2005

A Honneth, Leiden an Unbestimmtheit. Eine Reaktualisierung der Hegelschen Rechtsphilosophie, Reclam, Stuttgart 2001, tr. it. Il dolore dell'indeterminato, Manifestolibri, Roma 2003, pp 142, ISBN 8872852935

Con questo lavoro Honneth si cimenta con un tentativo di attualizzazione della filosofia del diritto di Hegel. Lo scopo è cercare fonti teoriche per una teoria della giustizia, alternativa al formalismo giuridico, che tenti di universalizzare le condizioni intersoggettive che rendono possibile la libertà individuale.

Honneth comincia fornendo le ragioni del perché dovrebbe essere auspicato un ritorno alla filosofia del diritto. Come egli stesso scrive "oggi è assai diffusa la necessità di una contestualizzazione sociale dei principi della giustizia ricavati in maniera formale" (p. 38) e quindi il tentativo hegeliano, che va eminentemente in questa direzione, potrebbe fornire a teorici del diritto e della giustizia strumenti adeguati per ancorare la produzione normativa alla prassi sociale, evitando così da un lato cornici istituzionali sradicate e dall'altro formali petitio principi.

È anche vero che se questo non avviene è perché la filosofia del diritto hegeliana si presta a numerose critiche. Ma di questo Honneth sembra essere consapevole, tanto da voler portare avanti il proprio tentativo trascurando quelle congetture hegeliane superate dalla storia, in particolare il concetto di Stato e quello ontologico di spirito. Al di qua di queste figure metafisiche dell'idea hegeliana della società, per Honneth persiste nel testo una profonda originalità analitica che va recuperata indirettamente, ricostruendo cioè l'orizzonte normativo della filosofia pratica di Hegel, in modo particolare il concetto di spirito oggettivo e quello di eticità. In che senso lo spirito oggettivo e l'eticità si costituiscono nell'orizzonte normativo?

Lo spirito oggettivo prima che essere una presenza fantastica nella realtà ne è al contrario un elemento molto concreto: ogni realtà sociale possiede una struttura razionale che predetermina le nostre pratiche sociali e in questo i nostri atti non sono originari. Al contrario nell'eticità la realtà sociale si esperisce sottoforma di azioni nelle quali passioni e norme sociali sono già da sempre fusi, senza che si debbano ricercare i mezzi di orientamento normativo dei soggetti, siano essi intellettuali, sociali o passionali.

Una teoria della giustizia normativa non coercitiva né lontana dal piano sociale, deve quindi prendere le mosse da una rappresentazione atomistica della libertà del singolo, dall'esercizio puro del libero volere così come inteso dalla filosofia classica del diritto. A differenza di queste teorie del diritto, ove le inclinazioni umane sono trascurate, la nozione hegeliana di libera volontà è invece capace di trasformare il materiale dei propri impulsi in materia di libertà: Hegel non solo fa propria in maniera essenziale l'idea kantiana dell'autodeterminazione individuale, ma provvede anche a immergerla nella naturale struttura delle motivazioni, in modo che la libertà possa essere considerata l'elaborazione del sistema dei desideri umani. In questo modo la libertà dell'individuo è sempre una rappresentazione piena di se stesso, una forma che lo attraversa dall'emozionale all'intellettuale, grazie a cui esso si percepisce e al contempo si espone al mondo. Ogni libero volere è tale a partire da una sfera dell'agire sociale entro la quale si determina. Ogni legittima libertà individuale si sposa perciò con un livello intersoggettivo sempre più profondo (mano a mano che l'esperienza del mondo sociale si allarga). Per questo motivo la giustizia non si può assegnare con criteri pre-determinati (penso a Rawls, a Habermas): il diritto non è una parte formale dell'agire, ma fa parte dell'esserci, della vita. Anzi l'esserci è il libero volere. E l'esserci non è una sostanza, ma un insieme di riferimenti concreti attraverso i quali l'individuo si forma moralmente, interagendo nelle strutture sociali della realtà. Honneth individua in questo tipo di argomentazione (e non nella Logica) le ragioni della divisione hegeliana delle sfere della libertà: il diritto astratto, la moralità e l'eticità. Cogliere le motivazioni di questa divisione vuol dire considerare che alla base del passaggio ascendente da condizioni incomplete a condizioni complete di libertà ci stia un processo di Bildung dei modelli di libertà. Se le strutture sociali rappresentano le condizioni minime (necessarie per Honneth) perché ci sia uno scambio intersoggettivo, i modelli di libertà hanno la funzione di correggere i processi di realizzazione dell'individuo, fino a innalzarli a pratiche morali capaci di riscuotere una libera legittimazione sociale delle proprie pretese.

