2005

A. Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico. Materiali per l'etnografia contemporanea, Costa & Nolan, Genova 1998, pp. 316, ISBN 88-7648-296-2

Anche se il sottotitolo di questo volume recita "materiali per l'etnografia contemporanea", gli approcci antropologico, filosofico e sociologico vi corrono paralleli. In effetti, i veri e propri contributi etnografici sono preceduti da un robusto prodromo, che chiama in causa competenze filosofico-politiche e di sociologia. È qui che il testo (seppure senza alcuna intenzione sistematica) elabora un impianto concettuale che si spinge ben al di là dell'etnografia contemporanea, e coinvolge l'intera vicenda della modernità europea, fino all'acuirsi delle tensioni nei confronti dello straniero proprie della globalizzazione.

"Straniero" e "nemico" sono i due concetti immediatamente convocati nel titolo. Ad entrare con pari diritto nell'armatura del testo vi sono però almeno altre due figure sociologiche e filosofiche di primo piano: quella di "persona" e quella di "confine". Contemporaneamente, nozioni cruciali e problematiche come Stato moderno, popolo, nazione si propongono come sfondo storico di numerosi fra i saggi proposti, così che l'indagine intorno a quel che è 'straniero' e quel che è 'nemico' diventa una prospettiva in grado di chiarire ulteriormente quelle nozioni. Sinergicamente, poi, agisce un criterio operante lungo tutta la ricerca: quello costituito dalla coppia inclusione/esclusione.

Ora, riflettere sullo straniero e sul nemico significa stabilire un confine fra chi appartiene ad un ordine, ad uno spazio politico condiviso, e chi vi è escluso. Qui si sviluppa la rete concettuale appena accennata. Da una parte il confine (superando presto la sua mera dimensione territoriale) si mostra in tutta la sua plasticità e potenza metaforica, fino al livello di 'confine mentale'. Esso è, innanzitutto, linea di demarcazione dell'ordine, barriera mobile che separa 'chi sta dentro' e 'chi sta fuori' ad un gruppo, ad un popolo, ad uno Stato, e così via. Il grado di permeabilità dei confini (fisici e mentali) è in relazione inversa alla rigidità con la quale uno spazio politico interpreta il criterio di inclusione/esclusione. Nel volume, il richiamo più esplicito alla figura del confine è affidato al saggio di Luca Burgazzoli su Georg Simmel.

Ma 'straniero' può essere tanto chi dimora oltre i confini quanto chi abita all'interno di uno spazio, di un ordine politico, ma in posizione subordinata, tollerata, coatta. Un riscontro alla posizione di estraneità si trova nel concetto di 'persona' tanto che - almeno nella modernità europea ed americana, a cui è dedicata gran parte del volume - anche questi due termini sembrano inversamente proporzionali: quanto più si è a 'stranieri', tanto meno si verrà trattati come persone. Già nel saggio d'apertura di Sandro Mezzadra viene evidenziata la centralità filosofico-politica del termine 'persona' nella costruzione politica hobbesiana. Ma è nel contributo su Marcel Mauss di Federico Rahola che esplode la potenzialità esplicativa di tale nozione: non c'è riconoscimento di personalità senza una preventiva inclusione in un ordine sociale. E, d'altra parte, il XX secolo ha infranto l'aspirazione ad universalizzare l'idea di 'persona', che intendeva liberarla dal vincolo dell'appartenenza, dalla politica confinata nel dentro/fuori.

L'etimologia del termine persona (che rimanda alla maschera teatrale) contiene una traccia che permette di collegare questa breve mappatura ad un tema presente in quasi tutti gli interventi del volume: quello del carattere costruito ed artificiale, quindi per niente naturale, delle autorappresentazioni politiche. Sin dall'introduzione, Alessandro Dal Lago ricorda ad esempio che l'idea di 'nazione' (su cui si regge la statualità degli ultimi due secoli) è un'entità sfuggente, quasi inventata. Questa consapevolezza teorica si salda con il destino della figura dello straniero: anch'egli appare, ad uno sguardo meditato, un'entità immaginaria, e tuttavia necessaria alla costruzione di un'identità sociale. Ecco disegnato, in breve, il percorso che conduce dalla riflessione sullo 'straniero' fino ad un metaconcetto filosofico e psicologico: l'identità. Non c'è identità sociopolitica senza uno straniero ostile e minaccioso, cui si dà vita anche quando esso, nei fatti, non esiste.

Si può notare, a questo punto, un certo sbilanciamento teorico del volume, che è nel complesso molto più attento alla relazione straniero-persona (si potrebbe riformulare: straniero-amico), che alla relazione (peraltro annunciata nel titolo) straniero-nemico. In altre parole, l'insieme dei saggi serve più a capire come si costruisce un'identità collettiva a partire da quella di 'straniero', che non a ricostruire la formazione dello scarto concettuale tra 'straniero' e 'nemico'.

In ogni caso, la 'creazione' dello straniero come tipica strategia identitaria emerge tanto nei contributi di taglio più filosofico che in quelli più etnografici. Fra questi, Salvatore Palidda e Marcello Maneri esaminano alcuni aspetti della questione nella società italiana contemporanea, con forti accenti critici verso l'atteggiamento delle istituzioni, dei media e della popolazione. La società statunitense è però quella che riceve una maggiore attenzione. Mentre Massimiliano Guareschi ha riletto Tocqueville per sottolineare l'originaria e strutturale esclusione di neri ed indiani dal paradigma democratico d'oltreoceano, altri due contributi (Ferdinando Fasce e Loïc Wacquant) mettono in luce l'asprezza delle esclusioni interne erette dagli USA nel XX secolo.

In almeno due contributi il volume stabilisce un aperto contatto con temi foucaultiani e post-foucaultiani: l'intervento sugli zingari di Federico Boni, nel quale il controllo e la disciplina cui essi vengono sottoposti a partire dal XIX secolo appaiono come una forma di esclusione interna o, meglio, di inclusione forzata ed omologante nell'ordine sociale. E ricordiamo che nelle riflessioni di Sabrina Vigna sull'homo sacer di Agamben, la progressiva coincidenza dello spazio politico con quello della 'nuda vita' dissolve la distinzione inclusione/esclusione. Con l'avvento della biopolitica, basta essere un uomo per essere precipitati nella 'nuda vita', inerme, spogliata di ogni maschera, meccanicamente sopprimibile, nella quale i confini sono stati soppiantati dal recinto del campo di concentramento.

Nicola Casanova