2008

C. Faralli, C. Cortesi (a cura di), Nuove maternità. Riflessioni bioetiche al femminile, Diabasis, Reggio Emilia 2005, pp. 209, ISBN 888103224-4

Negli ultimi dieci anni il dibattito bioetico si è arricchito del contributo di studiose e filosofe femministe. La prospettiva di genere ha esibito una specifica capacità di comprensione di alcune questioni di etica applicata: la fecondazione medicalmente assistita, la diagnosi genetica pre-impianto, la maternità surrogata e l'aborto. Entro questi ambiti problematici l'approccio femminista insiste sulla valorizzazione del corpo e della psiche della donna, sul ruolo della comunicazione e della dimensione relazionale nell'agire e nelle scelte morali, ma soprattutto sulla necessità di ripensare le singole tematiche alla luce di una maggiore consapevolezza rispetto al ruolo rivestito dall'appartenenza di genere. In questo senso diviene fecondo il superamento di visioni parziali e di pregiudizi spesso sottesi alle coordinate concettuali, ai principi morali e alla terminologia, presenti nell'argomentazione bioetica sulle questioni legate in generale alla maternità.

Il volume curato da Carla Faralli e da Cecilia Cortesi, edito nella collana "Etica Giuridica Politica", diventa così un prezioso tassello per una ricostruzione della discussione bioetica, ma anche uno stimolo e un invito a una riflessione ulteriore. Raccoglie i contributi delle maggiori studiose femministe di area anglosassone, impegnate in bioetica e anche specificatamente in etica della salute ed etica della famiglia.

Nella prima sezione del libro, con i saggi di Susan Sherwin e di Susan Dodds, si delinea una definizione della bioetica femminista che in modo propositivo indaga il tema dell'oppressione sociale subita dalle donne, con particolare riferimento alle questioni legate ad aborto e riproduzione. Qui la critica femminista rivendica, con Carl Gilligan, l'idea che i contesti, i dettagli, le circostanze concrete nelle quali le donne si trovano ad agire, a scegliere e a subire scelte, sono decisivi per una piena comprensione dei problemi morali implicati in tali azioni e deliberazioni (S. Sherwin,.Femminismo e bioetica, p. 9).

L'etica femminista è eterogenea e contiene al suo interno diverse anime: seguendo la tipologia di Rosemarie Tong è possibile distinguere almeno un «femminismo liberale», un «femminismo radicale» e un «femminismo culturale», talvolta identificato «con l'etica femminile della cura» (S. Dodds, Scelta e controllo nella bioetica femminista, p. 39. Il riferimento è alla classificazione che Tong presenta nel 1996 in Feminist Approaches to Bioethics [in Feminism & Bioethics: Beyond Reproduction, a cura di S.M. Wolf, Oxford University Press, New York 1996, p. 74]. Mentre prezioso per una trattazione dell'etica della cura entro un orizzonte che la estende ben oltre la dimensione femminile è il testo di Joan Tronto, Moral Boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care, 1993, ora tradotto nella stessa collana del volume in esame: Confini morali. Un argomento politico per l'etica della cura, a cura di A. Facchi, trad. it. di N. Riva, Diabasis, Reggio Emilia 2006). Al di là però di queste pur significative distinzioni si può parlare di una bioetica in generale femminista, nel senso che si può vedere il femminismo unito nel rivendicare un reciso antipaternalismo nelle pratiche mediche e nel suggerire che "qualsiasi appello alla giustizia messo in atto nel campo della bioetica dovrebbe contare solo su questa particolare concezione, la quale è esplicitamente sensibile all'ingiustizia dell'oppressione in tutte le sue molteplici forme" (ibid., p. 13). Con tale presupposto Sherwin e Dodds, non aderendo in modo esclusivo a nessuno dei tre approcci fondamentali del recente femminismo, elaborano una critica del concetto di autonomia, perché è quello di autonomia il principio dominante nel dibattito bioetico, e viene ritenuto inadeguato e oppressivo da Sherwin (già autrice dell'importante No Longer Patient: Feminist Ethics and Health Care, Temple University Press, Philadelphia1992) per le donne e per chi viva in condizioni di disagio sociale, da Dodds più estesamente per ogni individuo che sia bisognoso di cure mediche e debba rapportarsi all'organizzazione medica nelle sue diverse forme (Scelta e controllo nella bioetica femminista, p. 50).

Su queste premesse la raccolta continua con un'ulteriore articolazione in due sezioni tematiche dedicate, rispettivamente, alla riproduzione assistita e all'aborto.

