2005

M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, il Mulino, Bologna 2000

Ne Le istituzioni della globalizzazione, Maria Rosaria Ferrarese si interroga sulle trasformazioni che la globalizzazione induce nella sfera istituzionale. Allo stesso tempo, però, l'autrice fornisce una descrizione del processo di globalizzazione. Se la definizione più completa di "globalizzazione" è infatti, per Ferrarese, quella data da Susan Strange, che la definisce come il passaggio di consegne di sempre maggiori poteri dagli Stati ai mercati, descrivere le istituzioni della globalizzazione equivale a descrivere questo passaggio e quindi la globalizzazione stessa. La definizione di Strange viene preferita ad altre (quella di Giddens, ad esempio) perché mette in luce l'aspetto rivoluzionario del processo di globalizzazione. Infatti, se intesa solo come "intensificazione delle relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa" (Giddens, Le conseguenze della modernità), la globalizzazione appare come una semplice evoluzione del capitalismo. I tratti rivoluzionari di questo processo emergono solo da un'analisi dei mutamenti che esso induce nella sfera istituzionale, intendendo con questo termine sia la sfera statale che quella della giuridicità.

Nella sfera statale è in atto un processo di frantumazione e di opacizzazione della sovranità statale. Nella sfera della giuridicità si assiste a una vera e propria mutazione genetica del diritto: mutano gli attori del processo giuridico, mutano le modalità di produzione e di funzionamento delle regole giuridiche. La giuridicità si trasforma radicalmente. Il linguaggio universale degli interessi sembra prevalere definitivamente sul diritto: la logica della negoziazione, propria della ratio oeconomica, sembra sostituire quella dell'argomentazione, tipica del diritto. Il superamento della dimensione statale, provocato dall'espansione dell'economia finanziaria e della tecnologia, tende a fare del diritto uno dei mondi esperti acquisibili sul mercato. Il diritto perde così la sua valenza normativa. I giuristi non sono più il ceto detentore del sapere giuridico al servizio del potere normativo dello Stato: sono dei professionisti del diritto (law firms) che offrono prestazioni sul mercato. Le loro prestazioni consistono in strategie di mobilitazione di capacità legittimanti proprie del diritto a favore degli interessi di impresa. Il diritto globale diviene così strumento per gli scambi, assimilabile al denaro. Si assiste alla nascita di una nuova civiltà giuridica nella quale ha luogo una vera e propria riorganizzazione territoriale e temporale della giuridicità. Il diritto globale si svincola dal territorio (Ferrarese lo definisce un diritto "à la carte"). Esso assume, da un lato, una valenza universale e transnazionale, dall'altro, si frantuma in molteplici dialetti giuridici. Il diritto globale è un diritto glocale, un millepiedi che poggia le sue gambe in tanti luoghi per collegare gli estremi del globo. Esso è una lingua internazionale che ha tanti dialetti giuridici locali. Questa sua natura lo rende particolarmente permeabile agli elementi informali che influenzano sia i comportamenti individuali che quelli collettivi. Il diritto si rivela una costruzione sociale particolarmente permeabile alle interferenze esterne. La giuridicità presenta così degli spazi vuoti, essa è descrivibile come un arcipelago le cui isole sono collegate da ponti. E' al contempo specifica e universale e presenta un carattere adattivo e teleologico. Non è più prodotta solo dagli Stati (si assiste a una sorta di legittimazione liberale di ciò che viene fatto dalle imprese). Il diritto americano si presta a fare da modello al diritto globale. Il processo giuridico sembra assomigliare sempre più a un "gioco giuridico": esso dipende sempre più dai soggetti in gioco. Nuovi soggetti emergono sul piano globale: le Organizzazioni Non Governative e le Corporations Transnazionali. Entrambe sono istituzioni fattuali private che hanno carattere pubblico. La distinzione fra le istituzioni a livello globale non è più fra istituzioni pubbliche e private ma fra istituzioni che perseguono il profitto e istituzioni non- profit. Manca, però, secondo Ferrarese, un confronto fra questi due tipi di istituzioni che sono spesso portatrici di interessi opposti. Non c'è ancora una sfera giuridica pubblica globale né un discorso pubblico globale. Il diritto della globalizzazione è un ordine aperto a nuovi soggetti, a nuove modalità e a nuovi iter di produzione. Non è più un monopolio, non è più attivo, non è identificabile con le norme scritte, non è più un procedimento ma un processo. Rinuncia all'invarianza e anche alla decisione come base della sua esistenza: non è diritto positivo. E' un insieme di regole-cornice o di "regole del gioco". Esso diviene cioè un "diritto delle possibilità" di cui i soggetti - giocatori possono avvalersi secondo la loro "razionalità strategica", ignorandone la valenza normativa.

