2005

P. Gamberini, S. Martelli, B. Pastore, Multiculturalismo dialogico?, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2002, pp. 261, ISBN 88-250-1137-7

Il libro cerca di precisare, in tre relazioni e nei successivi interventi presentati ad un seminario su "pluralismo ed etica pubblica" tenuto a Palermo nel 2001, in collaborazione tra la Fondazione studi di Gallarate e l'Istituto "Pedro Arrupe", la natura e il valore del pluralismo postmoderno. Nonostante le differenze tra le teorie proposte, è possibile rilevare come cerchino tutte di rispondere alla domanda se oggi sia sostenibile una società che fa posto a tutti, ovvero alle specifiche e diverse identità. Gian Luigi Berna, nell'Introduzione (p. 7-22), risponde affermativamente a tale istanza, ponendo tuttavia "[...] l'esigenza che essa sia dialogante e ragionevole" (p. 7).

Nell'ambito di una riflessione circa la possibilità, per la società italiana, di pervenire ad un autentico pluralismo sociale, si inquadra il saggio di Stefano Martelli (Pluralismo e comunicazione pubblica nella società postmoderna, pp. 23-60), secondo il quale il nostro paese non sembra aver compiuto molti passi sulla via della capacità di dialogo tra realtà politico-culturali diverse, e tantomeno il dibattito razionale sul bene comune (precondizione di ogni dialogo civile) è divenuto un elemento caratterizzante l'agire della classe politica. Infatti, nella politica italiana continua a prevalere una visione conflittuale, in cui la disputa per il potere si esprime attraverso lo scontro tra le ideologie o, in tempi più recenti, tra le personalità dei leader. Al fine di comprendere questo stato di cose e di esplorare le possibilità di fuoriuscita da questa situazione di "pluralismo asfittico", Martelli propone un itinerario in due tappe. Nella prima tappa, delinea le caratteristiche della comunicazione pubblica nella società post-moderna, e a tal fine esamina due questioni: a) le caratteristiche della società post-moderna e le possibilità che emergano istituzioni e strutture di società civile al di là della contrapposizione moderna tra Stato e mercato; b) la differenziazione in atto tra comunicazione politica e comunicazione istituzionale, nella prospettiva di un pluralismo razionale in grado di garantire la presentabilità delle molteplici visioni del mondo, di cui sono portatori i diversi attori sociali che si presentano nella sfera pubblica. Nella seconda tappa, Martelli analizza due case studies di "pluralismo asfittico" nel campo della comunicazione pubblica: nel primo, l'autore cerca di mostrare l'apporto che una componente primaria della società civile, quale è la chiesa cattolica, può dare al tema della comunicazione pubblica; nel secondo, espone alcune riflessioni sull'esistenza tra i giovani italiani di orientamenti ai valori di civil religion, di lealtà verso le istituzioni e di comportamenti conformi all'etica pubblica, i quali risultano una solida base per un agire politico orientato a un reale pluralismo, anche se ciò avviene nella minoranza di giovani che aderisce alla forma ecclesiale della religiosità. La conclusione cui perviene Martelli è che "la società italiana deve compiere ancora molti passi importanti sulla via di una comunicazione basata sull'etica pubblica, e che questi tarderanno a venire se permarrà l'attuale situazione di omologazione consumistica e di 'pluralismo asfittico', imputabile al nesso sempre più forte tra mercato, politica dei partiti e comunicazione mass-mediatica monodirezionale (televisiva) ai fini di eterodirezione sociale" (p. 57). Martelli auspica in Italia la realizzazione di un pluralismo relazionale comunicativo, che rappresenta una situazione ideale di positiva differenziazione tra Stato, mercato e società civile. Essa comunque resta una meta regolativa dell'agire collettivo finché la società civile non verrà riconosciuta come attore sociale con pari dignità rispetto alle altre due sfere (Stato e mercato).

Proseguendo nella rassegna delle varie concezioni del pluralismo, il saggio di Paolo Gamberini (Pluralismo e dialogo interreligioso, pp. 61-94), propone un pluralismo comprensivo, che si caratterizza per il rispetto simultaneo delle diversità culturali e per l'esigenza di una comunicazione centrata su valori e principi condivisi. Gamberini fornisce, in tre momenti, alcune indicazioni per avviare un dialogo interreligioso autentico e responsabile. In un primo momento richiama le linee fondamentali del recente magistero della chiesta cattolica, in particolare del pontificato di Giovanni Paolo II, che orienta in tale direzione. In un successivo momento, di carattere dogmatico-speculativo, evidenzia le aperture dialogiche della Rivelazione cristiana, prendendo come esempio il dialogo ebraico-cristiano. In un terzo e conclusivo momento, Gamberini propone infine tre elementi fondativi per una prassi del dialogo interreligioso: 1) una fondazione metodologica, la cui articolazione può essere individuata nella tradizione degli Esercizi spirituali (p. 87), nei quali è possibile trovare un invito ad ascoltare e a riconoscere nell'altro l'azione dello Spirito, sapendo distinguere l'esperienza religiosa di Dio dalle sue formulazioni teoretiche e traduzioni pratiche; 2) la consapevolezza che lo Spirito riconosciuto nelle altre religioni è quello di Gesù Cristo, che si è fatto uomo per gli altri; 3) il dialogo tra le religioni che deve essere vissuto nella prassi credente dell'amore.