I saggi di Anne Donchin, di Hilde Lindemann Nelson e di Rosemarie Tong delineano la prospettiva femminista sulla riproduzione assistita. Qui l'attenzione è rivolta soprattutto al carattere invasivo degli interventi manipolativi sul genoma dei quali si ipotizza l'attuazione e li si connette alla diagnosi genetica pre-impianto. Lo sguardo delle studiose è quindi anche volto all'insidiosa combinazione tra fecondazione assistita ed eugenetica negativa e migliorativa. Sulle biotecnologie applicate alla riproduzione umana infatti l'atteggiamento comune delle bioeticiste femministe, e questo già a partire dagli anni Settanta, è di sospetto per il potenziale di sfruttamento e di strumentalizzazione della donna legato a tali pratiche biomediche. È questo il filo conduttore della riflessione di Donchin, ma anche di Lindemann Nelson e Tong, impegnate a rintracciare analogie e differenze nel pensiero femminista specificamente rispetto a questa problematica, ponendo in evidenza anche alcune delle implicazioni politiche e sociali delle biotecnologie riproduttive (A. Donchin, Prospettive che convergono: le critiche femministe alla riproduzione assistita, pp. 89-97). Va segnalato infatti che, pur muovendo dalla comune valorizzazione della maternità, se si insiste sull'infertilità quale motivazione rilevante per il ricorso all'assistenza medica, la discussione in seno al femminismo si divide tra coloro che sostengono che i condizionamenti culturali di una società oppressiva inducano all'esasperazione del desiderio di maternità, e coloro che invece riconoscono nella fecondazione assistita una via per l'autorealizzazione di sé, là dove la gestazione venga ritenuta dalla donna essenziale alla sua personale biografia. Di grande interesse in questa seconda sezione è il potenziale critico, ma anche costruttivo, della proposta filosofica di fondo. Nelle pagine di Donchin (ibid., p. 100) e soprattutto in quelle di Lindemann Nelson (Smitizzare la scelta: analogia, persona e nuove tecnologie riproduttive, pp. 117-124) l'argomentazione assume uno spessore più generale, trasformandosi in una proposta filosofica alternativa a quella incentrata sul concetto monologico di autonomia di matrice kantiana, così diffusa nel dibattito bioetico. Il richiamo esplicito è alla riflessione critica sul potere sviluppata da Michel Foucault in Microfisica del potere e in Sorvegliare e punire. Con una prima mossa ricostruttiva Lindemann Nelson, accogliendo l'analisi foucaultiana e facendola interagire con il principio di autonomia, afferma che l'"io esteriore, creato dal dispositivo disciplinare, e mediato dalla medicina, è completamente dipendente (...) da un concetto di persona come entità naturale che sceglie liberamente. L'illusione di un agente libero e autonomo (...) nasconde il potere coercitivo delle tecnologie riproduttive come se producessero persone secondo il loro stesso paradigma di ciò che è normale e desiderabile (...). In questo modo, la persona che sceglie di Kant e il sé normalizzato e tecnologicamente costruito di Foucault si completano a vicenda: diametralmente opposti, ognuno è necessario all'altro" (ibid., pp. 120-121). Questo modello va superato per ottenere, con uno sguardo prospettico di sapore habermasiano, un "concetto di sé in dialogo con gli altri" (ibid., p. 123), un'autonomia relazionale, per "passare da una concezione individualistica dominante dell'autonomia a una prospettiva relazionale" (A. Donchin, Prospettive che convergono: le critiche femministe alla riproduzione assistita, p. 100).

Ultimo tema oggetto delle ricerche presentate nel libro è l'aborto; su di esso si soffermano Susanne Gibson e Mary B. Mahowald. Attraverso la ricostruzione di alcune delle posizioni più significative sulla legittimità dell'aborto e con la consapevolezza che il problema non possa trovare soluzione se si muove dalla definizione dello statuto morale dell'embrione, poiché da un punto di vista etico questione tragicamente e «costitutivamente controversa» (essentially contested) per utilizzare l'espressione tratta dall'ormai classico Essentially Contested Concepts di W. B. Gallie («Proceeding of the Aristotelian Society», 1955-56, LVI, pp. 167-198), da Gibson viene avanzata la proposta di giustificare la possibilità della scelta abortiva, non più tradizionalmente riconducendola alla dialettica dei diritti, bensì ricorrendo al concetto relazionale di autonomia (S. Gibson, Il problema dell'aborto: concetti costitutivamente controversi e autonomia morale, pp. 165-178). Sempre la relazione, e in modo precipuo la relazione tra corpo della donna e feto, è al centro del contributo di Mahowald che analizza il problema dell'uso dei tessuti fetali nel trapianto, evidenziando l'imprescindibile ruolo giocato dalla relazione tra le donne in gravidanza e i loro feti (M.B. Mahowald, Come se esistessero i feti senza le donne, pp. 179-203).

A chiudere l'antologia è dunque un ulteriore riferimento al principio di autonomia profondamente ripensato dalle bioeticiste femministe, grazie alle sollecitazioni filosofico-morali prodotte dalle tecniche riproduttive e dalle normative sull'aborto. Accanto infatti alla ricchezza della critica vi è una convergenza di intenti nel muovere da Kant per andare oltre Kant (S. Gibson, Il problema dell'aborto: concetti costitutivamente controversi e autonomia morale, p. 176) e mostrare il potenziale normativo di un'autonomia pensata come relazione.

Marina Lalatta