2009

S. Benhabib, Another Cosmopolitanism, Oxford University Press, Oxford 2006, trad. it. Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, il Mulino, Bologna 2008, pp. 143, ISBN 978-88-15-12657-3

Seyla Benhabib, filosofa della politica di origine turca e docente nella prestigiosa Yale University, è una delle voci più autorevoli nel panorama internazionale. È ormai nota anche al pubblico italiano in seguito alla traduzione di due fra i suoi libri più recenti: La rivendicazione dell'identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale (Bologna, il Mulino, 2005, ed. or. The Claims of Culture: Equality and Diversity in the Global Era, Princeton, Princeton University Press, 2002) e I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini (Milano, Raffaello Cortina, 2006, ed. or. The Rights of Others. Aliens, Residents and Citizens, Cambridge, Cambridge University Press, 2004). Mentre, soprattutto nel primo, veniva difesa una nuova versione del modello di democrazia "deliberativa", di derivazione habermasiana, i lavori più recenti di Benhabib sono articolati intorno al concetto di "iterazione democratica". È questo il caso anche delle due Lectures tradotte dal Mulino, che nell'edizione originale erano accompagnate dai commenti di Jeremy Waldron, Bonnie Honig e Will Kymlicka e dalle repliche dell'autrice. Nel complesso, si tratta di lavori di grande interesse teorico, anche se, come dirò in seguito, taluni concetti e soluzioni non appaiono completamente sviluppati.

La prima Lecture si apre sugli scenari del processo ad Adolf Eichman. Benhabib assume il caso Eichman come esempio per sostenere che dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, "siamo entrati in una fase dell'evoluzione della società civile globale che è caratterizzata da un passaggio da norme di giustizia internazionali a norme cosmopolitiche" (p. 14, corsivo nel testo. Per una interpretazione differente, cfr. D. Zolo, La giustizia dei vincitori, Roma-Bari, Laterza, 2007). Secondo Benhabib, le norme cosmopolitiche, a differenza delle norme internazionali, dotano di diritti gli individui e non semplicemente gli Stati, complicando il nesso tra sovranità statuale e facoltà individuali. Sullo sfondo dato dall'emergere di norme di giustizia cosmopolitiche, si pongono quindi tre interrogativi: su cosa si fondano le norme cosmopolitiche? Quale rilevanza possiede la loro genesi, se la loro autorità non può appoggiarsi su quella di organismi internazionali super partes? Quale rapporto sussiste tra la sfera delle norme cosmopolitiche e la divisione dell'umanità in comunità nazionali?

Per incominciare, Benhabib nota che il regime internazionale dei diritti umani sembra offrire almeno tre esempi di aree in cui si stanno sviluppando norme cosmopolitiche. La definizione dei "crimini contro l'umanità", la casistica degli interventi umanitari e le migrazioni transnazionali. In questi tre ambiti il diritto internazionale fornisce linee guida cui gli Stati devono attenersi nel trattare gli individui appartenenti ad altre comunità. Questo fenomeno contiene però i germi di un paradosso: infatti, le norme cosmopolitiche hanno bisogno, per essere implementate, di democrazie nazionali; e d'altro canto le democrazie nazionali ridefiniscono continuamente se stesse attraverso gli atti di esercizio del potere legislativo. Quindi, in ultima analisi, le norme cosmopolitiche possono essere implementate solo in virtù della definizione arbitraria di confini operata dagli Stati democratici: Benhabib formula icasticamente questo punto dicendo che "le democrazie non possono scegliere democraticamente i confini della loro stessa cittadinanza" (p. 53).