Sempre nell'ambito di una riflessione circa il pluralismo, si inquadra il contributo di Baldassare Pastore (Sfera pubblica e pluralismo comprensivo pp. 95-142). Pastore rileva come nelle società occidentali contemporanee, formate da vari gruppi culturali distinti che reclamano il riconoscimento delle loro identità collettive, la questione del pluralismo assume una rilevanza politica considerevole. Secondo l'a. nell'ambito del multiculturalismo odierno, si è in presenza di due rischi tra loro strettamente connessi: a) l'emergere di conflitti tra assoluti non compatibili, destinati a scontrarsi senza possibilità di composizione; b) l'emersione del contrasto tra i principi universalistici dello Stato di diritto democratico e le pretese particolaristiche miranti a salvaguardare l'integrità delle proprie forme di vita consolidate. Secondo Pastore la vita degli individui si caratterizza come punto d'incontro di due tensioni, che una comunità politica deve assumere: una tensione verticale, relativa al rapporto che intercede tra i soggetti e i contesti di appartenenza, le tradizioni, le pratiche che costituiscono il luogo della formazione della loro identità, e una tensione orizzontale, riguardante il riconoscimento reciproco di valori comuni nell'interazione tra esseri liberi ed eguali. Il pluralismo contemporaneo deve essere riconcettualizzato come pluralismo di culture e appartenenze collettive (p. 104). La partecipazione dei diversi gruppi culturali alla comunità politica richiede una significativa misura di fiducia reciproca, che manca se non sono garantite le condizioni sociali e istituzionali del dialogo pubblico indispensabili per trattare tutti (individui e gruppi) con rispetto e reciprocità (p. 106). La nuova configurazione del pluralismo nelle società contemporanee è una sfida epocale. Come risposta ad essa è stato offerto il modello liberale della neutralità, basato su un accordo che sia neutrale rispetto alle concezioni della "vita buona" in competizione. Tale scopo viene risolto mediante la creazione di un consenso per intersezione tra le diverse dottrine comprensive che incorporano differenti concezioni del bene. Ciò che contraddistingue le varie concezioni della neutralità liberale è l'assunto della rilevanza di un apparato procedurale come mezzo per raggiungere e garantire la coesistenza dei cittadini all'interno di una medesima struttura istituzionale, attraverso la messa da parte degli ideali e delle pretese conflittuali riguardo alla vita buona (p. 113). Particolarmente importante è la questione della cittadinanza, in quanto l'apertura e l'inclusione di chiunque nella cittadinanza, indipendentemente dalle sue origini, cultura, sesso, razza, religione, si pongono come tratti specifici dell'ordine politico. Esse richiedono che ad ognuno sia riconosciuto il diritto a un eguale considerazione e rispetto sì da essere assicurati i diritti fondamentali e le condizioni sociali di vita (p. 125). La neutralità va per Pastore rivista così da risultare inclusiva delle differenze, dei membri delle minoranze, che devono essere inseriti nella cittadinanza in quanto e non a dispetto della loro appartenenza e identità di gruppo. Tale inclusione richiede il riconoscimento nella sfera pubblica e una partecipazione alla comunità politica in modo paritario e nel rispetto reciproco, secondo un modello di "pluralismo comprensivo".

Nel suo intervento (Immigrazione e cittadinanza: tra integrazione e politica delle differenze, pp. 143-166), Barbara Amodeo rileva la differenza esistente tra l'attuale carattere delle migrazioni nei paesi occidentali rispetto ai decenni precedenti, che si esplica nella trasformazione del migrante da semplice "forza lavoro" straniera a soggetto inserito all'interno di comunità etniche e culturali, dotate di stili di vita ed esigenze peculiari. Da qui la forte rilevanza dello status giuridico degli immigrati. Amodeo distingue tra due accezioni di cittadinanza, una semplice, intesa come condizione del cittadino di uno stato nazionale, e una più ampia, che si identifica con determinati diritti, primi tra i quali quelli politici. Partendo da questi assunti, l'a. propone una concezione di cittadinanza plurale e relazionale, in base alla quale le differenze di cui sono portatori gli individui e che li caratterizzano non sono messe tra parentesi nel loro rapporto con le istituzioni, ma sono invece prese in considerazione. Quindi l'intento è quello di produrre politiche pubbliche mirate che non mettano gli individui tutti sullo stesso piano, se diversa è la posizione di partenza (p. 166).

