resistenza alla tendenza attuale che sia fondata sulla conservazione delle identità locali, sottratte al flusso della globalizzazione. Notevolmente più utile, sostengono Hardt e Negri, è abbandonare l'idea di un punto di vista "esterno e puro" della politica, che si faccia carico, ad esempio, della resistenza al carattere sempre più invadente della sfera economica. Le potenzialità rivoluzionarie della nuova situazione, cioè, potranno essere sfruttate solo abbandonando l'idea di un approccio "dialettico o teleologico" alle enormi contraddizioni del sistema attuale a favore di un approccio "critico e decostruttivo" verso le strutture sociali dell'Impero e "costruttivo ed etico-politico" verso il processo di produzione di una nuova soggettività collettiva e di un nuovo potere costituente.

Tutto il volume, si potrebbe dire, ruota intorno al tema della soggettività politica e della costruzione di un'alternativa rivoluzionaria alle strutture di comando e di nuova gerarchizzazione imposte dall'Impero. Particolarmente importante, di nuovo, la ricostruzione genealogica dei meccanismi economici, politici e giuridici della nuova epoca. Da un punto di vista teorico, Negri e Hardt affermano che la globalizzazione è l'effetto, la risposta e la ristrutturazione delle vecchie istituzioni moderne di fronte alla enorme spinta rivoluzionaria delle lotte operaie ed anticoloniali dei trascorsi decenni. In questo senso l'Impero supera l'imperialismo ristrutturando il mondo sotto la spinta - e grazie all'impulso - dei movimenti operai e rivoluzionari nei paesi occidentali così come dei movimenti di liberazione nazionale in Africa, Asia ed America latina (in questa parte gli autori si soffermano, con risultati interessanti, sulla descrizione dell'origine, dello sviluppo e del significato della sovranità moderna e del costituzionalismo occidentale, del colonialismo e dell'imperialismo, del nazionalismo e del fondamentalismo).

La storia contemporanea, lo sviluppo ed il significato delle trasformazioni economiche e produttive del nostro secolo sono passate al setaccio di questa griglia interpretativa, legando periodi ed eventi come la decolonizzazione, il New Deal, la ricostruzione post-bellica, l'affermazione ed il declino del sistema di Bretton-Woods alla situazione presente. In particolare l'accento è posto sulla trasformazione del lavoro e dell'economia. Hardt e Negri insistono sulla decisa affermazione della centralità della produzione immateriale e relazionale come chiave interpretativa dell'epoca post-moderna e delle sue potenzialità liberatorie e rivoluzionarie.

Queste nuove caratteristiche del lavoro e della produzione nell'epoca della globalizzazione riportano al centro del discorso il tema della nuova soggettività rivoluzionaria. L'affermazione progressiva del modello imperiale, che si basa sulla trasformazione e sull'abbandono dei paradigmi economici e politici della modernità, viene interpretata come la risposta e la reazione ai conflitti, alle lotte, all'affermazione positiva della moltitudine su scala mondiale. Già all'interno della modernità, alcuni autori come Machiavelli e Spinoza si erano opposti alla costruzione individualistica e trascendente della sovranità, sostenendo la positività e la produttività del conflitto politico e la priorità della libera multitudo su qualsiasi affermazione trascendente del potere e della sovranità.

Hardt e Negri si ricollegano al pensiero di questi autori affermando l'anteriorità della "resistenza" rispetto al potere. L'Impero si struttura in risposta alla creatività sovversiva della moltitudine. Il paradigma post-moderno di sovranità imperiale è impegnato a dislocare la crisi attraverso la risposta continua che il potere costituito oppone al potere costituente della moltitudine. Questo movimento reattivo e "negativo" del potere costituito ha segnato l'intera modernità politica e filosofica. Nell'epoca della globalizzazione, tuttavia, per l'esaurimento delle antiche opposizioni tra interno ed esterno, tra locale e globale, la dislocazione del conflitto appare sempre più difficile. L'Impero, affermano i due autori, si scontra ora direttamente con la moltitudine, su scala mondiale, senza ulteriori mediazioni e senza possibilità di sfuggire allo scontro. Proprio questo rende pienamente l'idea delle potenzialità rivoluzionarie nell'epoca della globalizzazione, così come la differenza con le rivoluzioni moderne.

Dal punto di vista strategico, poi, i due autori sottolineano alcuni obiettivi importanti. Il primo è la necessità dell'affermazione di una cittadinanza mondiale, da inquadrare - a questo punto è chiaro - non certo nel filone del cosmopolitismo e dell'universalismo di matrice kantiana e kelseniana ma nell'affermazione del carattere cooperativo, molteplice e rizomatico della moltitudine (è chiaro che il grido dei sans papiers che reclamano i diritti di cittadinanza del paese dove vivono e lavorano non ha lo stesso significato dell'universalismo dei diritti in nome del quale si promuovono le guerre "umanitarie" dell'Occidente civilizzato contro i barbari del mondo). Un secondo obiettivo è quello del salario sociale e del reddito garantito. Il carattere intrinsecamente cooperativo della nuova produzione immateriale svuota dall'interno il concetto stesso di proprietà privata, proiettando la moltitudine verso la riappropriazione (libero accesso e controllo) della conoscenza, dell'informazione, degli affetti su cui è fondata la produzione biopolitica.

In conclusione questo testo, per la molteplicità degli argomenti affrontati, l'originalità dell'impostazione, la profondità della riflessione, rappresenta una delle opere più importanti nel panorama critico attuale sul tema della globalizzazione.

Filippo Del Lucchese