Nel seconda parte Honneth cerca di chiarire ulteriormente la divisione tra diritto astratto, moralità e eticità. Essa è una successione di tre modalità non uguali di libertà. Secondo Hegel i primi due sono parziali, servono alla costruzione del tutto, ma non sono il tutto (il diritto astratto regola il diritto di proprietà e la libertà di contratto ed è quindi funzionale al perseguimento di interazioni strategiche tra individui indipendenti; la moralità è invece un punto di vista sulla capacità di agire, riflessivo ma vuoto perché difetta in universalizzazione: astraendosi dalla prassi sociale, infatti, non può più sottoporre le pratiche all'approvazione libera e razionale di ogni membro della società).

Il diritto astratto e la moralità non bastano a garantire di fatto le condizioni sotto le quali ogni individuo può realizzarsi senza costrizione. Anche quando rimangono nella propria sfera d'azione, mantenendo così intatta la loro validità e la loro legittimazione - poiché comunque occupano legittimamente un posto nella formazione di un modello complesso di etica partecipativa - non di meno essi sono parziali. Data la loro parzialità è facile travalicarne la specificità e assolutizzarle. In questo modo le rappresentazioni parziali sono rese come forme autonome della prassi e ciò può procurare effetti negativi, fino a comportare sofferenze sociali tali da causare patologie. Da qui il soffrire di indeterminatezza.

Ma è nella sofferenza che per Honneth va visto il passaggio all'eticità, concepito cioè come una forma di liberazione, nel doppio significato di a) liberazione dalle forme parziali patologiche e b) come rivolgimento verso la libertà reale. Accorgersi che in noi hanno agito forme fallaci di autocomprensione ci porta a riconoscere che l'interazione è una condizione necessaria della libertà individuale. In altre parole attraverso le sofferenze di un processo di emancipazione fallito, cambiando la prospettiva, viene promosso un riconoscimento che è anche terapeutico e che infine produce un aggiustamento dello squilibrio tra principio della libertà individuale e procedure normative sociali. Questa è la forma compiuta di liberazione. In questo modo, attraverso Hegel, Honneth traccia un asse tra analisi terapeutica e teoria della giustizia.

La terza parte è dedicata all'eticità, anch'essa una forma intersoggettiva di libertà. In questa sfera l'individuo si comporta nei confronti dell'altro in modo né strategico, né morale, ma secondo un riconoscimento reciproco: ogni individuo per giungere a una legittima autorealizzazione della propria libertà deve riconoscere in modo partecipato le libertà dell'altro di autorealizzarsi. Ma cosa si intende per dovere?

L'idea di dovere che qui si sviluppa non è un punto di vista sovraordinato che presiede al giudizio sulle scelte giuste, ma al contrario esso si compone di strutture necessariamente interne all'agire e alla prassi, strutture che per questa condizione endogena sono portatrici "reali" di riconoscimento. Tanto reali che ogni dovere è anche un atto cognitivo: in ogni forma di riconoscimento reciproco avvengono infatti processi di apprendimento (sia quindi nella famiglia, nella società civile e nello stato, che sono le sfere in cui Hegel smonta l'eticità). Nella sfera familiare, attraverso l'amore per l'altra persona, si istaura una pratica intersoggettiva fondata sull'insostituibilità di uno dei partner rispetto all'altro e questa relazione istituisce la pratica del portarsi aiuto reciproco, del prendersi cura. Nella società civile, invece, l'individuo trasforma i bisogni naturali in interessi che possono essere articolati nello scambio. Nel controllare le pratiche dello scambio per soddisfare i propri interessi l'individuo non solo deve sospendere l'istinto e la soddisfazione dei bisogni fino alla conclusione delle transizioni, ma anche articolare i propri bisogni in modo da dar loro un linguaggio consono allo scambio, secondo la logica della domanda e dell'offerta.

Sopra la famiglia e la società civile Hegel pone lo Stato, che ha il compito di dare alla struttura etica del riconoscimento una normazione istituzionale. Questo perché se l'eticità è destinata a contenere i rapporti intersoggettivi del processo di modernizzazione, allo Stato spetta allora un compito aggiuntivo. Oltre quello di regolare gli atti che possiedono sufficiente radicamento, lo Stato deve essere anche capace di fronteggiare le trasformazioni interne e i nuovi adattamenti della storia. Qui si trovano, secondo Honneth, i limiti della conclusione della teoria della giustizia hegeliana: una rappresentazione troppo istituzionalizzata delle condizioni della libertà soggettiva: "nel capitolo sullo stato, il discorso invece di svilupparsi in maniera orizzontale, all'improvviso, assume una tendenza verticale" (p. 132). Nello Stato i soggetti non fanno più riferimento uno all'altro per produrre con attività comuni l'universalità, ma piuttosto tale universalità appare data come sostanziale a discapito della costruzione intersoggettiva delle libertà individuali. Honneth propone come correttivo a questa conclusione una sfera dell'etica che abbracci le diverse forme della libertà pubblica, nelle quali sia possibile partecipare alla formazione democratica della volontà.

Antonio Carnevale