2005

T. Dunne, N.J. Wheeler (eds), Human Rights in Global Politics, Cambridge University Press, Cambridge 1999

Il volume raccoglie gli atti della conferenza "Human Rights, Human Wrongs", organizzata nel 1997 dal Dipartimento di Politica Internazionale dell'Università del Galles, ad Aberystwyth. Seguendo la partizione tematica suggerita dall'intitolazione della conferenza i saggi raccolti sono stati ordinati in due grandi sezioni, "Theories of human rights" e "The practices of human wrongs". Nella prima parte i saggi di Ken Booth, Jack Donnelly, Chris Brown, Bhikhu Parekh e Mary Midgley si confrontano in vario modo con la questione se sia possibile attribuire un senso all'universalità dei diritti umani senza fare riferimento ad una natura umana immutabile. Sia Booth che Donnelly ribadiscono con forza la necessità 'di fatto' di valori universali come argine contro la sofferenza, criticando le pretese del 'relativismo culturale' che antepone ai diritti la tolleranza della diversità. I diritti costituiscono la risposta elaborata dalla modernità occidentale alle minacce alla dignità umana portate dall'oppressione politica ed economica e la consapevolezza della loro specificità storica e geografica non costituisce una ragione sufficiente per rinunciare ad essi. Molto diversa è la posizione adottata da Chris Brown nel terzo saggio. Brown sostiene che l'affermazione dell'esistenza di un consenso generale sui diritti umani che richiede soltanto di essere reso più effettivo in pratica, è in se stessa problematica. Nella prospettiva di Brown i diritti sono da vedersi come un'espressione delle culture e delle tradizioni in cui sono sorti. Per questo motivo il rafforzamento della cultura dei diritti non passa attraverso la ricerca di un ipotetico fondamento assoluto bensì attraverso l'educazione della sensibilità degli individui. Bikhu Parekh, a sua volta, concorda con Brown sul radicamento comunitario dei valori ma ritiene che se si vuole rendere più effettiva la tutela dei diritti sia necessario far leva su quel contenuto minimo che è comune ad ogni tradizione morale per raggiungere, servendosi dello strumento del dialogo, un consenso più ampio.

Nella seconda parte i saggi di Richard Falk, Mary Kaldor, Martin Shaw, Gil Loescher, Georgina Ashworth, Andrew Hurrell, Ken Booth e Tim Dunne affrontano più da vicino la realtà degli "human wrongs" cercando anche di valutare come, in concreto, la tutela internazionale dei diritti potrebbe essere rafforzata. In particolare, Falk si sofferma sugli episodi di genocidio nel mondo contemporaneo, sottolineando il ruolo negativo giocato dalla globalizzazione dei mercati. Mary Kaldor e Martin Shaw trattano delle trasformazioni subite dalla società civile transnazionale, delle sue capacità di influenzare le decisioni delle istituzioni statali e dei compiti strategici che i media sono chiamati ad assolvere in relazione alla documentazione delle violazioni dei diritti. Il contributo di Gil Loescher ha invece come tema la politica delle Nazioni Unite in materia di rifugiati mentre quello di Georgina Ashworth concerne le violazioni dei diritti che coinvolgono specificamente le donne. I saggi conclusivi di Hurrell e di Booth e Dunne si distaccano dai precedenti per tornare a trattare tematiche più vicine a quelle affrontate nella prima parte. Così, Hurrell pone la questione degli strumenti che la comunità internazionale può adoperare per sanzionare le violazioni dei diritti umani, mettendo in risalto la valenza strategica delle enunciazioni di principio in materia di diritti. Infine, Booth e Dunne esaminano il ruolo della diffusione dell'istruzione nella promozione dei diritti, sostenendo una forma di 'etnocentrismo tollerante delle diversità'. Si conferma così la centralità della tensione fra consapevolezza del carattere 'relativo' dei diritti e aspirazioni a una loro estensione universale.

Leonardo Marchettoni