2005

C. Formenti, Mercanti di futuro, Einaudi, Torino 2002, pp. 311, ISBN 8806161024

Il fenomeno della New-Net Economy è stato analizzato da opposti angoli prospettici: radicale cesura con il passato, oppure semplice bolla speculativa leggibile attraverso le leggi dell'economia classica. Conseguentemente, con l'inizio della recessione i più si sono divisi tra le profezie di un angoscioso futuro e gli auspici di un ritorno alla normalità economica. È a questa visione binaria che tenta di sottrarsi Carlo Formenti, cercando di fornire una lettura politica della recessione, "per dimostrare come i suoi meccanismi riflettano nuove forme di conflitto sociale più che le leggi del mercato" (p. VII). Il libro, significativamente sottotitolato Utopia e crisi della Net Economy, vuole dimostrare come non sia possibile e neppure auspicabile un ritorno alla normalità. Siamo di fronte ad una "grande trasformazione", paragonabile a quella descritta da Karl Polanyi: essa è appena cominciata, ha subito una battuta di arresto che non le impedirà di produrre effetti ancora più radicali di quelli cui abbiamo fino ad oggi assistito.

La prima parte del testo, ricca di documentazione, è introdotta da nove storie perlopiù americane, che esemplificano concretamente l'ipotesi di fondo che sorregge il libro: secondo l'autore, la rivoluzione digitale, lo sviluppo della Rete e conseguentemente della Net Economy è il risultato di un complesso quadro in cui si intrecciano indissolubilmente etica hacker e nuove culture di impresa, "anarcocapitalismo" e "comunismo delle idee", individualismo e comunitarismo, utopia sociale e ricerca del business, empowerment dei consumatori e lavoratori net slaves. La crisi della Net Economy - inaugurata dal tonfo dell'indice Nasdaq nella primavera del 2000 e accelerata dal crollo delle Twin Towers l'11 settembre dell'anno successivo - avrebbe aperto una fase di "controrivoluzione digitale", in cui si fronteggiano due blocchi contrapposti. Da una parte lo Stato americano alleato con una fetta considerevole delle grandi corporations, capeggiate dal monopolista "Golia" Microsoft. Dall'altra parte, le trasformazioni dell'ultimo decennio del secolo scorso hanno sedimentato un composito e trasversale blocco sociale, in cui si costituiscono inedite alleanze: ad esempio, quella tra il colosso informatico IBM e "Davide" Linux, il più noto caso di software open source. Lo scontro, a giudizio dell'autore, avviene su campi quali la proprietà intellettuale, il copyright, i brevetti, la privacy: in poche parole, a fronteggiarsi sarebbero i monopolisti dell'informazione e della comunicazione e chi si schiera (per scelta libertaria o per interessi economici) per la libera circolazione dei saperi e delle tecnologie.

Formenti tratteggia una piramide per questo variegato insieme di forze che resistono ai tentativi di imbrigliare la rivoluzione digitale nelle tradizionali regole di mercato. Al vertice vi sono le avanguardie tecnologiche, come la comunità di coloro che sviluppano software open source; nel mezzo si collocano le comunità dei fruitori di contenuti; la base, infine, è costituita da un ancor più variegato insieme di tribù virtuali e singoli individui che cercano di difendere la propria privacy.

La controrivoluzione si concretizza con la politica di Bush, soprattutto dopo l'11 settembre: Formenti mette in evidenza il paradosso di un'amministrazione che, nata sotto il segno del liberismo, ha dato vita ad una sorta di "keynesismo di guerra" nel quadro di un apparentemente ossimorico nazional-liberismo. Il denaro pubblico concentrato nel settore militare-industriale e speso nel soccorso della grandi corporations in difficoltà, accompagnato dalla politica repressiva verso la libera circolazione informatica, ne sono un chiaro indicatore.

Nella seconda parte del libro, Formenti sviluppa una serrata critica al concetto marxiano di modo di produzione, che favorirebbe "la tendenza all'appiattimento della realtà sociale sulla sfera del lavoro [...] Siamo di fronte a un punto di vista che nega implicitamente ogni autonomia dei conflitti culturali (dell'antropologia) nei confronti dei conflitti economici" (pp. 228-229). Non estraneo a suggestioni rifkiniane, i bersagli polemici dell'autore sono in particolare quelli che definisce "teorici neoperaisti" (da Toni Negri a Christian Marazzi), le cui analisi vengono - piuttosto discutibilmente - ridotte ad interpretazioni "lavoriste" ed "economiciste". L'autore si produce soprattutto in un interessante corpo a corpo con Empire di Negri e Hardt: questi, nella loro descrizione di un illimitato sviluppo della potenza del capitale-impero, resusciterebbero la sovranità politica - venuta meno nella sua tradizionale forma di stato nazionale - a livello sovranazionale (l'impero, appunto). Ciò, a giudizio di Formenti, sarebbe funzionale ad una riterritorializzazione del conflitto, all'astratta costruzione di un nuovo luogo della lotta politica. L'autore, invece, tratteggiando uno scenario di molti capitalismi che renderebbero impossibile l'uso della categoria di capitalismo al singolare - elemento non nuovo se considerato dal solo punto di vista empirico -, critica alle fondamenta qualsiasi sintesi che individui un nuovo antagonismo di parti contrapposte. Lo stesso modo di produzione capitalistico viene relegato ad una funzione tecnico-organizzativa, che non andrebbe quindi confusa con un modello complessivo di organizzazione sociale.

Guardando ai processi storici in corso "con gli occhiali dell'antropologia culturale più che con gli occhiali dell'economia politica" (p. 256), Formenti tenta di recuperare la vitalità del pensiero di Polanyi all'interno della grande trasformazione in atto. La resistenza alla mercificazione, a giudizio dell'autore, non è immaginabile come processo di fuoriuscita dal sistema, ma come tentativo di "controcolonizzare" la sfera del mercato, sfruttando risorse, tecnologie, conoscenze e organizzazione sociale prodotte dal capitalismo per sviluppare nuove forme di autonomia sociale. Il rischio di tale analisi sta nel vedere la sfera del mercato e della società quali zone neutre, alternativamente occupabili dai processi capitalistici o da pratiche di libera condivisione. L'autore critica l'analisi della messa al lavoro della riproduzione e dell'intera vita, in quanto a tramontare sarebbe proprio l'idea moderna di lavoro come fonte di valore: "l'utopia della Net Economy si fonda sulla convinzione che solidarietà sociale e competitività economica non rappresentino più concetti antagonisti" (p. 273). In buona sostanza, Formenti delinea un mutevole blocco sociale che si aggrega secondo pratiche "occasionaliste", che si accorda nel breve tempo in modo duttile e flessibile. Esso può essere portatore di un "liberismo sovversivo" e progressista, alla ricerca di spazi aperti in alternativa a Stati-nazione che, pur professandosi liberisti, si alleano con i settori più retrivi dei grandi monopoli.

Gigi Roggero