Una caratteristica molto interessante delle teorie sul pluralismo più recenti è il fatto che cerchino di proporre l'idea di una convivenza plurale in un mondo globalizzato. Ma vi sono soglie oltre le quali la tensione della diversità diventa insostenibile. Un esempio ne è dato con il saggio di Giuseppe Bruno (Gay a scuola, pp. 167-182), il quale analizza in modo particolareggiato il fatto che la scuola è rimasta, in Italia, uno dei pochissimi agoni pubblici per il confronto e l'interazione tra le differenze, uno spazio per la pratica delle pluralità (p. 169). Bruno è del parere che una cittadinanza piena, per tutti, passa attraverso una scuola pubblica democratica e antidiscriminatoria, tanto nella pratica didattica quanto nelle interazioni tra tutti gli individui che vi sono coinvolti. Il poco che è stato fatto finora si deve solo alla buona volontà degli insegnanti, mentre la creazione di politiche scolastiche finalizzate appare un percorso ancora tutto da compiere (p. 182).

Salvatore Capo (L'unità oltre le religioni e le appartenenze: il possibile ruolo della chiesa cattolica, pp. 183-190), sostiene che la coesistenza pacifica tra un pluralismo di culture e di appartenenze sia possibile attraverso l'idea di un pluralismo comprensivo che propone come fine la riconciliazione tra il sé e l'altro che possa essere assunta in modo produttivo dalla chiesa cattolica, che dovrebbe riscoprire, annunciare con forza e mostrare al mondo, attraverso una sua rinnovata autocomprensione, un'unità di fili che va oltre le culture, le religioni e le appartenenze.

L'intervento di Maria Gebbia (Pluralismo e differenze: una prospettiva di genere, pp. 191- 207) si incentra sul confronto delle differenze, che si è quasi sempre manifestato sotto forma di conflitto. Ed è proprio da questi luoghi, reali e simbolici del conflitto che occorre partire, considerando che è proprio da parte di quei soggetti che sono stati storicamente al centro di "conflitti di differenze" (ad esempio, le donne, i movimenti omosessuali, gli afroamericani, gli ebrei) che si è avuta l'elaborazione delle varie sfaccettature che il concetto di differenza ha successivamente assunto.

Massimo Massaro (Pluralismo etnico e l'ordinamento internazionale: la tutela dei diritti delle minoranze, pp. 209-222), analizzando il problema dei diritti delle minoranze, propone una rassegna dei principali strumenti internazionali che nel corso degli ultimi anni sono stati creati in favore della salvaguardia delle libertà fondamentali delle minoranze, al fine di comprenderne l'evoluzione e per giungere a sostenere che la non discriminazione nel godimento delle libertà fondamentali passa attraverso la determinazione di un sistema internazionale di tutela, accettato e fatto proprio dalla comunità internazionale (p. 212).

Antonino Palma (Pluralismo etnico e religioso: il caso di Mazara del Vallo, pp. 223-237) presenta invece un caso in cui l'interazione tra immigrati e gruppo locale (gli abitanti di Mazara del Vallo) può essere sufficientemente equilibrata senza eccessi di idealizzazione o pregiudizio, tanto da permettere un processo di mutua conoscenza che favorisce una lenta integrazione reciproca.

Completa il volume il contributo di Annalisa Verza (Liberalismo e multiculturalismo: ricostruzione di un percorso, pp. 239-258), che considera il multiculturalismo come una "propaggine"della teoria liberale perché, nonostante la sua identità filosofica, esso vuole dare una risposta ad alcune preoccupazioni che sono tipicamente liberali, e lo fa facendo leva su valori che sono stati esaltati dalla tradizione liberale. A sostegno di questa connessione tra liberalismo e multiculturalismo vi è la teoria di Raz, definita appunto "multiculturalismo liberale", in cui si sottolinea come la politica multiculturale si fonda su due giudizi di valore: 1) l'idea per cui la libertà e lo sviluppo degli individui dipendono da una loro piena e libera appartenenza a un gruppo culturale vitale e rispettato; 2) il pluralismo dei valori, cioè la convinzione che non sia possibile ricondurre o ridurre tutti i diversi valori sostenuti da persone o gruppi a un solo valore che funga da comun denominatore degli stessi. In una società che accetta questi due valori i cittadini devono considerarsi abitanti di uno Stato formato da più culture, senza che si possa porre una distinzione tra "cultura dominante" e "culture ospiti".

Il merito principale di questo volume mi sembra quello di esplicitare in modo preciso il ruolo del multiculturalismo nell'attuale mondo globalizzato, così come l'importanza assunta da una concreta accoglienza reciproca tra popoli diversi, senza discriminazioni pregiudiziali e ingiustificate, e senza esclusioni prestabilite e preconcette. In tutti i saggi che compongono quest'opera riecheggia un'unica istanza, rivolta alla pluralità umana ed espressa da Gian Luigi Brena nell'Introduzione: la necessità di "un dialogo quotidiano e continuato, con una pazienza instancabile" (p. 22).

Alessandra Callegari