Lo iato politico e culturale prima ancora che concettuale tra presenza fisica e appartenenza politica è l'oggetto della seconda Lecture. La situazione delle democrazie occidentali, europee e nordamericane, è quella di Stati nei quali la vigenza delle norme cosmopolitiche è minata dal ripresentarsi di conflitti che affondano le loro radici nella separazione tra identità culturale e religiosa e appartenenze politiche. Alcuni tipici casi di questi conflitti, in cui cittadini (e residenti cui è concesso l'esercizio di alcuni diritti politici) di origine straniera si trovano a operare con simboli culturali e/o religiosi in contesti nei quali la loro azione si trova in tensione con norme nazionali, vengono esaminati dall'autore nelle pagine seguenti: si tratta dell'affaire du foulard, la vicenda delle pronunce delle corti francesi sul tema dell'esibizione di simboli religiosi in luoghi pubblici, e delle sentenze della giurisprudenza costituzionale tedesca sull'esercizio del diritto di voto da parte degli stranieri residenti. In tutti questi casi, Benhabib sostiene che un rimedio alle situazioni di conflitto viene dalle performance "giusgenerative" attraverso le quali le cittadinanze democratiche reiterano (variando, integrando, riappropriandosi de) i principi costituzionali della loro comunità politica. In questo modo, diventa possibile "immaginare i momenti nei quali nella sfera pubblica si apre uno spazio in cui i principi e le norme che stanno alla base della democrazia diventano fluidi e permeabili a nuovi contesti semantici" (p. 69).

Attraverso i processi iterativi e giusgenerativi le democrazie rinnovano se stesse svelando (pace Rawls) il dinamismo interno che sottende il concetto di popolo. Al tempo stesso, il confronto con le norme cosmopolitiche può innalzare "la soglia di giustificazione alla quale pratiche precedenti di esclusione sono ora sottoposte" (p. 111). Questa osservazione apre la strada per rispondere anche al secondo interrogativo posto in apertura da Benhabib: le norme cosmopolitiche "sono sorrette dal potere delle forze democratiche all'interno della società civile globale" (p. 112, corsivo dell'autore). In questo modo, le norme cosmopolitiche "creano - così Benhabib risponde all'interrogativo ontologico-fondazionale - un universo di significati, valori e relazioni sociali che non esistevano prima, attraverso il cambiamento delle componenti normative e dei principi di valutazione del mondo dello 'spirito oggettivo'" (p. 113).

Non è difficile vedere quale sia il limite principale della proposta teorica di Benhabib: perché la reinterpretazione delle pratiche tradizionali operata dalle tre ragazze al centro dell'affaire du foulard integra una iterazione democratica e le disposizioni in materia varate nel settembre 1994 dal Ministro Bayrou no? Più in generale, cosa distingue un'iterazione democratica dagli altri atti di interpretazione dei principi cardine che dettano le regole dell'appartenenza politica? La teoria di Benhabib non fornisce risposte a questi interrogativi. Dobbiamo concludere che una chiusura radicale della cittadinanza di fronte ai fattori esogeni integrerebbe un esempio fattivo di iterazione democratica? Certo, l'interrelazione fra norme locali e norme cosmopolitiche rende più difficile una completa chiusura particolaristica. A questo punto, però dobbiamo intenderci: Benhabib non dice che le norme cosmopolitiche devono guidare i processi giusgenerativi di iterazione democratica. Al contrario, sono questi processi che sorreggono la vigenza delle norme universali. Il problema è che la nozione di iterazione democratica, introdotta per dare conto dell'evolversi dei conflitti fra identità culturali e appartenenza politica, manca di qualsiasi grip normativo: presenta una rappresentazione abbastanza convincente del fenomeno di trasformazione della cittadinanza all'interno delle società democratiche (che il demos si trasformi reinterpretando i criteri della propria composizione appare difficilmente contestabile), ma non fornisce alcuna indicazione sulla direzione che i meccanismi interpretativi dovrebbero seguire o riguardo alla validità dei processi che realizzano la produzione di nuovi principi.

In conclusione, è evidente la volontà di Benhabib di contrapporsi alla normatività sostantiva di autori come Rawls e Habermas. Resta da capire, però, se la soluzione che propone corrisponda al punto di vista di una teoria politica che non voglia porsi come unico obbiettivo l'interpretazione dei fenomeni politici che ci circondano.

Leonardo Marchettoni