A questo "diritto delle possibilità", che ha necessariamente un carattere pluralista, si contrappone nell'ambito del diritto globale un "diritto della necessità" che tende invece ad essere unitario. Al "diritto della necessità" appartengono i diritti umani, il diritto processuale, costituzionale, penale, il diritto delle giurisdizioni transnazionali. L'unificazione del diritto della necessità risponde sia ad una ratio giusnaturalistica che ad una ratio tecnica e corrisponde all'emergere di uno sguardo unitario sul mondo. La tendenza al pluralismo e la tendenza all'unità si combinano. La tendenza all'unità non è infatti fondata su un concetto astratto di individualità riconducibile all'universalismo liberale, né il pluralismo giuridico è fatto di tanti rapporti definiti di diversità, quanto di una trama di accomodamenti. Dimensione universale e particolare si fanno anche concorrenza. Il diritto globale esprime sia l'individualismo astratto che quello delle differenze.

In questo scenario acquistano significativa importanza le valenze comunicative del diritto. Il diritto deve rispondere alle esigenze di efficienza imposte dalla concorrenza, deve essere comunicato in modo efficiente. In questo quadro, diritto scritto e diritto orale entrano in concorrenza. Il sistema giuridico di civil law, fondato sulla scrittura, presenta caratteri di eccessiva chiusura e di autoreferenzialità. Muta l'epistemologia del diritto in generale, ma in particolare cambia episteme il diritto forgiato dalla tradizione giuspositivista. Migliore appare l'endiadi oralità - scrittura. Il diritto globale si avvale di una doppia tecnologia della parola: scritta e orale. I diversi dialetti giuridici operano come grafoletti: incrocio di scrittura e oralità. Nascono su base scritta, ma si prestano a costituire un circuito di tipo orale. Il contratto è lo strumento che meglio concilia diritto scritto e diritto orale. Non però il contratto tipico della tradizione liberale, ancorata all'assetto proprietario della società, ma il contratto che ha subito una forte evoluzione, passando dal formalismo all'intertestualità, fino a divenire produttore di rischio e distributore del rischio prodotto. Il contratto perde completamente il carattere di strumento di cooperazione sociale, ma si allontana anche dalla logica dei diritti soggettivi. Diventa l'archetipo delle relazioni di mercato. La contrattualizzazione spinge verso un vero e proprio mercato delle regole. Il diritto si fa gregario di un'economia del rischio e si trasforma da garante di un assetto a produttore di rischio. Questo rischio diffuso non è il rischio globale (Beck) ma un rischio che passa inosservato, inoculato a piccole dosi dalle negoziazioni che hanno luogo sul mercato, sfugge alla decisione politica. La distribuzione del rischio diviene così una questione puramente privata da questione politica per eccellenza: è la fine del welfare state, ma anche la fine della nozione di responsabilità che era alla base delle azioni umane nella concezione liberale. Al centro del dibattito contemporaneo, emerge il tema dell'accettabilità del rischio, che può essere trattato tecnicamente, ma con un'ulteriore diminuzione della sovranità statale. La modernità si presenta sempre più come un'"istituzionalizzazione del dubbio".

La ricostruzione di Maria Rosaria Ferrarese ha il merito di fornire un quadro unitario del processo di globalizzazione e di mettere in luce alcuni aspetti fondamentali di tale processo, che fino ad ora erano rimasti in ombra. Ferrarese collega fra loro fenomeni apparentemente lontani e li spiega alla luce di una lettura coerente del mondo contemporaneo. Lo sforzo di sintesi fatto per dare una spiegazione chiara delle trasformazioni in atto rischia tuttavia di semplificare in modo eccessivo la complessità dei fenomeni e di dare una visione troppo compatta di processi estremamente parziali e frammentari. La definizione di "globalizzazione" data da Susan Strange, dalla quale prende le mosse l'analisi di Maria Rosaria Ferrarese, sembra mettere al centro del discorso la dimensione giuridica e politica e non volersi ridurre a dare della globalizzazione una definizione troppo incentrata sui mutamenti di tipo economico. Sennonché, Ferrarese rinviene l'origine del passaggio di sempre maggiori poteri dagli Stati ai mercati nell'intensificazione degli scambi, nell'emergere dell'economia finanziaria e nell'affermarsi della tecnologia, ovvero, in quella globalizzazione economica che costituisce il risultato dell'evoluzione del capitalismo. L'economia torna così al centro del discorso e si fa dimensione forgiante tutte le altre dimensioni. Il politico, in particolare, viene completamente assorbito dalla dimensione economica ed esautorato delle sue prerogative. In questo mondo globalizzato scompare la polis. O meglio, il mercato, come luogo di socializzazione, si fa polis e il cittadino diventa consumatore. L'analisi di Ferrarese pretende di avere una valenza soltanto descrittiva, tuttavia, essa tende a riproporre una reductio ad unum, che, lungi dall'essere meramente descrittiva, ha effetti fortemente prescrittivi. Il rischio è quello di presentare la globalizzazione come un processo eccessivamente unitario e deterministicamente orientato, non indirizzabile. Al "mondo leggero", descritto da Ferrarese, si contrappone in realtà un "mondo pesante" nel quale le dimensioni della normatività e della territorialità sono ancora estremamente presenti. La descrizione di Maria Rosaria Ferrarese appare inoltre discutibile laddove esclude l'emergere di una sfera pubblica: il mondo contemporaneo non appare così vuoto di politica.

Lucia Re